“Le voci di Mariupol’”: un documentario del Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (Memorial Charkiv)

Il fotografo ucraino Jevhen Sosnovs'kyj (fotogramma del documentario "Le voci di Mariupol'"

Il progetto “Voci dalla guerra” si conclude col documentario “Le voci di Mariupol’”, che raccoglie le testimonianze di tre abitanti della città durante l’assedio. Le potenti fotografie di Jevhen Sosnovs’kyj accompagnano le loro voci.

Hanna Muštukova, rappresentante del gruppo di iniziativa “I nostri parenti più cari”: “‘Vivo e vegeto, tutto ok.’ Per me queste sono le cinque parole più preziose”.

Tra sconforto e speranza: 89 famiglie della regione di Kyiv aspettano i loro cari fatti prigionieri

John Hall, professore statunitense: “Il genocidio culturale è difficile da dimostrare”.

Il professor John Hall sottolinea come sia difficile dimostrare che sia in atto un genocidio culturale secondo i criteri che sono attualmente in vigore per definirlo, poiché è necessario fornire evidenza di un fattore soggettivo, ovvero l’intenzione di cancellare una cultura. Ecco cosa racconta della sua esperienza in Ucraina.

Maryna Lypovec’ka, direttrice dell’ONG “Magnolia”: “I russi hanno deportato scientemente, a gruppi, i bambini ucraini”.

I russi che ostacolano le ricerche dei bambini ucraini; il bullismo contro gli ucraini nelle scuole europee, il ricongiungimento familiare: Maryna Lypovec’ka su gioie e dolori del suo lavoro per il Magnolia Center for missing children.

Jurij Ljapkalo, padre di Hlib, di Mariupol’: “In ogni cortile ci sono tombe di civili uccisi”.

Il toponimo Mariupol’, così come Buča, è divenuto tristemente famoso anche oltre i confini dell’Ucraina ed è assurto a emblema della guerra di annientamento portata avanti dall’esercito russo. Jurij Ljapkalo è padre di un bambino di soli tre anni, Hlib, che è vissuto con lui durante l’occupazione, e racconta la lotta quotidiana per prendersi cura del figlio.

Iryna e Natalija Ostapovs’ki, madre e figlia: “Un razzo ha ucciso mio padre. Sono immagini che non mi usciranno più dalla memoria né dal cuore”

Brandelli di carne in un cratere: questo è tutto ciò che è rimasto del padre di Natalija e marito di Iryna, ucciso da una bomba russa nel villaggio di Červona Hirka, davanti agli occhi delle sue congiunte. Con lui è andata distrutta la casa, sono arsi tutti gli animali. Di fronte a questa scena apocalittica Iryna e Natalija sono annichilite, ma grazie alla solidarietà di altri ucraini sono riuscite a mettersi in salvo e a non lasciarsi andare. Ora confidano che tutte queste morti e distruzioni non restino impunite.

Paul Hughes, volontario canadese: “Resteremo in Ucraina fino alla fine”

Denys Volocha ha intervistato il volontario canadese Paul Hughes, presente in Ucraina con l’associazione HUGS, da lui fondata col figlio. Hughes ha rischiato di essere imprigionato dai russi mentre tentava di recuperare una bambina ucraina, ma dopo sette ore d’interrogatorio è stato rilasciato. Nell’intervista racconta della sua attività in Ucraina.

Andrij Halavin, arciprete: “Finché non chiameremo il male col suo nome, non vedo come sarà possibile riconciliarsi”

L’arciprete Andrij Halavin prestava il suo servizio a Buča, quando l’esercito russo l’ha occupata. I suoi occhi hanno assistito alle operazioni di riesumazione dei cadaveri, dopo la cacciata dei russi. Oggi accanto alla chiesa dove ufficiava si trova un memoriale a ricordo proprio di quelle vittime.