Il 29 novembre 2024 il tribunale militare di Vladimir ha emesso la sentenza del nuovo procedimento penale contro Aleksej Gorinov, consigliere municipale di Mosca, che è stato condannato a tre anni di reclusione in colonia penale di massima sicurezza per “giustificazione del terrorismo”. La condanna va ad aggiungersi ai sette anni già comminati nel 2022 per “fake news sull’esercito”. Foto di copertina: Dar’ja Kornilova. Foto: SOTAvision. BASTA UCCIDERE. FERMIAMO LA GUERRA. Aleksej Gorinov è avvocato e attivista e dal 2017 consigliere municipale presso il distretto Krasnosel’skij di Mosca. Nei primi anni Novanta era deputato per il partito Russia Democratica, ma nel 1993, durante la crisi costituzionale e il duro confronto tra il presidente El’cin e il Soviet supremo, decide di lasciare la politica. Negli ultimi vent’anni Gorinov ha lavorato come avvocato d’impresa e della pubblica amministrazione in ambito civile e ha fornito assistenza legale agli attivisti tratti in arresto durante le manifestazioni politiche. È fra gli ideatori della veglia-memoriale continua, con fiori e fotografie, sul ponte Moskvoreckij, luogo dell’omicidio di Boris Nemcov. Il 15 marzo 2022, durante un’assemblea ordinaria del Consiglio di zona del distretto Krasnosel’skij, Gorinov deplora pubblicamente l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe esortando “la società civile a fare ogni possibile sforzo per fermare la guerra”. Il 26 aprile viene arrestato ex art. 207.3 del Codice penale russo, noto anche come “legge sulle fake news”. Il tribunale del distretto Meščanskij ritiene che ci siano le prove che Gorinov abbia “diffuso informazioni deliberatamente false su quanto compiuto dalle Forze armate russe”, con le aggravanti di essere “in una posizione ufficiale e per motivi d’odio e ostilità”. Gorinov è il primo cittadino russo a ricevere una pena detentiva per essersi espresso contro la guerra. Già in occasione dell’ultima udienza del primo processo Aleksej Gorinov ha avuto modo, come prevede il sistema giudiziario russo, di pronunciare un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), in altre parole la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a, cui abbiamo avuto modo di dare voce grazie a Paolo Pignocchi e al progetto Proteggi le mie parole. Venerdì scorso, in occasione dell’ultima udienza del secondo processo ai suoi danni, Aleksej Gorinov ha pronunciato una seconda “ultima dichiarazione” che traduciamo in italiano. Sono stato per tutta la vita uno strenuo oppositore di aggressioni, violenza e guerre, e ho consacrato la mia vita esclusivamente ad attività di pace come la scienza, l’insegnamento, la pubblica istruzione e l’attività amministrativa e sociale in veste di deputato, difensore dei diritti umani, membro di commissioni elettorali e osservatore e supervisore del processo elettorale stesso. Mai avrei pensato di vivere abbastanza per constatare un tale livello di degrado del sistema politico del mio Paese e della sua politica estera, un periodo in cui tanti cittadini favorevoli alla pace e contrari alla guerra – in un numero che ormai è di qualche migliaio – vengono accusati di calunnia ai danni delle Forze armate e di giustificazione del terrorismo, e per questo vengono processati. Ci avviamo a concludere il terzo anno di guerra, il terzo anno di vittime e distruzione, di privazioni e sofferenze per milioni di persone cui, in territorio europeo, non si assisteva dai tempi della Seconda guerra mondiale. E non possiamo tacere. Ancora alla fine dello scorso aprile, il nostro ex ministro della difesa ha annunciato che le perdite della parte ucraina nel conflitto armato in corso ammontavano a 500.000 persone. Guardatelo, quel numero, e pensateci! Quali perdite, invece, ha subito la Russia, che secondo le fonti ufficiali avanza con successo costante per tutto il fronte? Continuiamo a non saperlo. E soprattutto, chi ne risponderà, poi? E a che pro succede tutto questo? Il nostro governo e coloro che lo sostengono nelle sue aspirazioni militariste hanno fortemente voluto questa guerra, che ora è arrivata anche nei nostri territori. Una cosa mi verrebbe da chiedere: vi pare che la nostra vita sia migliorata? Sono questi il benessere e la sicurezza che auspicate per il nostro Paese e per la sua gente? Oppure non l’avevate previsto, nei vostri calcoli, un simile sviluppo della situazione? A oggi, però, le risposte a queste domande non si pongono a chi ha deciso questa guerra e continua a uccidere, a chi ne fa propaganda e assume mercenari per combatterla, ma a noi, cittadini comuni della Russia che alziamo la voce contro la guerra e per la pace. Una risposta che paghiamo con la nostra libertà se non, alcuni, con la vita. Appartengo alla generazione ormai uscente di persone con genitori che hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale e, alcuni, le sono sopravvissuti con tutte le difficoltà del caso. La loro generazione, ormai passata, ci ha lasciato in eredità il compito di preservare la pace a ogni costo, come quanto di più prezioso abbiamo noi che abitiamo su questa Terra. Noi, invece, abbiamo snobbato le loro richieste e abbiamo spregiato la memoria di quelle persone e delle vittime della guerra suddetta. La mia colpa, in quanto cittadino del mio Paese, è di avere permesso questa guerra e di non essere riuscito a fermarla. Vi chiedo di prenderne atto, nel verdetto. Tuttavia, vorrei che la mia colpa e la mia responsabilità fossero condivise anche da chi questa guerra l’ha iniziata, vi ha partecipato e la sostiene, e da chi perseguita coloro che si battono per la pace. Continuo a vivere con la speranza che un giorno questo avverrà. Nel frattempo, chiedo perdono al popolo ucraino e ai miei concittadini che per questa guerra hanno sofferto. Nel processo in cui sono stato accusato e giudicato per avere detto espressamente che era necessario porre fine alla guerra, ho già dato piena voce alle mie considerazioni su questa vile impresa umana. Posso solo aggiungere che la violenza, l’aggressione generano solo altra violenza di ritorno, e nulla più. Questa è la vera causa delle nostre disgrazie, delle nostre sofferenze, di perdite senza senso di vite umane, della distruzione di infrastrutture civili e industriali, di case e abitazioni. Fermiamo questo massacro cruento che non serve né… Continua a leggere Aleksej Gorinov. L’ultima dichiarazione del 29 novembre 2024.
Tag: prigionieri politici russi
“Mamma, probabilmente morirò presto”: adolescente russo in carcere per volantini anti-Putin riferisce di essere stato brutalmente picchiato da un compagno di cella.
Pubblichiamo la traduzione dell’articolo ‘Mom, I’m probably going to die soon’: Russian teenager in prison for anti-Putin flyers says cellmate brutally beat him della testata giornalistica indipendente russa Meduza. L’immagine è tratta dal canale Telegram dedicato al sostegno per Arsenij Turbin: Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!). In una recente lettera Arsenij Turbin, sedicenne russo condannato a scontare cinque anni in un carcere minorile con l’accusa di terrorismo, ha raccontato alla madre di avere subito abusi fisici e psicologici durante la detenzione. I sostenitori di Turbin, che hanno pubblicato un estratto della sua lettera su Telegram, sospettano che oltre ad aggredirlo, i compagni di cella gli stiano rubando il cibo. Ecco cosa sappiamo. Arsenij Turbin è stato condannato a cinque anni di carcere minorile nel giugno 2024, quando aveva ancora 15 anni. Secondo gli inquirenti governativi, nell’estate del 2023 Arsenij si era unito alla legione Libertà per la Russia, un’unità filoucraina composta da cittadini russi e, su loro preciso ordine aveva iniziato a distribuire volantini che criticavano Vladimir Putin. Turbin dichiara di non essersi mai unito alla legione e di avere distribuito i volantini di sua iniziativa. Il Centro per i diritti umani Memorial ha dichiarato Turbin prigioniero politico. Al momento Turbin si trova in detenzione preventiva in attesa dell’appello contro la sua condanna. Nell’estratto di una lettera inviata a sua madre pubblicato lunedì (1 ottobre) nel gruppo Telegram Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!), l’adolescente scrive che un compagno di cella di nome Azizbek lo ha picchiato più volte. “Questa sera, dopo le 18:00, uno dei miei compagni di cella mi ha dato due pugni in testa mentre ero a letto”, ha scritto. “La situazione è davvero difficile, brutta davvero. Azizbek mi ha colpito e poi ha detto che stanotte mi inc***. Sarà una lunga nottata. Ma resisterò.” Turbin scrive anche che in carcere lo hanno catalogato come “incline al terrorismo” per il reato che gli contestano (“partecipazione a organizzazione terroristica”). In un post su Telegram i sostenitori di Turbin hanno ipotizzato che i suoi compagni di cella gli stessero rubando il cibo: nelle sue lettere chiedeva sempre alla madre pacchi di viveri, mentre questa volta le ha scritto che non ne aveva bisogno. La madre di Turbin, Irina Turbina, martedì ha riferito a Mediazona che il figlio è stato messo in isolamento dal 23 al 30 settembre. Dalla direzione della prigione le hanno detto che era dovuto a una “lite” tra Turbin e i suoi compagni di cella e che tutti e quattro i prigionieri coinvolti erano stati puniti con l’isolamento. Irina Turbina ha anche detto che il personale del carcere non le ha permesso di parlare con Arsenij al telefono e che l’ultima volta che hanno parlato è stata a inizio settembre. La madre ha raccontato l’ultimo incontro con suo figlio al sito Ponjatno.Media: “Quando sono andata a trovarlo l’11 settembre non l’ho riconosciuto. Non era mai particolarmente allegro neanche le volte precedenti che l’ho visto, certo, ma almeno aveva ancora speranza, era ottimista: aspettava l’appello e credeva che qualcosa di buono l’avremmo ottenuto. L’11 settembre, invece, Arsenij aveva le lacrime agli occhi. Mi ha detto: ‘Mamma, ti prego, fai tutto il possibile, tirami fuori di qui. Sto davvero, davvero male qui’.” “Mamma, probabilmente morirò presto”, ha continuato a riferire la madre, citando il figlio. Ha poi detto di avere inoltrato la lettera a Eva Merkačeva, membro del Consiglio presidenziale russo per i diritti umani, chiedendole di intervenire. Secondo le informazioni di Mediazona, ad Arsenij è stato finalmente permesso di parlare con sua madre al telefono l’8 ottobre. Le avrebbe detto che il suo aggressore era stato trasferito in un’altra cella il giorno prima e che si trovava bene con gli altri compagni di cella. Aggiornamento del 20 ottobre dal canale Telegram Svobodu Arseniju!: “Questa settimana Arsenij non ha mai telefonato”. La madre riferisce di averlo sentito l’ultima volta l’8 ottobre scorso. 25 ottobre 2024
Proteggi le mie parole
Proteggi le mie parole. A cura di Sergej Bondarenko e Giulia De Florio con prefazione di Marcello Flores (Edizioni E/O, 2022). «Due membri di Memorial (l’associazione insignita nel 2022 del Premio Nobel per la Pace) – Sergej Bondarenko, dell’organizzazione russa, e Giulia De Florio, di Memorial Italia (sorta nel 2004) – ci presentano una testimonianza originale e inedita che getta una luce inquietante, ma anche di grande interesse, sul carattere repressivo dello Stato russo, prima e dopo il 24 febbraio 2022, data d’inizio della guerra d’aggressione all’Ucraina. La raccolta che viene presentata comprende le ‘ultime dichiarazioni’ rese in tribunale da persone accusate di vari e diversi reati, tutti attinenti, però, alla critica del potere e alla richiesta di poter manifestare ed esprimere liberamente le proprie opinioni» L’idea del volume nasce da una semplice constatazione: in Russia, negli ultimi vent’anni, corrispondenti al governo di Vladimir Putin, il numero di processi giudiziari è aumentato in maniera preoccupante e significativa. Artisti, giornalisti, studenti, attivisti (uomini e donne) hanno dovuto affrontare e continuano a subire processi ingiusti o fabbricati ad hoc per aver manifestato idee contrarie a quelle del governo in carica. Tali processi, quasi sempre, sfociano in multe salate o, peggio ancora, in condanne e lunghe detenzioni nelle prigioni e colonie penali sparse nel territorio della Federazione Russa. Secondo il sistema giudiziario russo agli imputati è concessa un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a. Molte tra le persone costrette a pronunciare la propria “ultima dichiarazione” l’hanno trasformata in un atto sì processuale, ma ad alto tasso di letterarietà: per qualcuno essa è diventata la denuncia finale dei crimini del governo russo liberticida, per altri la possibilità di spostare la discussione su un piano esistenziale e non soltanto politico. Il volume presenta 25 testi di prigionieri politici, tutti pronunciati tra il 2017 e il 2022. Sono discorsi molto diversi tra loro e sono la testimonianza di una Russia che, ormai chiusa in un velo di oscurantismo e repressione, resiste e lotta, e fa sentire forte l’eco di una parola che vuole rompere il silenzio della violenza di Stato. Traduzioni di Ester Castelli, Luisa Doplicher, Axel Fruxi, Andrea Gullotta, Sara Polidoro, Francesca Stefanelli, Claudia Zonghetti.
Prime dichiarazioni di Oleg Orlov dopo lo scambio di prigionieri del 1 agosto 2024.
Pochi giorni prima dello scambio di prigionieri del 1 agosto 2024, mentre Oleg Orlov si trovava ancora nel centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’, regione di Samara, l’amministrazione del carcere gli ha proposto di firmare con urgenza la domanda di grazia diretta al presidente Putin. Orlov ha rifiutato. Non gli è stato richiesto il consenso per lo scambio. Così racconta Orlov: “Il 23 luglio, a metà giornata, mentre mi rilassavo dopo la ‘sauna’, all’improvviso la porta della cella si è spalancata e una guardia di sorveglianza del carcere, fatto insolito, mi ha chiesto di uscire: ‘Andiamo, c’è un colloquio’. Mi hanno portato nell’ufficio di sorveglianza dove la guardia d’un tratto mi ha salutato, tendendomi la mano (cosa del tutto insolita). E poi ha detto: ‘Sappiamo e capiamo chi è lei, sappiamo molte cose’. Bah, forse mi reclutano. Ma allora perché non è un funzionario dei servizi segreti? E d’un tratto dice che il giorno stesso la direzione del SIZO di Samara, tramite Mosca, ha ricevuto l’ordine di avere da me la domanda di grazia diretta al presidente della Russia. Ci sono informazioni, dice, che la domanda sia valutata in senso positivo: ‘E capisce che qui lo propongono proprio a lei e a nessun altro, non è così semplice’. Mi dà un foglio in bianco e spiega: ‘Qui c’è la domanda in forma libera per il presidente. Non c’è tempo per pensare. A noi si richiede di avere da lei questo documento e di inviarlo entro la fine della giornata lavorativa’. ‘Be’, allora, riportatemi in cella, ci penserò’ dico. E ho deciso così: sia quel che sia, ma non mi metterò a scrivere questa domanda. Non ammetto il fatto stesso di rivolgere una domanda di grazia. E poi a chi? A Putin!!! Sono passati venti minuti, la porta si è aperta: ‘Mi dia la domanda’. Rispondo: ‘Ho deciso di non scriverla’. Hanno chiuso la porta. Dopo dieci minuti si è riaperta: ‘Andiamo a parlare’. Siamo entrati nell’ufficio, sono arrivate tre guardie capeggiate dal dirigente della Sezione controllo e sorveglianza del carcere. ‘Perché non vuole scrivere?’. Ho spiegato, ho tentato di spiegare. Hanno reagito in modo buffo: ‘Da una parte la capiamo. Dall’altra no. Ma va bene, sono affari suoi. Ma noi oggi dobbiamo fare rapporto, gentilmente parli del suo rifiuto e delle sue motivazioni al videoregistratore’. Ho detto all’incirca: ‘Mi rifiuto, perché la mia condanna è illegittima, mi trattengono qui in violazione delle norme della Costituzione della Federazione Russa, non mi ritengo colpevole. Dal mio punto di vista, che io scriva una domanda di grazia sarebbe un’ammissione indiretta di colpevolezza, cosa che non è’. Ma scrivere o non scrivere una domanda di grazia è scelta personale di ognuno. Non sono pronto in questo senso a invitare gli altri a fare o meno qualcosa né a giudicare le decisioni altrui”. Orlov a Colonia dopo la scambio di prigionieri.
1 agosto 2024. Oleg Orlov libero.
Il Centro per i diritti umani Memorial conferma la notizia: Oleg Orlov è libero. Ha chiamato sua moglie al telefono dall’aereo, è in viaggio verso Colonia. Ricordiamo che oggi, 1 agosto 2024, The Insider ha dato notizia della liberazione da parte della Federazione Russa di prigionieri politici in cambio di cittadini russi detenuti negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei. In base alle informazioni fornite da The Insider, tra i prigionieri politici ci sono: Oleg Orlov Evan Gershkovich Vladimir Kara-Murza Lilija Čanyševa Il’ja Jašin Ksenija Fadeeva Andrej Pivovarov Paul Whelan Alsu Kurmasheva Saša Skočilenko Dieter Voronin Kevin Lik Rico Kriger Patrick Schoebel German Mojžes Vadim Ostanin Non siamo in grado di confermare la notizia rispetto a tutti i prigionieri politici, ma speriamo che corrisponda al vero. Confermiamo però che Oleg Orlov è libero e al sicuro. Siamo molto felici che un gruppo di prigionieri politici sia in libertà! Tuttavia è importante ricordare che nelle carceri della Federazione Russa ci sono ancora centinaia di persone condannate per motivi politici. È necessario continuare a sostenerle e a chiedere giustizia. Sottolineiamo: di solito gli scambi di prigionieri in Russia si effettuano utilizzando lo strumento della grazia. Se in questo caso sono stati ufficialmente graziati, significa che i precedenti penali e tutto ciò che ne deriva sono stati cancellati. Per ricevere la grazia, tra l’altro, i detenuti non sono tenuti a presentare richiesta o ammettere colpevolezza: queste condizioni non sono necessarie per il rilascio.
Oleg Orlov. Trasferito senza preavviso verso destinazione ignota.
Apprendiamo dal Centro per la difesa dei diritti umani Memorial che Oleg Orlov è stato trasferito dal centro di detenzione preventiva di Syzran’ verso destinazione ignota. Oggi, 29 luglio 2024, l’avvocato di Orlov ha raggiunto il centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syrzan’, nel quale il copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial era detenuto, per fargli visita e sul posto gli è stato comunicato che Orlov “non è presente”. I funzionari del centro di detenzione si sono rifiutati di fornire spiegazioni in merito a data, luogo e motivazione del trasferimento e, per fornire informazioni, hanno richiesto domanda scritta. Il 25 luglio all’avvocato era stato comunicato che dopo il processo di appello i materiali del processo non erano ancora stati consegnati al tribunale di prima istanza. Il fatto sembrava indicare che il trasferimento in colonia penale non sarebbe avvenuto a breve. Ricordiamo che Oleg Orlov è stato condannato a due anni e mezzo di reclusione per vilipendio reiterato dell’esercito. L’11 aprile è stato improvvisamente trasferito da Mosca a Samara e quindi al carcere SIZO-2 di Syzran’ nella regione di Samara. L’11 luglio il Mosgorsud, Tribunale municipale di Mosca, ha confermato la sentenza di condanna.
Il’ja Jašin. Intervento del 18 luglio 2024.
Pubblichiamo la traduzione del discorso tenuto giovedì 18 luglio 2024 da Il’ja Jašin in occasione dell’udienza, svoltasi presso il tribunale di Safonovo, relativa alla richiesta, avanzata da Jašin e dalla sua difesa, di dichiarare illegittima la reclusione in cella di isolamento. Il’ja Jašin, oppositore politico, è detenuto in una colonia penale della regione di Smolensk dove continua a scontare la condanna a otto anni e mezzo di reclusione comminata il 9 dicembre 2022 per “diffusione di fake news sull’esercito”. Sul suo canale YouTube aveva parlato degli eccidi commessi dall’esercito russo a Buča nei primi mesi della guerra in Ucraina. Onorevole giudice! Come qualsiasi prigioniero politico russo, finisco regolarmente in cella di isolamento (ŠIZO). È un metodo comune per esercitare pressione psicologica sui detenuti che dietro le sbarre non rinunciano alle proprie idee e alle proprie posizioni. Una cella sporca e condizioni di reclusione ai limiti della tortura sono la vendetta per il dissenso. Certo, un essere umano è capace di abituarsi a tutto. Ho passato settimane rinchiuso nello ŠIZO e mi sono gradualmente adattato. Ma lo dico con sincerità: la prima volta che si varca la soglia del carcere duro, si prova un senso di enorme oppressione. Sembra quasi di entrare in una macchina del tempo che riporta al 1937, ai tempi delle purghe staliniane. Come si presenta una cella dello ŠIZO? È una scatola di cemento di due metri per tre. Da una finestrella passano a fatica i raggi del sole, perché l’accesso è impedito da due strati di inferriate e una barriera di filo spinato. In un angolo è posizionato un water di acciaio, nell’altro un lavabo con acqua fredda e rugginosa. Le tubature marce diffondono nell’aria un continuo fetore di escrementi. Alle cinque del mattino la branda di ferro viene fissata alla parete e durante il giorno, fino all’ora della ritirata, i reclusi hanno il divieto di distendersi. Si possono soltanto sedere su un minuscolo sgabellino oppure camminare senza sosta nella cella stretta: due passi avanti, due passi indietro. Si è costretti a sentirsi fisicamente a disagio. Libri, carta e penna sono concessi soltanto per un’ora e mezza, mentre per il resto del tempo è vietato leggere e scrivere. Si può solo guardare il muro. Si è costretti a impazzire dalla noia. Viene servita una sbobba che mette davvero a dura prova lo stomaco. Della kaša pesante, della pasta che naviga nel grasso o una patata sporca con del pesce non pulito: questa è la tipica razione nello ŠIZO. A differenza degli altri detenuti, chi è lì dentro non può mangiare nient’altro. Verdure, mele, persino un cioccolatino col tè: tutto vietato. Si è costretti a patire la fame. In aprile spengono il riscaldamento, ma le spesse pareti di cemento rimangono gelide ancora a lungo e in cella fa un freddo cane. E nello ŠIZO non ci si può portare neppure il maglione in dotazione ai carcerati. Si è costretti a congelare. Gli occupanti delle celle di rigore condividono lo spazio con nugoli di zanzare e moscerini che di notte li divorano. E pure con i ratti, che regolarmente sgusciano fuori dai buchi dietro il water alla ricerca di cibo… Tutto questo, prima di finire in una colonia penale, l’avevo letto soltanto nei libri. Trattamenti simili erano riservati ai “nemici del popolo” nei campi di prigionia staliniani; più o meno queste erano le condizioni in cui erano tenuti gli antifascisti nei sotterranei della Gestapo. Tali pratiche sono ancora attuali nella Russia del XXI secolo. Dietro la facciata delle boutique e dei ristoranti costosi della capitale ci sono sempre le stesse celle di cemento, le vessazioni e la dignità umana calpestata dagli stivali dei carcerieri. Il motivo della mia reclusione nello ŠIZO non è un mistero. La direzione della colonia non si sforza nemmeno di negare che esercita pressioni su di me dietro richiesta di funzionari che occupano posti rilevanti al Cremlino. Così facendo, il potere ritiene di fiaccare la mia volontà e di costringermi al silenzio. Ma qual è stato il pretesto formale per sottopormi a una detenzione così dura? Lei, onorevole giudice, ha davanti a sé tre rapporti, in base ai quali sono stato rinchiuso nello ŠIZO per quasi un mese e mezzo. Riferiscono le “tremende” infrazioni che avrei commesso: mi sono tolto la giubba sedendomi al tavolo della mensa; mi sono alzato dalla branda con cinque minuti di ritardo; mi sono cambiato la maglietta dopo la doccia in un momento in cui ciò non era consentito… A una persona libera che vive nel mondo normale è difficile spiegare cosa ci sia di criminale nelle azioni qui riportate e perché un detenuto debba essere punito per questo, per di più in modo tanto severo. Ma le norme del regolamento degli istituti correzionali in vigore in Russia concedono alle autorità delle colonie penali una capacità di arbitrio sostanzialmente illimitata. Si possono ricevere quindici giorni di ŠIZO per un bottone slacciato, per un cuscino sgualcito… Sì, per qualsiasi cosa. Ma lo sa qual è la vera sorpresa? Che, persino avendo a disposizione uno strumento così efficiente, la direzione della colonia non è comunque riuscita ad agire secondo la legge perché i rapporti che mi riguardano sono stati grossolanamente fabbricati ad arte. Ne è conferma il fatto che le registrazioni video delle telecamere di sorveglianza richieste dal tribunale, che avrebbero documentato le mie infrazioni, sono state cancellate. La misera replica della direzione, secondo cui le disposizioni interne della colonia richiedono che tali registrazioni vengano eliminate trascorso un mese, non sta in piedi. Per legge, un detenuto ha tre mesi di tempo per ricorrere contro qualsiasi rapporto che lo riguardi. È evidente che per un periodo minimo di tre mesi debbano essere conservate anche le prove della sua colpa. E che la direzione abbia eliminato in fretta e furia tutti i video è la chiara testimonianza del banale tentativo di coprire le tracce di un falso amministrativo. Il tribunale dovrebbe credere agli addetti della colonia sulla loro parola, che non può essere confermata in alcun modo. È una posizione assai… Continua a leggere Il’ja Jašin. Intervento del 18 luglio 2024.
Oleg Orlov. Confermata la condanna a due anni e mezzo di reclusione.
Giovedì 11 luglio 2024 si è tenuta a Mosca, presso il Mosgorsud, Tribunale municipale di Mosca, l’udienza per il ricorso contro la condanna di Oleg Orlov. La giudice Marija Larkina ha confermato la sentenza senza modifiche: Oleg Orlov, 71 anni, al momento ex copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, è ritenuto colpevole di “vilipendio reiterato delle forze armate della Federazione Russa” ed è condannato a due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario. Orlov rimane nel centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’, regione di Samara. In occasione dell’udienza numerose persone si sono raccolte presso il tribunale di Mosca per sostenere Orlov, collegato in videoconferenza dal carcere di Syzran’: tutti i posti erano occupati sia nell’aula principale sia nella sala del collegamento. Erano presenti il giornalista Dmitrij Muratov, premio Nobel per la pace 2021, Vladimir Lukin, ex commissario per i diritti umani della Federazione Russa, il dissidente Vjačeslav Bachmin, i colleghi di Memorial Svetlana Gannuškina e Jan Račinskij, la moglie di Sergej Kovalëv, Ljudmila Bojcova, rappresentanti di ambasciate estere. Prima dell’inizio dell’udienza Orlov ha salutato tutti i presenti e ha detto: “Non mi pento di niente e non rimpiango niente. Mi trovo nel posto giusto al momento giusto. Mentre nel nostro paese ci sono repressioni di massa, mi trovo accanto a chi è perseguito, e aiuto”. A quel punto l’audio è stato chiuso. “Censura!” ha gridato qualcuno tra i presenti. Orlov ha di nuovo richiesto alla corte il rinvio dell’udienza dal momento che la documentazione processuale gli è stata fornita in forma illeggibile: quattro pagine in caratteri minuscoli su uno stesso foglio. La giudice ha respinto la richiesta. Nel corso del dibattimento l’avvocata Keterina Tertuchina ha sottolineato che nel secondo processo contro Orlov la corte non aveva il diritto di appesantire la posizione dell’imputato attribuendogli l’aggravante di “motivi di odio e ostilità”. La corte inoltre non poteva attribuire a Orlov due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario: alle persone condannate per reati di lieve e media gravità e che non hanno mai riportato altre condanne è infatti solitamente attribuita la reclusione in istituto di correzione. Oleg Orlov ha quindi pronunciato la sua quarta ultima dichiarazione ovvero, secondo il sistema giudiziario russo, la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dalla difesa. “Il secondo processo nei miei confronti condotto dal Mosgorsud ha dimostrato che la corte, così come gli inquirenti, eseguivano un ordine di carattere politico. Non mi resto altro da fare se non una citazione, modificando cinque parole in due passaggi. Ma subito dopo spiegherò cosa ho modificato. Hanno distorto, deformato e alla fine hanno ottenuto la distruzione completa della giustizia e delle leggi dello Stato. Hanno reso il sistema giudiziario parte integrante della dittatura. Hanno soppresso ogni forma di indipendenza giudiziaria. Hanno minacciato, intimidito, privato dei diritti fondamentali chi si è ritrovato di fronte a un tribunale. I processi da loro condotti sono stati orribili farse con residui rudimentali di procedura giuridica, che erano solo sbeffeggiamenti nei confronti delle sfortunate vittime. Dal momento che sono in prigione e che qui ho ho conosciuto molte persone, ritengo che abbiano il diritto di pronunciare queste parole non solo i prigionieri politici, ma anche molte altre persone detenute in base a imputazioni che nulla hanno a che vedere con la politica. Queste parole sono sorprendentemente adatte per descrivere l’attuale situazione del sistema giudiziario della Federazione Russa. Ma sono state pronunciate nel 1947 a Norimberga. Ho solo omesso alcune parole – gli imputati e i loro colleghi – e bisogna indicare il nome dello Stato di cui stiamo parlando: la Germania. I paralleli sono del tutto evidenti.” Illustrazione: Marina N. Foto: Aleksandra Astachova / Mediazona.
Evgenija Berkovič e Svetlana Petrijčuk. Condannate a sei anni di reclusione.
Lunedì 8 luglio 2024 il Tribunale militare n. 2 del Distretto occidentale di Mosca ha condannato a sei anni di reclusione in colonia penale la regista Evgenija (Ženja) Berkovič e la sceneggiatrice Svetlana Petrijčuk per apologia di terrorismo. Lo stato russo – nel giorno degli attacchi terroristici su Kyïv, Dnipro, Kryviy Rih e altre città ucraine, durante i quali un missile russo ha colpito l’ospedale pediatrico oncologico Ohmatdyt di Kyïv causando la morte di decine di persone e lasciando centinaia, se non migliaia, di bambini gravemente ammalati senza l’assistenza e le cure necessarie – ha condannato Ženja Berkovič e Svetlana Petrijčuk per lo spettacolo Finist jasnyj sokol (Finist falco coraggioso). AP Photo/Alexander Zemlianichenko Noi di Memorial – raccontano i colleghi russi – abbiamo conosciuto Ženja Berkovič nel 2012: l’abbiamo invitata a collaborare con noi per il festival Drama pamjati (Il dramma della memoria) nella nostra sede di Mosca in via Karetnyj rjad, in cui decine di giovani registi e attori teatrali lavoravano a progetti di teatro documentario sulla base dell’archivio di Memorial. A quel festival Ženja e i suoi compagni di corso di Sed’maja studija hanno allestito lo spettacolo Sud nad Brodskim. Čelovek, kotoryj ne rabotal (Processo a Brodskij. L’uomo che non lavorava). Dopo la prima lo spettacolo è stato replicato per due anni e visto da migliaia di spettatori. Al festival Drama pamjati ha partecipato anche un altro giovane regista, Talgat Batalov, con il progetto Moё poslednee slovo (La mia ultima dichiarazione), basato sulle ultime dichiarazioni pronunciate durante i processi ai prigionieri politici sovietici, ai prigionieri politici della Bielorussia di Lukašenko così come alle Pussy Riot e a Michail Chodorkovskij. Secondo il sistema giudiziario russo agli imputati è infatti concessa un’ultima dichiarazione (poslednee slovo) ovvero la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dalla difesa. I dimostranti di piazza Bolotnaja sono stati arrestati durante la preparazione della nostra iniziativa, ma non hanno fatto in tempo a pronunciare le loro ultime dichiarazioni nei giorni dal 14 al 17 giugno 2012, date di programmazione del festival. Allora Talgat Batalov ha deciso di presentare il suo progetto con queste parole: “Nessuno di noi sa a chi, nella propria vita, toccherà pronunciare la sua ultima dichiarazione. Perciò propongo a tutti gli spettatori di partecipare a una prova aperta. Vi chiederò di scegliere il testo di diverse ultime dichiarazioni e di leggerle, mentre io vi aiuterò a farlo con forza ed espressività”. Ieri Ženja Berkovič e Svetlana Petrijčuk hanno pronunciato la loro ultima dichiarazione. Ieri il giudice Jurij Massin le ha condannate a sei anni di colonia penale a regime ordinario e a tre anni di restrizione nell’amministrazione di siti web. A proposito, sessant’anni fa, il 13 marzo 1964, fu emanata la sentenza contro il poeta Brodskij: cinque anni, non di colonia penale ma di confino. Illustrazione di Inga Christič.
Michail Kriger. Confermata condanna a sette anni di reclusione.
Giovedì 4 luglio 2024 la Corte Suprema della Federazione Russa ha esaminato il ricorso in cassazione contro la condanna di Michail Kriger. L’udienza si è conclusa con la conferma della sentenza. Ricordiamo che il 17 maggio 2023 Michail Kriger, attivista e socio di Memorial Podmoskov’e, era stato condannato a sette anni di reclusione dal Tribunale militare n. 2 del Distretto occidentale di Mosca. Era stato processato in base agli articoli di legge relativi a “giustificazione del terrorismo” e “incitamento all’odio” per alcuni post sui social network nei quali criticava le autorità e si esprimeva contro l’invasione dell’Ucraina. Nell’ottobre dello stesso anno la corte d’appello aveva confermato la sentenza. Al momento Kriger si trova nella colonia penale IK-5 di Naryškino, località della regione di Orël. Ieri Michail Kriger si è collegato in videoconferenza con il tribunale di Mosca. A rappresentarlo in aula erano presenti gli avvocati Michail Birjukov e Ekaterina Ryžkova. A sostenerlo durante l’udienza c’erano più di dieci di persone. Nel ricorso Kriger e la sua difesa indicavano che le accuse mancano di concretezza e non sussistono prove di un reato. In aula Michail Birjukov ha sottolineato che esistono documenti riconosciuti a livello internazionale per valutare le dichiarazioni pubbliche, tra cui il Piano d’azione di Rabat che vieta l’incitamento all’odio nazionale, razziale o religioso e formula criteri chiari per la valutazione di quanto viene espresso. I post di Kriger non soddisfano nessuno di questi criteri. Inoltre sia la Costituzione della Federazione Russa sia il Patto internazionale sui diritti civili e politici garantiscono la libertà di parola. La difesa ha chiesto l’assoluzione. Il pubblico ministero ha insistito sulla validità delle accuse. Collegato in videoconferenza dal carcere di Orël Michail Kriger ha dichiarato: “In questo anno e mezzo la mia posizione non è cambiata. Vorrei tanto chiedere ai miei cari concittadini di Belgorod e Šebekino se ora sono più tranquilli. [Il giudice tenta di interromperlo]. Sono a processo per le mie convinzioni, quindi continuo a parlare. [Il giudice lo avverte ripetutamente che può esprimersi solo in merito al caso]. Non sono d’accordo con la sentenza, mi ritengo innocente, e sono soddisfatto di avere potuto dire che non ho cambiato idea e che due più due fa quattro”. Quando la corte si è ritirata per deliberare, i presenti sono riusciti a scambiare qualche parola con Kriger. Era, come sempre, di buon umore, scherzava: cantava le lodi delle carceri della regione di Orël, dove ha detto di avere imparato il mestiere di “cucitore alla macchina” e di essere già capace di cucire un marsupio. Ha detto di non avere quasi niente di cui lamentarsi, se non dell’assenza di un censore a pieno servizio, e ha invitato a non offendersi se non risponde alle lettere o se alcune non le riceve. Alla propaganda rabbiosa ci si può sottrarre uscendo dalla stanza dove c’è il televisore, ha affermato. I presenti gli hanno detto che è un eroe. – Torna, senza di te ci sentiamo orfani! – Lo farei volentieri, ma temo che qui non siano d’accordo. Già sono di ottimo umore, ma vedervi ha contribuito a migliorarlo all’infinito.