Dichiarazione della Direzione di Memorial Internazionale a proposito dell’ atto vandalico del 20 novembre ai danni della sede moscovita di Memorial Il 20 novembre è entrata in vigore in Russia la legge che qualifica di “agenti stranieri” tutte le organizzazioni non commerciali che operano in Russia e ricevono finanziamenti dall’estero. Memorial ha rifiutato di ottemperare agli obblighi previsti dal provvedimento di registrarsi volontariamente come “agenti stranieri”, il che implica accettare di sottoporsi a speciali verifiche discrezionali, e ne ha spiegato le ragioni fin da settembre nella dichiarazione qui presentata. La stessa posizione è stata assunta sia dal gruppo moscovita di Helsinki che il movimento per i diritti dell’uomo. Il risultato è stato, oltre a una nemmeno tanto velata campagna sui mass-media contro l’associazione, che nella notte fra il 20 e il 21 novembre sulla vecchia sede storica di Memorial a Mosca è comparsa una scritta bianca con la dicitura “agenti stranieri ♥ USA”. Un esaltato? Si direbbe di no, visto che, accanto alla placca che indica l’associazione è stato attaccato anche un adesivo a stampa con la scritta “agenti stranieri”. Memorial ha sporto denuncia, ed è in attesa del sopralluogo della polizia perché constati il fatto e apra un’inchiesta. Soltanto dopo le scritte saranno rimosse. Ha inoltre ribadito il suo rifiuto di ottemperare agli obblighi imposti da una legge che è “contraria al diritto e amorale”, perché pretende che chiunque riceva donazioni o sostegno economico dall’estero (e vista la situazione russa per molte associazioni umanitarie non c’è altra via, tenuto conto anche dei pesanti avvertimenti rivolti a eventuali finanziatori russi – Chodarkovskij docet), sia un servo al soldo dello straniero, pronto a eseguirne ciecamente gli ordini. Il comunicato conclude dicendo che “consideriamo l’apparizione di scritte sui muri della sede di Memorial una consapevole offesa alla memoria di milioni di persone morte nel Gulag”. Nel frattempo, il 28 mattina, a Memorial hanno trovato una nuova sorpresa: qualcuno si è arrampicato sul tetto dell’edificio per attaccarci uno striscione “qui sta l’agente straniero”. “Il 20 novembre entra in vigore la legge federale “sull’introduzione di cambiamenti in alcuni atti legislativi della Federazione russa nella parte che riguarda la regolamentazione dell’attività delle organizzazioni non commerciali che svolgono la funzione di agenti stranieri”, nota più semplicemente come la “legge sugli agenti stranieri”. Questa legge è contraria al diritto e amorale per la sua stessa sostanza. Contraria al diritto, perché attribuisce al potere esecutivo le competenze di un tribunale. E amorale, perché presuppone a priori che le organizzazioni che ricevono mezzi dall’estero agiscano secondo gli ordini dei loro sponsor, il che significa proclamare saggezza suprema dello Stato l’aforisma da quattro soldi della malavita “Chi ti offre la cena poi balla con te”. Secondo questa legge, possono esigere in qualsivoglia momento che Memorial internazionale, così come ogni altra organizzazione civica che riceve donazioni dall’estero, si iscriva sulla lista delle “organizzazioni agenti stranieri” che agiscono sul territorio della Russia. È stato messo anche il corrispettivo marchio sui libri che noi pubblichiamo e sui nostri siti internet. Pretendono, in altri termini, che noi stessi riconosciamo di essere un’organizzazione che agisce negli interessi di una qualche misteriosa forza straniera. Quest’affermazione è una menzogna evidente. Ma non si tratta solo di questo. Memorial, in quanto organizzazione che lavora con la memoria storica, ha il dovere di ricordare – e di far ricordare alla società – che nella nostra storia non così lontana le campagne sul tema degli “agenti stranieri” hanno fornito, e non una sola volta, la copertura propagandistica per il terrore di Stato e la persecuzione di chi la pensava diversamente. Basta ricordare il 1937-1938, quando a centinaia di miglia di persone venivano estorte confessioni in cui ammettevano di essere “agenti stranieri”. E ricordare che, in tempi a noi più vicini, i critici del regime erano spesso bollati come “al soldo dell’Occidente”. Senza parlare del fatto che pervertire la coscienza nazionale con le leggende dei cechisti sugli “agenti stranieri” è un metodo ben sperimentato per distogliere l’attenzione dai problemi reali che travagliano la società. Memorial non parteciperà a un’azione rivolta alla distruzione della società e non si metterà a diffondere su se stessa informazioni volutamente menzognere. Se esigeranno da Memorial che iscriva la nostra organizzazione sulla lista degli “agenti stranieri”, ci opporremo a questa decisione, in primo luogo in tribunale. Noi siamo un’organizzazione di difesa dei diritti e faremo tutto per difendere il diritto, basandoci proprio sul diritto. Noi non affermiamo che questa via sia l’unica possibile. Ogni organizzazione deciderà naturalmente per conto suo come opporsi a questa legge assurda. La forza della società civile si può manifestare non solo nell’unità di azione, ma anche nella sua molteplicità. È chiaro che una norma naturale di comportamento resta in tutti i casi la solidarietà reciproca e l’aiuto alle organizzazioni che avranno problemi dopo il 20 novembre. Siamo sicuri che alla fin fine la calma e la fermezza della società civile russa si riveleranno più forti delle fantasie malate dei nostri legislatori. Direzione dell’Associazione internazionale Memorial PER APPROFONDIRE
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Dalla parte delle vittime – 10 anni della Corte Penale Internazionale
Silvana Arbia, oggi Cancelliera della Corte penale internazionale dell’Aja, è uno dei magistrati italiani più impegnati nel campo della giustizia internazionale. Mentre il mondo stava a guardare. Vittime, carnefici e crimini internazionali: le battaglie di una donna magistrato nel nome della giustizia (Editore Mondadori – 2011) Ecco perché ho deciso di scrivere questo libro. Per raccontare i miei quasi nove anni in Africa, dal 1999 al 2008, al servizio del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (Tpir) come procuratore. (…) (…) Un lavoro duro e difficile, che può ripagare solo con la soddisfazione di poter contribuire a ricostruire una verità a lungo negata. per saperne di più
MEMORIAL – Sankt Peterburg
Quinta conferenza su LA STORIA DELLO STALINISMO LA VITA NEGLI ANNI DEL TERRORE: GLI ASPETTI SOCIALI DELLE REPRESSIONI 18 – 20 ottobre 2012 Sankt-Peterburg
M. Flores, La mappa dei negazionismi di Stato
La mappa dei negazionismi di Stato Dallo sterminio degli armeni alla Shoah, dal colonialismo alla questione irlandese Chi vuole falsificare il passato oggi può contare su nuove, potenti strategie comunicative di Marcello Flores Corriere della Sera 26.2.12 Negazione, revisione, rimozione: attorno a questi termini si svolgono da anni, in tutto il mondo, history wars, guerre di interpretazione su eventi drammatici e luttuosi, che non riguardano solo gli storici ma, spesso, governi e Stati, popoli e minoranze, vittime e carnefici. All’interno della memoria pubblica la questione del negazionismo ha acquistato, con gli anni, sempre più spazio. La conoscenza storica è stata spesso manipolata, travisata, riabilitando o condannando per interessi politici, ideologici, statali. Di negazionismo in senso stretto, ossia di storici che negano realtà assodate e riconosciute da tutti, vi è forse solo il caso della Shoah, venuto alla ribalta negli anni Settanta e poi amplificato negli anni Novanta a opera di un ristretto manipolo di storici (o autoproclamatisi tali). I campi di sterminio e l’uccisione di cinque-sei milioni di ebrei avrebbero costituito, per costoro, una «menzogna», il risultato di un complotto giudaico. Pochi e squalificati (i più noti sono Robert Faurisson e David Irving), i negazionisti hanno costruito nuove strategie comunicative e approfittato del sorgere di movimenti neonazisti per ottenere attenzione dai media, rimanendo sempre del tutto marginali e ininfluenti, ma contribuendo alla rinascita di rigurgiti di antisemitismo. Con l’appoggio al negazionismo del presidente iraniano Ahmadinejad si è ulteriormente diffusa, soprattutto nel mondo arabo, una visione riduttiva e minimizzatrice della Shoah, vista come mito fondatore dello Stato di Israele più che come evento cruciale del Novecento. Di negazionismo di Stato si è parlato molto anche a proposito del genocidio degli armeni. Il famigerato articolo 301 del codice penale turco — che ha permesso di portare in tribunale per «offese alla turchità» centinaia di persone, tra cui il Premio Nobel Pamuk, ree di ricordare il massacro degli armeni — rappresentava la minaccia più pesante che lo Stato turco poneva su chi volesse parlare di genocidio. Il negazionismo turco si è basato per anni sull’attività di istituzioni accademiche e di storici occidentali compiacenti che hanno ridimensionato o attribuito alla violenza di guerra, o a quella preventiva contro il possibile tradimento degli armeni, i massacri iniziati nel 1915 (tra essi Stanford Shaw e Justin McCarthy con una posizione più giustificazionista, ma anche Bernard Lewis con l’intento di minimizzare). Oggi la strategia è quella di chiedere che vengano poste «sullo stesso piano» interpretazioni diverse, senza insistere sulla negazione in sé, con l’obiettivo di far diventare legittime, pur se discutibili, le interpretazioni che riducono a poche centinaia di migliaia le morti armene (di fronte alle stime ormai consolidate tra 1 e 1,5 milioni di morti), poste a confronto con quelle superiori sofferte dai turchi nel corso della Prima guerra mondiale. Di qui la dura protesta del governo di Ankara contro la legge francese che punisce chi nega le stragi degli armeni. Gran parte del dibattito rimane ancorato alla possibilità di usare il termine genocidio — dizione fortemente avversata dallo Stato turco — in una querelle terminologica che ha riguardato anche altri casi. Tra questi quello della carestia in Ucraina nel 1932-33, che causò la morte di almeno 5 milioni di persone (altre stime parlano di 7 e il governo ucraino di 10) in seguito a direttive politiche del regime staliniano per piegare l’opposizione contadina alla collettivizzazione e la ripresa di movimenti nazionalistici. La rivendicazione dell’Holodomor («uccisione per fame») come genocidio o crimine contro l’umanità è ormai largamente accettata, ma vi sono ancora forti resistenze a riconoscerlo — e ad ammetterne la matrice politica — soprattutto in Russia. Il dibattito sulle vittime del comunismo può ormai poggiarsi su solide basi documentarie. Negato negli anni 50 e 60 da molti simpatizzanti, compresi storici e intellettuali, accettato ma minimizzato negli anni 70 quando Solženicyn ne portò alla ribalta la tragica esperienza, dibattuto sulla base della documentazione disponibile negli anni di Gorbaciov, il sistema del Gulag è oggi unanimemente riconosciuto nella sua estensione, profondità e tragicità. Tra il 1930 e il 1952 vennero condannate alla fucilazione 1 milione di persone, 19 milioni a pene detentive in campi e prigioni, 30 ai lavori forzati e ad altre misure repressive. È sul versante statale che si sono avute forme preoccupanti di rimozione che hanno alimentato disinteresse e disinformazione da parte dell’opinione pubblica russa sul suo passato. Putin ha sottolineato la grandezza di Stalin, espresso rammarico per la scomparsa dell’Urss, celebrato i «monumentali risultati» del periodo sovietico, festeggiato i servizi segreti e reintrodotto l’inno nazionale dell’Urss; Medvedev ha istituito nel 2009 una commissione per contrastare «la falsificazione della storia a danno della Russia», ma non, evidentemente, quella a suo vantaggio. I numerosi libri dello storico Jurij Zhukov, (l’ultimo del 2011 dal titolo inequivocabile Essere orgogliosi e non pentiti. La verità sull’epoca staliniana) stanno conoscendo diffusione e successo. Come molti libri divulgativi che relativizzano i crimini del comunismo e rivalutano l’epoca staliniana soprattutto per il periodo di guerra, grazie all’influenza della chiesa ortodossa. Shoah, genocidio armeno, Gulag, non sono gli unici eventi su cui si sono cimentati il revisionismo storiografico o la rimozione pubblica. In Francia la discussione ha ruotato attorno al regime di Vichy e al colonialismo in Algeria, e ormai solo qualche sparuto storico militare è ancora disposto a negare i risultati della ricerca su entrambe le questioni. Cosa che fanno alcuni politici e giornalisti per influenzare l’opinione pubblica in una rivalutazione esplicita della grandeur francese e nella riproposizione di tabù sul collaborazionismo o l’uso della tortura nelle colonie. Una legge del 2005 sottolineava il «ruolo positivo del colonialismo» e la creazione da parte di Sarkozy di un ministero insieme dell’Immigrazione e dell’Identità nazionale ha rilanciato la discussione sulla «frattura coloniale», spingendo a posizioni (come quella di Daniel Lefeuvre in Farla finita col pentimento coloniale) che tendono a negare o ridimensionare non più i fatti ma le interpretazioni e le attribuzioni di responsabilità. Il dibattito in Cile, Argentina e Uruguay si è svolto anch’esso più attorno alle interpretazioni e definizioni, ai… Continua a leggere M. Flores, La mappa dei negazionismi di Stato