Il perché del Nobel a Memorial

Da quando è stato etichettato “agente straniero” dalla legge russa nel 2016, le aggressioni, anche da parte di gruppi di nazionalisti coperti dalla polizia, si sono intensificate, fino alla chiusura sia del Centro per i diritti umani di Memorial, sia di Memorial Internazionale, tra il dicembre del 2021 e la primavera di quest’anno.

Irina Ščerbakova, la migliore memoria è la verità sulla guerra

La storica spiega come la guerra raccontata da Nikolaj Nikulin, tra le testimonianze più notevoli lasciate da un ex combattente al fronte, non sia un’immagine patinata di “imprese eroiche”, ma la descrizione reale di come in queste condizioni siano soffocati i principi del bene, della morale, della giustizia.

“Arrivare a ogni singolo destino”. Memorial e la lotta per la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche

Memorial nasce per riparare non solo i crimini sovietici contro milioni di cittadini innocenti, ma anche il torto, gravissimo, di aver impedito alle vittime di parlare.

Premio Luchetta a Memorial Internazionale, un segnale che la battaglia per i diritti civili è più viva che mai

La ONG continua il suo lavoro, in Russia e nelle varie sedi in Europa, testimoniando con forza e coraggio la presenza e l’urgenza dell’impegno civile. La premiazione il 4 giugno a Trieste.

I fili spezzati della memoria di Irina Ščerbakova

Irina Ščerbakova I fili spezzati della memoria Che immagine hanno i giovani russi del Novecento? Cosa sanno delle repressioni politiche, del GULag? Nella società russa contemporanea la questione del rapporto con il proprio passato e con quello che le generazioni sovietiche del XX secolo hanno vissuto è particolarmente spinosa. Ne sono prova le recenti e interminabili discussioni riguardo al modo di insegnare la storia, a cosa inserire nei manuali scolastici, a quale immagine del passato sovietico emerga tra chi può dire di essere nato nel secolo scorso soltanto in senso formale. Cosa rende oggi attuale e aspra la lotta politica, sociale e mediatica per il passato? Esiste una serie di motivazioni, ma la principale è la sostituzione della storia a favore dell’ideologia, un’operazione compiuta nell’ultimo decennio. Non a caso di questi tempi è sempre più in voga la formula di epoca staliniana, secondo cui la storia è soltanto «la politica rivolta al passato»[1]. A maggior ragione dunque è importante comprendere come i giovani oggi costruiscano (se lo fanno) la propria visione del passato sovietico e se esista uno spazio reale di «memoria culturale» del Terrore staliniano. La risposta a questa domanda riguarda avvenimenti di 25 anni fa, quindi fatti accaduti appena prima che nascessero gli attuali ventenni. L’assurdità della situazione storica dell’URSS negli anni prima della perestrojka stava nel fatto che milioni di persone erano in possesso di una quantità enorme di informazioni sulle repressioni ed erano testimoni, vittime, complici, a volte colpevoli, e spesso tutte e quattro le cose insieme. Eppure il loro vissuto non fu elaborato in una narrazione coerente né dai protagonisti né dalla società di allora. Perciò il rifiuto delle interpretazioni ufficiali dei fatti storici a opera del partito e lo sguardo altro sul passato si erano formati anche sotto l’influsso della memoria delle repressioni politiche che, nonostante tutti i divieti, era presente. Quando questa memoria invase la stampa del tempo, raggiungendo milioni di lettori, comparvero la perestrojka e la glasnost’. Oggi però è proprio il periodo della perestrojka a suscitare nei giovani più domande, incomprensioni, giudizi negativi. Per loro quel periodo non è associato alla glasnost’ e all’operazione di recupero della verità sulle repressioni politiche, nascosta per decenni, all’apertura degli archivi, alla pubblicazione dei fatti e delle cifre, ma si lega al tracollo di una vita tranquilla, alla perdita del lavoro per molti cari, all’emigrazione forzata a causa della disgregazione dell’impero sovietico. Per me gli anni Novanta della perestrojka sono qualcosa di strano, incomprensibile. Conoscendo la storia e gli stili di vita nell’URSS, mi riesce difficile immaginare come vivesse la società durante quei «grandi cambiamenti». A essere più precisi non riesco a immaginarmi in che modo la gente potesse sopportare tutto questo. Ho fatto spesso delle domande alle mie nonne, ai nonni e ai miei genitori. Erano due generazioni diverse, ma con punti di vista simili.[2] Nel ricordo delle famiglie sparse in tutta la Russia quegli anni riaffiorano come anni di lotta per la sopravvivenza. Tale trauma ha sovrastato nella coscienza di massa tutti i risultati della perestrojka e della glasnost’, lasciando soltanto un senso di sconforto e di profonda disillusione. Per mia nonna che aveva lavorato per vent’anni come segretaria della divisione del partito di Saransk la riorganizzazione degli anni Ottanta terminata con il crollo dell’URSS fu una vera e propria tragedia. Il muro era stato abbattuto, ma i mattoni non servivano a nessuno. Per la nonna che aveva un solo modo di vedere il mondo era difficile capire e abituarsi al nuovo[3]. Anche coloro che volevano le riforme democratiche e sostenevano la perestrojka gorbacioviana si ritrovarono ben presto alle soglie dell’emergente economia di mercato. Al contempo iniziò a venir meno il prestigio e il significato della storia, della letteratura e delle scienze umane in generale. La specificità della memoria russa sul passato e della memoria sul GULag consiste nell’essere stata tramandata soprattutto attraverso testi scritti, documentali e letterari. Ci sono però sempre meno lettori a cui destinarli. A metà degli anni Novanta, se non prima, fu chiaro che l’interesse della società per il tema delle repressioni stava scemando e che cresceva una nostalgia per la cosiddetta vita sovietica «agiata». La storia e il passato non interessavano molto i riformatori arrivati al potere che non vedevano il collegamento tra la formazione di una società civile con valori democratici e un’efficace attuazione delle riforme. Il Paese era senza soldi, pensioni e stipendi non venivano pagati, perciò il governo adduceva ragioni «oggettive», economiche, per spiegare la mancata volontà di investire nell’edificazione di un memoriale dei caduti, di monumenti e musei dedicati al Terrore staliniano. Così negli anni Novanta non venne promossa una politica sia pure minimamente coerente sui rapporti con il passato. Il governo di Eltsin si ricordava delle repressioni sovietiche soltanto in prossimità delle elezioni, quando spuntava la minaccia di una vittoria dei comunisti. Quel governo mise in campo una strategia populista, temendo la reazione negativa di quella parte della popolazione che lo osteggiava in modo aperto. Proprio per questo il processo al PCUS del 1992 che doveva decretare la condanna del regime comunista terminò in sostanza con un nulla di fatto. Non venne emessa nessuna sentenza giuridico-legale sullo stalinismo né sul passato sovietico nel suo complesso. I colpevoli non furono condannati, il lustrismo non venne messo in atto. Il governo non si assunse la responsabilità di una rielaborazione storica, delegando la questione alla società civile che si era appena formata. ХХХ Nonostante ciò, nel contesto di libertà e trasparenza degli anni Novanta, per iniziativa dello Stato vennero eretti decine di monumenti e simboli di memoria nei luoghi delle sepolture di massa delle vittime del Terrore staliniano[4], mentre alcuni etnografi dei musei delle regioni russe introdussero il tema delle repressioni tra le loro esposizioni. L’organizzazione Memorial, nata nel 1989 con lo scopo di custodire la memoria delle repressioni politiche, iniziò a creare un archivio pubblico, realizzando alcuni libri sulla memoria con brevi schede biografiche delle vittime. Prese il via la demolizione dei più odiati monumenti sovietici, città e strade vennero ribattezzate. Si cambiavano i… Continua a leggere I fili spezzati della memoria di Irina Ščerbakova