Gli ultimi testimoni. Gli italiani di Crimea | Anatolij Nikolaevič Černjavskij

28.01.1936 – nasce a Kerč’. Il padre, Nikolaj Paskvalovič De Martino (1891-1943), è nato in Italia, ha lavorato in un cantiere per la riparazione di navi. La madre si chiama Daria Aleksandrovna (Snitko) Černjavskaja (1901-1980). Le sorelle sono: Tat’jana-Teresa, nata nel 1930; Nina, nata nel 1932 e Rosa, nata nel 1934. 1937 – arresto del padre, riscattato dalla prigione da Daria Aleksandrovna. 1941 – scoppio della guerra e tentativo di espatrio verso l’Italia 28.01.1942 – deportazione delle famiglie di Nikolaj Paskvalovič, Anton Paskvalovič De Martino e di Nina Paskvalovna Croce. Marzo 1942 – arrivo al kolchoz “Krasnaja poljana”, nel villaggio “Pervoe maja” in Kazachstan. 26.07.1943 – morte del padre in seguito alle percosse da parte del sorvegliante. 1942-1945 – morte di parenti stretti della famiglia del fratello e della sorella del padre – 5 persone. 1946 – trasferimento ad Atbasar, documenti modificati inserendo il cognome Černjavskij e la nazionalità russa. Inizia a frequentare la scuola media. 1953 – termina la settima classe. Trasferimento a Kerč’ insieme alla madre Daria Aleksandrovna. 1955 – permesso di residenza a Kerč’. 1956 – termina la decima classe. 1957–1958 – servizio militare nell’esercito sovietico, congedo anticipato per problemi di vista. 1958-1959 – frequenta la decima classe presso una scuola serale. Lavora nello stabilimento “Zaliv” segretario dell’organizzazione del Komsomol dello stabilimento e, in seguito, nel comitato regionale del Komsomol di Ordžonikidze a Kerč’. 1959-1964 – studia presso la facoltà di fisica e matematica dell’istituto di pedagogia di Simferopoli. 1963 – primo matrimonio. 1964-1966 – tirocinio obbligatorio nella scuola rurale “Sem’ kolodcev” Dal 1966 ad oggi – lavora come insegnante di matematica e disegno presso una scuola media di Kerč’. È insegnante ed esperto di didattica. 1968 – secondo matrimonio. 1969 – nascita del figlio Evgenij. 2005 – entra a far parte dell’associazione “Cerchio” che riunisce gli italiani di Kerč’. Prima parte dell’intervista ._Чернявский 1_4 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=QTR0kL65h0g&feature=youtu.be”] Seconda parte dell’intervista ._Чернявский 2_4 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=bLKwAwlMuKY&feature=youtu.be”] Terza parte dell’intervista ._Чернявский 3_4 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=MlRphCATVa8&feature=youtu.be”] Quarta parte dell’intervista ._Чернявский 4_4 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=g6QQtw-pm7I&feature=youtu.be”] Scarica la trascrizione dell’intervista Scarica la traduzione dell’intervista Credits Intervistatrice: Alena Kozlova Operatore: Viktor Griberman Trascrizione: Natalia Christoforova Traduzione: Zeno Gambini Giulia Giachetti Boico per la sua preziosa collaborazione a Kerč’ La storia di Anatolij in breve Anatolij (Natal) Nikolaevič Černjavskij è nato il 28.01.1936 a Kerč’. Figlio a lungo desiderato dalla famiglia di Nikolaj Paskvalovič De Martino (1891-1943). Nella famiglia c’erano tre figlie femmine: Tat’jana (Teresa) nata nel 1930, Nina del 1932 e Rosa del 1934. La madre, Daria Aleksandrovna Snitko (1901-1980) è rimasta orfana molto presto ed è stata adottata dal colonnello Černjavskij. Al termine del ginnasio sapeva diverse lingue, compreso l’italiano, e ha lavorato come insegnante a Kerč’. Nikolaj Paskvalovič De Martino è nato in Italia, è arrivato in Russia all’inizio del secolo insieme al padre. Lavorava in una fabbrica di riparazioni di navi, forse come ingegnere. Dal padre ha ricevuto una cospicua eredità con la quale ha comprato un’ampia tenuta con giardino e una grande casa con tre ingressi indipendenti. Oltre alla famiglia del padre, nella stessa casa viveva anche il fratello, Anton Paskvalovič, con la moglie e la figlia Vera. Sempre a Kerč’ abitava la sorella del padre, Nina Paskvalovna, con il marito, Nikolaj Kroče, e i figli Pavlik, Anja e Ljusa. Nel 1936 la casa ha subito un notevole ridimensionamento, è rimasto soltanto un piccolo cortile e il giardino antistante. Nel 1937 il padre è stato arrestato con l’accusa di attività antisovietica. Daria Aleskandrovna è riuscita a far rilasciare il marito dopo tre mesi. Allo scoppio la guerra, Kerč’ è stata bombardata pesantemente e la famiglia De Martino, come la maggior parte degli abitanti di Kerč’, si è rifugiata nelle catacombe di Bulganaksk. Dopo l’occupazione della città da parte dei tedeschi si è presentata la possibilità di andare in Italia. Nikolaj Paskvalovič ha fatto un tentativo ma non ha voluto che suoi famigliari viaggiassero per mare sotto incessanti bombardamenti. Per il compleanno di Anatolij c’era sempre qualche ospite, ma il 28 gennaio del 1942 la festa è stata interrotta e nel giro di un’ora la famiglia è stata portata a Kamyš-Burun e caricata sulle chiatte insieme ad altri italiani. Una delle chiatte è stata affondata durante i bombardamenti. Da Novorossijsk sono giunti a bordo di un treno merci a Baku, dove hanno potuto mangiare per la prima volta. Da Baku sono andati via mare a Krasnovodsk e da lì in Kazachstan in treno. È stato un viaggio duro, la gente moriva all’interno dei vagoni. La storia della comunista italiana Maria Spartak, sfuggita al regime di Mussolini: è impazzita dopo che una guardia ha portato via suo figlio dal vagone senza fornire spiegazioni. Sono arrivati ad Atbasar all’inizio di marzo, c’erano forti gelate e non avevano vestiti adatti. Poi hanno raggiunto in slitta il villaggio “Pervoe maja”, nel kolchoz “Krasnaja poljana”. Li hanno sistemati nelle baracche. Presto Nikolaj Kroče si è ammalato ed è morto. Anton Paskvalovič è stato arruolato nell’esercito del lavoro a Karaganda, dov’è morto. Sua figlia Valja è morta di fame. Erano disperati. Una donna è arrivata a rubare nella speranza che l’arrestassero e i figli fossero affidati a un orfanotrofio, dove avrebbero dato loro da mangiare. L’hanno picchiata violentemente. Il padre lavorava come addetto al trasporto dell’acqua nel kolchoz. Nel giugno del 1943 il sorvegliante l’ha malmenato e dopo qualche giorno è morto in ospedale. Daria Aleksandrovna e Nina Paskvalovna si sono trasferite in una fucina abbandonata. Nell’inverno 1943-44 c’è stata una grave carestia e i bambini sono diventati gonfi. Nina Paskvalovna ha proposto di ricorrere al monossido di carbonio per risparmiare a tutti altre sofferenze. Inaspettatamente uno sconosciuto, impressionato nel vedere in quale situazione si trovassero, li ha aiutati regalando loro un sacco di grano. In primavera Anatolij e la mamma andavano a chiedere l’elemosina e lavorando nel kolchoz hanno iniziato a guadagnare qualcosa. I bambini raccoglievano tutto ciò che era commestibile. Anatolij è stato picchiato violentemente dal guardiano di un campo di patate, un reduce; la mamma è riuscita a stento a strappargli il figlio dalle mani. Nel 1945… Continua a leggere Gli ultimi testimoni. Gli italiani di Crimea | Anatolij Nikolaevič Černjavskij

Gli ultimi testimoni | Nadežda Matveevna Denisova

23/09/1930: Nadežda Matveevna nasce a Kerč’. La madre, Larisa Sevost’janovna (nata Giachetti) (1910-1982), lavora in un conservificio senza possedere alcuna specializzazione. Il padre, Matvej Fedorovič Tubal’cev, lavora come ebanista in un’impresa edile. Il fratello Vjačeslav (Vincenzo) è nato nel 1935 e la sorella Tamara nel 1941. 1941: finisce la quarta classe a Kerč’. 28 gennaio 1942: deportazione in Kazakistan attraverso Novorossijsk – Baku – Krasnovodsk – Aral’sk. 1942: arrivo ad Aral’sk in aprile. Matvej Fedorovič viene arruolato nell’esercito del lavoro ad Astana. 1944: il padre ottiene il permesso di ricongiungersi alla famiglia. Si trasferiscono tutti in un piccolo villaggio non lontano da Astana. 1945: finisce la settima classe ad Astana e inizia a lavorare come analista per le ferrovie di Karaganda. 1948: la sorella del padre ottiene il permesso per la famiglia Tubal’cev di rientrare a Kerč’. 1948-1950: lavora come analista in un conservificio e segretaria nel comitato esecutivo di zona, intanto studia dattilografia. 1950-1953: lavora come segretaria e dattilografa presso la Krymstroj e frequenta le scuole serali. 1953-1957: frequenta la facoltà di geografia dell’università di Rostov sul Don. 1956: sposa Aleksandr Fedorovič Denisov (1935-2008), un marinaio di mercantili che lavorava nei cantieri. 1957: nasce la figlia e ritorna a Kerč’. 1959-1963: studia per corrispondenza presso l’istituto commerciale di Mosca e lavora, prima come ragioniera poi come vicecapo ragioniera, in un’azienda che si occupa di scambio di prodotti industriali. 1973: lavora come ragioniera per la Sojuzvneštrans. 1985: va in pensione. Prima parte dell’intervista ._Денисова 1_3 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=37k_rpt6mo4“] Seconda parte dell’intervista ._Денисова 2_3 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=NKzFc0EhTrI&feature=youtu.be”] Terza parte dell’intervista ._Денисова 3_3 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=NKzFc0EhTrI&feature=youtu.be”] Scarica la trascrizione dell’intervista Scarica la traduzione dell’intervista Intervistatore: Alena Kozlova Operatore: Victor Griberman Trascrizione: Irina Kunin Traduzione: Zeno Gambini Giulia Giachetti Boico per la sua preziosa collaborazione a Kerč’ La storia di Nadežda in breve Nadežda Matveevna, nata Tubol’ceva (Giachetti da parte di madre), è nata il 23/09/1930 a Kerč’. Il nonno materno, Sebast’jan (Sevost’jan) Giachetti (1870-1933), si era trasferito in Russia all’età di 10 anni insieme al fratello alla fine del XIX secolo. Sua moglie si chiamava Elena Petrovna ed è morta negli anni ’50. Hanno avuto 9 figli: Panja, Anna, Maria, Larisa, Ivan, Petr, Viktor, Georgij, Il’ja. La madre, Larisa Sevost’janovna (nata Giachetti) (1910-1982), ha lavorato in un conservificio e non aveva alcuna specializzazione, mentre il padre, Matvej Fedorovič Tubal’cev, era ebanista in un’impresa edile. Il fratello Vjaceslav (Vincenzo) è nato nel 1935 e la sorella Tamara nel 1941. Nel ’40 il padre ha iniziato a costruire una nuova casa, ma è riuscito solo ad erigere le pareti di una stanza prima che la guerra scoppiasse. Quando sono iniziati i bombardamenti si sono trasferiti tutti a casa della nonna Elena Petrovna Giachetti e, quando i tedeschi hanno conquistato la zona, si sono rifugiati in un deposito. Il padre, che era stato riformato dall’esercito per motivi si salute, ha partecipato alle operazioni di difesa e dopo la liberazione di Kerč’, nel dicembre del ‘41, è potuto rientrare in città con la famiglia. Il 28 gennaio del 1942 si sono presentati a casa loro degli uomini in borghese per comunicare che tutti gli italiani dovevano essere deportati in quanto traditori. Hanno concesso loro 2 ore per i preparativi ed era consentito portare solo 8 chili di bagaglio. Il padre, pur avendo la possibilità di restare, visto che dai documenti risultava di nazionalità russa, ha scelto di seguire la sua famiglia asserendo che anche nelle sue vene scorreva sangue italiano. A Kamyš Burun i deportati sono stati stipati nella stiva delle chiatte, mentre i malati sono stati sistemati sul ponte. La prima chiatta è stata bombardata davanti agli occhi dei deportati che erano in attesa di salpare. Giunti a Novorossijsk hanno proseguito il viaggio su camion diretti verso Baku, dove sono arrivati circa 2 mesi dopo. Il cibo era scarso e per procurarsene un po’ i deportati barattavano qualunque cosa, nelle principali stazioni ferroviarie si potevano incontrare persone che offrivano cibo in cambio di oggetti di valore. All’interno dei vagoni alcuni hanno iniziato ad ammalarsi di dissenteria, altri sono morti. A quel punto la guardia ha acconsentito a che i morti fossero seppelliti non lontano dal terrapieno. La motonave “Turkmenistan” ha trasferito a Krasnovodsk i deportati, che hanno poi raggiunto il Kazakistan in treno. Nell’aprile del 1942 la famiglia Tubal’cev è arrivata alla sua destinazione finale, Aral’sk. Poco dopo, il padre è stato arruolato nell’esercito del lavoro di Akmolinsk, mentre Larisa Sevast’janovna è andata a vivere in una baracca diroccata in riva al mare insieme ai figli. La madre si è ammalata quasi subito ed è stata ricoverata in ospedale, mentre Nadja è rimasta con Tamara e Slava. Hanno trascorso giorni interi sotto le finestre dell’ospedale militаre in attesa. Qualcuno si è accorto che i bambini erano debilitati, allora la madre è stata trasferita in un altro ospedale e ai suoi familiari è stata data una sistemazione decente in una casa di kulaki deportati, così i bambini sarebbero potuti andare all’asilo. Una volta dimessa Larissa Sevost’janovna ha lavorato in uno stabilimento ittico, poi  come addetta alla filatura della lana e anche come donna delle pulizie. […] Nadja ha terminato la sesta classe ad Aral’sk e nel 1944 il padre ha ottenuto il permesso di ricongiungersi alla famiglia ad Astana. Vivevano in un paesino a 12 km da Astana la vita era dura e i genitori di Nadja erano gravemente debilitati. Raccoglievano le spighe di nascosto, per questo sono stati anche picchiati da un sorvegliante, ma hanno continuato lo stesso. Il padre lavorava in una fabbrica di mattoni e costruiva mulini. Mentre studiava in un collegio di Akmolinsk Nadja sentiva la nostalgia di casa e ha provato a tornare dai genitori, ma saltando giù dal treno si è fatta molto male e ha dovuto rinunciare. Nel 1945 ha iniziato a lavorare come analista nelle ferrovie di Karaganda e nel 1948 la sorella del padre ottiene per la famiglia Tubal’cev il permesso di rientrare a Kerč’. All’inizio sono stati ospitati da alcuni parenti, poi si sono costruiti un riparo sotterraneo. Nadja… Continua a leggere Gli ultimi testimoni | Nadežda Matveevna Denisova

Gli ultimi testimoni. Gli italiani di Crimea | El’vira Avgustovna Turčenko

1934: El’vira nasce a Džankoj, figlia di Avgust Iosifovič Tral’man (1900-1975) e di Rosalia Iosifovna Fabiano (1914-1993) 1936: Nascita del fratello Iosif. 1937: Arresto dello zio Stepan Iosifovič Fabiano fratello della madre. 1941: Inizio della guerra, El’vira frequenta la prima classe a Kerč’. 1942: Nel mese di gennaio la famiglia Fabiano viene deportata nel villaggio di Smirnovka, vicino ad Atbasar, in Kazakistan. 1942: Morte del fratello Iosif. 1942: Demjan’ Fabiano viene arruolato nell’esercito del lavoro e mandato a lavorare al complesso industriale di Čeljabinsk. 1944: Si trasferiscono a Žuravlevka nel distretto di Kalinin, Kazakistan. 1945: Gli italiani che erano stati  arruolati nell’esercito del lavoro vengono congedati. 1945: La famiglia si trasferisce a Čeljabinsk  e si ricongiunge con Dem’jan Fabiano. El’vira frequenta la scuola. 1946: In primavera si trasferiscono ad Akmolinsk. 1946: La madre si risposa con Venedikt Salvatorovič Di Benedetto (1909-1975). 1947: Nascita del fratello Pavel (ora vive e lavora in Kazakistan). 1947-1951: El’vira frequenta la scuola e finisce la settima classe. 1951-1955: Si iscrive all’Istituto tecnico dei trasporti ferroviari. 1955: Lavora in una piccola stazione ferroviaria nel distretto di Kokčetav. 1956: Si sposa con Ivan Kirillovič Turčenko (1930- 2001). 1957: Nasce il primo figlio Aleksandr (ora vive in Kazakistan). 1958: La famiglia Turčenko torna a Akmolinsk. 1959: Nascita della figlia Larisa. 1960-1987: El’vira lavora in un ufficio di autotrasporti. 1987: I coniugi Turčenko tornano a Kerč’. 1988-1990: El’vira lavora come lavapiatti in un orfanotrofio. 1990: El’vira va in pensione. 1992: La figlia Larisa con la famiglia emigra in Germania. 1993: Morte della madre. 2001: Morte del marito. Ora vive da sola a Kerč’. Prima parte dell’intervista ._Турченко 1_3 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=m5EfQKpv6wc&feature=youtu.be”] Seconda parte dell’intervista ._Турченко 2_3 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=T5wQqcJRWHk&feature=youtu.be”] Terza parte dell’intervista ._Турченко 3_3 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=Cu4gGGX568s&feature=youtu.be”] Scarica la trascrizione dell’intervista Scarica la traduzione dell’intervista Credits Intervistatrice: Irina Ostrovskaja Operatore: Viktor Griberman Trascrizione: Natalia Christoforova Traduzione: Zeno Gambini Giulia Giachetti Boico per la sua preziosa collaborazione a Kerč’ La storia di El’vira in breve El’vira Avgustovna Fabiano nasce nasce a Džankoj  nel 1934. Il padre Avgust  Iosifovič Tral’man (1900-1975), di nazionalità estone,  è direttore di un cantiere navale e membro del Partito  Comunista. La madre Rosalia Iosifovna Fabiano (1914-1993), di nazionalità italiana,  lavora come segretaria nello stesso cantiere navale. El’vira non conosce i parenti del padre. Sua madre Rosalia aveva una grande famiglia. Suo padre Iosif Stefanovič Fabiano, un capitano di lungo corso, muore in giovane età. Sua moglie Anna rimane sola con 4 figli: Stepan, Giovannella Rosa e Demjan’. La famiglia vive in una casa a due piani insieme alla famiglia della sorella della madre Angelina sposata con De Celis e la sorella  Laura, nubile. Nel 1936 Nasce Iosif. Nel  1937  Stepan Iosifovič Fabiano viene arrestato. È un duro colpo per la famiglia. Una delle conseguenze  dell’arresto è la separazione dei genitori di El’vira. Rosalia torna a casa di sua madre con i suoi due bambini. Ben presto le assegnano una stanza in un appartamento comune. Il fratello minore, Demjan’, viene arruolato nella regione del Zabajkal, ma dopo l’arresto del fratello maggiore, viene  espulso in quanto fratello di un nemico del popolo e Demjan’  torna a Kerč’. Nel 1941, dopo l’inizio della guerra, El’vira frequenta la prima classe. Durante l’occupazione tedesca assiste all’arresto di ebrei e ricorda le lunghe colonne di ebrei portati alle fucilazioni. I tedeschi arrestano anche alcuni italiani, ma una volta controllati i passaporti, li liberano. Nell’inverno del 1942, dopo la prima liberazione dall’occupazione tedesca di Kerč’, la famiglia Fabiano viene deportata insieme a tutti gli italiani. Rosalia con i due figli, la nonna, la moglie di Stepan e Demjan’ vengono inviati su di un convoglio nella regione di Atbasar. In Kazakistan i deportati vengono distribuiti in varie famiglie kasake; i Fabiano finiscono nel villaggio di Smirnovka presso una vecchia sordomuta. Soffrono la fame e il freddo. I bambini si ammalano, Iosif si ammala e muore. Durante la guerra vengono richiamati all’armata del lavoro Demjan’ Fabiano e Venedikt Di Benedetto, futuro marito di Rosalia. Nel 1946, congedati, tornano dalla famiglia. La famiglia Fabiano vive per  tre anni  (1941-1944) nel villaggio di Smirnovka. Rosalia lavora come agrimensore. Nel  1944 Rosa decide di fuggire raggiunge il villaggio  di Žuravlevka nella regione di Kalinin, dove vivevano i suoi parenti, la zia e la cognata. In seguito la zia va a prendere a Smirnovka la nonna e El’vira. Vivono un anno a Žuravlevka e dopo la fine della guerra si trasferiscono a Čeljabinsk dove viveva Demjan’ Fabiano . Qui El’vira ripete la prima classe. Nella primavera del 1946 El’vira, con la mamma e la nonna, tornano in Kazakistan ad Akmolinsk. Rosa si sposa  con Venedikt Sal’vatorovič De Benedetto (1909-1975). El’vira lo considera come un padre. Nel 1947 nasce Pavel ( attualmente vive e lavora in Kazakistan). El’vira termina la settima classe. Ad Akmolinsk esistevano  due istituti tecnici: quello  dei trasporti ferroviari e quello di veterinaria. El’vira studia all’Istituto tecnico dei trasporti ferroviari (1951-1955) e poi viene inviata a lavorare in un lontano villaggio  nel distretto di Kokčetav. Qui conosce e sposa  Ivan Kirillovič Turčenko (1930). Ivan Kirillovič proveniva da una famiglia contadina che negli anni Trenta risiedeva a Pavlograd e per  sfuggire alla lotta contro i kulaki  si era rifugiata in Kazakistan. Nel  1956 El’vira e Ivan registrano il loro matrimonio. Nel  1957 nasce il figlio Aleksandr (attualmente vive e lavora in Kazakistan). Nel 1958 la famiglia Turčenko torna ad Akmolinsk dove si sistema con i genitori di El’vira. Ivan Kirillovič lavora come  caposquadra alla fabbrica Celincel’mas. Nel 1959 nasce Larisa: Dopo la nascita del secondo figlio El’vira lascia il lavoro alle ferrovie e lavora in un ufficio di autotrasporti. Larisa si sposa con un tedesco del Volga, la cui famiglia era stata deportata in Kazakistan. Nel 1992 Larisa emigra in Germania. Nel  1987 Ivan Turčenko va in pensione e decidono di tornare a Kerč’. Il loro figlio Aleksandr rimane a vivere in Kazakistan. A Kerč’ si comprano una piccola casa ed El’vira lavora fino all’ età della pensione come lavapiatti in un orfanotrofio. Nel 1990 va in pensione. Dopo la… Continua a leggere Gli ultimi testimoni. Gli italiani di Crimea | El’vira Avgustovna Turčenko

Gli ultimi testimoni | Giovannella Iosifovna Rjazanceva

28 novembre 1940: nasce a Kerč’. I genitori Iosif  Dominikovič Fabiano (?-1943 comandante di nave  mercantile) e la madre Praskov’ja Nikolaeva Benetti (1917-1976) erano nati anche loro a Kerč’. 29 gennaio 1942: Viene deportata da Kerč’ insieme al padre e alla madre, le sorelle del padre Vera e Elizaveta e il fratello del padre  Viktor Domenikovič, che morirà in Kazakstan. Arrivano in Kazakstan  passando per Kamyš-Burun, Taman’, Atbasar. Arrivano nel febbraio/marzo del 1942. 1943:  muore il padre Iosif Dominikovič Fabiano. 1943-1944: Giovannella viene mandata in un orfanotrofio in Kazakstan. 1944: La madre Praskov’ja Nikolaevna viene trasferita a lavorare ad Akmolinsk e riprende la figlia Giovannella dall’orfanotrofio. 1949-1951: Studia fino alla seconda classe ad Akmolinsk. 1952: Ritorna con la madre a Kerč’ e vivono dalla nonna Julja Stoljarenko Fabiano. 1952 -1958: Termina la scuola fino all’ottava classe a  Kerč’. 1958-1959: Studia 10 mesi in un istituto tecnico professionale e si specializza come imbianchino. 1960-1964: Lavora a Jalta. 1964: Torna a Kerč’ e  fino al 1973 lavora come imbianchino nella fabbrica  di calcestruzzo Vojkov . 1967: Si sposa con Nikolaj Nikolaevič Rjazancev  (1941-2007). 1968: Nascita della figlia Nadezda. 1973:  Nascita della figlia Tamara. Fino al 1982: Casalinga. 1982-1996: Lavora in una fabbrica tessile come imbianchino e addetta alle pulizie. 1996: Va in pensione. 2005:  Si iscrive all’Associazione degli italiani a Kerč’. Prima parte dell’intervista ._Рязанцева 1_3 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=z8d7KOWfm1c&feature=youtu.be”] Seconda parte dell’intervista ._Рязанцева 2_3 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=GJ9AoXlfBeA&feature=youtu.be”] Terza parte dell’intervista ._Рязанцева 3_3 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=I_6YgZQjVuk&feature=youtu.be”] Scarica la trascrizione dell’intervista Scarica la traduzione dell’intervista Credits Intervistatore: Alena Kozlova Operatore: Viktor Griberman Trascrizione: Natalja Christoforova Traduzione: Zeno Gambini Giulia Giachetti Boico per la sua preziosa collaborazione a Kerč’ Storia di Giovannella in breve Giovannella Iosifovna nasce il  28 novembre 1940 a Kerč’ . I genitori Iosif Dominikovič Fabiano e la madre Praskov’ja Nikolaeva Benetti (1917-1976) erano nati anche loro a Kerč’. I nonni Fabiano e Benetti erano arrivati dall’Italia. Ambedue erano comandanti di navi mercantili e avevano portato le loro numerose famiglie . Avevano comprato casa nel centro della città. Il nonno da parte di madre Nikolaj Benetti (Benetto) aveva tre sorelle: Rosalia, Ljudmila, Maria e un fratello Pantalej. Nikolaj Benetti morì in un naufragio  nel 1921. Sua moglie Julja  aveva quattro figli: Marija (zia Musja), Praskov’ja, Aleksandra e Prokofij. Si sposò in seconde nozze con Stoljarenko, che  lavorava nella flotta mercantile e si prese cura di tutta la famiglia. Praskov’ja Nikolaevna alla consegna del passaporto  dette  il cognome del padre, ma si  dichiarò di nazionalità russa. Prima di sposarsi aveva lavorato nella fabbrica di calcestruzzo Vojkov. Vivevano nella casa della nonna Giulia. Durante la guerra la casa fu bombardata e furono trasferiti nelle grotte.  Dopo la prima liberazione di Kerč dall’occupazione tedesca nel dicembre 1941 tornarono alla loro casa semidistrutta. Il 29 gennaio 1942, raccontarono i suoi parenti, arrivarono dei militari sovietici con l’ordire di fare evacuare gli italiani, dando loro appena il tempo di raccogliere con sé un piccolo bagaglio che non superasse i due chili. La madre e la nonna seppellirono nel giardino vicino alla casa parte dei loro averi. A Praskov’ja Nikolaevna fu dato il permesso di rimanere in quanto risultava di nazionalità russa, ma gli altri dovevano partire. Ma Praskov’ja Nikolaevna decise comunque di partire con loro. La nonna Julja Stoljarenko, le sue figlie Maria e Aleksandra, che si erano sposate con cittadini russi e avevano un cognome russo non furono deportate. Gli italiani furono portati a Kamyš-Burun,  e poi via mare  fino a Taman’, dove li fecero salire su un treno, viaggiarono un mese per arrivare a Atbasar in Kazakstan, dove furono alloggiati in baracche, senza vetri alle finestre e senza porte e fu loro distribuito del grano saraceno marcio. Ci fu un epidemia di tifo, e un epidemia  di colera. Soffrirono la fame. Nel 1943 morirono il padre e il fratello del padre Viktor Domenikovič; la madre andava a lavorare con i piedi avvolti negli stracci. Giovannella era coperta di piaghe. Su consiglio della cognata del padre Elizabeta, che li aiutava, decisero di mandare la bambina in un orfanotrofio, dove l’avrebbero nutrita e l’avrebbero curata. Giovannella Iosifovna si ricorda molto poco della vita all’orfanotrofio. Ricorda soltanto che i bambini erano vestiti tutti allo stesso modo e che dovevano raccogliere nei cestini  dei fiori di acacia. Nel 1944 la mamma fu trasferita a lavorare ad Akmolinsk in una fabbrica militare, decise di riprendere Giovannella dall’orfanotrofio. Qui la vita migliorò, ricevettero gli aiuti umanitari americani. Vivevano in una casa di kazachi che a volte  davano da mangiare a Giovannella. Dopo la liberazione di Kerč’ la nonna Julja si trasferì da Krasnoe Selo, dove aveva vissuto durante l’occupazione, in città, nella sua vecchia casa  bombardata. Da Kerč’ la nonna inviava loro prodotti alimentari. Il marito quando tornò dal fronte costruì una nuova casa Ad Akmolinsk Giovannella frequentò la scuola nel 1949 e contemporaneamente lavorava al mercato. Nel 1951 tornarono a Kerč’. In un primo tempo la mamma lavorò a Termjuk come cuoca in un asilo. Nel 1953 torna a Kerč’ e lavora come centralinista in una fabbrica di mattoni. Giovannella vive con la nonna e nel 1958 finisce l’ottava classe, studia per dieci mesi all’istituto tecnico professionale e si specializza come imbianchino. Nel 1960 va a lavorare a Jalta, torna dopo quattro anni e fino al 1973 lavora come imbianchino  nella fabbrica  di calcestruzzo Vojkov. Nel 1962 avrebbe voluto andare in Italia su invito della sorella del padre, Vera Domenikovna, ma i familiari temevano delle conseguenze spiacevoli. Nel 1967 sposa Nikolaj Nikolaevič (1941-2007) che lavorava come meccanico al sovchoz “1° maggio” specializzato in prodotti ittici. Nel 1968 nasce la figlia Nadja, nel 1973 Tamara. Dopo la nascita della seconda figlia per alcuni anni  Giovannella  Iosifovna  smette di lavorare. Nel 1982 va a lavorare in una fabbrica tessile come imbianchino e addetta alle pulizie. Nel 1983 la casa della nonna viene demolita e viene assegnato loro un appartamento. Nadja frequenta a Kostroma la Facoltà di fisica e matematica. Tamara frequenta a  Kerč’ l’Istituto per infermieri.  Nel 1996 Giovannella  Iosifovna  va in pensione Non… Continua a leggere Gli ultimi testimoni | Giovannella Iosifovna Rjazanceva

Gli ultimi testimoni. Gli italiani di Crimea | Natalja Vasilevna Gorbulëva

1 maggio 1939: Natal’ja (Taločka) nasce a Kerč’ da Polina Savel’evna Delerno (1915-1997) e Vasilij Andreevič Volodčenko. 22 gennaio 1942: Polina viene esiliata da Kerč’ insieme alla figlia a causa delle sue origini italiane. Vasilij Andreevič decide di restare insieme alla famiglia. 1942: Vasilij Andreevič Volodčenko è reclutato dall’esercito del lavoro. 1942-1946: Natal’ja e la madre vivono nel kolchoz Krasnoe ozero (Lago rosso) in Kazakistan, oblast’ di Akmolinsk, rajon Višnevka, poi presso il cantiere per la costruzione della ferrovia Akmolinsk-Kartala. 1945: Vasilij Volodčenko è congedato e può tornare dai suoi familiari. 1946: La famiglia ritorna a Kerč’. 1947-1958: frequenta la scuola media. 1959-1965: frequenta l’istituto d’ingegneria navale di Leningrado. 1965: svolge il tirocinio obbligatorio postlaurea a Gor’kij. 1968: sposa Jurij Nikolaevič Gorbulev, nato nel 1929, originario di Chabarovsk, laureato presso l’istituto d’ingegneria navale di Vladivastok. 1972: nasce la figlia Natal’ja. 1979: ritorna a Kerč’. Lavora alle tecniche di calcolo automatico presso il locale istituto d’ingegneria navale. 1999: va in pensione. Attualmente non lavora e vive con la figlia Natal’ja. Prima parte dell’intervista ._Горбулева 1_3 [youtube video=”https://youtu.be/xHFw2pgVSJM“] Seconda parte dell’intervista ._Горбулева 2_3 [youtube video=”https://www.youtu.be/ecvZQULnp6g“] Scarica la trascrizione dell’intervista Scarica la traduzione dell’intervista Credits Intervistatore: Irina Ostrovskaja Operatore: Viktor Griberman Trascrizione: Natalja Christoforova Traduzione: Zeno Gambini Giulia Giachetti Boico per la sua preziosa collaborazione a Kerč’ La storia di Natalja in breve Natal’ja Nikolaevna Volodčenko è nata a Kerč’ il 1 maggio 1939. Sua madre, Polina Savel’evna Delerno (1915-1997) era figlia di Rosalia Markovna Simone e Savelij Markovič Delerno. Il capostipite italiano della famiglia, Mark Simone, garibaldino, si è trasferito a Kerc’ nell’ottobre del 1870. Dal matrimonio tra Rosalia e il marinaio Savelij Delerno sono nati cinque figli: Dolorata (Dora), Debenedikt, Polina (nata nel 1915), Mark e Antonina (nata nel 1926). Durante la prima guerra mondiale, Savelij è stato fatto prigioniero e, dopo essere tornato a casa, è morto di malattia. Dopo la morte di Rosalia nel 1935, Dora ha dovuto occuparsi della sorella minore Antonina, con la quale si è trasferita a Sverdlovsk (o ad Omsk). Lì Dora ha vissuto insieme al marito Stepan Terent’ev, soldato dell’Armata Rossa. Polina ha frequentato la scuola media e dei corsi di contabilità, poi ha lavorato per la compagnia Azovvodstroj, dove ha conosciuto Vasilij Andreevic Volodčenko (nato nel 1908), cresciuto in una numerosa famiglia di origini ucraine e bielorusse (i genitori si chiamavano Andrej Evseevič e Anna Josifovna Elina). Nel 1939 è nata la loro unica figlia: Natal’ja (Taločka) Una volta, durante l’occupazione di Kerč’, Polina è stata scambiata per un’ebrea. Stava per essere fucilata quando una vicina di casa ha iniziato a gridare dicendo che era italiana, salvandole così la vita. Vasilij Volodčenko è stato riformato per motivi di salute. Il 22 gennaio del 1942 Polina è stata esiliata da Kerc’ insieme alla figlia a causa delle sue origini italiane. Volodčenko avrebbe potuto rimanere in città, ma ha preferito seguire la famiglia nel kolchoz “Krasnoe ozero” (Lago rosso) a Višnevka, nell’oblast’ di Akmolinsk, in Kazakstan, per poi essere reclutato dall’esercito del lavoro. A causa delle condizioni di vita cui era costretta in Kazakistan, Polina ha contratto il tifo ed è stata ricoverata, mentre Taločka, che all’epoca aveva tre anni, è stata affidata ai vicini. Una volta guarita, Polina si è dedicata all’allevamento delle pecore. In seguito alla scomparsa di alcune di esse, forse sbranate dai lupi, Polina ha dovuto pagare un risarcimento al prezzo di enormi sacrifici. Poi ha deciso di andarsene portando con sé la figlia. Ha svolto lavori generici nel cantiere per la costruzione della ferrovia Akmolinsk – Kartal e, non conoscendo nessuno a cui poter affidare la bambina, Polina la teneva infagottata a terra, accanto alle traversine. Их пожалели, и устроили Полину на работу кубогреем. Nel 1945 Vasilij Volodčenko è stato congedato e ha potuto ricongiungersi con i suoi familiari. Alla fine dell’anno seguente ha ottenuto il permesso di tornare a Kerč’ ma, non avendo più una casa, andata distrutta durante la guerra, lui e Polina sono andati ad abitare in una casetta lasciata in eredità da Andrej Evseevič Volodčenko. Vasilij Andreevič ha lavorato come capomastro in un giacimento minerario, mentre Polina in un panificio come contabile e poi come ragioniera in un consorzio. Taločka ha iniziato ad andare a scuola nel 1947 a Kerč’. Terminata la decima classe, ha frequentato l’istituto d’ingegneria navale di Leningrado (1959-1965). È stata mandata a lavorare nella città di Gor’kij, dove ha incontrato il suo futuro marito Jurij Nikolaevič Gorbulëv, nato nel 1929 a Chabarovsk, laureato presso l’istituto d’ingegneria navale di Vladivostok. Tornati a Kerč’, Natalja ha studiato tecniche di calcolo elettronico nella sede di Kerč dell’istituto navale. Nel 1972 è nata la figlia Natalja. Natalja Vasilevna ha continuato a lavorare all’istituto fino a quando non è entrato in crisi, nel periodo della perestrojka. Nel 1999 Natalja è andata in pensione. Il marito ha lavorato come semplice elettricista su una nave, poi è stato invitato a tenere un corso sulle forniture elettriche delle navi presso l’istituto navale di Kerč’, attività che svolge tuttora. Le foto sono state gentilmente concesse da Natalja Vasilevna Gorbulëva. [nggallery id=73]

Gli ultimi testimoni. Gli italiani di Crimea | Scolarino Ippolita (Polina) Vinčencevna

09/07/1925: Nascono a Novočerkassk i gemelli Francesco e Ippolita, figli di Vincenzo e Graziella Colangelo. 1941: La famiglia si trasferisce a Kerč’. 07/02/1942: Deportazione degli italiani di Kerč’. 04/1942: La famiglia Colangelo viene deportata nel kolchoz Krasnoe ozero (Il lago rosso), provincia Višnevka, regione  di Akmolinsk. 1942: Il fratello Francesco viene arruolato nell’esercito del lavoro. 11/1942: muore il padre Vincenzo Colangelo. 1942-1947: Polina è impiegata in lavori agricoli e come contabile di una fabbrica di conserve. 1947-1954: Polina lavora come addetta alle statistiche mediche in un poliambulatorio della stazione ferroviaria. 1948: Sposa Evgenij Francevic Scolarino. 20/08/1951: Nasce la figlia Elisabetta. 1954: Da Akmolinsk fanno ritorno a Kerč’. 07/10/1954: Nasce la figlia Galina. 1955: La madre, Graziella Colangelo, torna a Kerč’. 1958: Lavora come contabile, responsabile delle statistiche mediche e cassiera. 1962-1985: Lavora come addetta al controllo meccanizzato. 1985: Va in pensione. 22 gennaio 2016: Ippolita è venuta a mancare Prima parte dell’intervista ._Сколярина 1_2 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=olVQWG5hiCM#t=182″] Seconda parte dell’intervista ._Сколярино 1_2 [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=L6u4ucHCO3w”] Scarica la trascrizione dell’intervista Scarica la traduzione dell’intervista Credits Intervistatore: Irina Ostrovskaja Operatore: Viktor Griberman Trascrizione: Bogdanova Ljudmila Michajklovna Traduzione: Zeno Gambini Giulia Giachetti Boico per la sua preziosa collaborazione a Kerč’ La storia di Ippolita in breve Polina Ivanovna (Ippolita Vinčencevna) Colangelo è nata a Novorossijsk il 9 luglio del 1925. Suo padre, Vincenzo Dominikovič Colangelo, nato nel 1877 a Kerč’, era capitano di lungo corso. Dal primo matrimonio sono nati quattro figli: Dominik nel 1901, Leonid nel 1905 e due figlie, Savina e Rosalia. Leonid ha lavorato sulla motonave “Gruzija”. È stato arrestato e fucilato a Odessa nel 1938. Le figlie hanno vissuto a Tbilisi. All’inizio degli anni Venti, Vincenzo è rimasto vedovo e si è risposato nel 1924 con Graziella Dominikovna Porcelli (1901-1966) nata a Kerč’. Dal matrimonio nel 1925 sono nati i gemelli Ippolita e Francesco (Polina e Fedor, morto nel 2004). Nella loro casa ha vissuto la vecchia amica Michajlovna come se fosse la nonna. Verso il 1940 Vincenzo si è ammalato ed è andato in pensione. La famiglia ha deciso di trasferirsi a Kerč’, dove viveva la famiglia di Graziella. Nel 1941 Polina e Fedor hanno finito l’ottava classe. La famiglia Colangelo ha scambiato un bel bilocale a Novorossijsk per uno analogo a Kerč’, dove sono giunti il 16 giugno del 1941. A Kerč’  vivono la sorella Marietta, e i fratelli Leonard, Karl e Franz con le rispettive famiglie. Il primo, devastante bombardamento di Kerč’ ha colpito la casa della famiglia Porcelli. I tedeschi sono entrati in città nell’ottobre del 1941. Durante il rastrellamento ha nascosto  e  ha fatto passare per sua figlia una ragazza ebrea. Il 7 febbraio del 1942 la famiglia Colangelo, insieme ad altri 72 italiani di Kerč’, è stata deportata. Per i preparativi hanno concesso loro 2 ore, mentre il trasferimento è durato due mese. Nell’aprile del 1942 sono finalmente arrivati nel kolchoz Krasnoe Ozero, nella provincia di Višnevka, regionedi Akmolinsk. Il fratello Fedor (Francesco) è stato reclutato dall’esercito del lavoro per svolgere lavori edili a Nižnij Tagil, mentre Polina si è dedicata a diversi lavori agricoli nel kolchoz, tra cui la trebbiatura  e l’erpicatura. La madre selezionava  le patate e, a volte, riusciva a portarne via qualcuna per sfamare la famiglia. Senza quei piccoli furti sarebbero morti di fame. Nel novembre del 1942 è morto Vincenzo Colangelo e, poco dopo, nonna Michajlovna. Il marito di Marietta, Dominik Porcelli, è morto mentre prestava servizio nell’esercito del lavoro (erano cugini). In seguito, Graziella è diventata educatrice in una scuola materna e Polina ha iniziato a lavorare come contabile in un kolchoz. Hanno affittato una piccola stanza da un kazako che li  derubava. In  seguito riescono a trasferirsi in casa di un conoscente italiano di  Kerč’ Franz Scolarino. Nel 1946 il figlio di Franz, il carrista decorato Evgenij, è tornato dal fronte. Lui desiderava tornare a Kerč’, ma non riuscendo ad ottenere il permesso si è stabilito ad Akmolinsk presso i genitori e nel 1948 ha sposato Polina. Nel 1951 è nata la primogenita Elizaveta. Per ottenere il permesso di risiedere a Kerč’, Evgenij ha scritto una lettera a Vorošilov e il e l’autorizzazione è arrivata presto. Così, nell’aprile del 1954, Polina si è trasferita con la famiglia a Kerč’ e poco dopo Evgenij ha iniziato a lavorare. Il 7 ottobre del 1954 è nata la figlia Galina. Nel 1955 Polina ha ottenuto che anche sua madre potesse trasferirsi a Kerč’. Nel 1958 Polina ha iniziato a lavorare svolgendo varie mansioni: contabile, addetta alle statistiche mediche, cassiera, addetta al controllo meccanizzato in un parco macchine, dove ha lavorato per 23 anni. Non ha potuto continuare a studiare. Il marito Evgenij è morto nel 2004. Adesso Polina Ivanovna vive con la figlia Galina in una piccola casa privata che aveva iniziato a costruire insieme al marito subito dopo il ritorno a Kerč’. La figlia Elizaveta è a capo dell’ufficio contratti del porto di Kerč’, è sposata e ha una figlia e un nipote. La figlia Galina si è diplomata all’Istituto per il trasporto ferroviario di Leningrado (LIŽIT) ed è a capo dell’ufficio del personale. Non è sposata e non ha figli. Da vent’anni dirige l’Associazione degli italiani della Crimea e il comitato Dante Alighieri. Il 22 gennaio 2016 purtroppo Ippolita è morta. Le foto sono state gentilmente concesse da Scolarino Ippolita Vinčencevna. [nggallery id=77]

Gli ultimi testimoni. Gli italiani di Crimea | Nikolaj Anatol’evič Carbone

22/10/1935 Nasce a Kerč’. Il padre Anatolij Iosifovič Carbone (1911-1970) è un capitano di lungo corso italiano. La madre Galina Pavlovna Rezničenko (1911-fine del 1990) non aveva né istruzione né una professione. 02/01/1942 la famiglia viene deportata ad Akmolinsk, in Kazakistan, kolchoz “Svet” [“Luce”]. 1942 la sorella Elizaveta (nata nel 1939) muore di fame. 1944 Nasce la sorella Zinaida. 1942-1946 finisce la quarta classe ad Akmolinsk. 1946 la famiglia si trasferisce nel Kuban’ (provincia di Krasnodar), a Primorsko-Achtarsk e s’iscrive a una scuola di musica. 1951 finisce la scuola media della durata di dieci anni, frequenta per due anni il corso per corrispondenza di fisarmonica dell’accademia musicale di Krasnodar senza terminare gli studi. 1952 va a lavorare come apprendista del padre in una fabbrica di botti a Primorsko-Achtarsk. 1954-1957 svolge il servizio militare nell’esercito sovietico nella regione di Irkutsk. 1957 torna a Kerč’ con i genitori. Lavora in una fabbrica di botti ed è membro di una banda musicale  dilettantistica. 1960 si sposa con Aida Petrovna. 1961 nasce la figlia Galina. 1967 nasce il figlio Aleksandr (deceduto nel 2007). All’inizio degli anni ’80 ha ottenuto una pensione d’invalidità a causa di una malattia al cuore. 2010: un’operazione agli occhi non riuscita lo rende completamente cieco. Prima parte dell’intervista [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=DnYdFFPxxTQ”] Seconda parte dell’intervista [youtube video=”https://www.youtube.com/watch?v=xyGjNS9hQnQ”] Scarica la trascrizione dell’intervista Scarica la traduzione dell’intervista Credits Intervistatrice: Alena Kozlova Operatore: Viktor Griberman Trascrizione: Natalia Christoforova Traduzione: Zeno Gambini Giulia Giachetti Boico per la sua preziosa collaborazione a Kerč’ La storia di Nikolaj in breve Nikolaj Anatolevič è nato a Kerč’ il 22/10/1935. Il padre, Anatolij Iosifovič Carbone (1911-1970) era un capitano di lungo corso italiano. La madre, Galina Pavlovna Rezničenko (1911-fine degli anni Novanta) era casalinga, entrambi originari di Kerč’. All’inizio degli anni Trenta Galina era un’attivista del Komsomol a Katerlez, non lontano da Kerč’ e, secondo Nikolaj Anatolevič, è stata testimone delle fucilazioni degli abitanti locali che si erano opposti alla collettivizzazione. Il padre di Galina Pavlovna, un ricco proprietario, è morto poco dopo aver iniziato a lavorare in un kolchoz. Nikolaj Anatolevič non si ricorda dei nonni, Iosif e Rosalia Carbone; sa che il nonno era un capitano venuto dall’Italia. Il padre aveva un fratello maggiore, Franz, membro del VKPB, presidente del sovchoz italiano “Sacco e Vanzetti”, una persona molto rispettata. Nel 1938 lo zio Franz è stato arrestato con l’accusa di aver pianificato un attentato terroristico contro la fabbrica Vojkov di Kerč’. Al termine dell’inchiesta, durata un anno e mezzo, le accuse sono state archiviate, ma nel gennaio del 1942 lo zio Franz è stato deportato con la famiglia in Kazakistan, senza però essere espulso dal partito. Tra il 1935 e il 1937 la sorella del padre, di cui ignoriamo il nome, è andata a vivere in Italia, presumibilmente a Trieste. I figli della sorella minore di Nikolaj Anatol’evič hanno mantenuto i contatti con lei. La famiglia Carbone viveva nella casa del nonno, a Kerč’, dove c’era un grande giardino. I primi figli, nati nel 1931 e nel 1932, sono morti prima di compiere un anno. Nel 1939 è nata la figlia Lidija. Dopo l’occupazione di Kerč’ da parte dell’esercito tedesco e rumeno, le condizioni di vita della famiglia sono diventate molto precarie, soprattutto per mancanza di cibo. Qualche volta Nikolaj andava in una cucina da campo tedesca per cercare qualcosa da mangiare: non l’hanno mai cacciato via. Dopo la liberazione di Kerč’ da parte dell’Armata Rossa nel gennaio del 1942 alla famiglia sono stati concessi 20 minuti per prepararsi al trasferimento, prima a Novorossijsk poi in Kazakistan, nel kolchoz “Svet”, oblast’ di Akmolinsk, dove ha trovato ospitalità presso gli abitanti locali. La sorella Lida non è sopravvissuta al primo inverno. I genitori lavoravano nel kolchoz come addetti alla tosatura delle pecore, aravano i campi e trasportavano il pane. In primavera hanno costruito un rifugio sotterraneo e Galina Pavlovna una stufa russa, che è stata la sua salvezza. Mentre i genitori lavoravano, Nikolaj andava in cerca di cibo ovunque, preparava esche per i pesci e raccoglieva qualsiasi cosa fosse commestibile. Nel 1942 ha frequentato la prima classe, mentre nel 1944 è nata la sorella Zinaida. La madre, il vero pilastro della famiglia, spesso doveva tirare fuori il padre da situazioni difficili. Nel 1946 ai Carbone è stato concesso di andarsene e hanno deciso di trasferirsi nel Kuban’, a Primorsko-Achtarsk, vicino allo zio Franz, che li ha sempre sostenuti. Ma la vita nel Kuban’ non era molto più facile. Il padre ha contratto la malaria e per un anno non ha potuto lavorare. Nel 1947 è nata la sorella Nina. Avevano una piccola fattoria con mucche e alcuni polli. Nikolaj era il principale procacciatore di mezzi di sussistenza per la famiglia, prendeva le spighe e i cereali dalle auto di passaggio e per questo veniva picchiato spesso dalle guardie. Sono riusciti a costruire una casa di mattoni, ma sempre con il desiderio di tornare e nel 1948 Nikolaj è tornato a Kerč’ con la madre per vedere se fosse possibile sistemarsi lì. La casa dei nonni era distrutta e a ogni richiesta di registrare la residenza a Kerč’ la risposta era: “Per gli italiani non è possibile”. Nel 1951 Nikolaj ha terminato la decima classe della scuola di musica e si è iscritto all’accademia musicale di Krasnodar per corrispondenza. Ha cercato un lavoro, ha suonato ai matrimoni e in vari club, ma ha capito subito che suonare non gli avrebbe procurato alcuna sicurezza materiale, perciò ha iniziato a lavorare come apprendista con suo padre in una nuova fabbrica di botti e, per guadagnare qualcosa in più, si è anche dedicato alla costruzione di case private. Tra il 1954 e il 1957 ha svolto il servizio militare nell’esercito sovietico nel distretto di Irkutsk e, poco dopo il congedo, si è trasferito con i genitori e le sorelle a Kerč’, dove hanno potuto finalmente registrare la residenza. I primi tempi sono stati ospiti presso alcuni conoscenti italiani. Allora Nikolaj lavorava in una fabbrica di botti e, allo stesso tempo, suonava in una… Continua a leggere Gli ultimi testimoni. Gli italiani di Crimea | Nikolaj Anatol’evič Carbone

Gli ultimi testimoni. Gli italiani di Crimea

La deportazione in Kazachstan della comunità italiana di Kerč’ durante lo stalinismo. Il progetto “Gli ultimi testimoni”. L’Associazione internazionale Memorial ha raccolto in lunghi anni di ricerche molte testimonianze delle vittime delle repressioni in Unione Sovietica. La memoria orale rappresenta una delle fonti più importanti per capire quali furono le loro condizioni di vita non solo durante la prigionia, ma anche dopo la liberazione e il difficile reinserimento nella società sovietica. Nell’ambito del progetto intitolato “Gli ultimi testimoni” sono stati intervistati anche alcuni italiani che facevano parte della comunità di Kerč’ in Crimea e che furono deportati in Kazachstan nel 1942. La comunità degli italiani di Kerč’ si era formata in due momenti diversi, a cui risalivano i due diversi strati sociali che ancora negli anni Venti la componevano: prima della guerra di Crimea erano giunti commercianti liguri provenienti dal regno di Piemonte e di Sardegna. Dopo il 1860 arrivarono dalla Puglia sulle coste del Mar Nero sia marinai e capitani di navi mercantili sia agricoltori. Nei decenni seguenti la presenza italiana si affermò in città come Mariupol’, Feodosia, Berdjans, Taganrog, Nikolaev e Teodosia. Durante la seconda guerra Mondiale, nel settembre del 1941, la penisola di Kerč’ fu invasa dai tedeschi e pochi mesi dopo liberata dall’Armata Rossa. Ciò ebbe conseguenze gravissime per la comunità italiana, accusata di collaborazionismo con gli occupanti nazisti. Fra il 25 e il 29 gennaio del 1942 tutti gli abitanti di origine italiana furono deportati in Kazachstan. Qui la popolazione femminile, insieme a vecchi e bambini, restò a lavorare nei kolchozy mentre gli uomini vennero inviati al lavoro coatto nel complesso metallurgico di Čeljabinsk, che era in corso di costruzione sotto la direzione dell’NKVD. Le famiglie poterono riunirsi solo dopo la fine della guerra. Alcune rimasero a vivere in Kazachstan, altre a Čeljabinsk, a Saratov o in altre località della regione, mentre solo pochi riuscirono a tornare a Kerč’. Troverete le testimonianze degli italiani di Crimea: Nikolaj Anatol’evič Carbone Anatolij Nikolaevič Černjavskij Nadežda Matveevna Denisova (Tubol’ceva/Giachetti) Natalja Vasilevna Gorbulëva Giovannella Iosifovna Rjazanceva (Fabiano/Benetti) Ippolita Vinčensovna Scolarino El’vira Augustovna Turčenko (Fabiano)

Gli ultimi testimoni. Intervista

Jurij  Fidel’gol’c ricorda: La mia vita nel campo Jurij L’vovič Fidel’gol’c è stato arrestato nel 1948 con l’accusa di aver creato un’organizzazione antisovietica. Condannato a 10 anni di lavori forzati, ha scontato la pena nei campi speciali di Tajšet e della Kolyma. È stato liberato per malattia nel 1954. Trasferimento Quando è terminata l’istruttoria. Dimurin ha detto: “Lo sa che si è cacciato in un guaio, insomma non starò a dirle quanto la faccenda sia seria, ma tenga presente che lei deve assolutamente tornare. E indubbiamente il campo non la deve spaventare, perché là lavorerà, non si disperi”. Ed ecco, infine, il trasferimento. Mi trovavo in un vagone da qualche parte alla periferia di Mosca, mi ci portò un corvo nero (auto utilizzata per il trasporto dei detenuti, n.d.t.). Fino al vagone Stolypin. Mi hanno messo nel vagone, che era un vagone proprio a parte, staccato dal convoglio. In seguito l’hanno attaccato al convoglio, ma la finestra del vagone Stolypin era tutta sbarrata e non si vedeva nulla. Quando il treno è passato vicino a Sverdlovsk (l’odierna Yekaterinburg, n.d.t.), insomma, attraverso il fumo nebbioso, ecco infinite torri, recinzioni, recinzioni, recinzioni, recinzioni e torri, torri, torri – una distesa enorme. Ho pensato: “Che cos’è?” Secondo me, che ero ignaro, si trattava forse di una struttura militare, qualcosa di segreto. Quando ne parlai con i miei compagni di viaggio, e con uno che era già esperto, lui ha detto: “Stupidone, sono dei campi, i campi attorno a Sverdlovsk sono tantissimi, una zona dietro l’altra”. Ecco, mi ha spiegato. Quindi ho pensato: “O Signore, è mai possibile una cosa del genere nel nostro Paese? Proprio degli spazi immensi occupati interamente da queste torri e dal filo spinato, destinati al popolo!”. Poi per il trasferimento ci hanno fatto scendere a Sverdlovsk. Dalla zona di trasferimento ci hanno portato via con dei furgoni, fino a una zona periferica della città, e là era già stato organizzato il trasferimento nei vagoni riscaldati. Questi vagoni erano forniti di stufe. Al centro del vagone c’era la stufa e la legna e poi i tavolacci. Ecco. Sui due lati del vagone. Ognuno si sceglieva il proprio posto, ecco come ci sistemavano, intanto si muoveva il convoglio e in questi vagoni andavamo avanti. In ogni carrozza c’erano circa 30/40 persone. Ci davano da mangiare principalmente aringhe e fiocchi d’avena, che con un mestolo prendevano da una botte, e dell’acqua calda. Lo zucchero ce lo davano a zollette, questo me lo ricordo. La scorta era spietata, dando per scontato che eravamo tutti fascisti. Ci chiamavano fascisti, anche gli inservienti ci chiamavano fascisti. Ecco i fascisti, indipendentemente da chi si ha di fronte, un trockista, un seguace di Bucharin, uno di Vlasov, o altro ancora. Fascisti e basta, tutti fascisti, tutti antisovietici, fascisti. Ozerlag – campo nella regione di Irkutsk Ci hanno fatto scendere a Tajšet, sulla linea Tajšet – Bratsk. Era inverno e subito ci siamo trovati in cumuli di neve, dai vagoni direttamente ci siamo ritrovati tra la neve. Il campo era già sistemato, era un vecchio e brutto campo, costruito dai prigionieri di guerra giapponesi ed era pieno di rifiuti. Non c’erano dei mucchi di legna, derivanti dalle strutture abitative di legno, ma delle specie di residui di tavole di legno, c’erano delle baracche staccate, in cui c’erano fessure della dimensione del palmo di una mano. Quando al mattino ci svegliavamo, alcuni/ Ad esempio, io in particolare dormivo in queste baracche vestito e con il cappello che mi copriva le orecchie, me lo infilavo ben bene, per non far gelare il capo, perché le fessure nei muri facevano entrare l’aria gelida. Ogni tanto mi svegliavo e si era formata una crosta di ghiaccio tra il cappello e la fessura, e non potevo muovere la testa. Quindi sfilavo la testa dal cappello e lo tiravo per farlo staccare. Tutti i miei vestiti erano logori, avevo un abito di terza mano, toppe su toppe, sporco, sia la giacca imbottita, che la maglietta e il maglione. Si tratta di qualcosa di insopportabile. Avevo delle specie di calzature, che mi tagliavano i piedi, della fabbrica di trattori di Čeljabinsk. In pratica mi ero già trasformato in una specie di animale. Ci hanno assegnato un numero e ci hanno detto: “Non siete in un campo comune, siete tutti condannati per l’articolo 58, siete in un campo di regime particolarmente duro, l’Ozerlag, indosserete sempre il vostro numero, vi muoverete solo con la divisa fornita, se infrangerete le regole e ve ne andrete in giro con altri abiti, vi puniremo ancora, anche con la cella di rigore”. Ecco. Possono anche dare l’articolo 58-14 per sabotaggio. Mi hanno mandato alla sistemazione della ferrovia. Là c’era bisogno di fare di tutto: ho portato le traversine, uno sforzo terribile, un lavoro straziante, trascinavo i binari, coprivo la massicciata con zolle di terra. Il lavoro era molto pesante non perché fosse difficile, ma perché c’era molto da fare, cioè bisognava raggiungere norme di lavoro così sbilanciate, che in due-tre giorni non si riusciva a fare quello che si doveva fare in qualche ora. Berlag – il campo costiero della Kolyma Ci hanno mandato, tutti quelli che c’erano, circa 30/40 persone in quel furgone di detenuti, ci hanno mandato nei luoghi remoti della Kolyma, sotto scorta. Là c’era un campo enorme, all’incirca a 600 chilometri da Magadan. Stavano costruendo una centrale elettrica, a giudicare da quanto si vedeva. Erano in corso lavori di sterro, per estirpare dei ceppi e quindi scavare vicino al fiume. Per quale motivo, non lo so. Forse volevano realizzare una diga. In ogni caso, mi costringevano a scavare anche a mano. Insomma, immaginatevi cosa significa scavare a mano con 50 gradi sotto lo zero, graffiare la terra con un piccolo piccone. E si doveva farlo, si doveva realizzare la norma, bisognava fare 10 buchi al giorno, ognuno doveva avere una profondità non inferiore a 60-70 cm. Nei territori coperti dal permafrost è un compito terribile. In generale, non ero utile in niente e hanno deciso di… Continua a leggere Gli ultimi testimoni. Intervista

Gli ultimi testimoni. Intervista

Jurij  Fidel’gol’c ricorda: Mi sentivo un uomo sovietico Jurij Fidel’gol’c è stato arrestato nel 1948 con l’accusa di propaganda antisovietica, di agitazione e attività controrivoluzionaria organizzata. È stato condannato a 10 anni di ITL (Ispravitel’no-Trudovoj Lager’, Campo di Lavoro Correzionale). Ingegnere edile. Attualmente vive a Mosca. ————— Sono nato nel 1927 a Mosca. Secondo le concezioni sovietiche la mia famiglia era perfettamente normale, lontana dalla politica. Mi sono iscritto, dopo la scuola di base, al corso di preparazione per entrare all’Istituto dell’Acciaio. Proprio là ho conosciuto i miei futuri complici: Sokolov Valentin e Boris Levjatov. Ci sembrava che forse qui da noi qualcosa non andasse proprio per il verso giusto. Parlavamo in base alle nostre opinioni e ciò sfociava in discussioni del tutto puerili, da ragazzi. Ci sembra di avere un’ideologia fantastica, l’ideologia del comunismo, ma non viviamo particolarmente bene. In base ai migliori esempi della letteratura russa sapevamo bene che la nostra letteratura si è sempre distinta per la libertà di pensiero, cominciando dai tempi di Puškin per finire con le opere del “Secolo d’Argento”. E all’improvviso ecco questi limiti, questa censura feroce. Tutto ciò ci sembrava strano e nei nostri discorsi certamente ammettevamo l’un l’altro questa stessa critica. In particolare io scrivevo appunti, poi gli stessi sono stati presentati dai giudici in qualità di accusa, come indizio della mia condotta antisovietica. In seguito il mio destino è andato così: mi sono scritto ad una scuola professionale teatrale, mentre Boris Levjatov e Sokolov sono entrati nell’esercito. Studiavo e mi sentivo un bravo uomo sovietico e, all’improvviso, mi si avvicina un’auto mentre tornavo dagli studi. “Fidel’gol’c?” “Si, Fidel’gol’c”. “Venga con noi”. E mi accompagnano, chissà perché in auto, in via Kropotkinskaja, all’ufficio del controspionaggio. Solo in seguito ho scoperto che si trattava dell’ufficio del controspionaggio. Fino a quel momento il tenente che mi accompagnava semplicemente mi aveva detto: “Non si preoccupi, sapremo qualcosa da lei e la lasceremo andare. Dobbiamo solo sapere qualcosa, a riguardo di alcune cose”. Ecco tutto. Mi hanno portato nell’ufficio del procuratore al primo piano ed è iniziato l’interrogatorio. Ha cominciato subito a rivolgersi a me con parolacce terribili e ingiuriose, con un tono così umiliante che offendeva la mia dignità umana. Gli rispondevo in un modo che non gli piaceva troppo, non gli piacevano le mie risposte. Ma cosa mai potevo rispondere altrimenti? Che cosa mi ricordo? Mi sono già dimenticato tutto, anche se potessi ricordare qualcosa. Ed ero completamente impegnato con tutt’altre questioni: questioni di arte, a teatro, quali ruoli studiare e così via. E del fatto che una volta avevo tenuto certi discorsi con Boris e Sokolov mi ero completamente dimenticato. Quel villano di Maksimov, il secondo procuratore, aveva già in mano due miei quaderni su cui avevo scritto degli appunti. Li riconobbi subito. Agitava quei quaderni per nulla particolari, con copertina nera, di tela di cotone. Proprio in quei quaderni c’erano i miei appunti, di quando tenevo un diario, cosa che poi ho smesso di fare, e stavano in casa mia. Nessuno si ricordava di quei quaderni. Io stesso li avevo dimenticati. Semplicemente stavano da qualche parte e basta. E lui iniziava ad agitarmeli davanti e diceva: “Ecco! Ecco ciò che tu stesso hai scritto. Ora noi sappiamo già di cosa ti occupi. Veleno terribile, antisovietico. Ecco Zoščenko, Achmatova!” E iniziava a leggere le mie frasi. “Bene. Adesso non ti potrai più sottrarre. Ora apriamo un fascicolo nei tuoi confronti”. Quindi hanno redatto un atto e, senza pensarci troppo, mi hanno messo in un furgone militare e portato in prigione, la prigione di Butyrka. Mi accompagnavano due guardie e tra loro parlavano così: “Chi trasportiamo?” “Una spia, probabilmente, o un antisovietico, non fa differenza!” “Cosa pensi, vivrà a lungo?” “No, con loro non perdono troppo tempo. Li fanno fuori e basta”. Ecco, in mia presenza facevano questi discorsi. Quando mi hanno portato alla prigione di Butyrka, si sono aperte, come in una conchiglia, delle porte pesanti e cupe e già sentivo che la conchiglia si chiudeva dietro di me, come dietro a un verme capitato nella conchiglia stessa. Là i militari di scorta mi hanno consegnato nelle mani delle camice celesti. Il personale a quel tempo laggiù aveva chissà perché quelle divise celesti. Il posto dove sono stato accolto si chiamava “Stazione”, lì accoglievano anche quelli che poi da quel luogo andavano al processo, tutto avveniva alla “Stazione”. C’erano lì tante piccole celle, dove per prima cosa mi hanno rinchiuso. In ognuna c’erano 5-6 persone. Tutte erano fatte di mattonelle smaltate, fino in alto. Quando mi hanno mandato in una di queste celle, ho visto su una mattonella una scritta graffiata a mano: “Compagno, credi, si alzerà” e ho pensato: “Sì, sono un decabrista. Significa che il Paese riceve un nuovo decabrista, oltre a colui che ha scritto sulla mattonella”. Poi mi hanno spostato in una cella singola; si distingueva da quelle comuni per il fatto di potersi solo sedere e alzare. Non mi ricordo quanto tempo passai in questa cella, ogni tanto mi portavano fuori per i bisogni personali. Davano anche del cibo in una scodella. Tuttavia, mi ricordo che non mangiavo nulla, non volevo nulla, bevevo e basta. Mi si stavano già affievolendo anche i sensi, poiché i dolori erano insopportabili, visto che là dentro mi irrigidivo.   In seguito sono cambiate le guardie che mi accompagnavano, secondo me un vecchietto mi accompagnava, anche lui in uniforme celeste, al laboratorio. Mi hanno preso le impronte digitali, spalmandomi le dita con l’inchiostro e facendomele poi premere. Nello stesso tempo mi schiacciavano loro stessi le dita, premendo con una mano su ogni dito. Quindi mi hanno fotografato, in varie posizioni. Ho capito che ero davvero finito male quando hanno iniziato a trattarmi in questo modo. Mi portavano attraverso dei passaggi della prigione di Butyrka, dove c’è un’enorme quantità di passaggi e corridoi tra una scala e l’altra, tutte le scale sono unite in una stessa rete; inoltre le guardie che si incontrano camminano con altre persone e sulla loro fibbia tintinnano… Continua a leggere Gli ultimi testimoni. Intervista