Pubblichiamo la traduzione del discorso tenuto giovedì 18 luglio 2024 da Il’ja Jašin in occasione dell’udienza, svoltasi presso il tribunale di Safonovo, relativa alla richiesta, avanzata da Jašin e dalla sua difesa, di dichiarare illegittima la reclusione in cella di isolamento. Il’ja Jašin, oppositore politico, è detenuto in una colonia penale della regione di Smolensk dove continua a scontare la condanna a otto anni e mezzo di reclusione comminata il 9 dicembre 2022 per “diffusione di fake news sull’esercito”. Sul suo canale YouTube aveva parlato degli eccidi commessi dall’esercito russo a Buča nei primi mesi della guerra in Ucraina. Onorevole giudice! Come qualsiasi prigioniero politico russo, finisco regolarmente in cella di isolamento (ŠIZO). È un metodo comune per esercitare pressione psicologica sui detenuti che dietro le sbarre non rinunciano alle proprie idee e alle proprie posizioni. Una cella sporca e condizioni di reclusione ai limiti della tortura sono la vendetta per il dissenso. Certo, un essere umano è capace di abituarsi a tutto. Ho passato settimane rinchiuso nello ŠIZO e mi sono gradualmente adattato. Ma lo dico con sincerità: la prima volta che si varca la soglia del carcere duro, si prova un senso di enorme oppressione. Sembra quasi di entrare in una macchina del tempo che riporta al 1937, ai tempi delle purghe staliniane. Come si presenta una cella dello ŠIZO? È una scatola di cemento di due metri per tre. Da una finestrella passano a fatica i raggi del sole, perché l’accesso è impedito da due strati di inferriate e una barriera di filo spinato. In un angolo è posizionato un water di acciaio, nell’altro un lavabo con acqua fredda e rugginosa. Le tubature marce diffondono nell’aria un continuo fetore di escrementi. Alle cinque del mattino la branda di ferro viene fissata alla parete e durante il giorno, fino all’ora della ritirata, i reclusi hanno il divieto di distendersi. Si possono soltanto sedere su un minuscolo sgabellino oppure camminare senza sosta nella cella stretta: due passi avanti, due passi indietro. Si è costretti a sentirsi fisicamente a disagio. Libri, carta e penna sono concessi soltanto per un’ora e mezza, mentre per il resto del tempo è vietato leggere e scrivere. Si può solo guardare il muro. Si è costretti a impazzire dalla noia. Viene servita una sbobba che mette davvero a dura prova lo stomaco. Della kaša pesante, della pasta che naviga nel grasso o una patata sporca con del pesce non pulito: questa è la tipica razione nello ŠIZO. A differenza degli altri detenuti, chi è lì dentro non può mangiare nient’altro. Verdure, mele, persino un cioccolatino col tè: tutto vietato. Si è costretti a patire la fame. In aprile spengono il riscaldamento, ma le spesse pareti di cemento rimangono gelide ancora a lungo e in cella fa un freddo cane. E nello ŠIZO non ci si può portare neppure il maglione in dotazione ai carcerati. Si è costretti a congelare. Gli occupanti delle celle di rigore condividono lo spazio con nugoli di zanzare e moscerini che di notte li divorano. E pure con i ratti, che regolarmente sgusciano fuori dai buchi dietro il water alla ricerca di cibo… Tutto questo, prima di finire in una colonia penale, l’avevo letto soltanto nei libri. Trattamenti simili erano riservati ai “nemici del popolo” nei campi di prigionia staliniani; più o meno queste erano le condizioni in cui erano tenuti gli antifascisti nei sotterranei della Gestapo. Tali pratiche sono ancora attuali nella Russia del XXI secolo. Dietro la facciata delle boutique e dei ristoranti costosi della capitale ci sono sempre le stesse celle di cemento, le vessazioni e la dignità umana calpestata dagli stivali dei carcerieri. Il motivo della mia reclusione nello ŠIZO non è un mistero. La direzione della colonia non si sforza nemmeno di negare che esercita pressioni su di me dietro richiesta di funzionari che occupano posti rilevanti al Cremlino. Così facendo, il potere ritiene di fiaccare la mia volontà e di costringermi al silenzio. Ma qual è stato il pretesto formale per sottopormi a una detenzione così dura? Lei, onorevole giudice, ha davanti a sé tre rapporti, in base ai quali sono stato rinchiuso nello ŠIZO per quasi un mese e mezzo. Riferiscono le “tremende” infrazioni che avrei commesso: mi sono tolto la giubba sedendomi al tavolo della mensa; mi sono alzato dalla branda con cinque minuti di ritardo; mi sono cambiato la maglietta dopo la doccia in un momento in cui ciò non era consentito… A una persona libera che vive nel mondo normale è difficile spiegare cosa ci sia di criminale nelle azioni qui riportate e perché un detenuto debba essere punito per questo, per di più in modo tanto severo. Ma le norme del regolamento degli istituti correzionali in vigore in Russia concedono alle autorità delle colonie penali una capacità di arbitrio sostanzialmente illimitata. Si possono ricevere quindici giorni di ŠIZO per un bottone slacciato, per un cuscino sgualcito… Sì, per qualsiasi cosa. Ma lo sa qual è la vera sorpresa? Che, persino avendo a disposizione uno strumento così efficiente, la direzione della colonia non è comunque riuscita ad agire secondo la legge perché i rapporti che mi riguardano sono stati grossolanamente fabbricati ad arte. Ne è conferma il fatto che le registrazioni video delle telecamere di sorveglianza richieste dal tribunale, che avrebbero documentato le mie infrazioni, sono state cancellate. La misera replica della direzione, secondo cui le disposizioni interne della colonia richiedono che tali registrazioni vengano eliminate trascorso un mese, non sta in piedi. Per legge, un detenuto ha tre mesi di tempo per ricorrere contro qualsiasi rapporto che lo riguardi. È evidente che per un periodo minimo di tre mesi debbano essere conservate anche le prove della sua colpa. E che la direzione abbia eliminato in fretta e furia tutti i video è la chiara testimonianza del banale tentativo di coprire le tracce di un falso amministrativo. Il tribunale dovrebbe credere agli addetti della colonia sulla loro parola, che non può essere confermata in alcun modo. È una posizione assai… Continua a leggere Il’ja Jašin. Intervento del 18 luglio 2024.
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Oleg Orlov. Confermata la condanna a due anni e mezzo di reclusione.
Giovedì 11 luglio 2024 si è tenuta a Mosca, presso il Mosgorsud, Tribunale municipale di Mosca, l’udienza per il ricorso contro la condanna di Oleg Orlov. La giudice Marija Larkina ha confermato la sentenza senza modifiche: Oleg Orlov, 71 anni, al momento ex copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, è ritenuto colpevole di “vilipendio reiterato delle forze armate della Federazione Russa” ed è condannato a due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario. Orlov rimane nel centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’, regione di Samara. In occasione dell’udienza numerose persone si sono raccolte presso il tribunale di Mosca per sostenere Orlov, collegato in videoconferenza dal carcere di Syzran’: tutti i posti erano occupati sia nell’aula principale sia nella sala del collegamento. Erano presenti il giornalista Dmitrij Muratov, premio Nobel per la pace 2021, Vladimir Lukin, ex commissario per i diritti umani della Federazione Russa, il dissidente Vjačeslav Bachmin, i colleghi di Memorial Svetlana Gannuškina e Jan Račinskij, la moglie di Sergej Kovalëv, Ljudmila Bojcova, rappresentanti di ambasciate estere. Prima dell’inizio dell’udienza Orlov ha salutato tutti i presenti e ha detto: “Non mi pento di niente e non rimpiango niente. Mi trovo nel posto giusto al momento giusto. Mentre nel nostro paese ci sono repressioni di massa, mi trovo accanto a chi è perseguito, e aiuto”. A quel punto l’audio è stato chiuso. “Censura!” ha gridato qualcuno tra i presenti. Orlov ha di nuovo richiesto alla corte il rinvio dell’udienza dal momento che la documentazione processuale gli è stata fornita in forma illeggibile: quattro pagine in caratteri minuscoli su uno stesso foglio. La giudice ha respinto la richiesta. Nel corso del dibattimento l’avvocata Keterina Tertuchina ha sottolineato che nel secondo processo contro Orlov la corte non aveva il diritto di appesantire la posizione dell’imputato attribuendogli l’aggravante di “motivi di odio e ostilità”. La corte inoltre non poteva attribuire a Orlov due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario: alle persone condannate per reati di lieve e media gravità e che non hanno mai riportato altre condanne è infatti solitamente attribuita la reclusione in istituto di correzione. Oleg Orlov ha quindi pronunciato la sua quarta ultima dichiarazione ovvero, secondo il sistema giudiziario russo, la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dalla difesa. “Il secondo processo nei miei confronti condotto dal Mosgorsud ha dimostrato che la corte, così come gli inquirenti, eseguivano un ordine di carattere politico. Non mi resto altro da fare se non una citazione, modificando cinque parole in due passaggi. Ma subito dopo spiegherò cosa ho modificato. Hanno distorto, deformato e alla fine hanno ottenuto la distruzione completa della giustizia e delle leggi dello Stato. Hanno reso il sistema giudiziario parte integrante della dittatura. Hanno soppresso ogni forma di indipendenza giudiziaria. Hanno minacciato, intimidito, privato dei diritti fondamentali chi si è ritrovato di fronte a un tribunale. I processi da loro condotti sono stati orribili farse con residui rudimentali di procedura giuridica, che erano solo sbeffeggiamenti nei confronti delle sfortunate vittime. Dal momento che sono in prigione e che qui ho ho conosciuto molte persone, ritengo che abbiano il diritto di pronunciare queste parole non solo i prigionieri politici, ma anche molte altre persone detenute in base a imputazioni che nulla hanno a che vedere con la politica. Queste parole sono sorprendentemente adatte per descrivere l’attuale situazione del sistema giudiziario della Federazione Russa. Ma sono state pronunciate nel 1947 a Norimberga. Ho solo omesso alcune parole – gli imputati e i loro colleghi – e bisogna indicare il nome dello Stato di cui stiamo parlando: la Germania. I paralleli sono del tutto evidenti.” Illustrazione: Marina N. Foto: Aleksandra Astachova / Mediazona.
Evgenija Berkovič e Svetlana Petrijčuk. Condannate a sei anni di reclusione.
Lunedì 8 luglio 2024 il Tribunale militare n. 2 del Distretto occidentale di Mosca ha condannato a sei anni di reclusione in colonia penale la regista Evgenija (Ženja) Berkovič e la sceneggiatrice Svetlana Petrijčuk per apologia di terrorismo. Lo stato russo – nel giorno degli attacchi terroristici su Kyïv, Dnipro, Kryviy Rih e altre città ucraine, durante i quali un missile russo ha colpito l’ospedale pediatrico oncologico Ohmatdyt di Kyïv causando la morte di decine di persone e lasciando centinaia, se non migliaia, di bambini gravemente ammalati senza l’assistenza e le cure necessarie – ha condannato Ženja Berkovič e Svetlana Petrijčuk per lo spettacolo Finist jasnyj sokol (Finist falco coraggioso). AP Photo/Alexander Zemlianichenko Noi di Memorial – raccontano i colleghi russi – abbiamo conosciuto Ženja Berkovič nel 2012: l’abbiamo invitata a collaborare con noi per il festival Drama pamjati (Il dramma della memoria) nella nostra sede di Mosca in via Karetnyj rjad, in cui decine di giovani registi e attori teatrali lavoravano a progetti di teatro documentario sulla base dell’archivio di Memorial. A quel festival Ženja e i suoi compagni di corso di Sed’maja studija hanno allestito lo spettacolo Sud nad Brodskim. Čelovek, kotoryj ne rabotal (Processo a Brodskij. L’uomo che non lavorava). Dopo la prima lo spettacolo è stato replicato per due anni e visto da migliaia di spettatori. Al festival Drama pamjati ha partecipato anche un altro giovane regista, Talgat Batalov, con il progetto Moё poslednee slovo (La mia ultima dichiarazione), basato sulle ultime dichiarazioni pronunciate durante i processi ai prigionieri politici sovietici, ai prigionieri politici della Bielorussia di Lukašenko così come alle Pussy Riot e a Michail Chodorkovskij. Secondo il sistema giudiziario russo agli imputati è infatti concessa un’ultima dichiarazione (poslednee slovo) ovvero la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dalla difesa. I dimostranti di piazza Bolotnaja sono stati arrestati durante la preparazione della nostra iniziativa, ma non hanno fatto in tempo a pronunciare le loro ultime dichiarazioni nei giorni dal 14 al 17 giugno 2012, date di programmazione del festival. Allora Talgat Batalov ha deciso di presentare il suo progetto con queste parole: “Nessuno di noi sa a chi, nella propria vita, toccherà pronunciare la sua ultima dichiarazione. Perciò propongo a tutti gli spettatori di partecipare a una prova aperta. Vi chiederò di scegliere il testo di diverse ultime dichiarazioni e di leggerle, mentre io vi aiuterò a farlo con forza ed espressività”. Ieri Ženja Berkovič e Svetlana Petrijčuk hanno pronunciato la loro ultima dichiarazione. Ieri il giudice Jurij Massin le ha condannate a sei anni di colonia penale a regime ordinario e a tre anni di restrizione nell’amministrazione di siti web. A proposito, sessant’anni fa, il 13 marzo 1964, fu emanata la sentenza contro il poeta Brodskij: cinque anni, non di colonia penale ma di confino. Illustrazione di Inga Christič.
Michail Kriger. Confermata condanna a sette anni di reclusione.
Giovedì 4 luglio 2024 la Corte Suprema della Federazione Russa ha esaminato il ricorso in cassazione contro la condanna di Michail Kriger. L’udienza si è conclusa con la conferma della sentenza. Ricordiamo che il 17 maggio 2023 Michail Kriger, attivista e socio di Memorial Podmoskov’e, era stato condannato a sette anni di reclusione dal Tribunale militare n. 2 del Distretto occidentale di Mosca. Era stato processato in base agli articoli di legge relativi a “giustificazione del terrorismo” e “incitamento all’odio” per alcuni post sui social network nei quali criticava le autorità e si esprimeva contro l’invasione dell’Ucraina. Nell’ottobre dello stesso anno la corte d’appello aveva confermato la sentenza. Al momento Kriger si trova nella colonia penale IK-5 di Naryškino, località della regione di Orël. Ieri Michail Kriger si è collegato in videoconferenza con il tribunale di Mosca. A rappresentarlo in aula erano presenti gli avvocati Michail Birjukov e Ekaterina Ryžkova. A sostenerlo durante l’udienza c’erano più di dieci di persone. Nel ricorso Kriger e la sua difesa indicavano che le accuse mancano di concretezza e non sussistono prove di un reato. In aula Michail Birjukov ha sottolineato che esistono documenti riconosciuti a livello internazionale per valutare le dichiarazioni pubbliche, tra cui il Piano d’azione di Rabat che vieta l’incitamento all’odio nazionale, razziale o religioso e formula criteri chiari per la valutazione di quanto viene espresso. I post di Kriger non soddisfano nessuno di questi criteri. Inoltre sia la Costituzione della Federazione Russa sia il Patto internazionale sui diritti civili e politici garantiscono la libertà di parola. La difesa ha chiesto l’assoluzione. Il pubblico ministero ha insistito sulla validità delle accuse. Collegato in videoconferenza dal carcere di Orël Michail Kriger ha dichiarato: “In questo anno e mezzo la mia posizione non è cambiata. Vorrei tanto chiedere ai miei cari concittadini di Belgorod e Šebekino se ora sono più tranquilli. [Il giudice tenta di interromperlo]. Sono a processo per le mie convinzioni, quindi continuo a parlare. [Il giudice lo avverte ripetutamente che può esprimersi solo in merito al caso]. Non sono d’accordo con la sentenza, mi ritengo innocente, e sono soddisfatto di avere potuto dire che non ho cambiato idea e che due più due fa quattro”. Quando la corte si è ritirata per deliberare, i presenti sono riusciti a scambiare qualche parola con Kriger. Era, come sempre, di buon umore, scherzava: cantava le lodi delle carceri della regione di Orël, dove ha detto di avere imparato il mestiere di “cucitore alla macchina” e di essere già capace di cucire un marsupio. Ha detto di non avere quasi niente di cui lamentarsi, se non dell’assenza di un censore a pieno servizio, e ha invitato a non offendersi se non risponde alle lettere o se alcune non le riceve. Alla propaganda rabbiosa ci si può sottrarre uscendo dalla stanza dove c’è il televisore, ha affermato. I presenti gli hanno detto che è un eroe. – Torna, senza di te ci sentiamo orfani! – Lo farei volentieri, ma temo che qui non siano d’accordo. Già sono di ottimo umore, ma vedervi ha contribuito a migliorarlo all’infinito.
Il’ja Jašin. Udienza del 20 giugno 2024.
Pubblichiamo la traduzione del discorso tenuto giovedì 20 giugno da Il’ja Jašin in collegamento video con il tribunale Mosgorsud di Mosca in occasione dell’udienza del processo che lo vede imputato per il rifiuto di apporre la qualifica di agente straniero alle proprie comunicazioni sui social network. Il’ja Jašin, oppositore politico, è detenuto in una colonia penale della regione di Smolensk dove continua a scontare la condanna a otto anni e mezzo di reclusione comminata il 9 dicembre 2022 per “diffusione di fake news sull’esercito”. Sul suo canale YouTube aveva parlato degli eccidi commessi dall’esercito russo a Buča nei primi mesi della guerra in Ucraina. Foto: Aleksandra Astachova. Vostro onore! La legge sugli agenti stranieri, nella sua prima stesura, è stata approvata dalla Duma ormai dodici anni fa. Allora non c’erano state proteste di massa nel paese, come quelle che abbiamo visto di recente in Georgia, dove decine di migliaia di persone hanno letteralmente preso d’assedio il parlamento locale. Questo perché, in primo luogo, i georgiani hanno imparato dal nostro esempio come funzionano leggi simili ed è chiaro che non vogliono dividere la società tra amici e nemici. E in secondo luogo, all’epoca i russi erano stati convinti che la legge in questione era del tutto innocua e non limitava i diritti di nessuno. A molti sembrava una dichiarazione formale, che non comportava minacce concrete. Ricordo bene il mio dibattito alla radio nel 2012 con uno degli autori della legge sugli agenti stranieri, un deputato di Edinaja Rossija. Il suo tono pacifico mi colpiva. Lui assicurava che nessuno aveva intenzione di reprimere le opposizioni e la società civile, che nel nostro paese c’era piena libertà e niente l’avrebbe minacciata, e che la legge era necessaria soltanto per regolamentare i rapporti tra lo stato e le organizzazioni senza scopo di lucro. Ma io, che non avevo gli occhi foderati di prosciutto, spiegavo al pubblico che questa legge era uno strumento per la lotta al pensiero non allineato, che ogni sua nuova rettifica avrebbe limitato sempre più duramente i diritti dei cittadini e spaventato le voci critiche del potere. E come risultato avremmo ottenuto la legalizzazione del sopruso e molte persone si sarebbero ritrovate a essere emarginate nel proprio paese. Purtroppo il tempo ha confermato i miei timori. Oggi centinaia di nostri connazionali sono inclusi nel registro degli agenti stranieri per ragioni campate in aria e persino in mancanza di una sentenza di tribunale: basta un tratto di penna di anonimi impiegati del ministero della giustizia. A queste persone è proibito insegnare o pubblicizzare qualsiasi cosa, i loro libri vengono tolti da librerie e biblioteche, i loro nomi cancellati dai cartelloni dei teatri. Oltre al divieto concreto di esercitare la loro professione, sono costretti a contrassegnare con quel marchio infame ogni loro espressione pubblica e a rendere conto di ogni copeco speso per gli acquisti al supermercato. E ora il presidente Putin ha firmato l’ennesima rettifica alla legge, che impedisce agli agenti stranieri di candidarsi alle elezioni di qualunque livello… E cosa ne deriva? Che il presidente, tramite il ministero della giustizia da lui controllato, può dichiarare agente straniero qualsiasi oppositore e in tal modo privarlo del diritto di partecipare legalmente alla lotta per il potere. Molto comodo. Quando si profila un candidato promettente, basta uno schiocco di dita ed eccolo diventare un agente straniero, che non può essere ammesso alle elezioni. Non serve più nemmeno ucciderlo. Il cinismo di una tale pratica lesiva dei diritti consiste anche nel fatto che la propaganda putiniana continua a dichiarare a gran voce che l’influenza sociale dei cosiddetti agenti stranieri è insignificante, ma contemporaneamente a queste persone viene impedito di partecipare alle elezioni, perché è evidente che si teme la loro concorrenza. Anche se verrebbe da chiedersi cosa ci sia da temere visto che sarebbero tanto impopolari. Ma è questa l’essenza della legge sugli agenti stranieri: è stata creata per conservare il potere personale di Putin, escludendo ad arte qualunque possibile concorrenza. È del tutto palese che questa legge ha un carattere antigiuridico e discriminatorio. È per questo che per principio mi rifiuto di eseguire le richieste del ministero della giustizia e non mi definisco agente straniero. Allo stesso tempo capisco che i tribunali sono obbligati a emettere le sentenze sulla base delle leggi, per quanto dannose e barbare siano. In tal senso, la posizione del presidente dell’udienza di oggi non mi sembra invidiabile. Tuttavia intravedo una via d’uscita ragionevole. Chiedo a questo tribunale, durante l’esame del mio caso, di farsi guidare innanzitutto dalla legge fondamentale del nostro paese, la Costituzione russa. Certo, negli ultimi anni ha subito varie violenze e ora non si trova nella sua forma migliore. Ma la Costituzione continua a garantire ai cittadini i diritti e le libertà basilari. Garantisce a me, in quanto politico d’opposizione, il diritto di criticare il potere, di esprimere liberamente il mio pensiero e di diffondere informazioni. Non parla affatto di agenti stranieri né di limitazione dei loro diritti. Se una qualche norma federale contraddice la legge fondamentale, i tribunali sono tenuti ad applicare alla lettera i dettami della Costituzione. Così è nel mio caso, pertanto vi chiedo di giudicarmi in base alla legge, alla legge fondamentale della Russia, vostro onore. Rispettate la Costituzione e non assecondate gli oscurantisti che siedono al Cremlino.
Oleg Orlov. Udienza di appello del 7 giugno rinviata all’11 luglio.
Il 7 giugno 2024 si è tenuta a Mosca presso il tribunale Mosgorsud l’udienza di appello per il processo contro Oleg Orlov che è stata tuttavia rinviata all’11 luglio. Più di un anno fa Orlov, tra i fondatori di Memorial e copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, è stato accusato di “vilipendio reiterato dell’esercito” per avere condannato apertamente la guerra criminale che la Federazione Russa ha avviato contro l’Ucraina. Il processo contro Oleg Orlov riflette lo stato attuale del sistema giudiziario della Federazione Russa. Perizie inattendibili, testimonianze di “veterani russi” che si ritengono offesi, brillanti interventi degli avvocati e dello stesso Orlov, due condanne, due processi di appello, Guerre stellari e Kafka. È possibile ripercorrere le tappe dei due processi in russo, sul sito del Centro per i diritti umani Memorial: La cronaca del processo contro Oleg Orlov. Qui offriamo un sintetico resoconto in italiano dell’udienza. Illustrazione: Inga Christič. Immagini: Sota Vision. 7 giugno 2024. Udienza di appello. Mosgorsud, Tribunale municipale di Mosca. Oleg Petrovič Orlov, attivista per i diritti umani, premio Nobel per la pace come membro di Memorial, in collegamento video dal carcere SIZO-2 di Syzran’, regione di Samara. Keterina Tertuchina, avvocata. A. S. Surikov, pubblico ministero. Marija Aleksadrovna Larkina, giudice. → La giudice Larkina non accoglie la richiesta presentata da Orlov di considerare illegittimo il trasferimento presso il carcere SIZO-2 di Syzran’ e di concedergli del tempo per consultare i materiali del processo. → La giudice Larkina solleva la questione del rinvio dell’udienza: non c’è stato tempo per notificare a tutte le parti l’integrazione del ricorso presentata dagli avvocati. → L’avvocata Tertuchina richiede di rinviare l’udienza, riportare Oleg Orlov a Mosca, mettergli a disposizione i materiali del processo e il tempo necessario per preparare il ricorso insieme alla sua difesa. Non ci sono motivazioni oggettive per trattenere Oleg Orlov a Syzran’. Gli incontri con l’avvocato sono molto difficili. Già il 5 aprile la difesa e Orlov avevano riferito di non avere avuto il tempo di consultare tutti i materiali e di prepararsi per l’appello. Il trasferimento di Orlov in un’altra regione viola la presunzione di innocenza e il principio di parità delle parti. Inoltre l’imputato non può partecipare a pieno titolo all’udienza tramite collegamento video: è difficile per lui seguire ciò che accade e non può interagire con l’avvocato. L’avvocata Tertuchina ha anche sottolineato che a Orlov non è stata consegnata l’integrazione del ricorso, da lei presentata il 31 maggio. Lei stessa non è stata adeguatamente informata della data dell’udienza. → Il pubblico ministero Surikov ha accettato il rinvio dell’udienza. → Il giudice ha rinviato l’udienza all’11 luglio 2024 e ha affermato che la questione del trasferimento non è di competenza della corte d’appello. Secondo Larkina, la difesa non è privata della possibilità di incontrare Orlov lì dove si trova. Orlov sarà quindi presente in collegamento video anche nel corso della prossima udienza. Citazioni “Orlov e sua moglie sono due pensionati. Adesso, oltre ai servizi dell’avvocato, dovrebbero anche pagare i viaggi da Mosca a Syzran’ ogni volta che un avvocato fa visita a Orlov. Prima del trasferimento Orlov incontrava la sua avvocata ogni settimana. Adesso è impossibile. Orlov non ha mai ricevuto tutta insieme la documentazione del processo. Ha visto per la prima volta l’ottavo fascicolo solo il 5 aprile e non ha avuto il tempo di consultarlo. Il pubblico ministero partecipa sempre in tribunale di persona. Non deve percorrere lunghe distanze e affrontare spostamenti estenuanti che durano giorni. Non è in alcun modo limitato nel lavoro con i materiali del processo.”
Caorle, 15 giugno. “Europa senza polmoni. La guerra russa in Ucraina e la fine di un sogno”.
Sabato 15 giugno alle 18 a Caorle (Venezia), piazza Vescovado, in occasione della terza edizione del festival Chiamare le cose con il loro nome la nostra Anna Krasnikova, insieme con Mario Mauro e Fausto Biloslavo, partecipa all’incontro Europa senza polmoni. La guerra russa in Ucraina e la fine di un sogno.
Pisa, 14 giugno. Boris Belenkin presenta il volume “Non lasciare che ci uccidano. Storie di Memorial”.
A Pisa, venerdì 14 giugno alle 21.30, presso il giardino della chiesa di San Frediano nell’ambito del Piccolo festival della fiducia Boris Belenkin, fondatore e direttore della biblioteca di Memorial a Mosca oggi esule a Praga, presenta il volume Non lasciare che ci uccidano. Storie di Memorial. Partecipano il nostro Marco Sabbatini e Pierluigi Consorti. Nel marzo scorso Marcello Flores ha avuto modo di intervistare Boris Belenkin per il Corriere della Sera.
Lugano, 8 giugno. “Il coraggio della memoria critica nella Russia attuale”.
A Lugano, sabato 8 giugno, alle 18.00 presso Asilo Ciani, viale Carlo Cattaneo 5, nell’ambito del festival Echi di storia, organizzato dall’associazione ticinese degli insegnanti di storia, i nostri Marcello Flores e Francesca Gori dialogano con Paolo Bernasconi in occasione dell’incontro Il coraggio della memoria critica nella Russia attuale.
“Mi sembra tutto piuttosto ridicolo”.
Intervento di Oleg Orlov del 29 maggio in collegamento video dal carcere di Syzran’.