Nella primavera del 1930 presso il Consiglio del Lavoro e della Difesa fu creato un Comitato speciale per la costruzione del Canale Mar Bianco-Mar Baltico, il Belomorkanal, sotto la presidenza del Commissario del Popolo per il trasporto fluviale compagno Janson. Nel progetto di costruzione del canale, messo a punto da un apposito ufficio-progetti costituito in gran parte da ingegneri detenuti, si indicava tutta una serie di futuri vantaggi economici. Così, si sarebbe abbreviato di quattro volte il tragitto da Leningrado ad Archangel’sk. Questo tragitto, fino ad allora marittimo, e quindi riservato a navi di grosso tonnellaggio, sarebbe diventato fluviale. L’apertura del canale avrebbe alleggerito il traffico sulla ferrovia di Murmansk, e inoltre il trasporto di carichi per via fluviale era notevolmente più economico. Proprio lungo il tracciato del canale si trovavano più di 150 milioni di metri lineari di legname maturo, e il legname in quegli anni era una fondamentale fonte di valuta per il paese. Inoltre un fattore economico di fondamentale importanza fu la possibilità di usufruire di forza lavoro a basso costo. La costruzione del canale fu portata a termine interamente grazie al lavoro manuale dei detenuti. Nel corso del 1931 al cantiere lavoravano, mediamente, 64.100 detenuti, nel 1932 – 99.095, nel 1933 – 84.504. Anche le considerazioni militari favorirono l’avvio della costruzione proprio in quegli anni. Gli orientamenti strategico-militari della dirigenza del paese puntavano allora alla creazione di una flotta del Nord e di una dell’Estremo Oriente, che avrebbero avuto libero accesso all’Oceano. La costruzione del Belomorkanal perseguiva anche scopi socio-politici a più lungo termine. Lo conferma la campagna di esaltazione dell’ennesima impresa dei čekisti guidati da Stalin, che accompagnò e seguì la fine dei lavori. Se in America c’erano voluti 28 anni per ultimare il Canale di Panama, lungo 80 km, e in Asia la costruzione del canale di Suez, lungo 160 km, aveva richiesto 10 anni, in URSS, dove il lavoro “da vergognoso e pesante fardello quale era considerato prima, si è trasformato in questione d’onore, in questione di gloria, in questione di valore e di eroismo”, il Belomorkanal, lungo 227 km, era stato costruito in meno di due anni! Nessuno in quegli anni considerava il costo umano di quell’impresa. La costruzione del canale fu portata a termine nella primavera del 1933. L’atto della commissione governativa dell’URSS sull’entrata in funzione del Belomorkanal fu firmato il 27 luglio 1933. Più di 200.000 detenuti avevano lavorato nel cantiere, decine di migliaia di vite erano state stroncate durante la costruzione del canale.
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BAM – La ferrovia Bajkal-Amur
La costruzione della Ferrovia Bajkal-Amur (Bajkalo-Amurskaja Magistral’), destinata a collegare Tajšet, sulla Transiberiana, a Komsomol’sk sull’Amur attraverso la regione a nord del lago Bajkal, ebbe inizio nel novembre del 1932. La manodopera forzata venne fornita dal Bamlag (con sede nella città di Svobodnyj), che arrivò a contare 268.700 detenuti. Alla direzione del campo fu nominato Natan Frenkel’, già capo del Belomorkanal. Nel 1938 il Bamlag fu riorganizzato e suddiviso in sei campi “ferroviari” diversi: Amurskij, Južnyj, Zapadnyj, Vostočnyj, Jugo-Vostočnyj, Burejskij.
Vorkuta
Il bacino carbonifero della Vorkuta (repubblica dei Komi) fu sfruttato a partire dal 1932 dall’Uchtpečlag dell’Ogpu. Nel 1952 in questo territorio funzionavano diversi grandi lager: Uchto-Ižemskij, Vorkutinskij, Mineral’nyj, Rečnoj, Pečorskij, Ust’vymskij e Obskij. Il più grande della regione era il Vorkutinskij ITL (1938 – 1960), la cui direzione si trovava nella città di Vorkuta. I detenuti, che raggiunsero le 73.000 unità, erano addetti all’estrazione del carbone. Inoltre costruivano miniere, case, impianti civili e industriali (fra cui una centrale termoelettrica), ferrovie. Dopo la spartizione della Polonia tra la Germania di Hitler e l’Unione Sovietica nel 1939, furono portati al Vorkutlag decine di migliaia di cittadini polacchi. Nel 1940 vi finirono i prigionieri di guerra sovietici liberati dopo la fine della guerra contro la Finlandia, come pure migliaia di Lituani, Lettoni e Estoni, i cui territori erano appena stati annessi all’Unione Sovietica. A partire dalla fine del 1943, vi furono internati prigionieri di guerra e civili tedeschi, così come molti altri stranieri.
Kolyma
Nella regione dell’alto e medio corso della Kolyma, all’estremo limite nord-orientale della Siberia, i geologi scoprirono grandi giacimenti d’oro, di cui lo Stato aveva bisogno per attuare il suo progetto d’industrializzazione. Nel novembre 1931 si organizzò un trust statale per la realizzazione di strade e impianti industriali nella regione dell’alta Kolyma: il Dal’stroj. Il territorio all’epoca era praticamente disabitato, e il governo decise di utilizzare i detenuti per colonizzarlo. Nell’aprile 1932 si creò il lager di rieducazione attraverso il lavoro del Nord-Est. La superficie dei lavori era di circa 400.000 chilometri quadrati, e all’inizio degli anni ’50 raggiunse i 3 milioni di chilometri quadrati (quasi dieci volte la superficie dell’Italia). I detenuti alla fine del 1932 erano oltre 11.000 all’inizio del 1934 erano quasi 30.000, negli anni ’40 nel territorio del Dal’stroj si trovavano più di 190.000 detenuti, circa metà dei quali erano condannati per “delitti controrivoluzionari”. Prima dell’inizio della guerra avevano costruito più di 1000 km di strade, la città e il porto di Magadan, tutta una serie di villaggi, miniere e fabbriche. Dopo i primi anni la quantità di oro estratto cominciò a calcolarsi in tonnellate e decine di tonnellate l’anno. La scarsità della razione e il lavoro insostenibile causarono un’alta mortalità fra i detenuti. Negli anni del “Grande terrore” inoltre divennero frequenti le fucilazioni di massa. Dal 1937 al 1940 vennero portati alla Kolyma 70.000-80.000 detenuti l’anno, e molte decine di migliaia vi lasciarono la vita. Con l’inizio della guerra il numero dei detenuti si ridusse sensibilmente, e all’inizio del 1944 ne erano rimasti poco più di 76.000. Nonostante ciò la produzione dell’oro, anziché diminuire, aumentò. Dopo la guerra il numero dei detenuti ricominciò a crescere, fino a superare le 170.000 unità il 1° gennaio 1952. Per provvedere alle proprie necessità estraevano carbone, coltivavano i campi, costruivano nuove strade, accudivano i bambini e lavoravano nelle case dei dirigenti del lager e dei funzionari di partito, recitavano nel teatro di Magadan. Nello stesso territorio nel 1948 fu organizzato il Lager speciale n. 5, riservato quasi esclusivamente ai prigionieri politici, che all’inizio del 1952 contava più di 31.000 detenuti. In tal modo la popolazione carceraria del Dal’stroj superò le 200.000 persone. L’amnistia dopo la morte di Stalin ridusse drasticamente il numero dei detenuti: all’inizio del 1954 ne rimanevano poco più di 88.000. Era l’inizio della decadenza per i lager del Nord-Est. All’inizio del 1956 ne sopravvivevano solo 6, con una popolazione di 40.000 detenuti, e nell’aprile dell’anno successivo furono chiusi tutti i lager superstiti della regione di Magadan. Nei 35 anni della loro storia i lager del Dal’stroj videro passare più di 1.200.000 detenuti, più di 500.000 dei quali condannati per motivi politici. Centinaia di migliaia vi lasciarono la vita, vittime del freddo, della fame e del lavoro insostenibile, delle fucilazioni e delle pallottole delle guardie. Il nome stesso del fiume – Kolyma – divenne in russo sinonimo di lager.
La vita nel lager
Il lavoro assorbiva quasi del tutto la vita dei detenuti. Nella maggior parte dei lager il lavoro forzato durava dalle dodici alle quindici ore, a seconda delle stagioni. La vita nelle baracche, dove il termometro scendeva spesso sotto i 30 o i 40°, o al contrario era caldo e umido in modo insopportabile, era tutta segnata dalla lotta per la sopravvivenza: bisognava sopravvivere al freddo soprattutto, alla fame, alle malattie provocate per lo più dalla debilitazione e dalla mancanza d’igiene, alla violenza dei capisquadra reclutati tra i peggiori delinquenti, al controllo dei guardiani e alle angherie dei secondini. Il tempo che restava era impiegato a procurarsi la legna per la stufa, qualcosa in più da mangiare, a parlare con i compagni di sventura, a cercare di tenersi puliti.
L'arte al servizio del Gulag
Tutti i lager dovevano occuparsi dell’educazione dei detenuti. In ogni campo esisteva un settore speciale – la KVČ (Sezione culturale ed educativa). Qui si tenevano conferenze, era possibile ascoltare la radio o leggere il giornale, qui gli stessi detenuti organizzavano spettacoli teatrali e concerti, ovviamente sotto lo stretto controllo della direzione del campo. Nella KVČ si preparavano tutti i materiali di propaganda e agitazione politica, manifesti, cartelloni, gazzettini ecc. Per gli ex-artisti, attori, giornalisti e scrittori questa occupazione costituiva l’unico mezzo di sopravvivenza, l’unico modo per evitare i lavori più pesanti del campo. I detenuti che lavoravano presso la KVČ ricevevano un vitto migliore e le regole per loro erano meno severe che per gli altri detenuti. Negli anni ’20-inizio anni ’30 il lavoro educativo e culturale era assai sviluppato: nei lager si pubblicavano giornali e riviste, esistevano squadre stabili per la propaganda politico-culturale e per gli spettacoli, che giravano in tournée i vari penitenziari. Dal 1937 questa attività cominciò a venir meno: i lager smisero di essere luoghi di rieducazione e divennero luoghi di sterminio. Solo dopo la guerra il teatro nei campi di lavoro conobbe una nuova fioritura, quando i direttori cominciarono a considerare le compagnie teatrali e i cori di detenuti come fiori all’occhiello della propria attività. Avevano quindi un atteggiamento analogo a quello dei nobili russi, con i loro teatri privati nei quali si esibivano servi della gleba. I teatri più famosi nel mondo concentrazionario furono a Vorkuta e a Magadan.
La propaganda
Bollettini di propaganda del Bamlag dell’NKVD
Varlam Šalamov
Lo scrittore Varlam Šalamov, anni Sessanta. «La fame attenuava e svigoriva in noi l’invidia, come ogni altro sentimento. Non avevamo la forza di provare sentimenti, o di cercarci un lavoro meno pesante, di brigare, chiedere, pregare… Invidiavamo solo quelli che conoscevamo, con i quali eravamo arrivati quaggiù e che ce l’avevano fatta a trovare una sistemazione in un ufficio, all’ospedale o alla stalla, lontano da quel lavoro fisico pesante e interminabile che veniva celebrato sull’arco sovrastante tutti i cancelli dei lager come “questione di valore ed eroismo”» da «I racconti di Kolyma»
Aleksandr Solženicyn
Aleksandr Isaevič Solženicyn (Kislovodsk, 11.12.1918 – Mosca, 3.8.2008) Laureato in fisica e matematica all’università di Rostov, negli anni della seconda guerra mondiale Solženicyn è ufficiale, riceve decorazioni e medaglie. Nelle lettere inviate dal fronte a un amico, esprime giudizi critici su Stalin. Le lettere vengono intercettate dal controspionaggio e il 9 febbraio 1945 Solženicyn e il suo amico sono arrestati. Il 7 luglio Solženicyn è condannato a 8 anni di campo di lavoro correzionale da una commissione speciale presso l’NKVD dell’URSS, in base agli articoli 58-10, c.2 e 58-11 del Codice penale della RSFSR. Le impressioni del carcere e del lager, gli incontri con centinaia di persone estremamente diverse per convinzioni e destini determinano un profondo mutamento delle opinioni di Solženicyn. Egli diventa cristiano ortodosso, anticomunista, considera la Rivoluzione d’ottobre la più grande tragedia nella storia della Russia. Nei campi comincia a scrivere, imparando a memoria le proprie opere, e l’esperienza del lager starà alla base di molte sue opere, fra cui Una giornata di Ivan Denisovič e Arcipelago Gulag
Alcune biografie di italiani
Biografie di Arduino Lazzaretti, Cafiero Lucchesi, Dino Maestrelli, Cesare Marchionni, Sante Silimbani, emigrati italiani vittime di repressioni politiche in URSS