Notizie, commenti e analisi riguardanti il rispetto dei diritti umani nel Caucaso e in Asia centrale.
Categoria: Bibliografia
VII conferenza sulla Storia dello stalinismo
Tver’ 4-6 dicembre 2014
Gli ultimi testimoni. Interviste
Roza Šovkrinskaja ricorda: “affinché il ricordo di migliaia di destini come il mio rimanga vivo” Rosa Šovkrinskaja è nata nel 1930. Il padre, Jusup Šovkrinskij ha combattuto la guerra civile ed è stato a capo dell’ufficio propaganda e cultura del comitato di partito distrettuale del Daghestan. Nel 1937 è stato arrestato ed è morto nel lager di Vorkuta. La sorella Oktjabrina è stata arrestata all’età di 17 anni e condannata a 10 anni di lager. ———— L’arresto del padre La mamma veniva da una grande famiglia. Aveva cinque fratelli, che vivevano tutti in Russia e godevano di una buona reputazione. Hanno rifiutato la proposta di matrimonio di mio papà. Papà ha rapito mia madre che allora aveva solo 15 anni. Per prima cosa si sono trasferiti a Machačkala. Nel 1936, quando sono iniziate le repressioni, mio padre è stato arrestato. La mamma raccontava che sono arrivati tre uomini vestiti di nero. Una macchina nera era parcheggiata vicino all’ingresso del palazzo del governo in cui abitavamo. Papà li ha pregati: “Vengo da solo, non voglio che i bambini si agitino e piangano. Andate. Vi raggiungo”. Sono usciti e papà li ha seguiti. La mamma ci ha detto che il papà era in missione. Ma non lo abbiamo più rivisto. Papà è rimasto tre anni nel carcere di Machačkala. Papà è stato interrogato e torturato per tre anni, in prigione per tre anni, cambiavano gli inquirenti. Ha scritto tutto questo e l’ha trasmesso tramite i secondini. Ha spedito anche varie lettere a Stalin. I guardiani ci hanno consegnato gli appunti di papà in cui descriveva le torture e i maltrattamenti. Uno di questi guardiani, che a quanto pare aveva personalmente assistito, descriveva come durante uno degli interrogatori papà, sfinito e fuori di sé, l’aveva picchiato con una sedia. In seguito è stato trasferito in una cella da solo. Papà è stato per tre anni in prigione, in segregazione. Dopo tre anni è iniziato il processo. Ci sono state deposizioni e hanno chiamato un nuovo inquirente. Si è riunita una trojka che lo ha condannato a otto anni. Tutti consigliavano di abbandonare il cognome di famiglia Papà diceva: “Se abbandoni il cognome di famiglia, per i bambini sarà un duro colpo. I bambini penseranno che sono davvero un traditore, un nemico del popolo. Fa capire loro che sono un comunista retto e che non ho mai tradito”. Era membro del partito da quando aveva 18 anni. E quante volte mamma è stata chiamata. E tutti le consigliavano: “Metti da parte il cognome, e vedrai che i bambini non avranno problemi ad andare a scuola”. La mamma era bella, di bella presenza e prosperosa. Non dimenticherò mai di quando mia cugina mi ha raccontato di un inquirente che aveva trattenuto la mamma per più ore. E mio fratello più piccolo, Hussein, aveva solo 6 mesi. L’ha trattenuta per più ore e mamma gli diceva che doveva allattare il bambino e che le sue mammelle erano già gonfie. Lui l’ha trattenuta lo stesso. A quel punto – così raccontava mia cugina – la mamma ha tirato fuori il seno e gli ha spruzzato il latte direttamente sul volto. L’ha lasciata andare. La mamma è rimasta una settimana a letto cercando di riprendersi. Ma non ha cambiato il cognome. Fino alla fine abbiamo mantenuto il nostro nome di famiglia “Šovkrinskaja”. Incontro in prigione Papà, dopo essere stato assegnato ad un trasporto di prigionieri, ha ricevuto l’autorizzazione per un incontro. Mamma aveva fatto di tutto perché questo avvenisse. La sorella di papà si è versata un sorso di cognac e ne ha dato un po’ anche alla mamma. Si sono fatte coraggio e sono andate all’incontro. Quando sono arrivate al carcere in via Puškin a Machačkala, le hanno fatte entrare. Raccontava che c’erano reti, porte e serrature ovunque e tutto d’un tratto si sono fermate. La zia aveva inculcato alla mamma: “Nessuna lacrima! Guai se mio fratello ti vede piangere!”. Karr-karr-karr risuonava il ferro. Hanno fatto entrare papà. È entrato e non appena ha visto la mamma e sua sorella gli sono scese le lacrime. La sorella ha detto: “Tu! Tu! Che uomo sei se mostri le lacrime? Tu, tu! Non ti considero un uomo e nemmeno mio fratello!”. A quel punto lui ha alzato le sue braccia ammanettate, ha agitato i piedi e ha detto: “Non piango perché mi hanno condannato e ora mi deportano. Non sono stato condannato da un tribunale sovietico, ma da un tribunale feudale preistorico”. E ha mostrato le sue mani incatenate. Fuga da Machačkala La sera stessa la mamma ha fatto le valigie e nella notte ce ne siamo andati. In direzione dell’aul, a 180 km di distanza. Pioveva. Allora le strade non erano come oggi. Ovunque c’era sporcizia. Le strade erano così pericolose – da un lato c’era il dirupo, dall’altro la montagna. Questi percorsi erano dissestati. L’autista era russo e si chiamava probabilmente Kolja, ma non so perché la mamma lo chiamava Vakolin’ka. Siamo arrivati nel centro abitato. In passato, al nostro arrivo ci accoglievano tutti. Nemmeno un’anima. Non è venuto nessuno a salutarci. L’autista ci ha aiutato, siamo entrati in casa e siamo rimasti lì. Questo è stato il nostro arrivo all’aul, grazie all’aiuto di quella brava persona. Siamo rimasti all’aul. Come siamo stati accolti all’aul Dopo il nostro arrivo nell’aul, quando il primo giorno siamo usciti – non so chi l’avesse insegnato ai bambini – i bambini non sapevano il russo – i bambini ci hanno bloccato la strada. “Trockisti! Trockisti!”. Da chi avranno mai imparato quella parola? Siamo scoppiati a piangere, siamo tornati a casa e abbiamo detto: “Mamma, non usciremo più, non andremo più in quella scuola”. Siamo rimasti all’aul. La mamma non poteva lavorare nel kolchoz e noi non potevamo andare a scuola. Non potevamo comprare nel negozio. La mamma è stata classificata come contadino individuale. A quei tempi i contadini dei kolchoz venivano tassati in modo molto elevato, ma i contadini individuali subivano una tassazione doppia. Tutti pensavano… Continua a leggere Gli ultimi testimoni. Interviste
Uccisi nella regione orientale di Doneck l’attivista di Memorial Andrej Mironov e il fotografo Andrea Rocchelli
Un ricordo di Andrej Mironov di Svetlana Gannuškina e un ricordo di Andrea Rocchelli di Lucia Sgueglia
Elena Dundovich
Elena Dundovich insegna Storia delll’Europa Orientale e Storia delle Relazioni Internazionali alla Facoltà di Scienze Politiche di PIsa. Si occupa di storia sovietica e in particolare di storia delle repressioni staliniane e del GULag. Ha pubblicato : Tra esilio e castigo. Il Komintern, il PCI e la repressione degli antifascisti italiani in URSS (Carocci1998) e Italiani nei lager di Stalin (Laterza 2006).
I diritti umani a scuola
La fondazione Cariplo appoggia il progetto “I diritti umani a scuola”. Leggi il bando del concorso 2013–2014.
Bibliografia
curata da Hélène Kaplan
Memorial alla Fiera del libro di Mosca
9 al 12 giugno 2012- Fiera Internazionale del Libro di Mosca (padiglione Kerch’). Programma “Contestazioni”