Dichiarazione di Lev Gudkov, sull’avvertimento della procura al Centro Levada

Il Centro Levada ha ricevuto un Avvertimento dalla Procura interrionale di Savelki di Mosca, il cui senso è il seguente: la pubblicazione dei risultati delle nostre inchieste sociologiche influenza l’opinione pubblica e per questo non è un’attività scientifica, ma politica. Diffondiamo quindi la traduzione della dichiarazione del Direttore del centro, Lev Dmitrevič Gudkov, in proposito. Sul sito del Centro è possibile consultare questa Dichiarazione e la riproduzione del documento della Procura di Mosca. (Entrambe in russo) “La lettera che abbiamo ricevuto dalla Procura interrionale di Savelki di Mosca sulle “condizioni che rendono possibile la violazione della legislazione federale” (per esattezza la legge sugli agenti stranieri) e il successivo Avvertimento sull’intollerabilità della violazione della legislazione federale pone l’organizzazione non commerciale autonoma “Centro analitico Jurij Levada” in una situazione estremamente pesante, costringendolo in pratica a metter fine alla sua attività di organizzazione indipendente di sociologia che rileva sistematicamente lo stato dell’opinione pubblica in Russia. Interpretando come “attività politica” gli articoli analitici, la pubblicazione delle inchieste sociologiche e i commenti degli specialisti del Centro, la Procura di fatto minaccia da un lato la nostra organizzazione di possibili sanzioni e, dall’altro, ne mina l’autorità e la reputazione. Non si tratta soltanto dei concetti piuttosto fumosi di “attività politica” e “finanziamento estero”, che permettono le più ampie e arbitrarie interpretazioni, e di conseguenza anche la possibilità di azioni amministrative contro la direzione del Centro e perfino la liquidazione della nostra organizzazione. Ma si tratta anche delle conseguenze che la legge sulle NGO e gli agenti stranieri provoca nelle cerchie di persone di cui fanno parte i nostri partner regolari e i committenti delle ricerche condotte dal Centro, nonché i soggetti studiati. Si tratta della libertà di attività scientifica e di diffusione dei risultati della ricerca. Il centro Levada è un’organizzazione non commerciale (non-profit organization). Per noi, questo significa che i soldi che guadagniamo grazie a diverse ricerche svolte su committenza (di marketing in primo luogo, ma non solo) non li usiamo come profitto per scopi personali, ma li spendiamo interamente, in accordo con i nostri statuti, per portare avanti, in modo indipendente e per nostra iniziativa, progetti scientifici o umanitari: inchieste sociologiche, pubblicazione della rivista Vestnik obščestvennogo mnenija (Il messaggero dell’opinione pubblica) e dell’annale Obščëstvennoe mnenie (L’opinione pubblica, seminari e convegni e via dicendo. Proprio in questo modo il nostro collettivo di ricerca porta avanti, da ormai quasi un quarto di secolo, un lavoro di analisi sistematica per studiare la struttura, le funzioni e la dinamica delle rappresentazioni collettive, mantenendo il suo statuto di istituto scientifico indipendente. A differenza di altre organizzazioni che fanno inchieste di opinione pubblica, noi non riceviamo alcun finanziamento statale diretto, né riceviamo dotazioni da parte dello Stato per condurre le indagini sociologiche, che richiedono in linea di massima ingenti spese finanziarie e organizzative, e, in una serie di casi, il sostegno diretto o l’autorizzazione dei poteri locali. I mezzi finanziari che noi riceviamo dall’estero (donazioni o finanziamenti vinti a concorso), così come il pagamento per le inchieste fatte su richiesta di organizzazioni straniere (università, mass media, istituti di ricerca o imprese) costituisce una parte insignificante del budget del Centro Levada: all’incirca, a seconda degli anni, fra l’1,5 e il 3%. Da questo punto di vista, la rinuncia, volontaria o forzata, a finanziamenti e donazioni da parte di diverse fondazioni straniere, rinuncia necessaria per liberarsi dalla minaccia costante che ci venga appioppato il marchio di “agenti stranieri”, non può salvare la situazione, poiché il fatto stesso di ricevere pagamenti da compagnie straniere, anche se queste operano in modo permanente in Russia, per lavori di analisi e di ricerca eseguiti su temi che non hanno alcun rapporto con l’”attività politica”, può di per sé costituire il pretesto per essere accusati di avere finanziamenti esteri, nella misura in cui questi ultimi possono essere associati in modo arbitrario alle ricerche che noi svolgiamo secondo i nostri piani e interessi scientifici. Ci sono tuttavia due ragioni che costituiscono un altro ostacolo, ben più importante, per la nostra attività. Da un lato, c’è la paura, che oggi viene rianimata e che è ben comprensibile, visto il nostro passato, di avere relazioni con “potenziali agenti stranieri”, una paura che in Russia è tipica sia per i funzionari dell’amministrazione pubblica che per l’intelligencija. Dall’altro, c’è il fatto che i nostri partner commerciali non desiderano affatto avere a che fare con un’organizzazione che ha problemi col potere e cercano in modo evidente di evitare seccature non necessarie. Nell’insieme, tutto ciò mette in forse l’attività e l’esistenza stessa del centro Levada. A seguire la logica dell’Avvertimento della Procuratura, noi dovremmo por fine alla pubblicazione della nostra rivista e chiudere il sito del Centro Levada, smettere di pubblicare, di commentare apertamente e di analizzare i risultati delle nostre inchieste fra gli specialisti e nello spazio pubblico, sui mass media, nei seminari e nelle conferenze: e questo per noi è inaccettabile. Non c’è dubbio che la cosa più giusta, dal punto di vista della nostra responsabilità di cittadini, sarebbe contestare attraverso gli organi giudiziari l’Avvertimento che ci ha presentato la Procura e far ricorso alla Corte Costituzionale, perché è la stessa la legge sugli agenti stranieri ad essere in contraddizione con la Costituzione russa e con altre leggi federali. Tuttavia questa strada, per un’organizzazione come la nostra, è troppo lunga e minaccia di mandare a monte l’attività di ricerca, con perdite scientifiche e umane irreversibili. Per questo tale soluzione, anche in caso di esito positivo dei processi, non cambia in sostanza il nuovo stato di fatto, che rende impossibile proseguire come prima la nostra attività di istituto di ricerca indipendente. Al momento attuale, la Direzione del Centro Levada sta consultando dei giuristi e sta esplorando le vie d’uscita possibili dalla situazione che si è creata. Il Direttore del Centro Levada Dottore in filosofia, prof. Lev Gudkov Mosca, 20 maggio 2013  

Dichiarazione di Lev Gudkov, sull'avvertimento della procura al Centro Levada

Il Centro Levada ha ricevuto un Avvertimento dalla Procura interrionale di Savelki di Mosca, il cui senso è il seguente: la pubblicazione dei risultati delle nostre inchieste sociologiche influenza l’opinione pubblica e per questo non è un’attività scientifica, ma politica. Diffondiamo quindi la traduzione della dichiarazione del Direttore del centro, Lev Dmitrevič Gudkov, in proposito. Sul sito del Centro è possibile consultare questa Dichiarazione e la riproduzione del documento della Procura di Mosca. (Entrambe in russo) “La lettera che abbiamo ricevuto dalla Procura interrionale di Savelki di Mosca sulle “condizioni che rendono possibile la violazione della legislazione federale” (per esattezza la legge sugli agenti stranieri) e il successivo Avvertimento sull’intollerabilità della violazione della legislazione federale pone l’organizzazione non commerciale autonoma “Centro analitico Jurij Levada” in una situazione estremamente pesante, costringendolo in pratica a metter fine alla sua attività di organizzazione indipendente di sociologia che rileva sistematicamente lo stato dell’opinione pubblica in Russia. Interpretando come “attività politica” gli articoli analitici, la pubblicazione delle inchieste sociologiche e i commenti degli specialisti del Centro, la Procura di fatto minaccia da un lato la nostra organizzazione di possibili sanzioni e, dall’altro, ne mina l’autorità e la reputazione. Non si tratta soltanto dei concetti piuttosto fumosi di “attività politica” e “finanziamento estero”, che permettono le più ampie e arbitrarie interpretazioni, e di conseguenza anche la possibilità di azioni amministrative contro la direzione del Centro e perfino la liquidazione della nostra organizzazione. Ma si tratta anche delle conseguenze che la legge sulle NGO e gli agenti stranieri provoca nelle cerchie di persone di cui fanno parte i nostri partner regolari e i committenti delle ricerche condotte dal Centro, nonché i soggetti studiati. Si tratta della libertà di attività scientifica e di diffusione dei risultati della ricerca. Il centro Levada è un’organizzazione non commerciale (non-profit organization). Per noi, questo significa che i soldi che guadagniamo grazie a diverse ricerche svolte su committenza (di marketing in primo luogo, ma non solo) non li usiamo come profitto per scopi personali, ma li spendiamo interamente, in accordo con i nostri statuti, per portare avanti, in modo indipendente e per nostra iniziativa, progetti scientifici o umanitari: inchieste sociologiche, pubblicazione della rivista Vestnik obščestvennogo mnenija (Il messaggero dell’opinione pubblica) e dell’annale Obščëstvennoe mnenie (L’opinione pubblica, seminari e convegni e via dicendo. Proprio in questo modo il nostro collettivo di ricerca porta avanti, da ormai quasi un quarto di secolo, un lavoro di analisi sistematica per studiare la struttura, le funzioni e la dinamica delle rappresentazioni collettive, mantenendo il suo statuto di istituto scientifico indipendente. A differenza di altre organizzazioni che fanno inchieste di opinione pubblica, noi non riceviamo alcun finanziamento statale diretto, né riceviamo dotazioni da parte dello Stato per condurre le indagini sociologiche, che richiedono in linea di massima ingenti spese finanziarie e organizzative, e, in una serie di casi, il sostegno diretto o l’autorizzazione dei poteri locali. I mezzi finanziari che noi riceviamo dall’estero (donazioni o finanziamenti vinti a concorso), così come il pagamento per le inchieste fatte su richiesta di organizzazioni straniere (università, mass media, istituti di ricerca o imprese) costituisce una parte insignificante del budget del Centro Levada: all’incirca, a seconda degli anni, fra l’1,5 e il 3%. Da questo punto di vista, la rinuncia, volontaria o forzata, a finanziamenti e donazioni da parte di diverse fondazioni straniere, rinuncia necessaria per liberarsi dalla minaccia costante che ci venga appioppato il marchio di “agenti stranieri”, non può salvare la situazione, poiché il fatto stesso di ricevere pagamenti da compagnie straniere, anche se queste operano in modo permanente in Russia, per lavori di analisi e di ricerca eseguiti su temi che non hanno alcun rapporto con l’”attività politica”, può di per sé costituire il pretesto per essere accusati di avere finanziamenti esteri, nella misura in cui questi ultimi possono essere associati in modo arbitrario alle ricerche che noi svolgiamo secondo i nostri piani e interessi scientifici. Ci sono tuttavia due ragioni che costituiscono un altro ostacolo, ben più importante, per la nostra attività. Da un lato, c’è la paura, che oggi viene rianimata e che è ben comprensibile, visto il nostro passato, di avere relazioni con “potenziali agenti stranieri”, una paura che in Russia è tipica sia per i funzionari dell’amministrazione pubblica che per l’intelligencija. Dall’altro, c’è il fatto che i nostri partner commerciali non desiderano affatto avere a che fare con un’organizzazione che ha problemi col potere e cercano in modo evidente di evitare seccature non necessarie. Nell’insieme, tutto ciò mette in forse l’attività e l’esistenza stessa del centro Levada. A seguire la logica dell’Avvertimento della Procuratura, noi dovremmo por fine alla pubblicazione della nostra rivista e chiudere il sito del Centro Levada, smettere di pubblicare, di commentare apertamente e di analizzare i risultati delle nostre inchieste fra gli specialisti e nello spazio pubblico, sui mass media, nei seminari e nelle conferenze: e questo per noi è inaccettabile. Non c’è dubbio che la cosa più giusta, dal punto di vista della nostra responsabilità di cittadini, sarebbe contestare attraverso gli organi giudiziari l’Avvertimento che ci ha presentato la Procura e far ricorso alla Corte Costituzionale, perché è la stessa la legge sugli agenti stranieri ad essere in contraddizione con la Costituzione russa e con altre leggi federali. Tuttavia questa strada, per un’organizzazione come la nostra, è troppo lunga e minaccia di mandare a monte l’attività di ricerca, con perdite scientifiche e umane irreversibili. Per questo tale soluzione, anche in caso di esito positivo dei processi, non cambia in sostanza il nuovo stato di fatto, che rende impossibile proseguire come prima la nostra attività di istituto di ricerca indipendente. Al momento attuale, la Direzione del Centro Levada sta consultando dei giuristi e sta esplorando le vie d’uscita possibili dalla situazione che si è creata. Il Direttore del Centro Levada Dottore in filosofia, prof. Lev Gudkov Mosca, 20 maggio 2013  

Mosca, caccia agli “agenti stranieri” di Maria Ferretti

Mosca, caccia agli “agenti stranieri”. Prove di normalizzazione Alla fine di marzo, il Cremlino ha scatenato una violenta campagna contro quel che resta, nel tredicesimo anno del regime di Putin, della società civile russa: le ONG che operano nel settore civile, qualificate di “agenti stranieri” per il solo fatto di ricevere finanziamenti dall’estero, che sono peraltro vitali per qualsivoglia associazione desideri salvaguardare la propria indipendenza nella Russia post-comunista. Secondo una legge approvata lo scorso anno dalla Duma unanime su iniziativa del partito del Presidente, Russia unita, tutte le associazioni attive in campo “politico” – e basta anche solo influenzare l’opinione pubblica per esser definite tali, con ampi margini di discrezionalità – si dovevano iscrivere su un apposita lista, il registro degli “agenti stranieri” (sic!), di modo da esser sottoposte a sorveglianza speciale. A novembre, quando la legge è entrata in vigore, tutte le ONG hanno rifiutato di ottemperare al provvedimento, giudicato “amorale” e “contrario al diritto”, come si legge nella dichiarazione di Memorial, una delle principali associazioni indipendenti. Accettare significava infatti riconoscere di essere degli agenti stranieri, longa manus di potenze estere, potenzialmente nemiche. Significava quindi autodenunciarsi, ammettere di propria volontà di essere dei traditori in pectoris, e questo nel momento in cui alla fine dell’anno una nuova legge sul tradimento di Stato dilatava i limiti del reato di modo da potervi far rientrare di tutto, compresa la partecipazione a attività internazionali per la difesa dei diritti, lasciando un totale arbitrio al potere. Il rifiuto non era stato gradito al Cremlino, che tuttavia in un primo tempo ha nicchiato. Nella notte in cui il provvedimento è entrato in vigore, però, solerti – e ignoti – difensori dell’onore russo sono andati a imbrattare le mura della sede di Memorial, impegnata in attività particolarmente sgradite alle autorità, e cioè da un lato la battaglia per la memoria storica, contro tutti i tentativi oggi assai in voga di “riabilitare” Stalin e, dall’altro, nella difesa dei diritti (sono fra i più attivi in Cecenia), con scritte da far accapponare la pelle, come “qui stanno gli agenti stranieri”. La denuncia di Memorial è rimasta naturalmente senz’esito. E per un po’ sembrava quasi che le acque si fossero chetate. A metà febbraio, però, Putin è tornato alla carica. Alla riunione dei vertici del FSB, i servizi eredi del KGB, ha ricordato che la legge sugli “agenti stranieri” va applicata, perché ogni “ingerenza” negli affari interni della Russia è “inaccettabile”. A buon intenditor poche parole. Ai primi marzo la Procura ha avviato in sordina le prime “ispezioni” di verifica, quasi volesse saggiare il terreno con organizzazioni minori. Poi il 21, a sorpresa, una brigata di “ispettori” – agenti del fisco, della Procura e del Ministero della Giustizia – ha bussato alle porte di Memorial, senza peraltro un chiaro mandato, ragion per cui l’associazione ha richiesto ufficialmente chiarimenti. Poi è stata la volta di Amnesty International, della Lega per i diritti dell’uomo, del Gruppo moscovita di Helsinki, nonché delle associazioni Per diritti dell’uomo, Agora e Golos (Voce) e via dicendo. Diverse centinaia di associazioni sono state coinvolte, sia a Mosca e Pietroburgo che nelle province. Allertati dall’esperienza di Memorial, molte associazioni hanno rifiutato di far entrare gli ispettori, come è successo alla sezione pietroburghese dello stesso Memorial. In assenza di istruzioni precise, gli ispettori hanno fatto prova di una certa creatività. A volte si sono fatti accompagnare dagli uomini del FSB, i diretti interessati; a volte dai pompieri, col pretesto di controllare lo stato della rete elettrica, altre dagli ispettori della Sanità. Oltre alla documentazione finanziaria e fiscale – peraltro già ampiamente depositati, come previsto dalla puntigliosa legislazione russa -, hanno chiesto, a seconda dei casi, ora il mansionario del personale, dal portinaio alle segretarie, ora tutti i protocolli delle riunioni degli organi dirigenti, programmi di convegni e così via. Insomma, si sono sbizzarriti. Inceppando in qualche disgraziato incidente di percorso, naturalmente. A Samara, per esempio, è finita nel mirino dei controllori l’Alliance française, storica istituzione per la diffusione della lingua e della cultura d’oltralpe, sospettata di “propaganda”. A Pietroburgo, lo zelo degli ispettori ha portato a sequestrare i computer della Fondazione Adenauer, suscitando l’immediata reazione del governo tedesco. Francia, Germania e Stati Uniti, che hanno qualificato l’operazione di “caccia alle streghe”, hanno convocato gli ambasciatori russi e attendono spiegazioni; il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, non ha esitato ad affermare che si tratta di un attacco generale alla società civile russa. Davanti alla malaparata, Mosca ha cercato di minimizzare: Putin si è affrettato a rassicurare che si tratta solo di operazioni di routine. Memorial, che tra l’altro è stato candidato al premio Nobel per la pace da alcuni europarlamentari, polacchi e tedeschi, si è rivolto alla corte europea, seguito da altre organizzazioni. Dura anche la critica di Gorbačev, che ha sottolineato la necessità, per la Russia, di una nuova perestrojka. Secondo le migliori tradizioni sovietiche, l’ondata di “controlli”, di chiaro carattere intimidatorio, è stata accompagnata da una violenta campagna propagandistica diffamatoria. La rete televisiva NTV, proprietà del Gazprom e principale macchina del fango russa, ha cercato di intrufolarsi con gli ispettori nelle associazioni inquisite, da cui è stata cacciata spesso solo con l’intervento della polizia. Il che non le ha impedito di mandare in onda quotidianamente martellanti reportages imbevuti di nazionalismo sugli “agenti stranieri” che, al soldo di potenze ostili, minano la sovranità della Russia e danneggiano gli interessi nazionali. Una propaganda che penetra tanto più facilmente perché rianima, sia pur in un contesto diverso, vecchi stereotipi sovietici, ancora ben radicati negli immaginari collettivi. L’operazione lanciata dal Cremlino contro le ONG si iscrive nell’inasprimento del regime russo seguito al ritorno di Putin alla carica presidenziale, che era stata preceduta da un’ondata di manifestazioni di protesta, in particolare contro brogli e manipolazioni elettorali. Benché l’entità della protesta fosse piuttosto limitata, è stata sufficiente a suscitare, anche qui secondo le migliori tradizioni, la paura del gruppo dirigente russo, alimentata dal fantasma delle rivoluzioni arancioni di qualche anno fa in Ucraina e in Georgia, in cui Mosca ha… Continua a leggere Mosca, caccia agli “agenti stranieri” di Maria Ferretti

Aleksander Daniel sull' "ispezione" alla sede di Memoral di San Pietroburgo

On 27 March 2013 a ‘mobile group’ of inspectors arrived at the office of the Memorial Research and Information Centre in St. Petersburg. Aleksandr Daniel, who witnessed the inspection, shares his impressions. “They came. They divided into small groups (in the view of several TV cameras). They handed over a list of documents that they insist on receiving. They made out a protocol about our refusal to let them ‘inspect the premises’. All the negotiations are being conducted exclusively by the lawyer Ivan Pavlov, who arrived here early in the morning as the lawyer acting for the Memorial Research Center. The beauty of the thing is that Ivan’s organization (the Foundation for Freedom of Information) is also being inspected. And the inspectors in both cases are the same people. I’m sure they were pleased to see the face of Ivan again, one that they know so well 🙂 There were five officials: from the prosecutor’s office, from the tax inspectorate, two police officers (one apparently from the ‘anti-extremism’ squad, the other dealing with computer piracy), and a fire inspector. <…> You can find two documents on the website: one is a list of documents that must be handed to the prosecutor’s office by 29 March (that is, by the day after tomorrow) and the protocol concerning (our) refusal to allow (them) access to inspect the premises.” Assistant prosecutor of Krasnogvardeiskaya  district D.V.Dolgov with lawyer Ivan Pavlov Lawyers Ivan Pavlov and Evgeny Smirnov in the presence of journalists and asisistant prosecutor D.V.Dolgov draw up a commentary  on the official protocol of the prosecutors’ inspection of the Memorial Research and Information Centre.   fonte: http://hro.rightsinrussia.info/archive/ngos/inspections/st-petersburg/memorial

Intervista a Svetlana Gannuskina sull' "ispezione" a Memorial di Mosca

Svetlana Gannushkina: We at Civic Assistance were visited by officials from the prosecutor’s office together with representatives of the tax authorities, the Ministry of Justice and the Federal Migration Service. And the Ministry of the Interior. In total, there were six people: three from the prosecutor’s office and one each from the Ministry of Justice and the Tax Service – and one from the Moscow Federal Migration Service (FMS) who, for some reason, went to the Olympic Village instead of to Olympic Prospekt, which explains why he was very late late. He was a thoroughly awful man, who came into the premises, greeted no-one, and went to check the documents of all ‘non-Russians.’ Moreover, those were the very words he said, “Now I will check the documents of all the non-Russians.” I asked him to come into my office, but he refused. He saw a man sitting behind a desk and began to check his documents. This was our translator – an Afghan. The FMS official rushed towards him, demanding that he produce his passport. He was overjoyed on hearing that he did not have a passport with him, and said, “Here’s someone who has no documents!” He did not, at first, really want to speak to me at all, to explain what he was going to do and on what basis. He later we managed with great difficulty to get him to understand that the passport of a citizen of Afghanistan who has refugee status is stored at the offices of the Federal Migration Service. He did not know. Yes, an official of the FMS did not know this. And he began to insist that this does not happen. Then he was also shown the refugee certificate issued by the FMS which states that this was a receipt for the passport, with a signature. He then asked to phone another FMS official, the one who had issued the certificate to the Afghan. In general, with great difficulty we managed to persuade him that this was sufficient. All the while, the FMS official behaved very aggressively, and this was evident from his intonation. By this time I had rung the Moscow FMS and spoke to the man’s boss. When his boss asked to speak to him, he would not take the phone, and did not believe it was his boss on the line. “Why should I pick up someone else’s phone?” I said to her, “He does not want to speak to you.” She said, “OK, we’ll do it another way.” After a while, his mobile rang – apparently it was his immediate superior. After this his arrogance somewhat subsided, and he asked if we had any other foreign workers there. I said that yes, we have an Arabic translator. I then remembered that we have a Ukrainian citizen in our employ. He went to meet him. The Ukrainian citizen had a temporary residence permit. The FMS chap asked, “And a work permit?” I said, “Work permits were abolished this year for those who have temporary residence permits.” He asked, “Who told you that?” I replied, “You know, the law told me. It’s an amendment to the law.” This was something else that the FMS official did not know. Such is the level of this man… fonte: http://hro.rightsinrussia.info/archive/ngos/inspections/moscow/gannushkina