Memorie di guerra. Leningrado (1941-1945) di Nikolaj Nikulin

Memorie di guerra. Leningrado (1941-1945) di Nikolaj Nikulin con prefazione di Irina Ščerbakova e traduzione di Elena Freda Piredda (Guerini e Associati, 2022). Le memorie di Nikulin sono un resoconto crudo e onesto non soltanto della vita al fronte, dove gli uomini si imbarbariscono, perdono i propri capisaldi morali e rischiano di trasformarsi in bestie, ma anche degli effetti devastanti che la guerra ha, persino dopo anni, su coloro che l’hanno vissuta. La testimonianza di Nikulin, che l’autore stesso definisce la confessione di un ragazzo terribilmente spaventato, rivela uno sguardo puro sulla realtà che permette alle sue memorie di rompere il muro di menzogne della propaganda riguardo alla guerra. Fino alla fine della sua esistenza proverà un senso di colpa per essere sopravvissuto a quei terribili avvenimenti, ne sarà tormentato, non riuscendo a sfuggire ai ricordi del fango, del sangue e delle pile di cadaveri. Pur temendone le conseguenze, sentirà dunque la necessità di trasferire su carta questi ricordi, dando una testimonianza sincera e senza fronzoli, che ricostruisca quanto più possibile una memoria veritiera degli avvenimenti bellici. Leggere oggi le pagine di Nikulin, tragicamente attuali, non può che convincerci di quanto la guerra, in ogni sua forma, sia un’assurda follia. Nato nel 1923 da una famiglia dell’intelligencija, Nikolaj Nikulin trascorre la sua infanzia a Leningrado, dalla quale parte volontario per il fronte allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Partecipa in prima linea ad alcune fra le più sanguinose battaglie per la liberazione di Leningrado, venendo ferito per quattro volte e ritrovandosi poi, nel 1945, fra le truppe che conquistano Berlino. Tornato a casa alla fine della guerra, si iscrive all’Università di Leningrado e inizia, qualche anno dopo, a lavorare come guida all’Ermitage, un luogo a cui rimane legato per tutta la vita. Si specializza nell’arte dell’Europa occidentale e diventa uno dei più importanti curatori delle collezioni di pittura olandese e tedesca del museo, associando alla sua attività l’insegnamento all’Istituto Repin dell’Accademia di Belle Arti. Muore nel 2009, dopo aver fatto in tempo ad assistere al successo letterario delle sue Memorie di guerra, raccolte nel 1975 e lasciate nel cassetto per circa trent’anni. Recensioni La guerra reale nelle memorie di Leningrado di Gianni Santamaria in “Avvenire”, 27 novembre 2022. Leggere la guerra (non solo ucraina) in “Atlante guerre”, 10 novembre 2022. Dispacci letterari dall’Unione Sovietica: 3 libri da leggere e regalare a Natale di Michele Lupo in “Solo libri”, 12 dicembre 2022.

Quasi tre anni. Leningrado. Cronaca di una città sotto assedio di Vera Inber

Quasi tre anni. Leningrado. Cronaca di una città sotto assedio di Vera Inber con curatela e traduzione di Francesca Gori (Guerini e Associati, 2022). Quasi tre anni è una testimonianza in presa diretta dei novecento giorni dell’assedio di Leningrado. Vera Inber resta al centro degli avvenimenti e partecipando attivamente alle vicende della città con l’intento sincero di narrare e documentare, nel modo più oggettivo possibile, quella pagina cruciale della storia sovietica. Nel diario assegna uno spazio rilevante alla sua fede ideologica, trasfigurando eroicamente la resistenza della città ed esaltando lo sforzo quasi sovrumano degli abitanti di Leningrado, fino a dar forma a una vera e propria epica dell’assedio. Pur utilizzando un linguaggio propagandistico tipico dell’epoca, offre al lettore una descrizione fedele e dettagliata della realtà, al punto che il suo sentimento e la sua fede politica appaiono sempre sinceri. Nel panorama culturale e politico sovietico Vera Inber, con le liriche e le prose scritte nel periodo della guerra, fornisce un contributo determinante all’elaborazione di quello che la storica Lisa Kirschenbaum definisce “mito dell’assedio”. Vera Inber nasce a Odessa nel 1890 in una famiglia della borghesia ebraica. Il padre Moisej Špencer, proprietario di un’importante tipografia, era cugino di Lev Trockij, che visse a casa loro dal 1889 al 1895. Questo legame di parentela susciterà la diffidenza del potere sovietico nei confronti dell’autrice, considerandola sempre una potenziale oppositrice e mettendo a repentaglio la sua stessa vita. A Odessa frequenta la facoltà di Storia e Letteratura. Nei primi anni Venti si stabilisce a Mosca. Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1941, si trasferisce a Leningrado con il terzo marito, l’accademico Il’ja Strašun, medico igienista nominato direttore dell’Ospedale Erisman. Durante l’assedio lavora alla TASS e collabora con Radio Leningrado. Dai microfoni della radio, per incoraggiare e sostenere i leningradesi costretti a patire terribili privazioni e traumi quotidiani, declama le sue poesie dove celebra l’eroica resistenza della città sotto assedio. Appartengono a questo periodo le sue due opere più rilevanti: il poema Pulkovskij meridian (Il Meridiano di Pulkovo) e il diario Počti tri goda. Leningradskij dnevnik (Quasi tre anni. Il diario di Leningrado) che nel 1946 fu insignito del Premio Stalin. Al termine della guerra torna a Mosca dove continua la sua opera di scrittrice e traduttrice. Qui muore nel 1972 e viene sepolta nel cimitero di Vvedenskoe. Recensioni Quel mito guerriero che è il collante dell’identità russa di Matteo Sacchi in “Il Giornale”, 15 maggio 2022. Leningrado 1941-1944: diario da una città sotto assedio di Simone Campanozzi in “Giornalismo e storia”, 11 luglio 2022. Quasi tre anni. Cronaca di una città sotto assedio in “Archivio Storico”, 4 agosto 2022.

La gioia per l’eternità. Lettere dal gulag (1931-1933) di Aleksej Losev e Valentina Loseva

La gioia per l’eternità. Lettere dal gulag (1931-1933) di Sergej Losev e Valentina Loseva con postfazione di Elena Takho-Godi e traduzione di Giorgia Rimondi (Guerini e Associati, 2021). Le lettere di Aleksej e Valentina descrivono il percorso discendente nell’inferno della realtà del gulag, in un universo ritmato dai trasferimenti e dagli incessanti tentativi di ottenere una revisione della pena. Nelle profondità di questo inferno risuonano, come due melodie, due voci che ne formano una, unite dal ricordo di quel “mare di amore e tenerezza” mantenuto vivo da una comunicazione che, nonostante la distanza, sembra non essersi mai interrotta. Due voci che, attraverso la scrittura, ultimo conforto e salvezza dalla miseria umana e spirituale del campo, ci restituiscono il “dialogo spirituale” tra Aleksej, filosofo, e Valentina, scienziata. Nel carteggio si delinea così la situazione esistenziale dell’intellettuale, privato, oltre che della libertà, della sua fondamentale attività creativa, e allo stesso tempo si staglia vivida una preziosa testimonianza della vita quotidiana nei gulag sovietici. Uno scorcio su un capitolo drammatico della storia attraverso i pensieri e le riflessioni dell’”ultimo filosofo russo dell’età d’argento”. Aleksej Fëdorovič Losev (1893-1988) è una delle principali figure del pensiero filosofico e religioso russo del XX secolo, la cui vicenda intellettuale e umana è fortemente segnata dal clima di repressione del regime sovietico. Studioso dagli interessi eclettici – che includono filosofia, filologia, teologia, estetica, matematica e musica –, il pensiero di Losev risente dell’influsso della filosofia occidentale, nonché della tradizione cristiana ortodossa. Tra 1927 e 1930 pubblica una serie di opere filosofiche, ma ben presto la sua attività sarà bruscamente interrotta dall’arresto (1930) e dalla condanna a dieci anni, da scontare in un gulag della regione di Leningrado. Alcuni mesi dopo anche la moglie, l’astronoma Valentina Michajlovna Loseva (1898-1954), verrà deportata in Siberia. Liberato per sopraggiunta invalidità, Losev potrà fare ritorno a Mosca solo nel 1933, tuttavia gli verrà proibito di occuparsi di filosofia; si dedicherà quindi principalmente all’estetica e al mondo classico, ma per vedere pubblicate le prime opere di quegli anni si dovrà attendere la morte di Stalin. A partire dalla riabilitazione nel 1994, le sue opere verranno riscoperte in Russia e all’estero. Recensioni Lettere dal Gulag: gioia e inferno per Losev di Simone Campinozzi in “Giornalismo e storia”. La gioia per l’eternità. Lettere dal gulag (1931-1933) di Maurizio Schoepflin in “Il Foglio”, 22 dicembre 2021. Gioia per l’eternità: le lettere di Losev dal Gulag di Giuseppina Larocca in “Il sussidiario.net”, 10 gennaio 2022. La gioia per l’eternità. Lettere dal Gulag di Maria Elena Murdaca in “Osservatorio Balcani e Caucaso”, 15 novembre 2022. A. Losev, V. Loseva, La gioia per l’eternità. Lettere dal Gulag (1931-1933) di Donatella Di Leo in “Studi Slavistici”, XX, 2023 (1), pp. 216-218.

Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Anatolij Pristavkin

Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Anatolij Pristavkin con traduzione, curatela e postfazione di Patrizia Deotto (Guerini e Associati, 2018). Saška e Kol’ka Kuz’min si assomigliano come due gocce d’acqua e approfittano della loro somiglianza per prendersi gioco di tutti. Il fine delle loro invenzioni è sempre lo stesso: il bisogno perenne di placare i morsi della fame. Il trasferimento dallo squallido orfanotrofio della periferia di Mosca nella terra fertile del Caucaso si prospetta agli occhi dei due ragazzini come un viaggio in una terra meravigliosa, zeppa di stanze del pane dove mangiare a sazietà. Tuttavia la terra promessa rivela ben presto il suo lato oscuro. Tutto è coperto di fiori nel Caucaso, ma in giro non si vede nessuno, regna un silenzio profondo, interrotto di tanto in tanto dall’eco di spari e di esplosioni. I gemelli Kuz’min, inconsapevoli usurpatori di terre altrui, si ritrovano coinvolti nelle tragiche vicende conseguenti alla deportazione forzata dei ceceni accusati di tradimento e collaborazionismo con il nemico, qui raffigurata in tutta la sua drammaticità. Alla descrizione dei luttuosi e complessi eventi, individuali e sociali, legati agli anni della Seconda Guerra Mondiale, viene contrapposta la rappresentazione del mondo radioso creato dalla propaganda sovietica, dove risuonano i canti patriottici e celebrativi dedicati al compagno Stalin e le canzoni riprese dalle commedie musicali in voga, che i due gemelli, insieme ai loro coetanei, cantano a squarciagola. Il contrasto tra il mondo scintillante e luminoso, promosso dalla propaganda staliniana, e le condizioni di vita reali dei due Kuz’min e degli altri orfani, trattati con indifferenza, salvo rare eccezioni, e considerati semplici pedine da utilizzare per la realizzazione di progetti inimmaginabili, disorienta e lascia sconcertati. Attraverso le dolorose esperienze che segnano i piccoli protagonisti del romanzo, Pristavkin invita a riflettere sull’insensatezza della guerra e della violenza e sull’importanza del confronto e del dialogo per una coesistenza pacifica tra i popoli. Anatolij Ignat’evič Pristavkin (1931-2008) nasce a Mosca nel 1931. Nel 1941 perde entrambi i genitori e trascorre gli anni della guerra in orfanotrofio. A quattordici anni lavora in una fabbrica di conserve nel Caucaso. Rientrato a Mosca, nel 1946, consegue il diploma di tecnico aeronautico alla scuola serale e nel 1959 si laurea all’Istituto di letteratura Gor’kij. Esordisce nella narrativa nel 1958 con il ciclo di racconti L’infanzia difficile, accolto favorevolmente dalla critica. Segue una ricca produzione letteraria, ma il vero successo arriva con la pubblicazione nel 1987 del romanzo Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso (titolo originale Nočevala tučka zolotaja), dove Pristavkin, prendendo spunto da un’esperienza autobiografica, ricostruisce la tragedia della guerra attraverso gli occhi dei suoi due piccoli protagonisti, che si ritrovano coinvolti nelle tragiche vicende della deportazione dei ceceni, vittime delle repressioni staliniane. Nel 1988 lo scrittore è insignito del Premio Statale dell’URSS e il romanzo viene tradotto in trenta lingue. Nello stesso anno pubblica il romanzo I piccoli del cuculo, dedicato al tragico destino degli orfani nel periodo della guerra, e ottiene nel 1991 il Premio Nazionale Tedesco della letteratura per l’infanzia. Nel 1989 organizza Aprel’, la corrente indipendente degli scrittori moscoviti, curandone anche la rivista. Dal 1992 al 2001 dirige la Commissione di Grazia e Giustizia, che si è battuta contro la pena di morte ed è riuscita a far commutare in ergastolo quasi tredicimila condanne a morte. Nel 2008, pochi mesi prima di morire, riesce a portare a termine il romanzo Il re Monpas’e Marmelažka Primo. Recensioni A. Pristavkin, Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Giulia De Florio in “AvtobiografiJA”, 7/2018, pp. 251-257. Due bambini nella Russia di Stalin. Inseparabili di Anatolij Pristavkin di Giordano Balecchi in “Sul romanzo”, 7 settembre 2018. Pristavkin. Difensore degli ultimi di Riccardo Michelucci in “Avvenire”, 10 novembre 2018. Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Maria Elena Murdaca in “Osservatorio Balcani e Caucaso”, 21 febbraio 2019.

Prime dichiarazioni di Oleg Orlov dopo lo scambio di prigionieri del 1 agosto 2024.

Pochi giorni prima dello scambio di prigionieri del 1 agosto 2024, mentre Oleg Orlov si trovava ancora nel centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’, regione di Samara, l’amministrazione del carcere gli ha proposto di firmare con urgenza la domanda di grazia diretta al presidente Putin. Orlov ha rifiutato. Non gli è stato richiesto il consenso per lo scambio. Così racconta Orlov: “Il 23 luglio, a metà giornata, mentre mi rilassavo dopo la ‘sauna’, all’improvviso la porta della cella si è spalancata e una guardia di sorveglianza del carcere, fatto insolito, mi ha chiesto di uscire: ‘Andiamo, c’è un colloquio’. Mi hanno portato nell’ufficio di sorveglianza dove la guardia d’un tratto mi ha salutato, tendendomi la mano (cosa del tutto insolita). E poi ha detto: ‘Sappiamo e capiamo chi è lei, sappiamo molte cose’. Bah, forse mi reclutano. Ma allora perché non è un funzionario dei servizi segreti? E d’un tratto dice che il giorno stesso la direzione del SIZO di Samara, tramite Mosca, ha ricevuto l’ordine di avere da me la domanda di grazia diretta al presidente della Russia. Ci sono informazioni, dice, che la domanda sia valutata in senso positivo: ‘E capisce che qui lo propongono proprio a lei e a nessun altro, non è così semplice’. Mi dà un foglio in bianco e spiega: ‘Qui c’è la domanda in forma libera per il presidente. Non c’è tempo per pensare. A noi si richiede di avere da lei questo documento e di inviarlo entro la fine della giornata lavorativa’. ‘Be’, allora, riportatemi in cella, ci penserò’ dico. E ho deciso così: sia quel che sia, ma non mi metterò a scrivere questa domanda. Non ammetto il fatto stesso di rivolgere una domanda di grazia. E poi a chi? A Putin!!! Sono passati venti minuti, la porta si è aperta: ‘Mi dia la domanda’. Rispondo: ‘Ho deciso di non scriverla’. Hanno chiuso la porta. Dopo dieci minuti si è riaperta: ‘Andiamo a parlare’. Siamo entrati nell’ufficio, sono arrivate tre guardie capeggiate dal dirigente della Sezione controllo e sorveglianza del carcere. ‘Perché non vuole scrivere?’. Ho spiegato, ho tentato di spiegare. Hanno reagito in modo buffo: ‘Da una parte la capiamo. Dall’altra no. Ma va bene, sono affari suoi. Ma noi oggi dobbiamo fare rapporto, gentilmente parli del suo rifiuto e delle sue motivazioni al videoregistratore’. Ho detto all’incirca: ‘Mi rifiuto, perché la mia condanna è illegittima, mi trattengono qui in violazione delle norme della Costituzione della Federazione Russa, non mi ritengo colpevole. Dal mio punto di vista, che io scriva una domanda di grazia sarebbe un’ammissione indiretta di colpevolezza, cosa che non è’. Ma scrivere o non scrivere una domanda di grazia è scelta personale di ognuno. Non sono pronto in questo senso a invitare gli altri a fare o meno qualcosa né a giudicare le decisioni altrui”. Orlov a Colonia dopo la scambio di prigionieri.

Scambio di prigionieri. Dichiarazione dell’Associazione Internazionale Memorial.

Direttivo dell’Associazione Internazionale Memorial. 3 agosto 2024. Foto: Il’ja Jašin con l’uniforme carceraria dopo lo scambio. Evgenij Fel’dman / Meduza. Nel corso della conferenza stampa di ieri, 2 agosto 2024, Jašin ha espresso il desiderio di donare l’uniforme al museo di Memorial. Il primo agosto tutti noi abbiamo atteso notizie col fiato sospeso, fino a quando ciò che sembrava impossibile da credere è diventato realtà: alcuni prigionieri politici russi noti a livello internazionale, tra i quali il nostro collega Oleg Orlov, sono tornati in libertà. Sono stati graziati con disposizione segreta di Vladimir Putin, finalmente hanno potuto riabbracciare i propri cari, le loro vite (vogliamo crederci!) non sono più in pericolo. Si tratta, è chiaro, di una splendida notizia che infonde speranza, una notizia di quelle che capitano di rado dopo l’inizio dell’aggressione russa su vasta scala all’Ucraina del 24 febbraio 2022. Ma un retrogusto di amarezza rimane. Chi non ha commesso alcun reato, chi agli occhi dello Stato ha l’unica “colpa” di avere il coraggio di preoccuparsi e lottare con sincerità per il proprio paese, per un futuro costruito sul rispetto delle leggi internazionali e dei diritti umani non dovrebbe essere né condannato né graziato. Il retrogusto amaro della notizia sta anche nel fatto che oggi in Russia in carcere per le loro opinioni ci sono ancora centinaia di prigionieri politici, in base ad accuse precostituite, ad “articoli del codice penale” antigiuridici creati in tutta fretta per sostenere la guerra. È nostro dovere ricordare ognuno di loro, che si tratti di note figure pubbliche, di attivisti civili, come Jurij Dmitriev, nostro collega di Memorial, o di studenti e pensionati che nessuno conosce e che semplicemente non erano disposti ad agire contro la propria coscienza. Tra di loro ci sono anche gli ucraini finiti nelle mani del sistema giudiziario della Federazione Russa. Continuare a scrivere lettere, esprimere sostegno, richiamare attenzione sulle loro sorti: è questo è il nostro compito. Lo scambio appena avvenuto è un enorme risultato diplomatico, si tratta di mesi e mesi di lavoro. È pesante rendersi conto che questo lavoro non ha potuto portare alla liberazione di Aleksej Naval’nyj, rimasto vittima della macchina repressiva. Ma è soprattutto un lavoro che non deve fermarsi fino a quando in Russia e Belarus’ ci saranno prigionieri politici, molti dei quali rischiano la vita proprio in questo stesso momento. La cattiva notizia è che l’attuale governo della Federazione Russa continua a violare il diritto internazionale, salvando assassini e criminali da una giusta condanna, “graziando” ostaggi che ha catturato a questo scopo. E in ostaggio rimane anche l’intero paese, un paese in cui ogni parola libera, come un tempo, è foriera di perdita di libertà. Ed è per questo che il lavoro e la lotta di Memorial non si fermeranno, “per la vostra e la nostra libertà”.

1 agosto 2024. Oleg Orlov libero.

Il Centro per i diritti umani Memorial conferma la notizia: Oleg Orlov è libero. Ha chiamato sua moglie al telefono dall’aereo, è in viaggio verso Colonia. Ricordiamo che oggi, 1 agosto 2024, The Insider ha dato notizia della liberazione da parte della Federazione Russa di prigionieri politici in cambio di cittadini russi detenuti negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei. In base alle informazioni fornite da The Insider, tra i prigionieri politici ci sono: Oleg Orlov Evan Gershkovich Vladimir Kara-Murza Lilija Čanyševa Il’ja Jašin Ksenija Fadeeva Andrej Pivovarov Paul Whelan Alsu Kurmasheva Saša Skočilenko Dieter Voronin Kevin Lik Rico Kriger Patrick Schoebel German Mojžes Vadim Ostanin Non siamo in grado di confermare la notizia rispetto a tutti i prigionieri politici, ma speriamo che corrisponda al vero. Confermiamo però che Oleg Orlov è libero e al sicuro. Siamo molto felici che un gruppo di prigionieri politici sia in libertà! Tuttavia è importante ricordare che nelle carceri della Federazione Russa ci sono ancora centinaia di persone condannate per motivi politici. È necessario continuare a sostenerle e a chiedere giustizia. Sottolineiamo: di solito gli scambi di prigionieri in Russia si effettuano utilizzando lo strumento della grazia. Se in questo caso sono stati ufficialmente graziati, significa che i precedenti penali e tutto ciò che ne deriva sono stati cancellati. Per ricevere la grazia, tra l’altro, i detenuti non sono tenuti a presentare richiesta o ammettere colpevolezza: queste condizioni non sono necessarie per il rilascio.

Sopravvivere nel Gulag. La resistenza quotidiana delle prigioniere ucraine di Oksana Kis’

Sopravvivere nel Gulag. La resistenza quotidiana delle prigioniere ucraine di Oksana Kis’ con traduzione e curatela di Simone Attilio Bellezza e Iryna Kashchey (Viella Editrice, 2024). Centinaia di migliaia di donne ucraine furono condannate al Gulag negli anni Quaranta e Cinquanta. Solo la metà di loro sopravvisse. Oksana Kis’ ha prodotto il primo studio sulla vita quotidiana delle prigioniere politiche ucraine nei campi sovietici. Basato su memorie scritte, autobiografie e storie orali di oltre 150 sopravvissute, il volume descrive la resistenza delle donne alla brutalità delle condizioni dei campi, che si facevano forza non solo attraverso la conservazione dei costumi e delle tradizioni, ma anche superando spesso le differenze regionali e confessionali. Questo libro costituisce un unicum nella storiografia sull’argomento, perché affronta direttamente e per la prima volta la questione di genere nei Gulag, e lo fa tramite l’ottica particolare della storia orale e della specificità nazionale ucraina. Si rivela una lettura fondamentale per conoscere, sempre in una prospettiva di genere, le strategie di sopravvivenza, adattamento e resistenza agli effetti disumanizzanti del Gulag. Oksana Kis’ è una storica e antropologa che si occupa di storia delle donne, antropologia femminista, storia orale e trasformazioni di genere nei paesi post-socialisti. È ricercatrice senior presso l’Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina e presidente dell’Associazione ucraina per la ricerca sulla storia delle donne.

Oleg Orlov. Trasferito senza preavviso verso destinazione ignota.

Apprendiamo dal Centro per la difesa dei diritti umani Memorial che Oleg Orlov è stato trasferito dal centro di detenzione preventiva di Syzran’ verso destinazione ignota. Oggi, 29 luglio 2024, l’avvocato di Orlov ha raggiunto il centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syrzan’, nel quale il copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial era detenuto, per fargli visita e sul posto gli è stato comunicato che Orlov “non è presente”. I funzionari del centro di detenzione si sono rifiutati di fornire spiegazioni in merito a data, luogo e motivazione del trasferimento e, per fornire informazioni, hanno richiesto domanda scritta. Il 25 luglio all’avvocato era stato comunicato che dopo il processo di appello i materiali del processo non erano ancora stati consegnati al tribunale di prima istanza. Il fatto sembrava indicare che il trasferimento in colonia penale non sarebbe avvenuto a breve. Ricordiamo che Oleg Orlov è stato condannato a due anni e mezzo di reclusione per vilipendio reiterato dell’esercito. L’11 aprile è stato improvvisamente trasferito da Mosca a Samara e quindi al carcere SIZO-2 di Syzran’ nella regione di Samara. L’11 luglio il Mosgorsud, Tribunale municipale di Mosca, ha confermato la sentenza di condanna.