Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria.

Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria di Irina Flige. A cura di Andrea Gullotta con traduzione di Giulia De Florio (Stilo Editrice, 2022). Il protagonista del libro di Irina Flige è Sandormoch (Carelia), la radura boschiva in cui, negli anni Novanta, Veniamin Iofe, Irina Flige e Jurij Dmitriev scoprirono la fossa comune dove era stata sepolta un’intera tradotta di detenuti del primo lager sovietico, sulle isole Solovki. Sandormoch è un luogo chiave per comprendere il ruolo della memoria storica nella Russia contemporanea e la battaglia ingaggiata dagli attivisti e storici indipendenti contro l’ideologia ufficiale. La scoperta di questa fossa comune e la creazione del cimitero commemorativo sono soltanto due “atti” della tragedia che ruota intorno a Sandormoch e che ha portato all’arresto e alla condanna di Jurij Dmitriev, attualmente detenuto in una colonia penale. Nella peculiare e coinvolgente narrazione di Flige, adatta anche a un pubblico di non specialisti, la memoria si fa vivo organismo, soggetto a interpretazioni, manipolazioni, cancellazioni e riscritture. Il trauma del Gulag si delinea così come il terreno di scontro tra uno Stato autoritario e repressivo e l’individuo libero che vuole conoscere la verità e custodire la memoria del passato. Irina Anatol’evna Flige (1960), attivista per i diritti civili e ricercatrice, collabora da anni con antropologi e storici per condurre ricerche legate alla scoperta e preservazione dei luoghi della memoria del periodo staliniano. Nel 1988 entra a far parte di Memorial, associazione all’epoca non ancora ufficialmente registrata. Ne diventa collaboratrice nel 1991 e dal 2002 ricopre la carica di direttrice di Memorial San Pietroburgo.

Proteggi le mie parole

Proteggi le mie parole. A cura di Sergej Bondarenko e Giulia De Florio con prefazione di Marcello Flores (Edizioni E/O, 2022). «Due membri di Memorial (l’associazione insignita nel 2022 del Premio Nobel per la Pace) – Sergej Bondarenko, dell’organizzazione russa, e Giulia De Florio, di Memorial Italia (sorta nel 2004) – ci presentano una testimonianza originale e inedita che getta una luce inquietante, ma anche di grande interesse, sul carattere repressivo dello Stato russo, prima e dopo il 24 febbraio 2022, data d’inizio della guerra d’aggressione all’Ucraina. La raccolta che viene presentata comprende le ‘ultime dichiarazioni’ rese in tribunale da persone accusate di vari e diversi reati, tutti attinenti, però, alla critica del potere e alla richiesta di poter manifestare ed esprimere liberamente le proprie opinioni» L’idea del volume nasce da una semplice constatazione: in Russia, negli ultimi vent’anni, corrispondenti al governo di Vladimir Putin, il numero di processi giudiziari è aumentato in maniera preoccupante e significativa. Artisti, giornalisti, studenti, attivisti (uomini e donne) hanno dovuto affrontare e continuano a subire processi ingiusti o fabbricati ad hoc per aver manifestato idee contrarie a quelle del governo in carica. Tali processi, quasi sempre, sfociano in multe salate o, peggio ancora, in condanne e lunghe detenzioni nelle prigioni e colonie penali sparse nel territorio della Federazione Russa. Secondo il sistema giudiziario russo agli imputati è concessa un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a. Molte tra le persone costrette a pronunciare la propria “ultima dichiarazione” l’hanno trasformata in un atto sì processuale, ma ad alto tasso di letterarietà: per qualcuno essa è diventata la denuncia finale dei crimini del governo russo liberticida, per altri la possibilità di spostare la discussione su un piano esistenziale e non soltanto politico. Il volume presenta 25 testi di prigionieri politici, tutti pronunciati tra il 2017 e il 2022. Sono discorsi molto diversi tra loro e sono la testimonianza di una Russia che, ormai chiusa in un velo di oscurantismo e repressione, resiste e lotta, e fa sentire forte l’eco di una parola che vuole rompere il silenzio della violenza di Stato. Traduzioni di Ester Castelli, Luisa Doplicher, Axel Fruxi, Andrea Gullotta, Sara Polidoro, Francesca Stefanelli, Claudia Zonghetti.

Queer Transnationalities. Towards a History of LGBTQ+ Rights in the Post-Soviet Space.

Queer Transnationalities. Towards a History of LGBTQ+ Rights in the Post-Soviet Space. A cura di Simone Attilio Bellezza e Elena Dundovich (Pisa University Press, 2023). Il volume è disponibile gratuitamente in versione e-book. With the end of Soviet persecutions in 1991, LGBTQ+ communities have experienced a period of development even though post-Soviet societies have only partially shown greater tolerance toward sexual and gender minorities. The transnational interaction between Western activism and post-Soviet communities has led to the emergence of new feelings of gender, sexual, and national belonging. This volume presents research by experts in queer studies who study how the struggle for sexual and gender minority rights has intersected with the construction of political, social, and cultural belongings  over the past three decades.

Restituzione dei nomi / Возвращение имён 2024

La Restituzione dei nomi è un evento annuale dedicato al ricordo delle persone deportate, arrestate e uccise dal regime sovietico. Dal 2007 in Russia e nel mondo ci si riunisce per leggere ad alta voce i nomi delle vittime dello Stato sovietico. È possibile organizzare la Restituzione dei nomi ovunque nel mondo, così come è stato per Memorial Italia nel 2023 e nel 2022. In Italia per il 2024 sono previsti tre incontri commemorativi: a Bari (24 ottobre), Torino (26 ottobre) e Milano (27 ottobre). Nel 2024, come negli ultimi anni, a Mosca la manifestazione non è stata approvata per Covid-19. Minaccia fittizia, utilizzata dal governo per ostacolare qualsiasi tipo di espressione pubblica che intenda esprimere solidarietà civile o posizioni contrarie a quelle di regime. Martedì 29 ottobre, a partire dalle 12:00 (ora di Mosca), l’ormai consueto collegamento on line tuttavia permetterà di seguire in diretta la lettura dei nomi in più di 80 città del mondo. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito October29, disponibile in russo e in inglese. La Restituzione dei nomi è il cuore delle iniziative organizzate da Memorial. La manifestazione è dedicata al ricordo delle vittime del Terrore di Stato in Unione Sovietica. Il 29 ottobre di ogni anno, in Russia e nel mondo, soci, volontari, attivisti di Memorial e chiunque desideri unirsi si raccolgono per leggere ad alta voce i nomi delle persone che hanno perso la vita per mano delle autorità sovietiche. La Restituzione dei nomi si è svolta per la prima volta a Mosca nel 2007 in una data e in luogo simbolici: alla vigilia del 30 ottobre, Giornata del prigioniero politico, istituita nel 1974 da Kronid Ljubarskij e Aleksej Murženko detenuti nel campo di lavoro Dubravlag, e Giornata della memoria delle vittime delle repressioni politiche, istituita nel 1991, e accanto alla Pietra delle Solovki, monumento alle vittime delle repressioni politiche collocato di fronte alla Lubjanka, sede dei servizi segreti, prima sovietici e ora russi. Come sottolinea Memorial, la ricorrenza del 29 ottobre non è solo una commemorazione, ma un’occasione per riflettere sul legame tra passato e presente. Un’occasione per incontrarsi, parlarsi e farsi domande. A cosa si pensa in fila, mentre si aspetta di leggere i nomi di milioni di persone scomparse? Perché è così importante ricordare il nome di chi è stato ucciso? Cosa significa “noi”, cosa spinge le persone a incontrarsi in questa occasione? “Noi” significa tutti coloro per i quali le repressioni in Unione Sovietica sono state una tragedia personale e familiare. Tutti coloro che oggi nella Federazione Russa comprendono il legame tra i crimini del passato e quelli del presente. Che vivono in Russia o all’estero, liberi o in carcere. In Russia, come ogni anno, Memorial invita a organizzare la Restituzione dei nomi nei pressi di luoghi commemorativi dedicati al ricordo delle vittime dei crimini dello stato sovietico. L’incontro può essere di grandi dimensioni, ma può anche coinvolgere un piccolo gruppo di persone che condividono i valori della libertà e del rispetto per la vita umana.

Roma, 20 settembre 2024. “Il caso Dmitriev”.

A Roma, venerdì 20 settembre 2024, nella sede dell’agenzia di stampa Dire, si è svolto un incontro dedicato ai prigionieri e alle prigioniere politiche detenuti nelle carceri della Federazione Russa.Nell’occasione sono state proiettate parti del documentario The Dmitriev Affair, scritto e diretto da Jessica Gorter. Sono intervenuti Giulia De Florio, docente di lingua e letteratura russa e presidente di Memorial Italia; Raffaela Chiodo Karpinsky, attivista e giornalista; Andrea Gullotta, docente di lingua e letteratura russa e vicepresidente di Memorial Italia. Ha moderato Nicola Perrone, direttore dell’agenzia Dire. Lo scambio di prigionieri avvenuto all’inizio dello scorso agosto è stato un momento di grande sollievo per la parte di società civile russa che lotta contro il regime di Vladimir Putin. Le prime dichiarazioni rilasciate da alcuni dei detenuti liberati hanno rivolto l’attenzione alle migliaia di persone che si trovano ancora nelle carceri e colonie penali russe in cui sono costrette a scontare condanne severissime per avere tentato di esprimere la propria opinione o agire contro l’ideologia ufficiale. Il caso di Pavel Kušnir, pianista deceduto in cella per sciopero della fame, costituisce una sollecitazione a fare di più. In questo contesto “il caso Dmitriev” rappresenta uno degli esempi di opposizione più emblematici e descrive con nettezza la parabola involutiva vissuta dalla Federazione Russa dagli anni Novanta a oggi: la memoria storica è diventata terreno di scontro politico e chiave di volta dell’ideologia putiniana. Jurij Dmitriev è uno storico e attivista, direttore di Memorial Petrozavodsk. Negli anni Novanta scopre un’enorme fossa comune in cui sono sepolte migliaia di vittime del Grande Terrore. Nella radura boschiva di Sandormoch, in Carelia, inaugura un cimitero commemorativo e riesce a raccogliere persone di varie nazionalità intorno a un passato complesso e conflittuale. Da sempre schierato contro il governo della Federazione Russa, Dmitriev condanna apertamente l’invasione della Crimea, nel 2014. Da allora inizia per lui un calvario giudiziario che lo porta a essere condannato a tredici anni e mezzo di reclusione. Il documentario di Jessica Gorter, realizzato nel 2023, racconta con passione e precisione la sua tragica vicenda. Gabriele Nissim, ha letto per Memorial Italia l’ultima dichiarazione di Jurij Dmitriev, pronunciata l’8 luglio 2020, come parte del progetto 30 ottobre. Proteggi le mie parole. L’incontro intende dare testimonianza della situazione critica vissuta oggi da numerosi prigionieri e prigioniere politiche nella Federazione Russa, provando a raccontare l’attualità e a illustrare quali azioni concrete di sostegno sia possibile realizzare.

29 agosto 2024. Lezioni non apprese. In occasione dell’ottantacinquesimo anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale.

Comunicato dell’Associazione Internazionale Memorial 29 agosto 2024 Lezioni non apprese. In occasione dell’ottantacinquesimo anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Vasilij Vereščagin, Apoteosi della guerra (1871) Quest’anno in Europa, e non solo, si celebreranno gli 85 anni dall’inizio della Seconda guerra mondiale. Quando tacquero le armi sembrò che l’umanità non avrebbe dimenticato la tragedia appena vissuta e che ne avrebbe tratto le dovute lezioni. Nel corso di alcune generazioni, in effetti, l’espressione “basta che non ci sia la guerra” è diventata una sorta di auspicio ricorrente, un modo di dire comune. Per scongiurare ulteriori conflitti fu creata l’ONU e furono adottati vari patti e convenzioni internazionali. Chi aveva la responsabilità diretta di avere scatenato la guerra fu portato davanti al tribunale di Norimberga, le cui decisioni divennero parte integrante del diritto internazionale. Sembrava che in Europa l’epoca delle ostilità armate e delle annessioni fosse conclusa per sempre. Ma purtroppo le generazioni che hanno vissuto la guerra contro il nazismo ci hanno ormai lasciato e l’immunità acquisita contro il militarismo si è via via attenuata, fin quasi a scomparire del tutto; gli avvenimenti della Seconda guerra mondiale sono ormai storia e il mondo si ritrova ad affrontare le stesse minacce del passato. In Europa è scoppiata una nuova guerra su vasta scala, provocata dalla Russia. Sì, proprio dalla Russia, che pure si ritiene l’erede designata dell’Unione Sovietica, che ha contribuito a sconfiggere la Germania nazista, a istituire il Tribunale di Norimberga e l’ONU. L’associazione Memorial si occupa di memoria storica. A noi, suoi soci, pare ovvio che sia stato possibile aggredire l’Ucraina solo perché l’attuale governo russo ha usurpato il passato. Non è un caso se l’Associazione russa di storia è presieduta dalla sua fondazione da Sergej Naryškin, direttore dei Servizi segreti esteri della Federazione Russa. La concezione della storia che le autorità russe impongono con violenza alla società, soprattutto riguardo alla Seconda guerra mondiale, è costituita da un miscuglio pericolosissimo di nazionalismo aggressivo, sacralizzazione del potere e psicosi militaristica. Paradossalmente l’ideologia del “mondo russo”, che il putinismo cerca di inoculare nella popolazione, ricorda sempre più l’ideologia cavalcata da Hitler 85 anni fa durante la sua conquista dell’Europa. Non c’è da stupirsi se sempre più spesso le autorità russe, a vari livelli e inconsapevolmente (o forse talvolta consapevolmente), ricalcano nella propria retorica i notissimi cliché della propaganda nazista. Per esempio, uno dei maggiori politici russi proclama senza la minima esitazione lo slogan “un paese, un presidente, una vittoria” che riprende quasi esattamente quello dell’NSDAP, “ein Volk, ein Reich, ein Führer” (“un popolo, un Reich, un Führer”), mentre in una certa regione russa si dà a una manifestazione sportiva il nome di “Trionfo della volontà”, come il titolo del film di propaganda nazista girato nel 1935. All’inizio dell’aggressione contro l’Ucraina il presidente russo ha pubblicato un lungo articolo “storico” in cui ha messo in dubbio la stessa esistenza del popolo ucraino, della sua lingua e cultura e del suo diritto all’autodeterminazione. Il tutto coincide per molti versi con proclami analoghi dei vertici nazisti riguardo ad altri popoli e lo si può considerare a pieno titolo una base teorica per un genocidio. Non c’è da stupirsi se poco tempo fa il presidente ha accusato non gli aggressori, ma le vittime, di avere scatenato la Seconda guerra mondiale: “i polacchi hanno superato ogni limite e obbligato Hitler a cominciare la Seconda guerra mondiale attaccando proprio loro. Come mai la guerra iniziò il 1 settembre 1939 sul fronte polacco? La Polonia si era dimostrata refrattaria a qualunque compromesso. Per realizzare i suoi piani a Hitler non restò che attaccarla”. Difficile immaginare affermazioni che più stridono con le sentenze del processo di Norimberga. Al contempo è a rischio di persecuzione penale chi interpreta eventi storici in una maniera che si discosta da quella ufficiale, per esempio tracciando paralleli tra stalinismo e fascismo o sottolineando il ruolo del patto Molotov-Ribbentrop nello scoppio della guerra. È in affermazioni di questo genere, e non nei discorsi come quelli putiniani, che i tribunali russi ravvisano una “negazione dei fatti determinati dalle sentenze del Tribunale militare internazionale” e una “riabilitazione del nazismo” (articolo 254.1 del Codice penale della Federazione Russa). *** È inevitabile chiedersi: come mai in un paese ancora relativamente libero (quale era la Russia degli anni Novanta) il potere è riuscito a usurpare la storia? Noi ipotizziamo la dinamica seguente. Le questioni più importanti della storia sovietica e russa non sono diventate oggetto di ampie discussioni nella società e la coscienza collettiva non le ha rielaborate. All’inizio del regime putiniano queste lacune (che non individuiamo nelle conoscenze storiche, essenzialmente ormai complete, ma proprio nella coscienza collettiva) hanno permesso alle autorità di compiere manipolazioni politiche aggressive. Ci riferiamo in particolare agli eventi della Seconda guerra mondiale e prima di tutto a quelli che ne sono stati le premesse. La causa principale della guerra fu chiaramente la politica espansiva della Germania nazista. La sentenza pronunciata a Norimberga contro gli ex vertici del Terzo Reich li riconosceva colpevoli di “crimini contro la pace, attuati pianificando, preparando, scatenando e conducendo guerre di aggressione, le quali costituiscono inoltre una violazione dei trattati, degli accordi e delle garanzie internazionali”. Per motivi evidenti il tribunale di Norimberga non considerò (né poteva farlo) che ruolo ebbero, nello spianare la strada alla guerra, le scelte politiche degli stati che poi la vinsero. A Norimberga fu giudicato un gruppo concreto di persone, accusato di avere commesso alcuni crimini concreti. Non è tuttavia possibile escludere dall’ordine del giorno l’esame delle scelte politiche di cui sopra. Esse rientrano nella morale politica e, quindi, non solo andrebbero studiate dalla storia, ma dovrebbero essere oggetto di una riflessione da parte della società. Per la società occidentale il filone più importante è la “pacificazione dell’aggressore” a spese delle vittime, cioè gli accordi di Monaco, firmati il 30 settembre 1938. Ci rimise per prima la Cecoslovacchia poi, in seguito, anche il Regno Unito e la Francia, che avevano firmato quegli accordi. Per la Russia il filone essenziale è il patto Molotov-Ribbentrop firmato il 23 agosto… Continua a leggere 29 agosto 2024. Lezioni non apprese. In occasione dell’ottantacinquesimo anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale.

Aperti procedimenti amministrativi contro Sergej Davidis e Svetlana Gannuškina

Nei giorni scorsi sono stati avviati procedimenti amministrativi contro Sergej Davidis, attuale presidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, e Svetlana Gannuškina, storica attivista tra i fondatori del Centro. Il 19 agosto si è appreso che il Roskomnadzor, Servizio per la supervisione delle comunicazioni, della tecnologia dell’informazione e dei mass media della Federazione Russa, ha formalizzato un’accusa per violazione delle regole di marcatura in quanto “agente straniero” (art. 5, c. 19.34 del Codice amministrativo) contro Sergej Davidis, attuale presidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial. L’elenco delle violazioni comprende otto post sul canale Telegram personale di Davidis, tra i quali le foto pubblicate da Davidis della mezza maratona di Vilnius cui aveva recentemente partecipato e alcune fotografie scattate a Ginevra. Il Roskomnadzor fa riferimento anche al Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, già incluso nel registro degli “agenti stranieri”. A conferma delle attività di Davidis in veste di socio del Centro Memorial il Roskomnadzor cita tre post del suo canale Telegram, tutti repost dal canale Telegram del Centro Memorial. La seconda pagina dell’atto contiene un errore. Il Roskomnadzor afferma che i post Telegram di Davidis sono stati “prodotti, diffusi e/o inviati da un socio di Radužnaja Associacija (Associazione Arcobaleno)”, inclusa anch’essa nel registro degli “agenti stranieri”. Tuttavia Sergej Davidis non è un socio di questa associazione. Il processo è previsto per il 3 settembre. In base all’articolo che gli viene contestato Sergej Davidis rischia una multa da 10.000 a 30.000 rubli. Il 14 agosto E.B. Ponomarëv, sostituto procuratore del tribunale interdistrettuale Basmannyj di Mosca, ha formalizzato l’apertura di un procedimento amministrativo a carico di Svetlana Gannuškina, tra i fondatori del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial. Ponomarëv ha rinvenuto un illecito nel fatto che, nella corrispondenza con Tat’jana Moskal’kova, commissaria per i diritti umani della Federazione Russa, Gannuškina non ha indicato il suo status di “agente straniero”. Svetlana Gannuškina aveva inviato sull’e-mail personale di Moskal’kova le informazioni di cui disponeva il Centro Memorial sul caso della ventitreenne inguscia Lejla Gatagaževa, chiedendo di vagliare con attenzione il caso della giovane madre accusata di “partecipazione a organizzazione terroristica”, nonostante la donna avesse già scontato una condanna a cinque anni di reclusione in Iraq in base a un’accusa analoga. 21 agosto 2024.

In ricordo di Michela Venditti

15 agosto 2024 La notte scorsa è mancata Michela Venditti, professoressa di letteratura russa all’Università di Napoli L’Orientale e socia di Memorial Italia. Esprimiamo la nostra vicinanza ai suoi cari e ci uniamo al dolore di colleghi, studenti e di chi ha avuto la fortuna di conoscerla. Con discrezione, serietà e spirito di servizio Michela ha lavorato per Memorial Italia condividendone ideali e valori. Il suo esempio nell’associazione così come la sua professionalità nella ricerca e nell’insegnamento restano un segno tangibile che porteremo sempre con noi per conservarne il ricordo.

Parole trafugate. Diari clandestini dalla Russia (1970-1971) di Eduard Kuznecov

Parole trafugate. Diari clandestini dalla Russia (1970-1971) di Eduard Kuznecov con introduzione di Marcello Flores (Guerini e Associati, 2023). Che cosa significa tenere di nascosto un diario in un campo di lavoro dove tutti i giorni vieni perquisito e vivi sotto la costante minaccia di ricatti e punizioni esemplari? Quale incoercibile determinazione può spingerti a registrare nella scrittura questa esperienza e a cercare di diffondere la tua testimonianza al di là del filo spinato? È quanto si chiede Eduard Kuznecov in questi diari fatti uscire clandestinamente dal lager speciale n. 10 in Mordovia e miracolosamente giunti nelle mani di Sacharov. Una coraggiosa prova di resistenza morale e una potente testimonianza sulle degradanti e inumane condizioni di vita dei prigionieri e insieme una lucida denuncia dei mali che minano il sistema giudiziario sovietico e dei meccanismi che regolano uno Stato totalitario; uno Stato “il cui passato, presente e futuro si reggono sul sangue, la menzogna e l’insensibilità e di fronte al cui volto da incubo l’uomo non è nulla”. Pagine scritte tra il 1970 e il 1971, ma di drammatica attualità che ci ricordano come il potere anche nella Russia di oggi continui a ricorrere agli stessi metodi manipolativi e a servirsi degli stessi strumenti coercitivi nei confronti dei suoi nuovi oppositori. Eduard Kuznecov, scrittore e giornalista dissidente, nasce a Mosca nel 1939. Nel 1961 è arrestato per la prima volta e condannato a sette anni di reclusione per propaganda antisovietica. Nel 1970 viene processato, per aver tentato, insieme a un gruppo di ebrei russi dissidenti, di dirottare un aereo verso Israele e condannato alla pena di morte; pena che gli viene commutata, grazie alla pressione dell’opinione pubblica internazionale, in quindici anni di reclusione in un campo di lavoro a regime speciale in Mordovia. All’inizio degli anni Settanta i suoi diari, usciti clandestinamente dalla Russia, vengono pubblicati in Occidente. Nel 1979 viene rilasciato ed emigra in Israele dove vive attualmente. Tra il 1983 e il 1990 collabora con Radio Liberty. Nel 1992 è tra i fondatori del quotidiano in lingua russa vesti. Nel 2016 la figlia, Anat Zalmason-Kuznecov, ha diretto un documentario sulla storia dei suoi genitori dal titolo Operation Wedding. Recensioni Mai mollare. Eduard Samoilovič Kuznecov, o dell’ostinazione come virtù di David Bidussa in “Gli Stati generali”, 15 novembre 2023. I diari di Kuznecov in un lager dell’Urss: “scrivo solo per conservare il mio volto” di Elena Freda Piredda in “ilSussidiario.net”, 11 gennaio 2024. I diari di Eduard Kuznecov: la scrittura nei lager sovietici di Simone Campanozzi in “Giornalismo e Storia”, 3 febbraio 2024. Eduard Samuilovič Kuznecov – Parole trafugate di Giulia Baselica in “L’indice dei libri del mese”, 19 luglio 2024.