"Collettivizzazione totale"; le aziende contadine iscritte nei kolchoz salgono da 1 a 14 milioni

La decisione di arrivare gradualmente alla collettivizzazione delle aziende contadine era stata proclamata al XV congresso della VKP(b) nel dicembre 1927. La crisi alimentare del 1928 e l’opposizione dei contadini agli ammassi di grano spinsero Stalin ad accelerare bruscamente il processo e a risolvere il problema del grano riunendo ovunque i contadini nei kolchoz (aziende collettive).
Nel giugno 1929 la stampa annunciò l’inizio di una nuova fase, la “collettivizzazione di massa”. Alcune regioni del paese furono dichiarate “zone di collettivizzazione totale”: dovevano cioè assumersi l’impegno di coinvolgere subito nella trasformazione il 50% e oltre delle aziende contadine. Il 31 ottobre il giornale “Pravda” pubblicò un appello alla “collettivizzazione totale” in tutto il paese. Questo stesso obiettivo fu proclamato prioritario dal Plenum di novembre del CC della VKP(b), le cui decisioni facevano seguito all’articolo di Stalin L’anno della grande svolta, pubblicato alla vigilia.
I tempi concreti della collettivizzazione furono definiti dalla risoluzione approvata dal CC della VKP(b) il 5 gennaio 1930, I tempi della collettivizzazione e le misure per aiutare lo Stato nell’edificazione dei kolchoz, che imponeva altresì di accelerare il processo di dekulakizzazione. Le principali regioni cerealicole della RSFSR (Caucaso Settentrionale, Regione del Medio e Basso Volga) dovevano giungere alla collettivizzazione totale fra l’autunno del 1930 e la primavera del 1931; le altre zone produttrici di grano per la primavera successiva; i rimanenti territori, regioni e repubbliche entro il 1932.
L’azienda collettiva doveva basarsi sulla cooperazione (kolchoz), che presupponeva il lavoro in comune, la socializzazione degli appezzamenti di terra, delle macchine agricole e del bestiame (a differenza delle comuni, non era previsto che i kolchoziani vivessero insieme, le loro case e gli appezzamenti annessi restavano di loro proprietà). Nei kolchoz in pratica si introduceva una forma industriale di organizzazione del lavoro; il presidente, formalmente eletto, era di fatto nominato dalle autorità e dirigeva praticamente da solo il lavoro dei membri del kolchoz. Per presiedere i kolchoz il partito inviò nelle campagne più di 25.000 attivisti dalle città.
Sul posto si formavano speciali “brigate”, costituite da comunisti, agenti della milizia e collaboratori dell’OGPU, che giravano per i villaggi, convocavano assemblee generali e con vari mezzi cercavano di costringere i contadini ad aderire “volontariamente” ai kolchoz. Diffusissimo era il ricorso alle minacce di denunciare come kulak, deportare, arrestare, privare dei rifornimenti alimentari e di prodotti industriali. Se nel kolchoz voleva entrare solo una parte irrilevante dei contadini, tutto il villaggio veniva dichiarato “collettivizzato al 100%”. Chi rifiutava di entrare nel kolchoz era bollato come “kulak” o “podkulačnik”, ovvero “servo dei kulak”, e come tale veniva deportato.
Nel corso della collettivizzazione le repressioni assunsero proporzioni senza precedenti. Brigate per l’organizzazione dei kolchoz, gruppi di contadini poveri e braccianti, Soviet rurali, plenipotenziari per la collettivizzazione, funzionari di partito e sovietici di tutti i livelli, milizia e organi dell’OGPU: tutti eseguivano arresti.
Nell’inverno 1929-1930 la collettivizzazione procedette a ritmi sostenutissimi. Se il 1° ottobre 1929 era stato collettivizzato il 7,5% delle aziende contadine, il 20 febbraio 1930 si era già al 52,7% (13.675.900 aziende). Ma la maggioranza dei kolchoz esisteva solo sulla carta.
Lo scontento dei contadini per la collettivizzazione forzata esplose in proteste di massa e rivolte in tutto il territorio del Paese. Se in tutto il 1929 c’erano stati 1.307 moti contadini, solo nel periodo gennaio - marzo 1930 ce ne furono 7.978, con la partecipazione di milioni di persone. In alcune zone del Caucaso Settentrionale, dell’Asia Centrale e del Kazachstan sorsero formazioni armate, per combattere le quali il governo dovette inviare reparti dell’Armata Rossa e dell’OGPU. Le rivolte contadine vennero sedate, talvolta con il ricorso all’artiglieria, ai mezzi blindati e perfino all’aviazione. Alla fine di febbraio del 1930 la situazione in alcune regioni agricole dell’URSS era diventata estremamente critica. Gli insorti uccidevano gli attivisti di partito, devastavano i Soviet, s’impadronivano dei depositi di grano, creavano nuovi organi di governo, che per alcune ore o perfino giorni prendevano il potere nei villaggi. I contadini adottarono anche un’altra forma di resistenza alla collettivizzazione: prima di entrare nel kolchoz, macellavano gran parte del bestiame.
La resistenza inaspettata e massiccia dei contadini indusse il potere, da un lato, a procedere a un’epurazione pianificata delle campagne (dekulakizzazione), e dall’altro a correggere i tempi della collettivizzazione. Il 2 marzo 1930 i giornali centrali pubblicarono l’articolo di Stalin "Vertigine del successo", con cui si annunciava un’inversione di rotta nella politica agraria. Stalin dava tutta la colpa degli eccessi ai funzionari locali, che in realtà avevano eseguito obbedienti le direttive del centro. La reazione all’articolo non si fece attendere. Fra marzo e aprile il 60% delle aziende contadine uscì dai kolchoz (il livello della collettivizzazione nel Paese scese al 23,6%). Tuttavia le rivolte continuarono: i contadini esigevano la restituzione del bestiame, del grano, degli attrezzi agricoli e della terra socializzata. Nel mese di marzo ci furono 6.500 rivolte contadine, 800 delle quali furono represse con l’uso delle armi. Non si conosce il numero delle vittime fra gli insorti: sappiamo però che furono uccisi o feriti 15.000 agenti dell’OGPU. Nella lettera riservata del CC della VKP(b) del 2 aprile 1930 si sottolineava che alla “pausa” nella collettivizzazione si era giunti perché la situazione minacciava di sfociare in “una vasta ondata di rivolte contadine”. Verso l’estate il numero dei moti contadini diminuì gradualmente. In totale nel 1930 si registrarono 13.756 rivolte, a cui parteciparono circa 3.400.000 contadini.
Nell’autunno 1930 la collettivizzazione entrò in una nuova fase. Oltre alle misure repressive, sui contadini piccoli proprietari si esercitò una forte pressione economica: si innalzarono le aliquote d’imposta, si sospese la concessione di crediti, e in alcune regioni anche la fornitura di prodotti industriali (i kolchoz, al contrario, ottenevano crediti, agevolazioni d’imposta e furono temporaneamente esentati da alcuni pagamenti; ebbero in uso i pascoli e i boschi delle comunità contadine).
La pressione economica, unita alle repressioni, fece sì che la collettivizzazione all’inizio del 1932 arrivasse a interessare il 62,4% delle aziende. Alla fine del 1932 erano collettivizzati i 2/3 delle aziende contadine e socializzati i 4/5 dei terreni. Basandosi su questi dati formali, il Plenum di gennaio (1933) del CC della VKP(b) concluse che nel complesso la “collettivizzazione totale” in URSS era stata realizzata.
Ma in realtà la trasformazione delle campagne del 1931-1932 aveva portato a risultati opposti a quelli attesi: una riduzione del raccolto di cereali a 68,4 milioni di tonnellate nel 1933, contro gli 83,5 del 1930, mentre i capi bovini ed equini erano ridotti alla metà, e gli ovini a un terzo. Ciò portò alla catastrofe demografica dell’inverno 1932-1933.
La costituzione del 1933 consolidò giuridicamente la nuova forma di proprietà kolchoziano-cooperativa, e la posizione giuridica della famiglia kolchoziana. Nel 1937 le aziende collettive riunivano già il 93% delle famiglie. Allora fu dichiarato che l’esclusione dei contadini dai kolchoz, praticata nella prima metà degli anni ’30, doveva considerarsi una misura straordinaria, e in tal modo l’appartenenza all’azienda collettiva diventava praticamente perpetua e perfino ereditaria: i figli dei kolchoziani, essendo sprovvisti di passaporto, diventavano “automaticamente” kolchoziani anche loro.
Per lunghi anni (fino alla metà degli anni ’60), i kolchoziani furono i “servi della gleba” dello Stato sovietico: esclusi dai mezzi di produzione, privati della possibilità di disporre dei risultati del loro lavoro e, di fatto, limitati nei loro diritti civili.

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In Internet: “Velikij perelom” ili modernizacija po-stalinski, http://www.geocities.com/capitolhill/congress/3595/russian/perelom.html.
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