Assassinio di Kirov

Il 1° dicembre 1934, alle 16 e 37 minuti, con due
colpi di pistola alla schiena fu assassinato nel corridoio della sede del
comitato regionale del partito, a Leningrado, il membro del Politbjuro e Segretario
del CC della VKP(b), Sergej Mironovič Kirov. L’assassino, immediatamente
arrestato, era il giovane comunista Leonid Nikolaev.


Due ore dopo l’assassinio i massimi dirigenti politici
del Paese, guidati da Stalin, partirono in aereo per Leningrado. Fu nominata
una commissione d’inchiesta sull’omicidio, destituito il capo della direzione
leningradese dell’NKVD, responsabile della sicurezza dei dirigenti di partito,
e arrestato il capo della scorta personale di Kirov (sarebbe morto alcuni
giorni dopo in circostanze misteriose). Furono inoltre arrestati tutti i famigliari
di Nikolaev. Benché ancora oggi si ritenga ufficialmente che movente dell’omicidio
sia stata l’ostilità personale di Nikolaev verso Kirov (prima di allora aveva
ripetutamente e inutilmente scritto a Kirov e a Stalin per lamentarsi della
propria situazione e chiedere un colloquio; inoltre la moglie di Nikolaev
era diventata l’amante di Kirov), ben presto si diffusero voci secondo le
quali l’assassinio di Kirov sarebbe stato ordinato da Stalin per epurare i
quadri di partito e scatenare il terrore di massa. Questa versione fu riportata
in primo piano dal discorso di Chruščëv al XX Congresso del PCUS.


L’assassinio di uno dei principali leader del partito
e dello Stato fu immediatamente sfruttato dalla dirigenza del Paese per inasprire
la politica repressiva. Il giorno stesso, prima ancora che fosse identificato
l’assassino, il Presidium del CIK dell’URSS approvò la risoluzione segreta
“Procedura giudiziaria nei casi di organizzazione o esecuzione di atti terroristici”
(scritta di proprio pugno da Stalin); in quello stesso giorno fu approvata
la risoluzione del CIK e dell’SNK dell’URSS “Introduzione di modifiche nei
vigenti codici di procedura penale delle repubbliche dell’Unione”. Secondo
questi documenti, le istruttorie relative ai casi di terrorismo dovevano concludersi
entro 10 giorni, l’atto d’accusa andava consegnato agli imputati ventiquattr’ore
prima del processo, la partecipazione del procuratore e dell’avvocato era
esclusa dall’udienza giudiziaria, la sentenza non era impugnabile, era vietato
accettare domande di grazia dai “terroristi”, e le condanne a morte erano
eseguite immediatamente. Con una direttiva del Procuratore dell’URSS e del
Presidente della Corte Suprema dell’URSS si dava validità retroattiva a queste
risoluzioni, cioè tutti i casi di terrorismo non conclusi entro il 1° dicembre
dovevano essere esaminati secondo le nuove regole.


Originariamente la responsabilità dell’omicidio fu
attribuita alle guardie bianche, tanto più che i dirigenti di alcune organizzazioni
estremistiche dell’emigrazione russa (l’Unione nazionale della nuova generazione,
il Partito fascista russo) avevano rivendicato l’attentato. In dicembre ci
furono alcune centinaia di arresti di “guardie bianche” e loro agenti (soprattutto
in Ucraina), immediatamente seguiti dalla fucilazione, secondo la nuova legge.
Tuttavia già verso la metà di dicembre l’inchiesta prese una nuova direzione.
Il 16 dicembre a Mosca furono arrestati gli ex leader dell’opposizione di
partito, Grigorij Zinov’ev (che aveva guidato l’organizzazione di partito
leningradese prima di Kirov), Lev Kamenev (ex presidente del Soviet di Mosca)
e altri tredici comunisti, a  cui era attribuita la “responsabilità politica”
della morte di Kirov. Il 22 dicembre la TASS comunicò che “l’ignobile delitto”
era opera del “centro terroristico zinov’eviano di Leningrado”, di cui facevano
parte Nikolaev e alcuni suoi amici. Il 28-29 dicembre 1934 a Leningrado si
svolse il processo a porte chiuse agli esponenti del “centro”; quattordici
persone, compreso Nikolaev, furono fucilate per sentenza del Collegio Militare
della Corte Suprema dell’URSS. Di lì a poco furono fucilati tutti i famigliari
di Nikolaev e dei “congiurati”. Inoltre, cominciò l’espulsione in massa da
Leningrado degli “elementi estranei” (ex aristocratici, funzionari, esponenti
del clero e simili).


All’assassinio di Kirov seguirono significativi mutamenti
nella vita politica e ideologica dell’URSS. Dalla coscienza sociale fu estirpata
l’idea stessa che il terrore individuale potesse essere (e in passato fosse
stato) uno strumento accettabile di lotta politica. In questo senso si riscriveva
la storia recente della Russia e del partito (per esempio i populisti terroristi,
fino ad allora celebrati come eroi rivoluzionari, cominciarono a venire trattati
come predecessori dei zinov’eviani, assassini di Kirov); furono chiuse influenti
organizzazioni sociali degli anni ’20: l’Associazione dei vecchi bolscevichi
e l’Associazione degli ex deportati politici. Per “complicità” nell’assassinio
di Kirov, dichiarato a posteriori amico prediletto e compagno di lotte di
Stalin, furono incriminate migliaia di persone, soprattutto comunisti accusati
di appartenere all’opposizione di partito, fino alla fine degli anni ’30.
L’assassinio di Kirov fu così una sorta di prologo al Grande Terrore.

Fonti:

Bibliografia: R.A. Medvedev, K sudu istorii.
Genezis i posledstvija stalinizma
, New York, Knopf 1974 (idem, O Staline
i stalinizme
, Moskva 1990).


D.A. Volkogonov, Triumf i tragedija: političeskij
portret I.V. Stalina
, vol. 1, Moskva 1989 (Stalin: triumph and tragedy,
London 1991).


In Internet:
S. Kul’čickij, Tragedija v Leningrade: otgoloski na Ukraine
http://www.cherkassy.net/CITY/Misc/99/1199/143.htm