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30 ottobre - Giornata del prigioniero politico

Il 30 ottobre ricorre in Russia la Giornata del prigioniero politico, istituita nel 1974 grazie a Kronid Ljubarskij e Aleksej Murženko, detenuti nel campo di lavoro sovietico noto come Dubravlag. Il 30 ottobre 2023 Memorial Italia vuole ricordare le prigioniere e i prigionieri politici di oggi pubblicando una serie di video in cui vengono lette le ultime dichiarazioni di alcuni di loro. Sono i discorsi che le imputate e gli imputati hanno il diritto di pronunciare prima che venga emessa la sentenza. Sono testi sinceri, forti, coraggiosi, pronunciati da esponenti dell’intera società russa: giornaliste e giornalisti, studenti, persone dello spettacolo, attiviste e attivisti, uomini e donne comuni, tutte vittime del regime.

Furono circa 1000 gli italiani che vennero repressi in URSS tra il 1919 e il 1939. Di questi 1000 circa 500 appartenevano alla comunità italiana di Kerc’, che si era formata tra il ‘700 e l’800 quando contadini soprattutto di origine pugliese si erano recati in Crimea dove il clima era simile a quello mediterraneo e le terre potevano essere acquistate a poco prezzo; degli altri 500 facevano parte i cosiddetti “emigrati politici” cioè circa 300 italiani che negli anni Venti erano espatriati, spesso illegalmente, per sottrarsi all’arresto da parte delle autorità fasciste che li perseguitavano per la loro appartenenza al PCI o ad altri partiti della sinistra; i rimanenti possono essere fatti rientrare infine in una sorta di emigrazione socio-economica: artisti di teatro, musicisti, operai che, anche dopo la crisi del 1929, avevano cercato lavoro in URSS. Tra questi operai anche quelli della fabbrica “Kaganovič”, fabbrica modello per la produzione di cuscinetti a sfera costruita a Mosca dopo il 1933 dall’italiana RIV, una fabbrica in realtà di proprietà degli Agnelli.

Nel corso degli anni Venti la vita scorse relativamente tranquilla. Gli emigrati, giunti in URSS, nella maggior parte dei casi si rivolgevano al rappresentante del PCI a Mosca che trovava loro un alloggio e un lavoro. Dal 1919, infatti, dopo la creazione dell’Internazionale Comunista, ogni partito comunista invia nella capitale moscovita un proprio rappresentante permanente. Il rappresentante in questione svolgeva anche funzioni di verifica dei dati di ogni singolo emigrato giunto: dati biografici, esperienza politica passata, atteggiamento del PCI nei suoi confronti ove egli ne fosse stato membro. Se riconosciuti come emigrati politici, gli italiani giunti in URSS potevano ufruire di una speciale tessera che gli permetteva di acquistare nei negozi riservati agli stranieri. Molti di essi partecipavano alla vita dei Club degli emigrati politici cosituitisi nelle varie città sovietiche. Al loro interno era tollerata una certa franchezza di opinioni.

Le condizioni di vita cominciarono a peggiorare agli inizi degli anni Trenta sia in seguito alla collettivizzazione forzata delle campagne sia a causa dell’arrivo al potere di Hitler in Germania nel 1933. Stalin si convinse dell’imminente pericolo di una guerra contro l’URSS e da quel momento, e in maniera crescente negli anni successivi, ogni straniero divenne un potenziale nemico contro la sicurezza dello stato sovietico. La xenofobia dilagò nel paese sino a diventare tema ossessivo nella stagione del “Grande Terrore”, cioè l’anno 1937-1938 in cui solo i fucilati furono circa 800.000 persone. Anche la comunità italiana ebbe in quei 12 mesi la maggior parte delle sue vittime. Il Grande Terrore fu un processo pianificato dall’alto: il Politbjuro stabiliva quote precise di persone che andavano arrestate, processate o direttamente fucilate. L’NKVD (la polizia politica sovietica) obbediva con solerzia superando alle volte andava oltre ciò che era stato richiesto dallo stesso Stalin e dai suoi collaboratori.

Molti italiani morirono nei campi più tristemente famosi del sistema concentrazionario sovietico ma anche in quelli minori, disseminati nelle regioni più remote dell’immenso territorio russo. Nei campi del nord-ovest (a Vorkuta, a Uchta-Pečora, a Inta, a Viatka, nelle isole Solovki), in quelli delle regioni centrali (a Karaganda o a Krasnoiarsk), nei lager della Siberia del Nord-Orientale: qui, in questi luoghi di desolazione e di morte, scomparvero 120 dei 144 italiani che, soprattutto tra il 1935 e il 1939, rimasero vittime del terrore staliniano. In totale 27 furono i lager in cui vennero imprigionati, 19 le località di confino o i luoghi di deportazione in cui è stato sinora possibile rintracciare la loro presenza. Molti altri non giunsero mai né ai campi di transito né tantomeno alle destinazioni finali: 128 italiani, infatti, subito dopo l’arresto, soprattutto negli anni del Grande Terrore, cioè tra il 1937 e il 1938, morirono fucilati spesso in assenza di un seppur breve o sommario processo. Molti dei loro corpi giacciono nelle fosse comuni di Butovo o della Kommunarka nei pressi di Mosca, scoperte per la prima volta solo alcuni anni or sono.

Fonti relative agli italiani vittime di repressioni politiche in Unione Sovietica (1918-1953)

Bibliografia scelta relativa all’archivio degli italiani nel gulag

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Mappa – Località in cui furono confinati o deportati gli italiani

Mappa – Lager in cui furono detenuti gli italiani