A proposito di Lilin
Elena Černenko
BUFALA TATUATA
Il romanzo autobiografico di Nikolai Lilin Educazione siberiana è stato pubblicato in 40 paesi del mondo. Sono iniziate le riprese di un blockbuster con John Malkovich nel ruolo del protagonista. Solo in Russia il bestseller non è stato pubblicato.
“Non hai letto il libro di Nikolai Lilin Educazione siberiana? – mi chiedeva la primavera scorsa un giornalista tedesco mio amico. – Impossibile! È un bestseller mondiale, tradotto in 40 lingue, in Europa l’autore è già definito “il nuovo simbolo della letteratura russa”. Ma non sono riuscita a trovare l’opera reclamizzata dal collega in nessuna libreria di Mosca. In russo non è uscita. Ma in qualsiasi libreria d’Europa il ponderoso volume di 450 pagine è esposto in bella evidenza.
La copertina è promettente: la nuca rasata di un giovanotto magro, sulla spalla un tatuaggio a forma di pistola, sul collo una croce (chissà perché, dietro) e sulla canottiera bianca un tipico paesaggio postsovietico: squallide casette chruščëviane, neve sporca, vecchie Žiguli e tubi. “Chi vuole capire questo libro deve dimenticare le categorie per noi consuete di bene e male. Dimenticate tutto: semplicemente leggete”, viene riportato in copertina il commento del noto scrittore italiano Roberto Saviano.
Ecco in breve il soggetto del libro: nel 1938 per ordine di Stalin la comunità degli urka viene deportata dalla Siberia nella città di Bender. Gli urka nell’interpretazione di Nikolai Lilin non sono comuni ladri o banditi, ma un antico clan siberiano di nobili delinquenti, di fatto un piccolo popolo a sé stante. Vivono obbedendo rigorosamente a un proprio codice morale, in cui in particolare si dice che i veri urka sono tenuti a disprezzare il potere, qualunque sia, zarista, comunista o capitalista. Gli urka rapinano banche, treni merci, navi e magazzini, ma vivono molto modestamente, spendendo i frutti delle rapine solo per icone e armi. Si vendicano bestialmente dei poliziotti, ma vengono sempre in aiuto dei derelitti, dei vecchi e degli invalidi. Quasi dalle fasce imparano a uccidere, ma rispettano le donne.
Nel 1980 in una delle famiglie più autorevoli di questa comunità nasce il bambino Nikolai (più tardi lo soprannomineranno Kolyma). È lui il narratore del libro. Sulla copertina si dice che si tratta di un’autobiografia, e che Nikolai Lilin è “erede degli urka siberiani”. Educazione siberiana raccoglie le memorie della sua infanzia e giovinezza in una grande famiglia criminale siberiano-moldava. La prima arma, la prima carcerazione, un paio di omicidi, la morte degli amici, la seconda carcerazione, l’apprendimento del mestiere di tatuatore carcerario: ecco tutto il canovaccio.
I soggetti autobiografici sono arricchiti da racconti sulle leggi criminali siberiane, come la presunta regola che proibisce ai delinquenti di parlare con i rappresentanti delle forze dell’ordine. Secondo un’altra tradizione siberiana non si potrebbe tenere nello stesso locale un’arma “nobile” (usata per la caccia) e una “peccaminosa”.
A giudicare dalla quantità di recensioni positive al libro di Nikolai Lilin apparse nei media europei e americani, nei lettori occidentali non è sorto alcun dubbio sull’attendibilità dei fatti da lui esposti. “Potremmo imparare molto dai creatori del codice d’onore di questa casta criminale siberiana. Nikolai Lilin ha presentato un dettagliato resoconto della sorprendente cultura che, con mio profondo rammarico, sta scomparendo sotto la pressione della globalizzazione”, scrive in una recensione pubblicata sul Guardian il popolare scrittore scozzese Irvine Welsh. “Se i valori degli urka fossero comuni a tutti, il mondo non si scontrerebbe con la crisi economica generata dall’avidità, non distruggeremmo la natura e gli altri abitanti del pianeta. È difficile non ammirare uomini che hanno resistito allo zar, ai comunisti e ai valori materiali occidentali. Gli urka siberiani sono gli ultimi antieroi dell’epoca di Facebook.”
“Il resoconto autobiografico di Nikolai Lilin sulla sua infanzia a Bender (città in parte controllata dagli urka siberiani) è realistico, diretto e pieno di dettagli crudeli. L’autore racconta cose molto personali. Descrive un bambino intelligente e socievole che s’interessa di letteratura ma è costretto a uccidere. Questo romanzo è semplicemente destinato al successo”, loda il libro il noto critico tedesco Dietmar Jacobsen.
I recensori non si sono lasciati turbare neppure dal fatto che fino al 1940 Bender si chiamava Tighina ed era parte della Romania, per cui Stalin semplicemente non poteva deportarvi nessuno, tanto più che all’epoca la gente veniva deportata in Siberia e non dalla Siberia. Vanity Fair dopo una conversazione con Nikolai Lilin ha trovato una semplice spiegazione della deportazione descritta nel suo libro: “Gli urka siberiani, discendenti dei leggendari banditi della tajga, furono inviati in Transnistria a fare il lavoro sporco. In quella regione vivevano molti ebrei, nazionalisti ucraini, romeni e moldavi. Dal punto di vista politico, economico e criminale tendevano piuttosto verso l’Europa. I siberiani dovevano ripulire quel territorio e assicurarvi il controllo della Russia”.
Non ha suscitato particolari sospetti neppure la troppo densa biografia dell’autore. Se si uniscono i dati del libro di Lilin, delle sue interviste sulla stampa occidentali e dei suoi interventi alle fiere librarie, prima dei 23 anni l’autore ha fatto in tempo a: finire due volte in carcere in Transnistria ed essere processato in Russia, militare per tre anni come cecchino in Cecenia e un altro paio d’anni in Israele, Iraq e Afghanistan. A 24 anni ha fatto il pescatore su una nave in Irlanda, poi si è trasferito in Italia, dove si è sposato, ha aperto un salone di tatuaggi, ha scritto un bestseller e per poco non è diventato vittima di un attentato con motivazioni politiche. Oggi Nikolai Lilin ha 30 anni, ha un suo fan club e ragiona seriamente sul perché Anthony Hopkins non sia adatto alla parte di protagonista della versione cinematografica del suo libro.
Peccato che il film si dovrà girare non in Transnistria, ma in Lituania e in Italia. Altrimenti bisognerebbe spiegare agli abitanti di Bender, che non hanno letto l’opera di Nikolai Lilin, che la loro città è governata dai discendenti dei Robin Hood siberiani deportati da Stalin. Lui, fra l’altro, a Bender lo conoscono bene. A dire il vero sotto un altro nome: Veržbickij.
“Gli piaceva inventare storie di ogni genere, nessuno ci faceva troppo caso, un semplice contaballe, solo le ragazze credevano alle sue favole, – ha confidato a Ogonëk un vecchio conoscente di Nikolai Veržbickij, il web designer Igor’ Popušnoj. L’ho trovato in uno degli internet forum della città, dove si discuteva di Educazione siberiana. – Molti qui si sono perfino rallegrati, quando hanno saputo che era diventato uno scrittore di successo. Vero è che quando hanno saputo di cosa tratta il libro, sono rimasti molto perplessi. La nostra è una città normalissima. Direi perfino tranquilla. Non so dove è andato a pescare quegli urka. Almeno avesse scritto fra parentesi che era tutta una favola.”
Secondo le parole di Igor’, che lo conosce da quando aveva 19 anni, Nikolai non è mai stato in carcere né nell’esercito. E si guadagnava da vivere lavorando nelle forze dell’ordine. “Mi ha mostrato personalmente il suo certificato di poliziotto e l’arma d’ordinanza”, ricorda Igor’.
Un altro conoscente di Nikolai Veržbickij, il pubblicitario Viktor Dadeckij, dice che gli piacevano molto i film d’azione. “Alla fine degli anni ’90 avevo un videonoleggio a Bender, Nikolai veniva regolarmente a prendere i film. All’epoca i suoi genitori lavoravano già all’estero. Il padre in un salumificio in Grecia, la madre in Italia. Fu da lì che lei gli inviò una macchina per tatuare. Ma quello che Nikolai ha scritto di non so quale clan mafioso siberiano di Bender è naturalmente tutto un’invenzione. A modo suo non è una cattiva persona, ma perché diffonde certi orrori sulla nostra città?” s’indigna Viktor.
“Si vede che gli hanno suggerito che quel tema (Stalin, la lotta contro i comunisti e la mafia russa) si vende bene in Occidente. Ma per quel che ha scritto sul generale Lebed’ da noi potrebbe anche prendersi un pugno in faccia. Lebed’ da noi è un eroe nazionale”, dice un terzo conoscente di Nikolai Veržbickij, il fotografo di Bender Denis Poronok. Secondo lui in Educazione siberiana non ci sono più fatti veri che in Harry Potter.
Ho chiesto a Nikolai Lilin-Veržbickij che cosa pensa dei commenti dei suoi ex amici. Lui ritiene che siano invidiosi: “Si sentono offesi e inferiori. Io sono riuscito ad andarmene e a ottenere qualcosa, e loro no.” Però chiacchierando con me – a differenza che nelle interviste ai giornalisti occidentali – ha sottolineato ripetutamente che il suo libro non è un’autobiografia e che a collocarla come tale sono i suoi editori occidentali. Mentre lui non c’entra niente.
Intanto recentemente una delle migliori case editrici italiane, Einaudi, ha pubblicato il suo secondo libro. S’intitola Caduta libera. È stato già tradotto in inglese, francese e tedesco, presto ci saranno altre traduzioni. I recensori sono entusiasti. “Le memorie di Lilin tolgono semplicemente il respiro”, ha espresso l’opinione comune il Mail on Sunday. E anche Caduta libera è spacciato per autobiografia. Gli esperti occidentali nelle loro recensioni sottolineano soprattutto che si tratta di “memorie di prima mano”, “un’opportunità unica di vedere la guerra cecena con gli occhi di chi vi ha partecipato”, “un resoconto onesto e spietato di un soldato russo delle forze speciali”.
L’autore insiste che il libro è basato sulla sua esperienza personale di combattente in Cecenia. Nell’intervista a Ogonëk ha detto di aver partecipato alla seconda guerra cecena, ma si è rifiutato di dare dettagli. E le fonti del Ministero della Difesa affermano che in Cecenia non c’è mai stato un soldato di nome Lilin o Veržbickij.
Del resto, l’autore anche questa volta ha preso le sue precauzioni. Benché assicuri di essere stato richiamato con la forza direttamente da Bender nell’esercito russo e di aver combattuto in Cecenia, sottolinea in modo particolare che il suo secondo libro “non parla della Cecenia”. Dunque, i fatti da lui descritti potevano accadere in qualsiasi altra guerra. In Caduta libera di fatto non ci sono date, nomi o descrizioni di fatti concreti, in compenso abbondano “cervelli che scorrono sull’asfalto”, “ceceni scotennati vivi” e altri dettagli terrificanti. I critici occidentali predicono al secondo libro di Nikolai Lilin un successo ancor maggiore del primo.
(da http://www.kommersant.ru/doc/1781720)