(di Tat’jana Brickaja apparso il 27 agosto 2024 su Novaja gazeta, traduzione a cura di Memorial Italia)
10 settembre 2024
ore 09:40
Aleksej Gorinov, 63 anni, era un deputato del consiglio del quartiere Krasnosel’skij di Mosca. L’8 luglio 2022, Aleksej Gorinov è stato condannato a 7 anni di carcere per l’accusa di aver diffuso false informazioni sull’esercito russo. La pena è stata poi ridotta a 6 anni e 11 mesi in appello. Durante la detenzione è stato accusato di aver giustificato il terrorismo. Gorinov è in carcere dal 26 aprile 2022.
Il caso è iniziato dopo una seduta del 15 marzo 2022 nel Consiglio dei deputati del quartiere Krasnosel’skij di Mosca, in cui Gorinov ha sostenuto che le celebrazioni e i festeggiamenti pubblici erano inappropriati durante la guerra. Gli inquirenti hanno sostenuto che le informazioni citate durante la riunione erano false e miravano a screditare la Russia. Un video di questo incontro è stato pubblicato online e visualizzato da oltre 43.000 persone. L’accusa ha sostenuto che le dichiarazioni di Gorinov abbiano causato preoccupazione e paura nell’opinione pubblica. Dopo la denuncia presentate alla Procura generale, il 25 aprile 2022 è stato aperto un procedimento penale e il giorno successivo sono state effettuate delle perquisizioni da parte della polizia. Gorinov è stato arrestato e messo in detenzione preventiva. L’8 luglio 2022 Gorinov è stato condannato a 7 anni, poi ridotti a 6 anni e 11 mesi. Nel novembre 2022 è stato trasferito in una colonia correzionale. Nel gennaio 2023 è stato aperto contro di lui un nuovo caso di giustificazione del terrorismo, basato su conversazioni avute in carcere. Il 13 settembre 2023 è stato aperto un terzo caso contro Gorinov, sempre con l’accusa di giustificare il terrorismo. Gorinov nega tutte le accuse, affermando di non sostenere il nazionalismo, l’aggressione e il terrorismo. Memorial chiede il rilascio di Aleksej Gorinov e di tutti gli altri prigionieri politici in Russia. Il cartello tenuto da Gorinov nella foto dice: “Avete ancora bisogno di questa guerra?”.
Niente materasso né coperta, niente acqua calda né servizi igienici funzionanti, niente libri, lettere o telefonate. Completamente isolato com’è, ha già iniziato a dimenticare le parole. Ha 63 anni, gli manca un pezzo di polmone e lo stanno torturando per una parola di cinque lettere che in Russia è vietata [vojna – guerra, N.d.T.] e che lui ha pronunciato durante una riunione del consiglio dei deputati [del quartiere Krasnosel’skij di Mosca, di cui Gorinov faceva parte, N.d.T.]. Per quella stessa parola la giudice Mendeleeva lo ha condannato a sette anni di carcere. Un anno abbondante per ogni lettera.
Aleksej Gorinov sta morendo in prigione. E non possiamo tirare in ballo il sadismo personale di uno specifico carceriere, o gli “eccessi di un singolo responsabile” (formula usata nel diritto penale russo quando un membro di un gruppo criminale commette atti efferati non in accordo con gli altri, ma per intenzione personale): Gorinov ha girato diverse strutture detentive ed è stato torturato ovunque. Cambiano i modi: da una parte si rifiutano di curarlo, altrove lo mettono prima in isolamento e poi insieme a criminali comuni particolarmente loquaci che diventano testimoni in un nuovo caso penale a suo carico. Aleksej avrebbe “parlato” con alcuni compagni di cella dopo un lungo isolamento, in una collaborazione a tre fra Servizio penitenziario federale, inquirenti e criminali comuni.
Gorinov non ha commesso alcuna violenza. È stato arrestato per avere parlato dell’inammissibilità di certi passatempi (nello specifico, di un concorso di disegno per bambini) con un conflitto armato in corso. Non è forse quello che ora gridano in coro giornalisti fidati, propagandisti e blogger fedeli al governo, indignati per la bella vita delle retrovie mentre al fronte la tragedia non si ferma? Anche loro usano quella stessa parola. Persino Vladimir Putin ha chiamato così il conflitto russo-ucraino in una conferenza stampa di fine 2022. Quando Gorinov era già in carcere da otto mesi.
Le indagini a suo carico sono durate cinque giorni in tutto, il processo cinque settimane.
Gorinov è stato il primo imputato per “fake news sull’esercito”, e il primo a prendersi una condanna reale. Il processo si è svolto a porte chiuse onde evitare che i giornalisti “facessero pressione sui testimoni dell’accusa”.
A gennaio di quest’anno, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha chiesto l’immediato rilascio di Aleksej Gorinov.
La prassi della Corte costituzionale russa prevede che le richieste del suddetto Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite siano motivo di revisione di un caso in base a nuove circostanze. Per Gorinov questo non è successo.
Anzi, Gorinov viene torturato.
Lo aspetta, inoltre, una seconda condanna per le conversazioni con i compagni di cella in cui avrebbe giustificato il terrorismo. E siccome la parola di un criminale pesa di più, si sa, di quella di un prigioniero politico, Gorinov sarà condannato di nuovo. E non sopravvivrà.
Nelle carceri russe per le torture si muore: Naval’nyj lo ha insegnato al mondo intero. Avremmo potuto salvarlo?
Un anno prima della sua morte, i premi Nobel Dmitrij Muratov (il Ministero della Giustizia russo lo considera “agente straniero”, noi no) e Maria Ressa si sono rivolti al Comitato internazionale della Croce Rossa. E hanno espressamente chiesto che intervenisse per impedire un’esecuzione extragiudiziale. Far vivere una persona in condizioni che portano alla morte è ciò che il diritto internazionale classifica come “morte evitabile”, che è appunto una forma di esecuzione extragiudiziale.
Perché la Croce Rossa? Perché questa organizzazione internazionale – che ancora opera legalmente in Russia – annovera tra i suoi obiettivi prioritari la prevenzione e l’alleviamento delle sofferenze umane con assoluta imparzialità, senza alcuna discriminazione quanto a opinioni politiche o status sociale, e promuove il rispetto dell’individuo e della dignità umana.
Muratov e Ressa si sono rivolti alla Croce Rossa in quanto premi Nobel. E hanno ricordato che cento anni fa furono il Comitato Internazionale della Croce Rossa e la Società di Mosca per la Difesa dei Prigionieri Politici (la cosiddetta “Croce Rossa Politica”) a salvare i prigionieri politici dalle prigioni bolsceviche.
Nella sua X Conferenza, la Croce Rossa ha riconosciuto come degne della propria assistenza le vittime di qualsiasi conflitto, non solo di quelli armati, ma anche di quelli interni. E dopo la Seconda guerra mondiale è alla Croce Rossa che è stato definitivamente assegnato il compito di soccorrere i prigionieri politici. Muratov e Ressa hanno dunque chiesto che lo svolgesse, quel compito. La Croce Rossa non ha risposto.
In una comunicazione non scritta, i rappresentanti della Croce Rossa hanno detto di dubitare che la loro autorità potesse essere estesa a casi simili. Contemporaneamente, a Mosca, la presidente dell’organizzazione – Mirjana Spoljaric Egger – incontrava il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.
Sappiamo tutti a cosa ha portato, in passato, l’inerzia delle organizzazioni internazionali.
Che il punto siano le difficoltà peculiari di operare in Russia? Un mese fa è stato chiesto alla Croce Rossa di ispezionare le carceri in Belarus’, dove con alcuni prigionieri politici non si hanno contatti da 500 giorni. Accertatevi che siano vivi, è stato chiesto.
Niente. Silenzio.
Gorinov deve essere salvato.
Nella lettera di Dmitrij Muratov a Mirjana Spoljaric Egger si legge:
“Le conseguenze dell’inerzia sono lampanti. La esorto, signora Spoljaric, a intercedere affinché Aleksej Gorinov riceva le cure mediche necessarie e non sia sottoposto a ulteriori torture. Torno a chiederle, inoltre, che la Croce Rossa svolga un sopralluogo urgente nei luoghi in cui, in Russia e Belarus’, sono detenuti coloro che la comunità internazionale riconosce come prigionieri politici”.
Non è facile trovare un indirizzo a cui scrivere, sul sito della Croce Rossa. È facilissimo trovare il pulsante per le donazioni.
Nel luglio del 1859, Henri Dunant pensò e agì diversamente. Capitato in Italia per affari, quando vicino a Solferino vide un campo disseminato di feriti e cadaveri dopo la celebre battaglia, accantonò le questioni finanziarie e pensò a curare i feriti. Dopodiché inviò un memorandum alle maggiori personalità politiche e militari europee. Dunant avrebbe poi fondato il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Forse sarebbe il caso che l’organizzazione tornasse ai principi che l’hanno ispirata.