Solo oggi Il’ja Jašin, già collaboratore di Boris Nemcov, assassinato nel 2015, e alleato di Aleksej Naval’nyj, è riuscito tramite il suo avvocato, Michail Birjukov, a far uscire dal carcere i propri pensieri sulla morte di Aleksej Naval’nyj. Jašin è a sua volta detenuto perché sconta una condanna a 8 anni e mezzo di reclusione per “diffamazione dell’esercito russo”, perché aveva denunciato in un suo video i crimini commessi dalle truppe russe a Buča.
La notizia della morte di Aleksej Naval’nyj riporta al centro il tema delle repressioni politiche in Russia. Il’ja Jašin, Vladimir Kara-Murza, Jurij Dmitriev, Saša Skočilenko, Ženja Berkovič e Svetlana Petrijčuk sono solo alcune delle persone di cui abbiamo avuto modo di parlare in questi mesi e anni, ma le prigioniere e i prigionieri politici detenuti nelle carceri e colonie penali della Federazione Russa sono centinaia.
Il 20 febbraio 2024 è stata pubblicata nel “Manifesto” un’intervista a Sergej Bondarenko, che ha curato con Giulia De Florio il volume Proteggi le mie parole, che raccoglie una scelta di ultime dichiarazioni degli imputati di processi politici, prima che i giudici emanino le sentenze che vengono loro dettate dall’alto.
Ricordiamo che secondo i dati del progetto per il sostegno ai prigionieri politici di Memorial i prigionieri politici nella Federazione Russa sono 676, mentre molte altre persone sono in attesa di giudizio. Secondo i dati di OVD-Info, il numero, comprensivo delle persone residenti nel territorio annesso della Crimea, arriva a 1.100.
Cogliamo l’occasione per cercare di mantenere alta l’attenzione su tutti loro e rivolgiamo anche il nostro pensiero e sostegno ai famigliari e agli amici di Igor Lednik (Ihar Lednik), giornalista e membro del Partito socialdemocratico bielorusso, deceduto oggi in un ospedale di Minsk. Le sue condizioni di salute erano seriamente peggiorate dopo l’arresto, avvenuto il 12 aprile 2022, in conseguenza dell’accusa di diffamazione del presidente Lukashenko per un articolo contro il regime. È il quinto detenuto politico che negli ultimi mesi muore nelle carceri bielorusse.
Ecco la traduzione apparsa nel profilo Facebook di Il’ja Jašin il 20 febbraio 2024 [enfasi nostra]
Nella baracca della colonia penale le notizie arrivano con lentezza e ho saputo della morte di Aleksej Naval’nyj soltanto ieri. È difficile descrivere quanto mi abbia scosso. È difficile riordinare i pensieri. Il dolore e lo sgomento sono insopportabili.
Nonostante questo, non resterò in silenzio: dirò quello che ritengo importante.
Per me non ha senso chiedersi cosa sia successo a Naval’nyj. Non ho dubbi che sia stato ucciso. Da tre anni Aleksej era sorvegliato dalle forze dell’ordine che già nel 2020 avevano organizzato una fallita aggressione ai suoi danni. Adesso hanno chiuso la questione.
Per me non ha senso chiedersi chi lo abbia ucciso. Non ho alcun dubbio che sia stato Putin. È un criminale di guerra. Naval’nyj era il suo principale avversario in Russia e il Cremlino lo detestava. Putin aveva motivo e possibilità per farlo. Sono convinto che sia stato lui a dare l’ordine di ucciderlo.
Sono consapevole del fatto che la propaganda di stato inizierà a manipolare l’opinione pubblica. Diranno che la morte di Naval’nyj non è conveniente per il presidente, che non è logico ucciderlo un mese prima delle elezioni, che Putin è concentrato sulla politica globale e non ha tempo per pensare a un detenuto qualunque… Sono tutte sciocchezze, toglietevele dalla testa. Dopo l’avvelenamento di Aleksej nel 2020 la propaganda ha difeso Putin dicendo che se avesse voluto, lo avrebbe ucciso. Tutto vero. Voleva farlo e lo ha ucciso. E non lo ha solo ucciso, lo ha ucciso in modo plateale. E proprio alla vigilia delle elezioni, in modo che di fatto nessuno potesse dubitare del coinvolgimento di Putin. Ha ucciso in modo altrettanto plateale anche Prigožin, in modo che nessuno potesse dubitarne.
Nella visione di Putin il potere si consolida proprio in questo modo: con omicidi, crudeltà, vendette dimostrative. Non è la mentalità di uno statista. È la mentalità di un capobanda. E siamo onesti: Putin è anche il capo della struttura mafiosa che si è fusa col nostro stato. È privo di limiti morali e legali. Tiene le persone nella paura e mette in prigione e annienta chi non ha paura.
Per questo è stato assassinato Boris Nemcov. Per questo è stato ucciso Aleksej Naval’nyj. In tre anni di carcere lo hanno torturato imponendogli la cella di isolamento, hanno tentato di piegarlo perché chiedesse pietà. Non ha funzionato, e allora gli hanno tolto la vita.
Il confronto tra Naval’nyj e Putin ha messo in luce la portata delle loro personalità. Aleksej rimarrà nella storia come uomo dal coraggio straordinario, che è andato avanti in nome di ciò in cui credeva. È andato avanti nel disprezzo della paura e della morte. È andato avanti col sorriso e la testa orgogliosamente alta. Ed è morto da eroe.
Putin invece ci rimarrà come un piccolo uomo che per caso ha avuto un potere enorme. Come un personaggio che si nasconde in un bunker, uccide di soppiatto e tiene in ostaggio dei suoi complessi milioni di persone. Ma non gli auguro la morte. Sogno che risponda dei crimini commessi non solo davanti alla giustizia divina, ma anche a quella terrena.
Aleksej Naval’nyj era un mio amico. Così come Boris Nemcov. Lavoravamo per la stessa causa e abbiamo dedicato le nostre vite al tentativo di trasformare la Russia in un paese pacifico, libero e felice. Adesso i miei due amici sono morti. Sento dentro di me buio e vuoto. E, naturalmente, sono consapevole dei rischi che corro. Sono dietro le sbarre, la mia vita è nelle mani di Putin ed è in pericolo. Ma continuerò a portare avanti la mia linea.
Davanti al cadavere di Boris Nemcov nel febbraio del 2015 ho giurato di non avere paura, di non arrendermi e di non andarmene. Nove anni dopo, piangendo Aleksej, posso solo ripetere quel giuramento.
Finché avrò in petto un cuore che batte, lotterò contro la tirannia. Finché vivrò, non avrò paura del male. Finché respirerò, starò col mio paese. Lo giuro.
Aleksej, riposa in pace, fratello.
Julija, Ljudmila Ivanovna, Anatolij Ivanovič, Oleg, Daša, Zachar, resistete. Sono con voi.