Samarcanda di Marco Buttino

Storie di una città dal 1945 a oggi

Samarcanda. Storie di una città dal 1945 a oggi
di Marco Buttino

Ascolta l’intervista a Marco Buttino a Fahrenheit di Rai Radio 3
Di seguito la recensione di Mario Dal Co su SuccedeOggi 9 dicembre 2015
Marco Buttino ha ricostruito la storia di Samarcanda, da cuore dell’islamismo alla crisi d’identità post-Ottantanove. Una città simbolo di un secolo di incertezze

«Capite, non sono andata a Samarcanda per tre anni e mi aspettavo qualcosa di straordinario. Ma questo qualcosa di straordinario non si è realizzato, compagni! Tutto è buttato lì, nulla è finito.(…) chi è riuscito a strappare un pezzetto di terra si è fatto una casa, indipendentemente da qualsiasi coordinamento e disegno della città (…) Invece Taskent ha un nuovo volto (…) perché ci ha molto aiutato, se così si può dire, la sciagura del terremoto che ha compiuto la distruzione. Il Comitato esecutivo della città ha così potuto demolire e ricostruire tranquillamente, costruire intere vie»: così si esprimeva al Plenum degli architetti del 1970 una rappresentante dell’organismo incaricato della pianificazione urbanistica. Manifestava la sua delusione per la ristrutturazione di Samarcanda, avviata l’anno precedente per i 2500 anni dalla fondazione della città, che non rispondeva ai dettami della pianificazione sovietica.

Marco Buttino (professore di storia contemporanea all’Università di Torino) ha lavorato per oltre dieci anni a Samarcanda, e ha ricostruito le vicende di questa città, concentrandosi sul passaggio dall’impero sovietico alla modernità. In Samarcanda. Storie in una città dal 1945 ad oggisi è avvalso  di fonti diversissime, da quelle statistiche, fotografiche, documentali a quelle dei testimoni privilegiati, intervistati per capire ciò che i dati e i documenti non rivelano, anche perché spesso inaccessibili.

Lo studio propone percorsi diversi di lettura, come è inevitabile, data la ricchezza delle fonti e l’ampiezza delle riflessioni che esse consentono. Uno di questi percorsi attraversa la città vecchia: «proviamo dunque ad entrare in questa parte “buia” di Samarcanda seguendo la politica russa e sovietica rivolta ad aggredire la diversità islamica. Poi considereremo i compromessi, anche sul terreno della religione. Infine indagheremo su quanto rimase ancora di tajico in questa parte della città, al di là della religione, nella sua vita quotidiana» (p.101). Scopriamo come la politica zarista abbia cercato di limitare l’applicabilità della shari’a e tentò di mettere sotto controllo i waqf ossia  le proprietà delle istituzioni islamiche, perno del loro potere sociale prima che religioso. Le istituzioni islamiche possedevano, attraverso queste forme di donazioni da parte delle famiglie, migliaia di ettari coltivabili, e gestivano attività economiche, usando i redditi per coprire le spese delle scuole (maktab o madrasa). Le amministrazioni zariste si trovarono in forti difficoltà a documentare la situazione dei diritti di proprietà, soprattutto nella città: «I waqf rappresentavano il limite  alla capacità dei russi di penetrare nella società locale» (p. 102).

I rivoluzionari pensarono di semplificare le cose applicando il decreto di Lenin sulla terra, statizzandola e controllando direttamente il bazar. «La via rivoluzionaria si apriva così con una dichiarazione di guerra verso le istituzioni musulmane e verso la maggior parte della popolazione della città. (…) Nel quartiere Siyob prima del 1917 c’erano quasi un centinaio di moschee varie sinagoghe; nel 1948 soltanto due moschee e una sinagoga erano ancora in funzione» (ivi). Perfino il cimitero islamico Shakar-Dzhizza venne profanato con la costruzione di edifici da parte delle autorità sovietiche. Arrivano gli urbanisti sovietici con i progetti dei grandi condomini socialisti, e si scontrano con le proteste della famiglie che non sanno più come controllare i bambini piccoli nelle scale o negli ascensori, senza accesso a un cortile, senza poter seguire i riti sociali consuetudinari, per non parlare della mancanza di un salone con cucina in cui fare le feste. Con il risultato di arrivare a compromessi locali, in cui anche le case sovietiche finiscono per assomigliare alle abitazioni ad un piano dei quartieri – i mahalla – tradizionali.

Dopo la seconda guerra mondiale, il potere sovietico cerca di istituzionalizzare un Islam riconosciuto dallo Stato, ufficiale, creando la Direzione generale dei Musulmani dell’Asia Centrale. A questo campo ristretto di attività religiose, si affiancava un più ampio e meno controllato territorio religioso non registrato. Anche qui le autorità, alternando repressione e controllo, miravano alla registrazione dei mullah e alla conoscenza dei frequentanti. Queste riflessioni storiche sono di grande attualità, ma l’autore ha costante l’attenzione a non effettuare parallelismi o semplificazioni, anche se i temi antichi ritornano, in contesti diversi, all’interno del processo di islamizzazione che oggi coinvolge parte della popolazione europea.

Samarcanda è un punto di incontro che il racconto di Buttino analizza, trovando le vie che si fanno largo, per episodi di convivenza tra uzbeki, tagichi, russi, tatari, coreani, ortodossi, ebrei, musulmani, per ricordare le componenti principali di questo mosaico. Ma il racconto apre anche continui scenari in cui quelle vie si restringono, le convivenze divengono difficili, sofferte, tormentose.

E vi sono alcune tabelle, che seguono i racconti di vita, con cui l’autore ricostruisce le trasformazioni economiche e culturali dei segmenti della società di Samarcanda, tabelle che raccontano con i numeri l’impoverimento delle identità collettive, paradosso del collettivismo che annulla le lingue, gli alfabeti, le tradizioni. In uno dei quartieri di Samarcanda, il mahalla Vostok, nelle scuole medie, la lingua di insegnamento era il tajico per il 70% degli allievi nell’immediato secondo dopoguerra, mentre il russo era al 30%; 40 anni dopo (metà anni ’80) le percentuali divengono 9,5% tajico e 90,5% russo.

Nei ricordi di una donna ebrea, intervistata nel 2012, la convivenza di etnie e religioni diverse si esprimeva in modo diretto, nella vita di ogni giorno, nella divisione del lavoro, nel rispetto reciproco delle tradizioni, valori dispersi, come abbiamo visto, da una autorità dogmatica e nazionalista: «Accadevano cose strane a Samarcanda nei rapporti tra gli ebrei e gli altri. Tutta la città veniva al Mahalla di Vostok alle cinque del mattino per mangiare uno spiedino di carne (…) e a nessuno faceva ribrezzo mangiare il cibo che preparavano gli ebrei. Certo, erano soprattutto i tajichi, perché vi erano rapporti particolari con loro, si viveva vicino, da giovani si frequentava la stessa scuola (…) si parlava la stessa lingua anche se con accento diverso» (p.180).

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica la miseria, l’incertezza e l’attivismo di Israele spingono la popolazione ebraica all’emigrazione: «La vendita non fu certo un buon affare (…) le case vennero vendute  a 3-4000 dollari, pari a quanto sarebbe servito in Israele per pagare sei mesi di affitto (…) e le vie che erano piene di gente ora erano quasi deserte» (p. 197-198).

Nella pagine conclusive, appare un’immagine un po’ sfocata di una Samarcanda che cerca un approdo alla globalizzazione in quanto città turistica. È un’immagine sfuocata non per colpa dell’autore, ma per i rischi  a cui la città è oggi esposta e più lo sarà in futuro,  in ragione delle ferite subite dalle sue  identità, che erano la sua ricchezza, e che sono uscite indebolite ed offesa dal “secolo breve”.

Il volume è imprescindibile per capire sotto il profilo antropologico Samarcanda,  ma ci aiuta anche ad affrontare i quesiti che pongono le grandi trasformazioni in atto nelle metropoli dei nostri giorni, attraversate da molte delle tensioni che l’autore analizza e descrive. Tensioni che oggi sono concentrate nel tempo e dilatate nello spazio, con la capacità di  scaricare le loro energie sugli equilibri sociali che credevamo meno fragili.

Samarcanda. Storie in una città dal 1945 ad oggi, di Marco Buttino ha una ricca documentazione, riportata nelle appendici, nel glossario, nella bibliografia; è edito da Viella, Roma 2015, pp. 384 euro 29.

 

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Milano, 16 e 17 novembre 2024. Memorial Italia a BookCity Milano.

Memorial Italia partecipa all’edizione 2024 di BookCity Milano con la presentazione degli ultimi due volumi delle collane curate per Viella Editrice e Guerini e Associati. L’involuzione della Russia putiniana: sabato 16 novembre alle 14:30 presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, sala lettura (viale Pasubio, 5) sarà presentato il volume Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione, ultima uscita della collana storica curata da Memorial Italia per Viella Editrice. Intervengono Alberto Masoero, Niccolò Pianciola e Anna Zafesova. Riunendo contributi di storici e scienziati sociali, il volume esplora l’evoluzione della società e del regime russo nell’ultimo decennio, segnato dall’aggressione all’Ucraina iniziata nel 2014 e continuata con la guerra su larga scala a partire dal 2022. I saggi mettono a fuoco la deriva totalitaria del sistema di potere putiniano, analizzando le istituzioni dello stato e le loro relazioni con la società russa, evidenziando come crisi demografica, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre si concentra sulle sfide che dissidenti, intellettuali, artisti, giornalisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano in un contesto sempre più repressivo. Donne nel Gulag. L’universo femminile nel mondo concentrazionario sovietico: domenica 17 novembre alle 15:30 presso Casa della memoria (via Confalonieri 14) sarà presentato il volume La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956, ultima uscita della collana Narrare la memoria curata da Memorial Italia per Guerini e Associati. Intervengono Luca Bernardini, Marta Zagórowska e Barbara Grzywacz. L’esperienza concentrazionaria, raccontata in una prospettiva di genere, offre al lettore una nuova ottica di valutazione della memoria storica. Nella sua intensa, dettagliata testimonianza Anna Szyszko-Grzywacz, detenuta politica, reclusa per undici anni nel terribile campo di Vorkuta, ripercorre il suo vissuto personale, raccontando non solo l’orrore e la brutalità della quotidianità del lager, ma anche momenti di gioia e solidarietà femminile e piccole, coraggiose strategie di resistenza.

Leggi

Verona, 14 novembre 2024. Il caso Sandormoch.

Giovedì 14 novembre alle 16:00 nell’aula co-working del dipartimento di lingue e letterature straniere dell’università di Verona la nostra presidente Giulia De Florio terrà il seminario Riscrivere la storia, proteggere la memoria: il caso di Sandormoch. Giulia De Florio e Andrea Gullotta hanno curato per Stilo Editrice la traduzione italiana del volume Il caso Sandormoch: la Russia e la persecuzione della memoria di Irina Flige, presidente di Memorial San Pietroburgo. Del volume hanno voluto parlare Martina Napolitano, Stefano Savella, Francesco Brusa e Maria Castorani. Nell’immagine il monumento in pietra presente all’ingresso del cimitero di Sandormoch sul quale si legge l’esortazione “Uomini, non uccidetevi”. Foto di Irina Tumakova / Novaja Gazeta.

Leggi

Pisa, 8-29 novembre 2024. Mostra “GULag: storia e immagini dei lager di Stalin”.

Il 9 novembre 1989 viene abbattuto il Muro di Berlino e nel 2005 il parlamento italiano istituisce il Giorno della Libertà nella ricorrenza di quella data, “simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”. Per l’occasione, l’assessorato alla Cultura del Comune di Pisa porta a Pisa la mostra GULag: storia e immagini dei lager di Stalin. La mostra, a cura di Memorial Italia, documenta la storia del sistema concentrazionario sovietico illustrata attraverso il materiale documentario e fotografico proveniente dagli archivi sovietici e descrive alcune delle principali “isole” di quello che dopo Aleksandr Solženicyn è ormai conosciuto come “arcipelago Gulag”: le isole Solovki, il cantiere del canale Mar Bianco-Mar Baltico (Belomorkanal), quello della ferrovia Bajkal-Amur, la zona mineraria di Vorkuta e la Kolyma, sterminata zona di lager e miniere d’oro e di stagno nell’estremo nordest dell’Unione Sovietica, dal clima rigidissimo, resa tristemente famosa dai racconti di Varlam Šalamov. Il materiale fotografico, “ufficiale”, scattato per documentare quella che per la propaganda sovietica era una grande opera di rieducazione attraverso il lavoro, mostra gli edifici in cui erano alloggiati i detenuti, la loro vita quotidiana e il loro lavoro. Alcuni pannelli sono dedicati a particolari aspetti della vita dei lager, come l’attività delle sezioni culturali e artistiche, la propaganda, il lavoro delle donne, mentre altri illustrano importanti momenti della storia sovietica come i grandi processi o la collettivizzazione. Non mancano una carta del sistema del GULag e dei grafici con i dati statistici. Una parte della mostra è dedicata alle storie di alcuni di quegli italiani che finirono schiacciati dalla macchina repressiva staliniana: soprattutto antifascisti che erano emigrati in Unione Sovietica negli anni Venti e Trenta per sfuggire alle persecuzioni politiche e per contribuire all’edificazione di una società più giusta. Durante il grande terrore del 1937-38 furono arrestati, condannati per spionaggio, sabotaggio o attività controrivoluzionaria: alcuni furono fucilati, altri scontarono lunghe pene nei lager. La mostra è allestita negli spazi della Biblioteca Comunale SMS Biblio a Pisa (via San Michele degli Scalzi 178) ed è visitabile da venerdì 8 novembre 2024, quando verrà inaugurata, alle ore 17:00, da un incontro pubblico cui partecipano Elena Dundovich (docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Pisa e socia di Memorial Italia), Ettore Cinnella (storico dell’Università di Pisa) e Marco Respinti (direttore del periodico online Bitter Winter). Introdotto dall’assessore alla cultura Filippo Bedini e moderato da Andrea Bartelloni, l’incontro, intitolato Muri di ieri e muri di oggi: dal gulag ai laogai, descriverà il percorso che dalla rievocazione del totalitarismo dell’Unione Sovietica giunge fino all’attualità dei campi di rieducazione ideologica nella Repubblica Popolare Cinese. La mostra resterà a Pisa fino al 28 novembre.

Leggi