Il ritorno di Stalin
Perché nei russi si è riacceso l’amore per il “padre dei popoli”
02.04.2015 Kirill Martynov – Novaja Gazeta (http://www.novayagazeta.ru/columns/67907.html)
Il 45% dei russi ritiene che ci sia una giustificazione per le vittime dell’epoca staliniana. Questo fenomeno sociologico, messo in luce dal Centro Levada, è la diretta conseguenza della mobilitazione militar-patriottica che ha interessato di recente la società russa. Per fare un paragone, solo tre anni fa un giudizio analogo sull’operato di Stalin veniva dato dal 25% degli intervistati: si tratta di un aumento enorme. Il 39% dei russi valuta positivamente anche la figura stessa del Capo supremo. Di questo ultimo dato colpisce in particolar modo la motivazione: il 30% prova per Stalin stima, il 2% ammirazione e ben il 7% simpatia. In fin dei conti il nostro dittatore era proprio un tizio simpatico, scherzava, fumava la pipa, un accessorio tanto alla moda. E, a proposito di simpatia, seguendo l’ondata di merci d’importazione sostituite con produzioni nazionali, in Russia è spuntato il marchio d’abbigliamento hipster Vozroždenie (Rinascimento), che, tra i vari capi, propone ai suoi clienti una maglietta con impresso il giovane Džugavšili.
Una persona sana di mente può essere stalinista solo se è male informata. Al giorno d’oggi non dovrebbero esserci problemi da questo punto di vista: le fonti d’informazione sono più che sufficienti, basta prendere in mano un libro per farsi un’idea del passato. Ad esempio, quando si legge la biografia di un personaggio qualsiasi vissuto nella prima metà del XX secolo in Russia, ci si rende conto che, con grande probabilità, si interrompe negli anni Trenta. Oppure si può leggere la pregevole collana “Istorija stalinizma” (Storia dello stalinismo), che da anni viene pubblicata dalla casa editrice ROSSPEN (Enciclopedia politica russa) e che offre, fra l’altro, un giudizio abbastanza complesso dei processi sociali di quell’epoca. Esistono documentari e film adatti a qualsiasi spettatore. Si possono infine leggere i racconti di Varlam Šalamov, lo scrittore che ha dato la più cruda rappresentazione della realtà sovietica.
Non si fa niente di tutto questo e il perché è comprensibile. La gente è troppo impegnata a sopravvivere per riflettere sul passato. In queste condizioni di indifferenza verso la verità storica, a spiegare l’apologia di Stalin concorrono due meccanismi che negli ultimi tempi sono sempre più strettamente sincronizzati. Da un lato, nei programmi scolastici e nei grandi media di propaganda è ora vietato criticare la storia russa. La storia russa, oggi, è ufficialmente impeccabile, il paese è passato da una vittoria all’altra, dalle grandi conquiste dell’epoca imperiale all’ancor più glorioso periodo sovietico. Non abbiamo nulla da rimproverarci, e i motivi di rammarico, se proprio ci sono, sono da imputarsi esclusivamente alle azioni delle forze nemiche occidentali.
Va detto che neanche in URSS si era mai verificata una cosa del genere: ai tempi si biasimava soltanto il “maledetto” zarismo, mentre la rivoluzione era interpretata come una luce tornata a risplendere, dopo tanti secoli, sul regno delle tenebre. Ora la Russia viene considerata del tutto infallibile, a cominciare dal santo principe Vladimir di Kiev. E dunque, poiché il nostro paese è senza macchia, anche criticare Stalin è sbagliato. Si può dire che abbia commesso qualche errorino, che qualche volta gli sia scappata la mano, ma nel complesso “le vittime sono giustificabili” poiché, s’intende, aveva grandi obiettivi, la vittoria in guerra, l’industrializzazione… e poi “ha lasciato alla Russia la bomba atomica”.
La gente comincia ad assuefarsi al fatto che chiunque critichi il passato russo sia con ogni probabilità un vile traditore da cui è bene prendere le distanze. La frase “Certo, Stalin era un dittatore sanguinario, ma…” illustra perfettamente questa logica. È la conseguenza di un patriottismo falsamente inteso, in cui per giustificare in modo tattico e meschino l’attuale regime politico in Russia si giustificano anche tutti i precedenti regimi, in blocco, quali artefici del grande stato russo.
Il secondo meccanismo che esalta la figura di Stalin, se prima era considerato del tutto irrilevante, oggi diventa a sorpresa la tendenza prevalente ed è legato all’attività di sedicenti storici patriottici.
Fate un salto in qualsiasi libreria ben fornita: su ogni scaffale troverete libri come “Stalin: ricordiamolo insieme” di Nikolaj Starikov, che dipinge un’immagine bucolica del Capo-patriota baffuto e fisicamente provato, del grande padre. La popolarità di questi libri è legata al risentimento di massa provato dalla società post-sovietica. Le vecchie strutture sociali si sono disgregate e quelle nuove sono lungi dall’essere vantaggiose per tutti. La gente vive male, le infrastrutture cadono a pezzi. E, cosa più importante, se prima, riflessi nell’immagine di un sorridente Gagarin, noi guidavamo l’umanità verso un futuro radioso, ora cerchiamo con scarso successo di trovare il nostro posto nella suddivisione globale del lavoro capitalistico. L’immagine di Stalin, in questo mondo allarmante e pericoloso, è chiamata a dare delle “risposte corrette” a tutte le domande complesse e, soprattutto, a denunciare i colpevoli delle nostre disgrazie. Non a caso il 24% dei russi nel 2015 ha definito la morte di Stalin come “la perdita di un maestro”.
I russi protestano sempre meno per la trasformazione di Volgograd in Stalingrado, per l’erezione, in occasione dei 70 anni della vittoria, di un monumento a Stalin quale comandante supremo nella Grande Guerra Patriottica. Quest’illusione storica del ricordo positivo del capo convive serenamente nella società con la volontà pressoché generale di non vedere ripetersi le repressioni e del terrore degli anni Trenta. Il ritorno di Stalin per il momento assume le fattezze di un’ovattata nostalgia verso il saggio “padre dei popoli”. Bisogna riflettere sulla questione principale, cioè su quanto l’attuale Russia non sia altro che il prodotto ideologico dello stalinismo, che non ha ancora preso coscienza del proprio retaggio. Su quanto Stalin siamo noi.
Traduzione di: Valeria Bonazza, Malvina Costin, Serena Garzia, Massimo Loreto, Maria Chiara Omboni, Sabina Rosset
A cura degli studenti del corso “Traduzione dal russo per la comunicazione”, svoltosi presso l’Associazione Italia-Russia