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“Senza bambini non c’è futuro”: la storia di Volodymyr Sahaidak

Durante l’occupazione russa di Kherson, è riuscito a salvare più di cinquanta minori dalla deportazione in Russia. La sua storia nel libro di Nello Scavo, "Il salvatore di bambini".

(di Stefano Leone, Memorial Italia)


31 gennaio 2025 
ore 11:20


Copertina del libro di Nello Scavo "Il salvatore di bambini"


Il risveglio


Il 24 febbraio 2022 gli ucraini si svegliano in guerra. Le notizie sono tante, confusionarie, incerte, il tempo per agire è poco. Si parla da tanto di un’invasione su vasta scala da parte della Russia, qualcuno ci fa l’orecchio, pochi ci credono veramente. La guerra è diventata inimmaginabile, la guerra è lontana, distante. Lo scrittore Andrei Kurkov parla della “credulità geopolitica” come di una circostanza infelice del popolo ucraino, ma in realtà è tutta l’Europa a essere colta di sorpresa. Da dieci anni si aggirano pericolosi sonnambuli che strizzano gli occhi sempre di più, fino a chiuderli, di fronte alle azioni della Russia in Ucraina. Ma, in ogni caso, la mattina del 24 febbraio 2022 è guerra.


Al risveglio ogni persona, ricevuta la notizia di solito sotto forma di chiamata da parte di qualcuno, ha poco tempo per prendere una delle decisioni più importanti della sua vita – partire o restare? Le strade verso ovest iniziano a riempirsi, molti decidono di andarsene senza avere un piano esatto per il futuro, i più con valigie improvvisate, lasciandosi alle spalle tutto quello che non entra in uno zaino. Quella mattina anche Volodymyr Sahaidak rimane scosso dalla notizia. Volodymyr, però, sa che non può andare via: a Stepanivka, un piccolo villaggio con poche migliaia di abitanti a nord di Kherson, lo aspettano 52 minori, dai 3 ai 17 anni.


Il centro


Volodymyr Sahaidak è il direttore per il Centro di riabilitazione socio-psicologica per minori di Stepanivka. Il centro, anche se chiamato gergalmente orfanotrofio, ospita non solo minori orfani, ma anche minori privati delle cure genitoriali o provenienti da famiglie che si sono ritrovate in situazioni difficili. Nel Centro i minori hanno la possibilità di passare un determinato periodo di tempo sotto la protezione di Volodymyr e del suo gruppo per poi, al termine della riabilitazione, ritornare presso le rispettive famiglie o essere affidati a una famiglia adottiva. Volodymyr è un pendolare e come gran parte del suo gruppo percorre ogni giorno la tratta Kherson-Stepanivka. A Kherson vive anche la sua famiglia: la moglie, che, come il marito, ha dedicato tutta la vita ai bambini, la figlia e il nipotino, che tanto vuole vedere l’Italia. Il Centro si trova però in uno dei tratti di strada più pericolosi del primo anno di guerra, l’esercito russo si sta avvicinando, Volodymyr sa che fare il pendolare non è più un’opzione. Per questo anche lui, come milioni di suoi compatrioti, lascia la sua casa. Ma percorre pochi chilometri soltanto, si trasferisce nel Centro per minori per non abbandonare i suoi bambini.


“Per me non ci sono bambini altrui”, dirà Volodymyr quasi due anni più tardi, “ogni bambino è come se fosse mio”.


Il Centro è abbastanza nascosto, non facile da trovare. All’inizio di marzo 2022 i russi occupano Kherson. Volodymyr continua a sperare in un corridoio umanitario, si mette in contatto con gli organi competenti per i minori, parla con varie organizzazioni internazionali, ma dopo un po’ capisce che non potrà raggiungere il territorio sotto il controllo ucraino. Volodymyr sa che da quel momento è da solo e che il destino dei 52 minori è nelle sue mani. Decide dunque di sfruttare la posizione periferica del Centro, spera che nessuno degli abitanti lo consegnerà ai russi, e inizia tre mesi di quella che lui chiama “vita da cospiratori”. Poche semplici regole: non si grida, non si corre, si esce soltanto a piccoli gruppi e per 15 minuti al giorno nel cortile interno, un posto non visibile dalla strada dotato anche di un piccolo tetto sotto cui potersi rifugiare in caso di attacchi. Sì, perché il silenzio, la vita da cospiratori, la posizione nascosta del Centro non bastano per sfuggire alla guerra. A pochi chilometri da Stepanivka c’è l’aeroporto di Chornobaivka, occupato a fine febbraio dall’invasore e allestito a base militare. I bambini fin dal primo giorno di guerra sono spettatori di attacchi, bombardamenti, missili, spari. Volodymyr non ha però paura degli spari e anche i bambini dopo un po’ si abituano. Volodymyr ha un’unica grande paura: è a conoscenza di tutto quello che i russi hanno fatti a partire dal 2014 nelle regioni di Donec’k e Luhans’k, è a conoscenza dei campi di filtraggio al confine, è a conoscenza delle deportazioni di minori ucraini sul territorio della Federazione Russa e sui territori ucraini occupati. Volodymyr sa che i russi, prima o poi, raggiungeranno anche il suo Centro e sa che, se troveranno i bambini, li porteranno con sé. Per questo la vita da cospiratori, la passività, non può essere una soluzione a lungo termine.


Il salvataggio


In guerra, sotto occupazione, quando ti nascondi, non ti nascondi soltanto dagli invasori, ma ti rendi introvabile anche per chi vuole aiutarti. Volodymyr deve stare attento, sa che la regione è colma di collaborazionisti, sa che le sue chiamate, i suoi post sui social vengono controllati, sa che ogni sua azione potrebbe mettere in pericolo non solo lui stesso, la sua famiglia, gli altri impiegati, ma soprattutto i 52 bambini di Stepanivka. Per questo rimane in silenzio, nella speranza che qualcuno lo trovi. E qualcuno, in effetti, lo sta cercando. Nello Scavo ha sentito parlare fin dalle prime settimane dei rapimenti di bambini perpetrati dai russi e ha anche sentito parlare di una figura misteriosa, di un fantasma, che nel territorio occupato si è preso sulle spalle il destino di più di cinquanta bambini. Nello Scavo all’inizio è titubante, si scoraggia, ma non si arrende, percorre la sua pista seguendo piccoli dettagli e, qualche mese dopo, le strade di Nello e Volodymyr si uniranno per non separarsi più.


Ma non è soltanto Nello a cercare Volodymyr: ci sono anche i russi, e sono più vicini. Volodymyr inizia a pensare a come mettere in salvo i 52 minori, anche a costo di farsi odiare da loro per primi. Sa che eludere tutti insieme i posti di blocco russi è impossibile, per questo devono separarsi. Il Centro, nel frattempo, inizia a svuotarsi di adulti. Molti fuggono con le famiglie, altri rimangono, ma a causa del coprifuoco imposto dai russi non possono lasciare Kherson e lavorare a tempo pieno come prima. Ci sono giornate in cui a occuparsi dei minori ci sono solo tre adulti. I ragazzi più grandi devono quindi prendere il loro posto e crescono di un bel po’ d’anni nel giro di qualche settimana: aiutano nelle pulizie, apparecchiano i tavoli della mensa, si prendono cura dei più piccoli. Volodymyr non ha molto cibo in dispensa e sono i volontari ad aiutare il Centro. Quando la strada si fa troppo pericolosa, è Volodymyr stesso a salire in macchina per andare al mercato e ne approfitta per passare una mezz’oretta con la moglie, la figlia e il nipote.


Nel frattempo, Volodymyr sente le prime storie di bambini della regione Kherson che si sono ritrovati sul territorio russo o nella Crimea occupata. I russi parlano di “gite temporanee” di “viaggi terapeutici”, dicono che vogliono proteggere i bambini e portarli fuori dal teatro di guerra. Alcuni genitori, disperati, accettano, altri si vedono portare via i figli senza il loro consenso. Ai ragazzi si promette che torneranno presto, molti però non rivedranno più la propria terra. Niente più lingua ucraina, niente più bandiere ucraine, al loro posto l’inno russo ogni mattina. Volodymyr dice che i ragazzi più grandi vengono costretti a svolgere esercitazioni militari e a combattere contro il proprio popolo. Durante il macabro concerto in occasione del primo anniversario della sua “operazione militare speciale”, Putin si fa accompagnare sul palco da bambini provenienti da Mariupol’. Volodymyr sa che deve mettere i suoi ragazzi in salvo al più presto e il direttore si trasforma in scrittore. Servono storie verosimili, bugie unite a un pizzico di verità, servono leggende, timbri falsi, documenti in una lingua che gli invasori non capiranno. Volodymyr inizia a scrivere la documentazione in ucraino e a pensare a come mettere in salvo i primi ragazzi. Lo aiutano i familiari dei bambini, gli impiegati del centro, i volontari. Ognuno prende con sé uno, due, tre minori e insieme raggiungono i territori sotto il controllo ucraino. I bambini diventano nipoti, figli, cugini. Quando Volodymyr riceve la notizia della buona riuscita del primo espatrio, prosegue la sua missione. A giugno, nel Centro rimangono solo tre ragazzi, tutti grandi, dai 14 ai 17 anni. A giugno, però, arrivano anche i russi.


Volodymyr è preparato al loro arrivo, sa che la prima cosa che faranno sarà portare via i bambini. Consegna loro i documenti, ma gli occupanti non capiscono l’ucraino, proprio come aveva previsto. Gli occupanti non capiscono nemmeno cosa sia un Centro di riabilitazione, credono che si tratti di un orfanotrofio e non si spiegano il motivo per cui sia vuoto. Volodymyr riesce a registrare e salvare le immagini del primo arrivo dei russi, poi loro distruggono le videocamere e la memoria dei computer. Volodymyr subisce minacce, intimidazioni e un giorno riceve anche la visita di una dozzina di giornalisti russi venuti per dipingere un quadro della situazione che possa corrispondere alla propaganda del Cremlino. Riceve anche alcune foto che girano sui social media russi dove viene definito il “nazista nr. 1 di Kherson” е dove ci si augura per lui una nuova “Norimberga”.


I ragazzi del suo Centro però si rifiutano di parlare ai microfoni e di essere comparse forzate nel film propagandistico russo; “è la mia vittoria più grande”, dirà poi Volodymyr. 


I mesi passano, le visite dei russi sono più frequenti. Volodymyr si abitua ai loro arrivi, ha imparato ad aggirare le loro domande, ha imparato a ingannarli, rimane fedele al suo piano. Tuttavia, un giorno, i russi non arrivano da soli e da quel giorno inizia per Volodymyr una nuova missione. I russi portano con sé 15 nuovi minori provenienti dalla Scuola specializzata di Novopetrivka della regione di Zaporizhzhya, insieme a loro c’è anche la direttrice. I ragazzi vengono sistemati nel Centro, ma rimangono sotto costante controllo dei russi; il direttore capisce subito che sarà impossibile nasconderli, in caso di deportazione, dovrà rassegnarsi (ma solo temporaneamente) e intanto pensare al futuro. È quello che fa quando, al rientro dal mercato, trova un autobus davanti al suo centro. L’esercito ucraino avanza, i russi sono costretti ad abbandonare Kherson, “a fuggire”, come dice Volodymyr. Il pullman aspetta i bambini; Volodymyr cerca di scoprire la loro destinazione, i russi lo minacciano, non gli rispondono e alla fine gli mentono: andranno a Henichesk, sulla sponda opposta del Dnipro. È l’autista a dirgli la verità – andranno in Crimea. Volodymyr, nel frattempo mette in salvo anche gli ultimi tre dei suoi ragazzi, ma non può dormire sogni tranquilli: non può restare indifferente alla sorte dei 15 bambini della scuola di Novopetrivka. Ed è per questo che cerca in tutti i modi di mettersi in contatto con la direttrice e riesce a scoprire che sono stati trasferiti in Russia, nella regione di Krasnodarsk. L’informazione basta a Volodymyr per attivare la sua rete e per riuscire a salvarli e portarli fuori dal territorio russo grazie a meccanismi che ancora non può rivelare: ci sono ancora troppi bambini ucraini trattenuti illegalmente sul territorio russo e finché non torneranno tutti in patria, molti dettagli non potranno essere condivisi.


Il racconto e il ricordo


Nel frattempo, le strade di Volodymyr e Nello si intrecciano ancora di più. Le loro testimonianze sono tra le prove principali per l’emissione dell’ordine di arresto nei confronti di Putin e di Maria L’vova-Belova da parte della Corte Penale Internazionale, e l’incredibile storia dello “Schindler ucraino” è stata raccontata dalla penna di Nello Scavo nel libro Il salvatore di bambini, uscito per Feltrinelli. Durante la presentazione del libro in giro per l’Italia c’è anche Volodymyr, insieme a sua figlia e al nipotino, che finalmente è riuscito a vedere l’Italia. Volodymyr è convinto che la storia dei bambini ucraini debba essere raccontata, che il mondo non possa rimanere all’oscuro di quello che accade nel suo paese, nella sua città. Il messaggio è forte, chiaro, è una risposta alla domanda che si fanno in molti.


“Perché la Russia deporta i bambini ucraini?”: “Perché i bambini sono il futuro del paese e senza i bambini ucraini non c’è Ucraina, come senza bambini italiani non c’è Italia”.


E quindi Volodymyr parla a nome di un popolo intero che il suo vicino vuole cancellare, partendo proprio dalla rieducazione dei bambini. Alla fine degli incontri si prende un po’ di tempo per firmare i libri delle tante persone venute ad ascoltare la verità e a non dimenticare la guerra in corso. Su uno dei libri, Volodymyr fa un augurio semplice, ma che è il riassunto perfetto della sua esperienza personale, dell’esperienza dei suoi bambini, del suo popolo, del suo paese:



“Ti auguro che il tuo paese non veda mai la guerra”. 

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