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Russificare un’intera generazione: la guerra del Cremlino all’identità ucraina passa dall’istruzione

La Russia di Putin trasforma l’educazione scolastica in propaganda di stato. Con l’arma preferita del Cremlino.

(Immagine esemplificativa – School by Nick Youngson CC BY-SA 3.0 Pix4free)


(di Marco Simonetti)


04 dicembre 2024 
ore 10:16



Il 19 novembre 2024 è stato il millesimo giorno dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. La Russia, ad oggi, controlla circa un quinto del territorio ucraino. L’occupazione fu ufficializzata nei primissimi mesi del conflitto: già il 30 settembre 2022, Vladimir Putin aveva annesso unilateralmente quattro regioni (oblast’) ucraine: Donec’k, Luhans’k (entrambe parzialmente occupate da Mosca dalla primavera del 2014), Kherson e Zaporizhzhya. A queste si aggiunge la Repubblica Autonoma di Crimea, occupata e annessa illegittimamente nel marzo-aprile 2014 a seguito di un “referendum.” Secondo Meduza, si tratta del 18,8% del territorio dell’Ucraina.


Kyiv si trova con i russi nel giardino di casa, ed è inverosimile che il Cremlino sia disposto a fare concessioni territoriali qualora si dovesse arrivare a dei negoziati. Con Donald Trump alla presidenza USA, difatti, dal gennaio prossimo si potrebbe iniziare a parlare di un effettivo congelamento del conflitto sulla linea del fronte, dunque di una cessazione degli scontri armati tra i due eserciti e dell’istituzione di una zona cuscinetto.


Ma congelare un conflitto è ben diverso dal raggiungere un accordo di pace, e non solo in senso meramente politico-militare: non c’è solo terra, ci sono soprattutto le persone.


La guerra proseguirà infatti senza le armi: è probabile che Mosca continuerà indisturbata con la propria guerra dell’informazione a danno di Kyiv, e gli ucraini che si troveranno a est di un’eventuale zona demilitarizzata saranno sottoposti a una propaganda serrata e feroce, sia che si trovino nei territori occupati dell’Ucraina o direttamente sul suolo russo.


L’obiettivo del Cremlino è convincere le persone a riconoscere nella Russia la propria Madrepatria e vedere nell’esercito della Federazione un liberatore piuttosto che un occupante. In gioco c’è la capacità di poter legittimare la propria presenza illegittima agli occhi di chi quei territori ha deciso di non abbandonarli. Nel mirino di questa “conversione” in chiave pro-Mosca ci sono, in primis, i bambini e gli adolescenti ucraini, ai quali è naturalmente più facile inculcare l’idea che la Russia sia la Patria e l’Ucraina il nemico.


I bambini scompaiono


Per poter diventare fedele alla Russia, un minore deve innanzitutto essere sottratto alla giurisdizione delle autorità ucraine. La deportazione forzata di bambini e adolescenti da parte del Cremlino è diventata prassi sulle terre occupate, e ci sono prove che la Russia si stesse preparando a questo proposito già prima dell’invasione su larga scala.


Da oltre vent’anni, l’ong ucraina Magnolia, che ha sede a Kyiv, è attivamente impegnata nella ricerca di bambini scomparsi. Tra il 2019 e il 2021, Magnolia riceveva in media tra le 300 e le 350 segnalazioni di sparizione ogni anno. L’invasione è stata uno spartiacque immenso e l’inizio dei bombardamenti sulla capitale, insieme ai danni alle infrastrutture, hanno compromesso significativamente le operazioni di ricerca. “Nessuno era pronto al 24 febbraio 2022. Ci siamo trovati paralizzati,” ha raccontato la direttrice Maryna Lypovec’ka in un’intervista al Gruppo di protezione dei diritti umani di Kharkiv.


Una volta ristabilite le linee di comunicazione, le richieste di assistenza per scomparsa di minore hanno iniziato ad aumentare vertiginosamente, a ritmi di centinaia ogni giorno. A tre settimane dall’invasione, erano più di mille. A luglio 2024, delle 3150 segnalazioni ricevute, la maggior parte si era conclusa con il ritrovamento del minore. C’è da dire, però, che molti di questi bambini, tra la sparizione e il ritrovamento, erano rimasti sul territorio controllato dall’Ucraina e, probabilmente, erano andati persi nel caos della guerra e delle evacuazioni. La situazione è invece più complessa nei territori occupati.


Quando l’Ucraina ha iniziato a liberare alcune città, si è scoperto che “i bambini non c’erano.” Erano stati portati via a gruppi, di proposito.


“Le deportazioni non erano casi isolati. I bambini ucraini sono stati deportati nei territori della Federazione Russa, o trasferiti più a est, nelle Repubbliche separatiste o in Crimea” si spiega nell’intervista. Parliamo di cifre piuttosto elevate: 19.546 minori deportati contro la propria volontà. A oggi, l’Ucraina è riuscita a riaverne indietro circa un migliaio.


I dati sono molti, ma i più recenti, raccolti nel report Stolen Childhood – preparato da Freedom House, dal Centro per i diritti umani Zmina, dal Centro regionale per i diritti umani (Rchr, una ong nata a Sebastopoli ma basata a Kyiv a seguito dell’occupazione russa della Crimea) e dal Centro per i diritti umani Viasna – parlano di più di un milione e mezzo di bambini potenzialmente a rischio di deportazione nei territori sotto occupazione. Si tratta principalmente di orfani, bambini senza genitori – successivamente adottati da famiglie russe – o figli di persone che appoggiano la politica di Mosca. “Ci sono persone così. Per loro non è un problema che i propri figli vengano portati in Russia,” ha commentato l’avvocato Ekaterina Raševaskaya di Rchr. Le autorità russe – con la complicità di Minsk – organizzano addirittura visite nei territori occupati per “selezionare” i minori da portare nelle scuole e nelle università della Federazione. Da parte di Mosca, ovviamente, il silenzio stampa. “La Russia non ha mai fornito alcuna informazione su questi bambini,” ha affermato il Commissario del Parlamento ucraino per i Diritti Umani, Dmytro Lubinec’.


Recidere i legami


Nonostante il silenzio di Mosca, la vita di un bambino ucraino nei territori occupati o in Russia è nota grazie al prezioso lavoro di monitoraggio delle organizzazioni della società civile: costante propaganda anti-ucraina, indottrinamento ed educazione paramilitare sin dalla giovane età. L’obiettivo è l’eradicazione forzata di ogni legame con l’Ucraina; il risultato auspicato è che questi bambini cedano il più possibile alla propaganda e vedano nella Russia una Patria da proteggere con le armi.


Uno dei primi passi, fondamentale, riguarda il passaporto. Durante l’evento “Siamo cittadini della Russia” tenutosi nei territori occupati di Kherson, Zaporizhzhya e in Crimea, le autorità occupanti hanno “solennemente presentato” e distribuito il passaporto russo – l’equivalente della carta d’identità – ai bambini presenti. Oltre al passaporto, viene sostituito anche il certificato di nascita e qualsiasi informazione che possa ricondurre il minore all’Ucraina.


Può dunque avere inizio la russificazione. La deportazione, una volta avuto il passaporto della Federazione, è burocraticamente semplice: in un report, l’ONG ucraina Al’menda spiega che da dicembre 2022, nei territori occupati, non c’è l’obbligo di consenso documentato da parte dei genitori per il trasferimento dei minori in territorio russo. Per i bambini dell’orfanotrofio di Luhans’k, il problema non si è posto a monte: a firmarne il trasferimento in Russia sono state le stesse autorità occupanti.


Nelle scuole sotto occupazione, Mosca ha vietato la lingua e la letteratura ucraine.


Nella regione di Luhans’k occupata, le autorità hanno messo al bando o direttamente distrutto una lista di libri di testo ucraini – dai libri sulla grande carestia del 1932-1933 a volumi di scrittori internazionali non in linea con l’ideologia del regime. A maggio 2024, le autorità hanno annunciato l’introduzione di più ore di storia, quella “storia” che parla di Kyiv come una città russa, della Crimea come una terra liberata e dell’Occidente come una minaccia.


Per gli occupanti è importante che la russificazione non sia un processo passivo. I bambini devono partecipare attivamente: sono obbligati a scrivere “lettere di gratitudine” ai soldati russi e a cantare l’inno della Federazione. Se si oppongono, scattano le punizioni o la minaccia dell’orfanotrofio. Se a opporsi sono i genitori, invece, le autorità perquisiscono i tablet e i cellulari – per controllare che il figlio non segua, in parallelo, la scuola ucraina da remoto – e li minacciano di perdere i diritti genitoriali.


Le “sessioni universitarie”


In questo sistema di sistematica ingegneria identitaria anti-ucraina, le scuole e le università russe hanno un ruolo fondamentale e agiscono in piena sincronia con il Cremlino. Una delle iniziative che più rende esplicito questo legame e su cui a oggi Mosca ha investito più risorse è il programma delle “sessioni universitarie” (universitetskie smeny).


Il programma consiste fondamentalmente in “campi estivi” intensivi della durata di dieci giorni, indirizzati a bambini e ragazzi tra i 14 e i 17 anni (nel 2022, l’età minima per partecipare era di 9 anni). Il progetto, lanciato dopo un apposito decreto del Presidente Putin, è stato organizzato dal Ministero della scienza, dal Ministero dell’istruzione superiore e dall’Agenzia per gli affari giovanili della Federazione Russa. Esso avrebbe il ruolo di mostrare ai bambini le opportunità che l’educazione in Russia può dare; all’atto pratico, le Sessioni sono l’ennesimo strumento di russificazione, nonché una tattica per facilitare le deportazioni dai territori temporaneamente occupati verso la Federazione e incoraggiare i giovani a trasferirsi permanentemente in Russia.


L’edizione pilota ha avuto luogo tra luglio e settembre 2022 e ha coinvolto 42 istituti russi e 10.611 minori provenienti dalle “Repubbliche Popolari” di Donec’k e Luhans’k. Per volere di Putin, nel 2023 le “sessioni universitarie” sono diventate un programma permanente e attualmente sono indirizzate agli adolescenti che risiedono in tutti i territori occupati. I minori che hanno partecipato tra luglio e dicembre 2023 sono stati 10.700, 81 le università. Nel 2024, le “sessioni” si sono tenute in autunno e, secondo i dati del Cremlino, vi avrebbero partecipato almeno 2.300 ragazzi.


Per l’edizione pilota, l’ong Al’menda ha stimato una spesa di 48.200 rubli per partecipante, l’equivalente di circa 8,5 milioni di euro al tasso di cambio del 2022. Ma i finanziamenti non mancano: dal 2023, il programma è finanziato dall’Agenzia federale per le politiche giovanili, la quale ha visto i propri fondi federali aumentare esponenzialmente: dai 69 miliardi di rubli del 2023, ai 188 previsti per il 2026. Questo dimostra quanto le “politiche giovanili” e la russificazione dei minori ucraini siano una priorità per il Cremlino.


Per quanto riguarda i contenuti del programma, ogni università è piuttosto autonoma nell’organizzazione, ma le autorità hanno dato indicazioni chiare: ogni “sessione” prevede sei moduli (educativo, culturale, professionale, sportivo, escursionistico e ricreativo), accomunati da un minimo comune denominatore: il patriottismo per la Russia, ossia la rimozione di una coscienza identitaria ucraina attraverso l’indottrinamento e l’isolamento. Secondo quanto riportato da Al’menda, infatti, le università sarebbero state invitate a minimizzare quanto più possibile i contatti tra i minori e le famiglie.


Oltre alle “sessioni universitarie,” ci sono poi i “campi di rieducazione.” Stando ai dati delle autorità occupanti, i bambini ucraini coinvolti sarebbero tra i 40.000 e i 220.000, dislocati tra Russia, Belarus’ e territori occupati. Si tratta di 98 strutture dove, apparentemente, le attività svolte sarebbero principalmente lavori manuali. Gli scopi rimangono però gli stessi: la russificazione attraverso la rieducazione e le attività paramilitari.

Militari di nuova generazione


L’educazione “all’amor patrio,” dunque la fedeltà al russkij mir – il “mondo russo –, va infatti di pari passo con attività volte ad abituare i bambini alla guerra sin dall’età prescolastica. Nel report di Al’menda Universal Soldier del giugno 2024, difatti, si legge:


Tutti gli incontri mirano in realtà alla formazione nei bambini di un atteggiamento positivo nei confronti del paese aggressore [la Federazione Russa, NdR], per prepararli ad essere pronti a difenderlo con le armi, e a fare propaganda affinché si uniscano alle forze armate russe una volta raggiunta l’età appropriata.


Così, ai bambini dell’Asilo Solnyško di Golubynka, nella Crimea occupata, sono state messe in mano armi da guerra vere. Ad altri, insieme alle armi, sono state date uniformi militari da indossare durante una finta “guardia” ai monumenti. Ai bambini della scuola superiore Nr. 6 di Yalta è stato spiegato, invece, come indossare un giubbotto antiproiettile e lanciare una granata.


È piuttosto chiaro e difficilmente contestabile quale sia l’intento del Cremlino: educare una nuova generazione di russi pronti a imbracciare le armi per “difendere la Patria.”


La sistematicità delle deportazioni, insieme all’indottrinamento paramilitare che esse comportano, violano le principali convenzioni internazionali in materia di diritti dei minori. Per tale ragione, nel marzo 2023 la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Marija L’vova-Belova, Commissario per i diritti dei bambini presso il Presidente della Federazione Russa, e contro Vladimir Putin stesso.


De-occupare le menti


La riconquista materiale dei territori occupati, insieme con la continua attività di monitoraggio da parte del governo e della società civile ucraini, rappresentano due tasselli importanti verso la liberazione dei minori ucraini dall’indottrinamento russo. Ma, è importante prenderne atto, qui non si parla solo di terra. Kyiv dovrà de-occupare anche le menti delle persone.



Oggi, una generazione di bambine e bambini ucraini – tra qualche anno adolescenti, poi giovani adulti – sta crescendo bombardata dalla propaganda del Cremlino, in un contesto di indottrinamento e militarizzazione che li vuole convincere che più a ovest, oltre una potenziale, futura zona demilitarizzata, si trova un nemico da combattere: l’Ucraina.


Cosciente di ciò, Kyiv si è attivata nel definire delle prime linee guida per una “de-occupazione cognitiva” e per la reintegrazione dei bambini cresciuti sotto occupazione. L’ong Al’menda, insieme ai colleghi dell’Unione ucraina di Helsinki per i diritti umani e del Centro regionale per i diritti umani, ha stilato delle raccomandazioni per la creazione di politiche di reintegrazione dei giovani che hanno vissuto sotto l’occupazione russa.


Lo studio – una vera e propria guida per il governo – si fonda sul principio di peace building oltre ogni discriminazione e segregazione, e invita lo Stato ad adottare una politica nazionale e trasversale: fondamentale, oltre alla diretta cooperazione con i partner internazionali e le organizzazioni della società civile, che il focus rimanga sull’esperienza personale del singolo. La responsabilità in questo senso è grande, ed è auspicabile che l’Ucraina promuova una reintegrazione positiva di queste persone, per scongiurare ulteriori attriti in seno alla società ucraina, dai quali Mosca trarrebbe indubbiamente vantaggio.


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