John Hall, professore statunitense: “Il genocidio culturale è difficile da dimostrare”.

Il professor John Hall sottolinea come sia difficile dimostrare che sia in atto un genocidio culturale secondo i criteri che sono attualmente in vigore per definirlo, poiché è necessario fornire evidenza di un fattore soggettivo, ovvero l’intenzione di cancellare una cultura. Ecco cosa racconta della sua esperienza in Ucraina.



Il professore di diritto John Hall ha trascorso in Ucraina circa due mesi svolgendo attività sia di volontariato, sia di ricerca. Si occupa infatti di diritto internazionale e legislazione riguardante il campo dell’arte. Ha così voluto verificare di persona i danni arrecati dalle truppe russe al patrimonio culturale ucraino. Il professor Hall sottolinea come sia difficile dimostrare che sia in atto un genocidio culturale secondo i criteri che sono attualmente in vigore per definirlo, poiché è necessario fornire evidenza di un fattore soggettivo, ovvero l’intenzione di cancellare una cultura. Nel caso dell’Ucraina, tuttavia, ci sono alcuni specifici crimini in cui quest’intento è difficile da negare, come la distruzione del Museo di Skovoroda.


La testimonianza di John Hall è stata raccolta da Denys Volocha per il progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”) e ha raccontato della situazione del suo popolo.


Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli in italiano è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo.,


Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti e altri collaboratori di Memorial Italia.





Denys Volocha

13.08.2024


John Hall ha trascorso nove settimane in Ucraina ed è giunto a una conclusione inaspettata.


Guarda il video dell’intervista coi sottotitoli in italiano sul canale YouTube di Memorial Italia





“Mi chiamo John Hall. Sono professore di diritto alla Fowler School of Law della città di Orange, California.


Sono venuto in Ucraina per prestare volontariato nel Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv, per aiutare in ogni modo possibile e anche per raccogliere materiali per il mio studio scientifico sulla distruzione del patrimonio culturale.


Insegno diritto internazionale e diritto dell’arte. Già da qualche anno, dai tempi del mio periodo di lavoro in Cambogia, ho un forte interesse per il tema della distruzione del patrimonio culturale, dei valori culturali. Ho letto con grande attenzione dell’annientamento sistematico della cultura ucraina da parte degli occupanti russi. Mi interessava molto studiare questo argomento e scriverne.”


In cosa consiste il problema del “genocidio”?


“La questione del genocidio culturale è al tempo stesso molto stimolante e molto opinabile” – constata il prof. Hall. “Quando si iniziò a discutere di genocidio e di convenzione sul genocidio, il relativo progetto prevedeva tre elementi fondamentali basati sui concetti, elaborati da Lemkin, di genocidio fisico, genocidio biologico e genocidio culturale. Alla fine quest’ultimo venne tolto dalla convenzione sul genocidio. Non fu incluso neppure nella definizione di genocidio formulata dalla Corte penale internazionale.”


John Hall
© Denys Volocha / KhPG


“Ci ritroviamo dunque nella situazione in cui il genocidio, ‘il crimine di tutti i crimini’, vale soltanto per l’omicidio in massa di tutto o di una parte di un gruppo di persone, i crimini violenti ai danni dei componenti di tale gruppo e la morte biologica di tale gruppo, mentre l’annientamento totale o parziale della cultura di un certo gruppo di persone non rientra nella convenzione sul genocidio. È un concetto tuttora controverso.


Per esempio, consideriamo allo stesso modo la distruzione di un museo causata da un atto di guerra indipendentemente dal fatto che sia l’esito di un atto premeditato nell’ambito di un’azione militare oppure il tentativo di cancellare una cultura dalla faccia della terra. Ma è evidente che si tratta di situazioni diversissime.


L’esistenza del reato di genocidio culturale comporterebbe una responsabilità giuridica più pesante, un’enfasi sul suo elemento soggettivo. In altre parole, dovremo poter dimostrare che un determinato evento concreto, un reato, la distruzione di una chiesa, la distruzione di un museo, la distruzione di un archivio è un atto di genocidio, è un tentativo di cancellare una cultura, e non soltanto la casuale eliminazione di un valore culturale.”


© Denys Volocha / KhPG



“La mia esperienza di lavoro in Cambogia ha dimostrato che la popolazione si indignava se gli imputati nel tribunale di Phnom Penh non erano accusati fin da subito di genocidio. La gente si infuriava perché l’assassinio di milioni di cambogiani non comportava l’accusa di genocidio.


Ciò si spiega con il fatto che la definizione giuridica di genocidio è limitata, come sappiamo. Io sono molto favorevole ad ampliare l’interpretazione di questo reato, in modo da poterlo applicare anche alla distruzione del patrimonio culturale compiuta per eliminare una cultura in toto o in parte.”


Come si dimostra la distruzione di una cultura?


“Penso che la cosa più importante che possono fare le organizzazioni sia raccogliere le prove. – dice Hall. “Ora siamo nella fase di documentazione degli avvenimenti. Ed è un momento cruciale per vari motivi.


Si pongono le basi per i futuri procedimenti giuridici che si terranno presso la Corte penale internazionale o le procure ucraine. Se documentiamo tutto ora, avremo la garanzia che, a tempo debito, i russi o Putin non potranno dire che si tratta di esagerazioni. O che non è mai successo. O che è stato una casualità. O un errore degli esecutori.


È fondamentale raccogliere le prove della quantità e della sistematicità dei crimini commessi. È indispensabile. Il passo successivo sarà l’azione penale.”


Provare che l’eliminazione dei valori culturali in Ucraina è stata intenzionale sarà un’operazione molto complessa.

John Hall, professore di diritto alla Fowler School of Law della città di Orange, California.


“Indubbiamente, la difesa sosterrà che si è trattato di eventi casuali. Che di fatto gli obiettivi erano strutture militari. Che la distruzione del patrimonio culturale è stata casuale. Oppure che gli ucraini avevano unità militari nei pressi di un qualche bene culturale.” – prevede Hall.


Nella guerra in Ucraina, però, ci sono dei segnali chiari del fatto che i militari russi hanno scientemente colpito il patrimonio culturale. Il Museo Skovoroda è forse l’esempio più lampante fra tutti i siti che abbiamo visitato.


Museo Skovoroda
Il museo Skovoroda distrutto. Fotografia: Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv


“Era la casa-museo appartenuta al poeta e filosofo ucraino del XVIII secolo. L’edificio su cui sono caduti i missili russi nel 2022 è circondato da un bosco. È lontano da altre costruzioni. Nei dintorni non ci sono né strutture né obiettivi militari, e i villaggi più vicini sono a centinaia di metri di distanza.


Su quel territorio non c’era nient’altro che quell’edificio, completamente distrutto dai missili russi nel maggio 2022. Era lontanissimo dalle prime linee.”


Skovorodynivka
Il villaggio di Skovorodynivka. © Denys Volocha / KhPG


“Di conseguenza, può essersi trattato o di una casualità – cosa alquanto insensata – o di un attacco intenzionale a un bene primario del patrimonio culturale ucraino.” – conclude Hall.


“Sono rimasto scioccato dalla quantità di crimini” – dichiara John Hall



“Prima, quando esercitavo da avvocato, ci insegnavano a essere imparziali, a tentare di osservare il quadro giuridico da una certa distanza, senza scegliere necessariamente una parte. Ma, da difensori dei diritti umani, c’è la tendenza a schierarsi.”


Sono rimasto scioccato dalla quantità di crimini commessi dai russi durante l’occupazione. E non parlo soltanto di cattiva condotta da parte dei militari durante o dopo i combattimenti, ma del sistematico oltraggio del popolo ucraino.

“Stupri di massa, stupri di minori, omicidi di massa, distruzione premeditata di edifici e infrastrutture civili. Non erano casi isolati. Succedeva dappertutto. Ovunque ci fossero occupanti russi, specialmente dopo l’invasione del 2022, la gente veniva oltraggiata.”


John Hall a Izjum
Il professor Hall nella Izjum liberata dall’occupazione. © Denys Volocha / KhPG


“Ho parlato con le vittime, per esempio con una donna anziana in un villaggio vicino a Buča. Mi ha raccontato che i russi, quando vedevano persone in strada, sparavano a casaccio. Perciò lei, il marito e gran parte dei vicini sono rimasti per mesi nelle cantine.


Il marito portava da mangiare a una vicina anziana e i russi l’hanno ucciso. Il suo corpo è rimasto disteso per strada più di due settimane prima che lei potesse recuperarlo. Quando infine si sono ritirati, i russi hanno bruciato la casa della donna e molte altre.


Sembra che i russi considerino gli ucraini come subumani. Ed è imperdonabile. Per me è stato lì che è cambiato tutto: aver compreso la portata dei crimini dei russi ha fatto crescere il mio odio per ciò che hanno commesso.”


Ritengo esista il rischio che nei media occidentali tutto si trasformi in una guerra di missili e bombe, che questo conflitto appaia piuttosto lontano. La violenza dei militari russi nei confronti della popolazione civile non è sufficientemente evidenziata.

Impressioni dall’Ucraina

“Sono venuto in Ucraina tra il 2013 e il 2014 per alcune conferenze, perciò avevo già una qualche idea di Kyiv. Certo, era una situazione ben diversa da quella attuale.” – spiega il prof. Hall.


“Prima di venire qui, immaginavo di trovare un paese completamente devastato dalla guerra. Così lo presentano i media in Europa e negli USA: campi di battaglia, missili, sofferenze. Immaginavo che persino a Kyiv e Charkiv avrei visto quell’aspetto della guerra. E invece non è stato così.


Era tutto più che normale. E ho pensato che era proprio questo a colpirmi: la normalità della vita della gente. Le persone vivono la loro esistenza, né più né meno. Vanno al lavoro, a fare la spesa, parlano con le loro famiglie.


Un’altra cosa ad avermi colpito durante la mia permanenza qui è stata la forza delle persone. Può sembrare un tantino banale, ma in due mesi non ho mai sentito nessuno dire che l’Ucraina potrebbe perdere questa guerra.”


Skovorodynivka
Skovorodynivka. © Denys Volocha / KhPG


“Tutti sono molto determinati. Aspirano alla vittoria, all’indipendenza e a un futuro democratico. Non c’è cinismo. Non ho sentito frasi tipo: ‘Oh, qui si mette male’. No, c’è una fortissima volontà di combattere gli invasori.


Sa, mi hanno spiegato che gli ucraini nascono con una barra d’acciaio nella spina dorsale. E penso che sia vero! Affrontano tutto e lavorano insieme per la vittoria. È straordinario.”


John Hall
John Hall


Gli ucraini, benché abbiano sofferto per la brutalità dei russi, non devono essere vittimizzati. Sono persone forti che lottano contro un invasore per la loro indipendenza.


Putin ne risponderà?


“Come fare in modo che i colpevoli di tutto ciò ne rispondano? In effetti, è l’eterno problema del diritto penale internazionale. In particolare, come si può richiamare un capo di Stato alle proprie responsabilità?


C’è chi dice che è impossibile. Che non potremo mai sperare che capi di Stato come Putin un giorno compariranno davanti a un tribunale penale o alla Corte penale internazionale. Non ne sarei così sicuro.”


© Denys Volocha / KhPG


“La storia insegna che persino chi appariva intoccabile ha finito per essere inchiodato alle proprie responsabilità. Perciò credo che sia del tutto possibile.” – auspica il prof. Hall.


Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

“Mamma, probabilmente morirò presto”: adolescente russo in carcere per volantini anti-Putin riferisce di essere stato brutalmente picchiato da un compagno di cella.

Pubblichiamo la traduzione dell’articolo ‘Mom, I’m probably going to die soon’: Russian teenager in prison for anti-Putin flyers says cellmate brutally beat him della testata giornalistica indipendente russa Meduza. L’immagine è tratta dal canale Telegram dedicato al sostegno per Arsenij Turbin: Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!). In una recente lettera Arsenij Turbin, sedicenne russo condannato a scontare cinque anni in un carcere minorile con l’accusa di terrorismo, ha raccontato alla madre di avere subito abusi fisici e psicologici durante la detenzione. I sostenitori di Turbin, che hanno pubblicato un estratto della sua lettera su Telegram, sospettano che oltre ad aggredirlo, i compagni di cella gli stiano rubando il cibo. Ecco cosa sappiamo. Arsenij Turbin è stato condannato a cinque anni di carcere minorile nel giugno 2024, quando aveva ancora 15 anni. Secondo gli inquirenti governativi, nell’estate del 2023 Arsenij si era unito alla legione Libertà per la Russia, un’unità filoucraina composta da cittadini russi e, su loro preciso ordine aveva iniziato a distribuire volantini che criticavano Vladimir Putin. Turbin dichiara di non essersi mai unito alla legione e di avere distribuito i volantini di sua iniziativa. Il Centro per i diritti umani Memorial ha dichiarato Turbin prigioniero politico. Al momento Turbin si trova in detenzione preventiva in attesa dell’appello contro la sua condanna. Nell’estratto di una lettera inviata a sua madre pubblicato lunedì (1 ottobre) nel gruppo Telegram Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!), l’adolescente scrive che un compagno di cella di nome Azizbek lo ha picchiato più volte. “Questa sera, dopo le 18:00, uno dei miei compagni di cella mi ha dato due pugni in testa mentre ero a letto”, ha scritto. “La situazione è davvero difficile, brutta davvero. Azizbek mi ha colpito e poi ha detto che stanotte mi inc***. Sarà una lunga nottata. Ma resisterò.” Turbin scrive anche che in carcere lo hanno catalogato come “incline al terrorismo” per il reato che gli contestano (“partecipazione a organizzazione terroristica”). In un post su Telegram i sostenitori di Turbin hanno ipotizzato che i suoi compagni di cella gli stessero rubando il cibo: nelle sue lettere chiedeva sempre alla madre pacchi di viveri, mentre questa volta le ha scritto che non ne aveva bisogno. La madre di Turbin, Irina Turbina, martedì ha riferito a Mediazona che il figlio è stato messo in isolamento dal 23 al 30 settembre. Dalla direzione della prigione le hanno detto che era dovuto a una “lite” tra Turbin e i suoi compagni di cella e che tutti e quattro i prigionieri coinvolti erano stati puniti con l’isolamento. Irina Turbina ha anche detto che il personale del carcere non le ha permesso di parlare con Arsenij al telefono e che l’ultima volta che hanno parlato è stata a inizio settembre. La madre ha raccontato l’ultimo incontro con suo figlio al sito Ponjatno.Media: “Quando sono andata a trovarlo l’11 settembre non l’ho riconosciuto. Non era mai particolarmente allegro neanche le volte precedenti che l’ho visto, certo, ma almeno aveva ancora speranza, era ottimista: aspettava l’appello e credeva che qualcosa di buono l’avremmo ottenuto. L’11 settembre, invece, Arsenij aveva le lacrime agli occhi. Mi ha detto: ‘Mamma, ti prego, fai tutto il possibile, tirami fuori di qui. Sto davvero, davvero male qui’.” “Mamma, probabilmente morirò presto”, ha continuato a riferire la madre, citando il figlio. Ha poi detto di avere inoltrato la lettera a Eva Merkačeva, membro del Consiglio presidenziale russo per i diritti umani, chiedendole di intervenire. Secondo le informazioni di Mediazona, ad Arsenij è stato finalmente permesso di parlare con sua madre al telefono l’8 ottobre. Le avrebbe detto che il suo aggressore era stato trasferito in un’altra cella il giorno prima e che si trovava bene con gli altri compagni di cella. Aggiornamento del 20 ottobre dal canale Telegram Svobodu Arseniju!: “Questa settimana Arsenij non ha mai telefonato”. La madre riferisce di averlo sentito l’ultima volta l’8 ottobre scorso. 25 ottobre 2024

Leggi

Cagliari, 22 ottobre. “Belarus, poesia e diritti umani”.

Martedì 22 ottobre alle 18.00, presso l’Università degli Studi di Cagliari, Campus Aresu (aula 6), nell’ambito del ciclo di seminari Ucraina, Belarus, Russia: lottare e resistere per i diritti nell’Europa post-sovietica dedicato al tema della resistenza al regime di Putin e del suo alleato Lukašenka si svolge il seminario Belarus, poesia e diritti umani. Nell’occasione sarà presentato il volume Il mondo è finito e noi invece no. Antologia di poesia bielorussa del XXI secolo curato da Alessandro Achilli, Giulia De Florio, Maya Halavanava, Massimo Maurizio, Dmitry Strotsev per WriteUp Books. Intervengono Dmitry Strotsev (Pubblicare poesia bielorussa in emigrazione), Julia Cimafiejeva (Scrivere poesia bielorussa all’estero) e la nostra Giulia De Florio (Tradurre poesia bielorussa in Italia). Modera Alessandro Achilli. È possibile seguire l’incontro in diretta Zoom, utilizzando il link https://monash.zoom.us/j/81314970717?pwd=gAd5RXcOX6w2BE18DHkmfxO6xTDyRG.1.

Leggi