(Intervista a cura di Carlangelo Mauro)
20 settembre 2024
Aggiornato 23 settembre 2024 alle 09:27
Orio Giorgio Stirpe, ufficiale dell’esercito italiano che ha prestato servizio in Somalia, Bosnia, Albania, Kosovo e Afghanistan, è specializzato in analisi militare. È attivo anche come scrittore ed ha pubblicato una serie di romanzi, tra storia e leggenda, che fanno parte del ciclo intitolato “Dopo Roma” ambientato immediatamente dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente. Sul conflitto in Ucraina, oltre a interventi sulle piattaforme on line e in TV, pubblica sulla sua pagina Facebook post con aggiornamenti periodici seguiti da migliaia di lettori per la sua capacità di far comprendere complessi problemi di strategia militare ad un ampio pubblico senza usare tecnicismi. Nel 2023 Stirpe ha pubblicato, per Mimesis, un volume sulla invasione dell’Ucraina: Gli errori di Putin. Ucraina: una guerra a tutti i costi. Nel volume sono tanti i passaggi che smontano mitologemi diffusi, ad esempio il mito dell’invincibilità dell’esercito russo che è alla base di tutti i ragionamenti sulla resa inevitabile dell’Ucraina ‒ non si tratta di pace, ma appunto di resa alle condizioni russe, irricevibili, più volte espresse da Putin ‒ associato a quello delle illimitate risorse militari della Russia. Nel libro, in particolare nel capitolo dedicato alla propaganda russa, si affrontano le manipolazioni della realtà, le falsità diffuse da parte del Cremlino sull’espansione della Nato, sull’Euromaidan come colpo di stato americano, sul genocidio nel Donbas, sul nazismo in Ucraina e in Occidente. Si comprende come in Italia, soprattutto a causa della “totale mancanza di conoscenze militari” e del “senso della proporzione degli eventi a vantaggio del loro effetto”, si sia diffuso il mito senza fondamento di infinite risorse e dell’invincibilità russa quando essa “è stata sconfitta tutte le volte in cui si è lanciata in una guerra d’aggressione […], la “Grande guerra patriottica” è praticamente il suo unico vero grande successo militare”. Ne abbiamo discusso, a partire del libro per arrivare all’oggi, con l’autore.
Carlangelo Mauro: Colonnello Stirpe, l’Italia ‒ è un dato di fatto ‒ è particolarmente sensibile alla propaganda russa diffusa con ogni mezzo in tutta Europa. “La Stampa” ha pubblicato recentemente un servizio su 2800 persone pro-Russia attive in 81 paesi. Cosa può dirci al riguardo?
Orio Giorgio Stirpe: Personalmente ritengo che un militare di professione, sia egli in servizio attivo o in riserva come me, dovrebbe astenersi da commenti che implichino giudizi di politica interna: questo non solo in quanto tali commenti rischiano inevitabilmente di incrinare la terzietà istituzionale delle Forze Armate rispetto alla competizione politica, ma anche perché tradizionalmente i militari si rivelano quasi sempre pessimi osservatori politici. Detto questo, penso si possa concordare che rispetto agli altri grandi Paesi europei l’Italia presenti una più larga presenza di opinioni massimalistiche sia a destra che a sinistra dello spettro politico; questa elevata concentrazione di persone poco propense al dialogo con la controparte è anche più vulnerabile alle suggestioni di chi offre argomenti anche estremi contro tutto ciò che appare come “establishment”. Ecco, dunque, che per queste persone, disposte a credere all’esistenza di una misteriosa “Spectre” sovranazionale tesa a derubarle della loro identità e dei loro risparmi, diventa naturale prestare ascolto a tutte quelle storie che tendono a confermare i loro sospetti. Rispetto al resto d’Europa, e soprattutto a causa della generale disillusione verso la classe politica e le istituzioni, in Italia abbiamo una presenza più elevata di queste persone.
È molto diffusa la credenza sui social e altrove che la Nato abbia disseminato missili nucleari nei Paesi dell’ex Patto di Varsavia e adesso, con il prossimo ingresso dell’Ucraina, intenda piazzare basi nucleari in un paese così vicino alla Russia: chi la sostiene fa sempre il paragone con Cuba, quando gli americani pretesero che i sovietici togliessero i loro missili dall’isola. È così o è una falsa informazione? La propaganda russa c’entra qualcosa?
Ovviamente la propaganda russa è all’origine della diffusione di questo falso, ma siccome si tratta di un falso “plausibile” secondo la logica comune, il numero dei complici inconsapevoli di tale propaganda è elevato. Il problema è la scarsa conoscenza delle questioni militari da parte dei civili, e la generale ignoranza in merito, diffusa anche a livelli elevati. Basta ricordare la personalità di rango ministeriale che ancora recentemente, parlando delle armi per l’Ucraina e riferendosi ai famosi Samp-T italiani, disse che “un missile è un missile”; dimostrando di non capire la differenza fra un missile balistico destinato a colpire obiettivi (eventualmente anche civili) al suolo e un missile contraereo destinato a colpire gli aerei che lanciano i missili balistici destinati a colpire obiettivi (anche civili) a terra… Fra il 1991 e il 2022 la Nato non ha dislocato neppure un singolo missile balistico in Europa, o tantomeno ai confini con la Russia; figuriamoci testate nucleari. L’unica cosa che è stata installata, oltre al centro per gli studi sulla difesa Cyber a Tallinn, sono stati i radar di avvistamento a lungo raggio e i sistemi missilistici contraerei in Polonia e Romania. Al contrario, nello stesso periodo mentre in Germania, Belgio, Gran Bretagna e Italia venivano smantellati i vecchi lanciatori Cruise della Guerra Fredda, Putin ha fatto installare i famosi “Iskander” a Kaliningrad, cioè a tiro di Copenaghen, Berlino e Varsavia. Di installare missili di alcun tipo in Ucraina non si è mai neppure parlato, e anche l’adesione alla Nato di tale Paese era quantomeno in discussione visto che soprattutto la Germania era contraria. Il paragone con Cuba non tiene proprio in quanto tale Paese accolse invece proprio missili nucleari sovietici, e la crisi che ne seguì non portò affatto ad un’invasione in massa da parte americana, quanto piuttosto ad una forte pressione non convenzionale e ad un semplice blocco navale. La verità è che la Nato aveva smesso completamente (e a torto) di considerare la Russia una minaccia, e anzi aveva accolto parallelamente sia Russia che Ucraina in un “partenariato” che preludeva a un successivo potenziale processo di adesione; semplicemente l’Ucraina ha proseguito su tale percorso, mentre la Russia di Putin ne è uscita, con la pretesa che l’Ucraina facesse altrettanto.
È la Russia a pretendere che i suoi vicini si adeguino alle proprie esigenze, non la Nato che “abbaia” ai suoi confini; del resto, perché dovrebbe mai farlo?
È reale il pericolo di una escalation nucleare nel conflitto in Ucraina?
Anche qui occorre usare un linguaggio più specifico. Il “rischio nucleare” esiste ed è reale da oltre settant’anni: non è mai cessato, in quanto le armi nucleari esistono e sono in mano a potenze militari ostili una all’altra. Queste armi esistono perché chi le possiede ritiene di doversi garantire contro un eventuale loro “primo uso” da parte dei propri avversari che le possiedono a loro volta. Questo “primo uso” a sua volta è concepibile in due casi ben precisi: il primo è un attacco a sorpresa che garantisca una ragionevole probabilità di disarmare l’avversario prima che questi possa reagire – eventualità al momento tecnologicamente non alla portata di alcuno – mentre il secondo è una situazione in cui una potenza nucleare si trovi sull’orlo del disastro e rischi la distruzione del proprio Stato. In qualsiasi altra situazione, un primo impiego di tali armi porterebbe a un’escalation difficilmente controllabile e in ogni caso a una situazione successiva peggiore di quella precedente all’impiego stesso. La spiegazione dottrinale è molto più lunga e complessa, ma la conclusione rimane la stessa. A questo occorre aggiungere che al momento attuale anche l’impiego di testate tattiche a potenziale minimo sarebbe privo di senso in quanto da una parte non sortirebbe alcun vantaggio militare di rilievo (contro quale obiettivo andrebbero lanciate?), e dall’altra l’esercito russo che dovrebbe impiegarle, essendo passato da un modello professionale ad alta tecnologia ad uno di mobilitazione a bassa tecnologia, non è più equipaggiato sul campo con gli indumenti di protezione individuale necessari a sopravvivere in ambiente contaminato: in parole povere, i soldati russi ne risentirebbero quanto quelli ucraini. In compenso, la ricaduta politico-diplomatica sarebbe pesantissima per chiunque ricorresse in maniera irrazionale a questa risorsa, e di nuovo l’effetto alla fine sarebbe di peggiorare notevolmente la situazione di chi ne facesse uso per primo. Alla fine, quindi, la risposta alla sua domanda rimane che il rischio esiste così come esisteva prima del 2022, ma non è aumentato in maniera significativa. L’unico modo in cui potrebbe effettivamente aumentare sarebbe in caso di intervento diretto della Nato nel conflitto, con forze di terra occidentali che muovessero su territorio russo in direzione di Mosca, mettendo appunto a rischio l’esistenza dello Stato russo. Di qui la prudenza dei Paesi occidentali nel fornire il dovuto sostegno all’Ucraina.
Nel suo volume parla dei quattro “disastri dell’armata di Putin” in altrettanti capitoli. Può farne una breve sintesi e dirci se se ne è aggiunto qualche altro dal 2023, anno in cui è uscito il volume?
In realtà non se ne sono aggiunti di nuovi, ma quelli già verificatisi continuano a consumare la Federazione Russa ogni giorno. Il primo – e il più grave – di questi disastri è stato l’errore di valutazione catastrofico da parte di Putin, che ha imposto una pianificazione militare basata sull’assunto che l’esercito ucraino non avrebbe combattuto; questo errore ha portato a una pianificazione errata, alla mancata sorpresa strategica e a una contro-sorpresa ai danni di un esercito russo non preparato a un conflitto di lunga durata, che si supponeva asimmetrico e che si è invece rivelato anche troppo simmetrico, con un’Ucraina che dopo due anni e mezzo non solo continua a resistere ma contrattacca sullo stesso territorio russo. Il secondo disastro è stato il mancato riconoscimento dell’errore iniziale, con la caparbia insistenza in un’offensiva resa non più ragionevole alla luce dei rapporti di forza non sufficientemente favorevoli all’attaccante: la prima offensiva nel Donbas, effettuata con un esercito stremato dal fallimento dell’offensiva su Kyiv e privo dei rincalzi necessari a causa della sua natura professionale. Questo disastro ha portato alla sostanziale distruzione dell’esercito professionale prebellico e alla sua metamorfosi in un esercito di mobilitazione, numericamente più grande ma tecnicamente molto meno capace. Il terzo disastro è consistito nella sottovalutazione dell’avversario non solo ucraino ma anche occidentale: la controffensiva ucraina dell’estate 2022 che ha amputato le estremità dell’arco del fronte offensivo russo esaltando la volontà ucraina di resistere ad oltranza (volontà già accesa dalla realizzazione dei crimini commessi dai russi nei territori occupati), e l’indignazione occidentale seguita ai referendum-farsa nei territori occupati, con le annessioni che hanno reso formalmente impossibile qualsiasi trattativa diplomatica fra due avversari cui le rispettive Costituzioni vietano qualsiasi cessione di territorio sovrano. Il quarto disastro è stato l’implementazione di una mobilitazione parziale, di per sé insufficiente a raccogliere un potenziale militare sufficiente per sfondare il fronte, ma accompagnata da una strategia di assalti frontali ad elevatissimo costo che hanno consumato il potenziale esistente ad un ritmo superiore a quello con cui poteva essere ricostituito attraverso nuova produzione industriale e nuovo reclutamento di personale. Questa strategia, portata avanti caparbiamente da Bakhmut a Prokovs’k, ha progressivamente ridotto il vantaggio di potenziale militare russo in cambio di acquisizioni militari di scarso rilievo operativo, logorando nel contempo la stabilità interna del regime e soprattutto la sua capacità economica.
Cosa ci può dire sull’offensiva ucraina nella regione di Kursk e sull’attuale andamento del conflitto?
L’offensiva ucraina di Kursk è la conseguenza dei disastri di cui sopra – di cui il quarto come detto continua a reiterarsi nel Donbas offensiva dopo offensiva senza giungere ad alcun risultato significativo, proprio come sull’Isonzo durante la Prima Guerra mondiale. Questo perché mentre le capacità militari russe continuano a deteriorarsi consumando sempre più le riserve umane a buon mercato della Russia e i suoi vecchi depositi sovietici, l’Ucraina pur subendo perdite dolorose mantiene il suo potenziale e vede crescere le sue capacità con l’aiuto dell’Occidente. Questo lento ma costante incremento di capacità da parte ucraina è stato in parte sprecato con la controffensiva dell’estate 2023, condotta erroneamente contro uno dei punti più forti dello schieramento russo; ma è stato messo a frutto in maniera più corretta nell’estate del 2024 contro quello che era il punto più debole di tale schieramento. La cattura in un mese scarso e con scarsissime perdite di un territorio nemico pari a quello catturato a prezzo esorbitante da parte russa in più di due anni ha portato a una serie di risultati incontestabili: il consolidamento del morale interno, a fronte di una scossa sensibile di quello russo; l’acquisizione di territori nemici che rende impossibile per Putin insistere sul congelamento del conflitto sulle posizioni esistenti; l’umiliazione del regime davanti agli occhi dei suoi sostenitori; il grave indebolimento del fronte settentrionale russo e la necessità da parte russa di destinare ad un nuovo fronte una parte consistente delle sue già scarne riserve logistiche. La decisione – sostanzialmente politica – di Putin di minimizzare il danno cercando di ignorare il problema dell’occupazione da parte di un nemico presentato come “inferiore” di parte del territorio della superpotenza russa, e quindi di non distrarre forze dall’offensiva nel Donbas, ha consentito di mantenere il ritmo operativo in tale settore, pur con un minore sostegno logistico; però le stesse affermazioni di Putin – sempre politiche e non militari – di voler riconquistare i territori perduti, obbligheranno prima o poi a distrarre se non intere brigate dal Donbas, almeno parte delle artiglierie colà concentrate. Questo in quanto l’attuale esercito russo riesce ad avanzare solamente laddove disponga di una schiacciante superiorità di fuoco.
A distanza di più di due anni si intravede una possibile uscita da questa guerra terribile?
Si può “uscire” da una guerra in due modi: con una “pace”, che nel caso di una guerra totale può prevedere solo un vincitore e un vinto, oppure con un armistizio/cessate il fuoco/congelamento del conflitto, che rappresenta una soluzione solo temporanea. Quest’ultima soluzione in sostanza porterebbe a una cessazione temporanea delle ostilità sulle posizioni esistenti. Una cosa simile a quanto è in vigore nella penisola coreana, con la differenza che laggiù non esisteva un confine prebellico internazionalmente riconosciuto. Una situazione simile anche a quella dei vari conflitti congelati in Abkhazia, Ossezia e Transnistria, oppure a quella del Medio Oriente. Una soluzione del genere sarebbe inevitabilmente transitoria, destinata ad essere rotta dal contendente che riuscisse per primo a recuperare un potenziale militare sufficiente a riprendere l’offensiva, magari in un momento politicamente propizio a livello internazionale. In ogni caso, però, un cessate il fuoco sulle posizioni attuali sarebbe non solo inaccettabile per gli ucraini – in quanto lascia troppo territorio ucraino in mano russa – ma anche per Putin, in quanto lascerebbe molti territori russi sotto occupazione ucraina, il che sarebbe politicamente un suicidio. Nel contempo, però, un accordo di pace è stato reso impossibile dalle annessioni dell’estate 2022: ora per la Russia gli oblast’ annessi sono territorio russo, e non possono essere restituiti; nel contempo per la comunità internazionale sono territorio ucraino, e per convenzione universalmente accettata dal 1946 l’integrità territoriale delle nazioni è inviolabile. Si tratta di un principio caro a tutti, Cina compresa, in quanto previene in tutto il mondo guerre d’aggressione per la modifica dei confini: derogare ad esso aprirebbe la strada a nuovi conflitti ovunque nel mondo, con conseguente crollo del commercio globale, cosa che danneggerebbe soprattutto la Cina. Da questo segue che l’unico modo di raggiungere un accordo di pace sarebbe un ritorno alla situazione prebellica; condizione questa però inaccettabile per l’attuale regime russo autore delle annessioni. La rimozione di tale regime diventa quindi condizione necessaria perché sia raggiungibile una pace sancita internazionalmente. In conclusione, il sostegno armato all’Ucraina rimane l’unica soluzione possibile per porre fine alla guerra. La buona notizia, però, è che questo sostegno non dovrà essere interminabile. A causa di quanto spiegato precedentemente, la Russia continua a logorare il proprio potenziale; per ora il personale continua ad essere rimpiazzato, ed è impossibile prevedere quando l’impatto sociale di questo logoramento di risorse umane diventerà critico per il regime. Però i mezzi da combattimento e soprattutto le artiglierie continuano ad essere rimpiazzati al 20% con nuove produzioni e all’80% attingendo ai magazzini sovietici, che si stanno rapidamente svuotando di tutto quanto vi si trova di utilizzabile. Il ritmo di svuotamento di questi depositi (situati a cielo aperto in Siberia) è ben osservabile via satellite, e la Nato lo segue in tempo reale. In base a fonti aperte è possibile dire che le risorse si esauriranno entro il 2025, ma sicuramente i governi hanno dati assai più precisi, ed è in base a questi dati che assumono le loro decisioni. Esiste dunque una consapevolezza documentata da parte occidentale e ucraina che il potenziale militare offensivo della Russia si esaurirà entro il 2025; a quel punto i russi potranno solo più difendersi, e al loro esercito rimarrà la scelta fra un ripiegamento controllato al di fuori del territorio ucraino oppure aspettare l’inevitabile collasso logistico. L’Ucraina recupererà la sua integrità territoriale senza dover sferrare controffensive nel Donbas.