29 agosto 2024. Lezioni non apprese. In occasione dell’ottantacinquesimo anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale.

Comunicato dell’Associazione Internazionale Memorial

29 agosto 2024

Lezioni non apprese. In occasione dell’ottantacinquesimo anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale.

Vasilij Vereščagin, Apoteosi della guerra (1871)


Quest’anno in Europa, e non solo, si celebreranno gli 85 anni dall’inizio della Seconda guerra mondiale.

Quando tacquero le armi sembrò che l’umanità non avrebbe dimenticato la tragedia appena vissuta e che ne avrebbe tratto le dovute lezioni. Nel corso di alcune generazioni, in effetti, l’espressione “basta che non ci sia la guerra” è diventata una sorta di auspicio ricorrente, un modo di dire comune.

Per scongiurare ulteriori conflitti fu creata l’ONU e furono adottati vari patti e convenzioni internazionali.

Chi aveva la responsabilità diretta di avere scatenato la guerra fu portato davanti al tribunale di Norimberga, le cui decisioni divennero parte integrante del diritto internazionale.

Sembrava che in Europa l’epoca delle ostilità armate e delle annessioni fosse conclusa per sempre.

Ma purtroppo le generazioni che hanno vissuto la guerra contro il nazismo ci hanno ormai lasciato e l’immunità acquisita contro il militarismo si è via via attenuata, fin quasi a scomparire del tutto; gli avvenimenti della Seconda guerra mondiale sono ormai storia e il mondo si ritrova ad affrontare le stesse minacce del passato. In Europa è scoppiata una nuova guerra su vasta scala, provocata dalla Russia. Sì, proprio dalla Russia, che pure si ritiene l’erede designata dell’Unione Sovietica, che ha contribuito a sconfiggere la Germania nazista, a istituire il Tribunale di Norimberga e l’ONU.

L’associazione Memorial si occupa di memoria storica. A noi, suoi soci, pare ovvio che sia stato possibile aggredire l’Ucraina solo perché l’attuale governo russo ha usurpato il passato. Non è un caso se l’Associazione russa di storia è presieduta dalla sua fondazione da Sergej Naryškin, direttore dei Servizi segreti esteri della Federazione Russa.

La concezione della storia che le autorità russe impongono con violenza alla società, soprattutto riguardo alla Seconda guerra mondiale, è costituita da un miscuglio pericolosissimo di nazionalismo aggressivo, sacralizzazione del potere e psicosi militaristica. Paradossalmente l’ideologia del “mondo russo”, che il putinismo cerca di inoculare nella popolazione, ricorda sempre più l’ideologia cavalcata da Hitler 85 anni fa durante la sua conquista dell’Europa.

Non c’è da stupirsi se sempre più spesso le autorità russe, a vari livelli e inconsapevolmente (o forse talvolta consapevolmente), ricalcano nella propria retorica i notissimi cliché della propaganda nazista. Per esempio, uno dei maggiori politici russi proclama senza la minima esitazione lo slogan “un paese, un presidente, una vittoria” che riprende quasi esattamente quello dell’NSDAP, “ein Volk, ein Reich, ein Führer” (“un popolo, un Reich, un Führer”), mentre in una certa regione russa si dà a una manifestazione sportiva il nome di “Trionfo della volontà”, come il titolo del film di propaganda nazista girato nel 1935.

All’inizio dell’aggressione contro l’Ucraina il presidente russo ha pubblicato un lungo articolo “storico” in cui ha messo in dubbio la stessa esistenza del popolo ucraino, della sua lingua e cultura e del suo diritto all’autodeterminazione. Il tutto coincide per molti versi con proclami analoghi dei vertici nazisti riguardo ad altri popoli e lo si può considerare a pieno titolo una base teorica per un genocidio.

Non c’è da stupirsi se poco tempo fa il presidente ha accusato non gli aggressori, ma le vittime, di avere scatenato la Seconda guerra mondiale: “i polacchi hanno superato ogni limite e obbligato Hitler a cominciare la Seconda guerra mondiale attaccando proprio loro. Come mai la guerra iniziò il 1 settembre 1939 sul fronte polacco? La Polonia si era dimostrata refrattaria a qualunque compromesso. Per realizzare i suoi piani a Hitler non restò che attaccarla”. Difficile immaginare affermazioni che più stridono con le sentenze del processo di Norimberga.

Al contempo è a rischio di persecuzione penale chi interpreta eventi storici in una maniera che si discosta da quella ufficiale, per esempio tracciando paralleli tra stalinismo e fascismo o sottolineando il ruolo del patto Molotov-Ribbentrop nello scoppio della guerra. È in affermazioni di questo genere, e non nei discorsi come quelli putiniani, che i tribunali russi ravvisano una “negazione dei fatti determinati dalle sentenze del Tribunale militare internazionale” e una “riabilitazione del nazismo” (articolo 254.1 del Codice penale della Federazione Russa).

***

È inevitabile chiedersi: come mai in un paese ancora relativamente libero (quale era la Russia degli anni Novanta) il potere è riuscito a usurpare la storia?

Noi ipotizziamo la dinamica seguente. Le questioni più importanti della storia sovietica e russa non sono diventate oggetto di ampie discussioni nella società e la coscienza collettiva non le ha rielaborate. All’inizio del regime putiniano queste lacune (che non individuiamo nelle conoscenze storiche, essenzialmente ormai complete, ma proprio nella coscienza collettiva) hanno permesso alle autorità di compiere manipolazioni politiche aggressive.

Ci riferiamo in particolare agli eventi della Seconda guerra mondiale e prima di tutto a quelli che ne sono stati le premesse.

La causa principale della guerra fu chiaramente la politica espansiva della Germania nazista. La sentenza pronunciata a Norimberga contro gli ex vertici del Terzo Reich li riconosceva colpevoli di “crimini contro la pace, attuati pianificando, preparando, scatenando e conducendo guerre di aggressione, le quali costituiscono inoltre una violazione dei trattati, degli accordi e delle garanzie internazionali”.

Per motivi evidenti il tribunale di Norimberga non considerò (né poteva farlo) che ruolo ebbero, nello spianare la strada alla guerra, le scelte politiche degli stati che poi la vinsero. A Norimberga fu giudicato un gruppo concreto di persone, accusato di avere commesso alcuni crimini concreti.

Non è tuttavia possibile escludere dall’ordine del giorno l’esame delle scelte politiche di cui sopra. Esse rientrano nella morale politica e, quindi, non solo andrebbero studiate dalla storia, ma dovrebbero essere oggetto di una riflessione da parte della società.

Per la società occidentale il filone più importante è la “pacificazione dell’aggressore” a spese delle vittime, cioè gli accordi di Monaco, firmati il 30 settembre 1938. Ci rimise per prima la Cecoslovacchia poi, in seguito, anche il Regno Unito e la Francia, che avevano firmato quegli accordi.

Per la Russia il filone essenziale è il patto Molotov-Ribbentrop firmato il 23 agosto 1939, cioè la partecipazione dell’URSS all’invasione. Ne fecero le spese (soprattutto per via del protocollo segreto riguardante la “limitazione della sfera di interesse”) Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia, Finlandia e Romania; e alla fine anche l’Unione Sovietica.

Spesso si paragonano gli accordi di Monaco al patto Molotov-Ribbentrop, e a ragione. Entrambi gli accordi, in maniera indiretta nel primo caso, diretta nel secondo, hanno causato la Seconda guerra mondiale.

Ci sono però due differenze importanti.

In primo luogo, con gli accordi di Monaco le autorità britanniche e francesi non intendevano realizzare alcuna conquista territoriale. Con scarsissima lungimiranza si fecero guidare soprattutto dal timore della guerra. La politica di “pacificazione” risultò un tradimento verso la Cecoslovacchia e, come mostrarono gli eventi successivi, anche verso gli interessi delle loro stesse nazioni: ma sarebbe arduo definire aggressive queste scelte.

In secondo luogo, gli accordi di Monaco furono conclusi pubblicamente, senza aggiungervi protocolli segreti. Persino le rivendicazioni territoriali di Polonia e Ungheria, che volevano cogliere l’occasione favorevole, erano chiaramente specificate. Il testo sottoscritto da Molotov e Ribbentrop era un patto di non aggressione soltanto di nome; l’accordo con cui Hitler e Stalin si spartirono l’Europa orientale fu concluso all’oscuro della comunità internazionale.

Si può ritenere che gli accordi di Monaco siano stati un atto di viltà e connivenza e che abbiano lasciato via libera a un criminale; il patto tra Stalin e Hitler, invece, consisté proprio nell’entrare in combutta con quel criminale e nella partecipazione attiva alle sue nefandezze.

Oggi, in Occidente, nessuno storico serio e nessun politico ragionevole cerca di giustificare gli accordi di Monaco o di negare il fatto che disgraziatamente condussero alla Seconda guerra mondiale.

La situazione è meno lineare per quanto riguarda la valutazione del patto sovietico-tedesco da parte degli storici e politici sovietici o della Russia contemporanea.

In URSS, fino alla fine degli anni Ottanta, esso fu ritenuto un’iniziativa diplomatica necessaria che permise di ritardare di due anni l’aggressione di Hitler, dando modo al paese di prepararsi meglio alla guerra. Ma questo ragionamento non sta in piedi, come mostrano gli eventi del 22 giugno 1941 e la catastrofe bellica che seguì.

Si preferiva tacere sul ruolo svolto da questa “iniziativa” nel precipitare degli eventi verso la guerra. Quanto al protocollo aggiuntivo segreto, in URSS la sua esistenza veniva negata; il documento rinvenuto dagli americani negli archivi del Ministero dell’interno tedesco veniva definito un falso.

Ci si sforzava di non includere le azioni dell’Armata rossa del settembre 1939 nel contesto della guerra mondiale, ma di definirle esclusivamente come una “campagna di liberazione” che mirava a “riunire i popoli della Belarus’ occidentale e dell’Ucraina occidentale con i loro fratelli sovietici”.

Solo durante la perestrojka si parlò seriamente del patto e delle sue conseguenze. Il 24 dicembre 1989 il Congresso dei deputati del popolo riconobbe ufficialmente l’esistenza del protocollo aggiuntivo segreto e ne fornì un’opportuna (benché ancora incompleta) valutazione storico-giuridica.

Nella Russia attuale si rimette in discussione questa valutazione. Il patto sovietico-tedesco ormai non è più definito “un’iniziativa necessaria”, ma un “trionfo della diplomazia sovietica”. Al contempo l’esistenza degli accordi segreti tra Stalin e Hitler per spartirsi l’Europa orientale non viene più contestata, ma ritenuta una parte di quel trionfo.

La discussione sui fatti è per lo più conclusa. Ma quella sulle valutazioni è ricominciata, e si intensificano gli sforzi per giustificare la politica aggressiva dell’URSS e i suoi crimini. Le autorità russe attuano questi sforzi nel loro modo abituale: campagne propagandistiche su larga scala, persecuzioni penali di chi la pensa diversamente, processi farsa come quello tenutosi di recente a Petrozavodsk per il “genocidio finnico ai danni dei cittadini sovietici”, e la demolizione di monumenti dedicati a cittadini di Polonia, Lituania, Germania, Finlandia e altri paesi, vittime di repressioni e morti sul territorio russo.

Processo di Norimberga / WWII Signal Corps Photograph Collection

***

Il tribunale di Norimberga fu creato per punire i maggiori criminali di guerra dell’Asse; di conseguenza non avrebbe potuto esaminare i crimini commessi da altri.

Ma in base alla linea giuridica elaborata da quel tribunale non c’è dubbio che Stalin e i suoi sottoposti vadano considerati criminali di guerra, responsabili degli stessi crimini di coloro che furono effettivamente giudicati, ovvero l’aggressione contro la Polonia, la guerra scatenata contro la Finlandia (a causa della quale l’URSS fu esclusa dalla Lega delle nazioni), l’occupazione dei paesi baltici e il massacro di Katyn’, in cui, su ordine di Stalin, vennero fucilati quasi ventiduemila cittadini polacchi rinchiusi in carceri e campi di lavoro, tra cui si trovavano oltre quattordicimila prigionieri di guerra. Sono tutti crimini attuati già durante la Seconda guerra mondiale.

Il fatto che oggi manchi ancora una valutazione chiara di tali questioni, elaborata dalla comunità internazionale, permette di riportare in auge l’arcaico principio secondo cui i vincitori hanno sempre ragione, e ciò soprattutto nei paesi a regime autoritario o dittatoriale.

Si tratta chiaramente di una sfida e una minaccia per l’intera umanità. Non resta che sperare che infine la comunità internazionale trovi un modo per risolvere le questioni che, per motivi storici, rimasero fuori dalla portata del tribunale di Norimberga.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Ucraina. Assedio alla democrazia. Alle radici della guerra.

Ucraina. Assedio alla democrazia. Alle radici della guerra. A cura di Memorial Italia con il coordinamento di Marcello Flores (Corriere della Sera, 2022). «Come studiosi della storia e della cultura della Russia, dell’Ucraina e dell’Unione Sovietica, riteniamo che il nostro compito, in questo drammatico momento, sia quello di aiutare a comprendere le cause di questa vera e propria guerra di conquista, per fondare la cronaca nella storia e capire le dinamiche del presente alla luce di un passato che spesso si ignora o si dimentica» Dal momento in cui l’esercito di Vladimir Putin ha iniziato la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina si sono formulati frequenti giudizi che hanno contribuito a rendere più difficile capire le radici del conflitto. Si sono diffusi luoghi comuni, prodotti dal pregiudizio o dalla scarsa conoscenza dei fatti. Questo libro, frutto del lavoro collettivo di studiosi attivi da anni sul terreno della violazione dei diritti umani, della manipolazione della storia, della cancellazione della memoria nella Russia postsovietica, intende fare luce su alcune “idee sbagliate”, con il supporto di una serie di approfondimenti sulla storia di Russia e Ucraina dal 1991 a oggi. Come si è costruita la nazione ucraina nell’ambito di quanto è successo nelle repubbliche ex sovietiche, qual è la sua funzione rispetto al progetto di Putin, cosa si intende per “promessa infranta” quando si parla del ruolo della Nato: capire chi sono gli attori in gioco e qual è il loro ruolo in questa sanguinosa partita significa orientarsi con più sicurezza nel mare contraddittorio dell’opinione pubblica. Come pure andare a fondo nella “guerra di memoria” in atto da anni nella Russia putiniana vuol dire intendere meglio il senso delle esternazioni del suo presidente, a partire dall’uso della parola “genocidio”. Idee e motivi di propaganda penetrati profondamente in patria tramite la repressione del dissenso e la diffusione con ogni mezzo di una narrazione della storia selettiva e funzionale a un disegno autocratico e neoimperiale, di cui l’associazione Memorial fa da tempo le spese e che l’attacco all’Ucraina ha messo sotto gli occhi attoniti del mondo intero, interrogandoci tutti. Contributi di Simone Attilio Bellezza, Alexis Berelowitch, Marco Buttino, Riccardo Mario Cucciolla, Gabriele Della Morte, Carolina de Stefano, Marcello Flores, Francesca Gori, Andrea Gullotta, Niccolò Pianciola.

Leggi

Guerra globale. Il conflitto russo-ucraino e l’ordine internazionale.

Guerra globale. Il conflitto russo-ucraino e l’ordine internazionale. A cura di Memorial Italia con il coordinamento di Alessandro Catalano, Marcello Flores, Niccolò Pianciola (Corriere della Sera, 2023). «Gran parte del mondo è stata costretta, di fronte al ritorno della guerra in Europa, a ripensare le mappe mentali con cui si guardano le reti globali di relazioni politiche ed economiche e si cerca di indovinarne il futuro, oggi ben più incerto di quanto si ritenesse fino all’invasione russa dell’Ucraina» La guerra che si combatte da quasi un anno dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina minaccia non solo di protrarsi nel tempo, ma anche di dilatarsi nello spazio: è dunque legittimo chiedersi quanto questo evento abbia modificato non solo la geopolitica europea, ma anche le mappe mentali con cui il mondo intero interpreta questo spartiacque. Le sue ripercussioni, a partire dai problemi più evidenti (l’aumento del costo degli idrocarburi, i milioni di profughi dall’Ucraina, la minore offerta di grano sui mercati mondiali) fino alle minacce che potrebbero colpire in modo drammatico alcuni paesi, hanno ormai coinvolto vaste aree del pianeta. I singoli Stati hanno avuto reazioni a tutto ciò inevitabilmente diverse, non solo per ragioni di prossimità geografica, ma anche per le lenti con cui la guerra è stata interpretata, a loro volta influenzate dalle singole esperienze storiche. Se, com’è naturale, è stato particolarmente visibile un coinvolgimento più pronunciato nella parte centro-orientale dell’Europa, dove l’invasione ha riattivato la memoria di avvenimenti analoghi della storia del Novecento, anche in altri paesi, persino nel lontanissimo Sudamerica, intravediamo fenomeni che sono in diretta connessione con la guerra in corso. Questo libro cerca di tratteggiare una nuova geografia mondiale il cui epicentro sta nella frattura tra Mosca e Kyïv: i contributi, affidati a studiosi italiani e internazionali di vasta e radicata esperienza nell’analisi storica, politica ed economica delle vicende di ciascun paese, costituiscono un indispensabile, e fino a oggi unico, strumento per gettare uno sguardo complessivo sulla nuova configurazione mondiale e sulle sue prospettive. Perché è evidente, anche alla considerazione più superficiale, che la guerra in Ucraina segna un punto da cui è difficile tornare indietro. Contributi di Giuseppe Acconcia, Alessandro Catalano, Filippo Costa Buranelli, Riccardo Mario Cucciolla, Mario Del Pero, Gianluca Falanga, Matteo Fumagalli, Bartłomiej Gajos, Armand Gosu, Andrea Griffante, Aurelio Insisa, Ali Aydin Karamustafa, Massimo Longo Adorno, Niccolò Pianciola, Marc Saint-Upéry, Ilaria Maria Sala, Alfredo Sasso, Antonella Scott, Paolo Sorbello, Pablo Stefanoni.

Leggi

Russia. Anatomia di un regime. Dentro la guerra di Putin.

Russia. Anatomia di un regime. Dentro la guerra di Putin. A cura di Memorial Italia con il coordinamento di Marcello Flores (Corriere della Sera, 2022). «Uno Stato che, al suo interno, viola platealmente e in modo sistematico i diritti umani, diventa per forza di cose una minaccia anche per la pace e per la sicurezza internazionali» La deriva violenta della Russia, culminata nell’aggressione militare nei confronti dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 e documentata da tempo sul fronte delle repressioni interne (di cui anche l’associazione Memorial ha fatto le spese), impone una riflessione sempre più urgente su cosa abbia portato il paese a passare dalle speranze democratiche successive al crollo dell’URSS all’odierna autocrazia. Questo volume a più voci, in cui intervengono nel dibattito studiosi italiani e russi che conoscono profondamente la realtà del regime, i metodi, le tecniche di manipolazione del consenso, le curvature ideologiche, il linguaggio politico, affronta la questione da diversi punti di vista, da quello storico a quello culturale e letterario (con implicazioni non solo per la Russia, ma anche per l’Ucraina e i paesi dell’Europa orientale), a quello geopolitico, fino ad arrivare all’attualità, alle proteste e alle forme di dissidenza che continuano eroicamente a esistere per combattere il Moloch putiniano, sempre più assetato di vittime. Nello stallo del conflitto in Ucraina rimane fondamentale il desiderio di comprendere. Non perché non succeda ancora, come scrive Andrea Gullotta nella sua introduzione, richiamandosi ad Anne Applebaum, ma perché “accadrà di nuovo”. Lo testimoniano drammaticamente il protrarsi di una situazione di guerra alle porte dell’Europa, e l’inasprirsi delle persecuzioni, in Russia, contro chi ha cercato e cerca, a rischio della propria vita, di opporsi allo stato di cose e alle terribili conseguenze che può avere su tutti noi. Contributi di Alexis Berelowitch, Marco Buttino, Alessandro Catalano, Aleksandr Čerkasov, Giulia De Florio, Elena Dundovich, Marcello Flores, Giovanni Gozzini, Andrea Gullotta, Inna Karmanova, Massimo Maurizio, Marusja Papageno, Niccolò Pianciola, Marco Puleri.

Leggi