Refat Čubarov, leader dei tatari di Crimea: “Il comunismo va portato in tribunale”.

Sin dal 2014 i tatari di Crimea denunciano persecuzioni perpetrate dagli occupanti russi. Refat Čubarov è il capo del Medžlis dei tatari di Crimea e cerca di far sentire la loro voce.



Sin dal 2014 i tatari di Crimea denunciano persecuzioni perpetrate dagli occupanti russi. Refat Čubarov è il capo del Medžlis dei tatari di Crimea (in tataro:
Qırımtatar Milliy Meclisi, organo rappresentativo di questa popolazione) porta la loro voce in molte sedi internazionali. Le violenze contro i tatari e le violazioni dei loro diritti ricordano tristemente quelle del passato: nel 2024 ricorrono infatti gli ottant’anni dalla deportazione di questo popolo dalla Crimea voluta da Stalin. Dopo che l’Ucraina era divenuta uno Stato indipendente, ai tatari era stata data la possibilità di tornare in Crimea. Sembrava che le persecuzioni appartenessero al passato, ma sono tornate dolorosamente attuali con l’invasione russa del 2014.

Refat Čubarov
ha concesso un’intervista a Denys Volocha per il progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”) e ha raccontato della situazione del suo popolo. Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli in italiano è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo. Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti e altri collaboratori di Memorial Italia.


Denys Volocha

07.04.2024


Guarda il video dell’intervista coi sottotitoli in italiano sul canale YouTube di Memorial Italia
Intervista: Denys Volocha; riprese e montaggio: Serhij Okunjev


Nel maggio 2024, in occasione dell’ottantesimo anniversario delle deportazioni della popolazione autoctona della Crimea volute da Stalin, Refat Čubarov ha rilasciato un’intervista al Gruppo per i diritti umani di Charkiv. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha nel frattempo emesso una sentenza esemplare nei confronti della Russia, stabilendo che l’occupazione illegale della Crimea iniziata il 27 febbraio 2014 è accompagnata da sistematiche limitazioni della libertà e violazioni dei diritti umani.


Nell’intervista con il leader del Medžlis [l’organo esecutivo della minoranza tatara, ndt] abbiamo parlato delle deportazioni passate e attuali, del fatto che si discuta di più di Islam radicale che del movimento dei tatari di Crimea e del perché in Europa ci sarà pace solo quando la Russia crollerà.

Denys Volocha: “Sappiamo ormai che, fra gli altri, tra i caduti in guerra ci sono anche molti tatari di Crimea. Quanto contano queste perdite per il suo popolo?”


Refat Čubarov: “Per noi è una perdita colossale. Un dolore immenso. Soprattutto seppellire i soldati senza poter dar loro un nome e fare le condoglianze alla famiglia. Molti si sono accorti che nelle nostre comunicazioni usiamo solo la matricola dei soldati defunti. Ciò significa che i cari si trovano nella Crimea occupata, e che cerchiamo di proteggerli. Solo durante il funerale, quando si legge il namaz, l’imam è tenuto a dire il nome del defunto e di suo padre. Queste sono le regole, questa la tradizione. Ma noi avvertiamo sempre tutti: una volta che li avete sentiti, dimenticateli.”


“Oltre alle decine di tatari di Crimea che abbiamo già sepolto qui, in terra ucraina, ci sono dei dispersi che non riusciamo a trovare. I nostri fratelli non sono riusciti a portare via i loro cadaveri. Sappiamo come e dove sono morti, ma i corpi non ci sono.”


“Come storico, dal diciottesimo secolo non vedo che un continuo ripetersi di aggressioni e odio nei nostri confronti da parte dei russi”. Fotografia: Serhij Okunjev / KHPG


D. V.: “Non poter parlare apertamente di un parente, di un figlio, di un padre morto in guerra deve essere durissimo, per una famiglia.”


R. Č.: “L’ultimo caso risale a circa tre mesi fa, – spiega Čubarov – una delle famose operazioni nei territori russi confinanti con l’Ucraina. Un combattente tataro è morto lì. Ucciso da una potente bomba teleguidata. I suoi fratelli hanno trovato i resti e ora la madre, che ha attraversato un terzo del paese per arrivare a Kyiv [dalla Crimea], sta facendo fare le analisi del DNA per seppellire almeno ciò che del figlio è rimasto. Per me è una grande sofferenza vedere il dolore dei genitori, ma non è nulla in confronto a quanto soffrono loro in prima persona. I genitori dei soldati dei tatari di Crimea sono la generazione nata subito dopo le deportazioni, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Sono nati deportati, da deportati hanno fatto dei figli, hanno lottato e ottenuto di poter tornare in Crimea per farci crescere i figli. Ma poi sono arrivati di nuovo i russi a ucciderli. E continuano a farlo.”


“Come storico, quando penso a queste situazioni non vedo che un continuo ripetersi di aggressioni e odio nei nostri confronti da parte dei russi. Non solo lo vedo, ma conosco i numeri, le perdite che il nostro popolo ha subito dalla fine del XVIII secolo. Per questo oggi le nostre diaspore sono numericamente maggiori rispetto al popolo che vive nella propria terra. E il motivo è la politica della Russia.”


© Serhij Okunjev / KHPG


D. V.: “Qualcuno in Ucraina dice che la guerra con la Russia non si è mai fermata. È un processo che dura da 30, 100, 300 anni.”


R. Č.: “La sostanza è sempre la stessa: sterminarci. Sembrava che Stalin fosse finalmente riuscito a risolvere la questione che si erano posti già ai tempi dell’impero: fare pulizia etnica in Crimea eliminando i popoli autoctoni e finalmente renderla, come si diceva ai tempi di Caterina II, “russa per cultura e spirito”.”


“Da subito hanno modificato i toponimi di tutti i centri abitati, a esclusione di alcuni – come Bachčysaraj e Jalta, per i quali si è a lungo discusso, ma senza venire a capo di nulla. Come anche nel caso di Džankoj, che è uno snodo importante, motivo per cui rinominarlo sarebbe stato un problema. Nei quattro anni che seguirono alle deportazioni, sono stati modificati oltre 1460 toponimi e tutti i cimiteri sono stati abbattuti.”



D. V.: “Ritiene necessario un tribunale per i crimini del comunismo?”


R. Č.: “Assolutamente sì. Gli esecutori materiali di questi crimini di massa non saranno più in vita, ma il comunismo non ha avuto quanto ha avuto il fascismo. Uno dei motivi per cui lo stato ucraino non è riuscito, se non con molta fatica, a lasciarsi alle spalle il passato sovietico è che, seppure la nostra politica si basi sulla democrazia e sul pluripartitismo, il partito comunista ha sempre avuto una voce forte.”


“Ricordo la mia prima volta alla Rada [il Parlamento ucraino, ndt], era dopo il 1998. Mentre il presidente del parlamento leggeva la commemorazione per l’anniversario della deportazione dei tatari di Crimea (era il 18 maggio), Petro Symonenko, ex deputato e leader dei comunisti, chiese la parola. Disse – testuali parole – che i tatari di Crimea avrebbero dovuto essere grati a Stalin per averli deportati. Se non lo avesse fatto, i soldati che tornavano dalla guerra ne avrebbero fatto strage perché avevano aiutato i tedeschi.”


“Nessuno fiatò, in aula! Io non potei nemmeno avvicinare Symonenko, e nessun altro ci provò. Tutti si sorbirono il suo discorso senza dire “a”, ragion per cui ora non solo i tatari di Crimea, ma tutti gli ucraini sono ‘fascisti’, nell’immaginario di Mosca e di tutta la Russia. Questa demonizzazione per mezzo del fascismo è funzionale alla nostra distruzione. E il bastardo che parlò in quella occasione ora è a Mosca, vicesegretario del partito comunista di Zjuganov. Lo dico per dimostrare che bisogna intervenire subito, altrimenti la catastrofe si ripete.”


© Serhij Okunjev / KHPG


D. V.: “Sempre meglio tardi che mai, però, no?”


R. Č.: “Certo. L’ideologia che ha portato alla morte di milioni di persone – l’ideologia comunista – va condannata. Dobbiamo far in modo che non sia più possibile prenderla come base.”


D. V.: “Possiamo dire che il movimento nazionale dei tatari di Crimea è l’esempio di un Islam pacifico che si oppone alla radicalizzazione?”


R. Č.: “Nella formula “islam pacifico” c’è già una contraddizione, perché l’islam non può non essere pacifico. Chi fa terrorismo strumentalizza l’islam: questo è il tema di cui bisogna parlare.”

D. V.: “Come si fa a non vedere l’ingiustizia in tutto ciò? Ovunque si parla di radicalizzazione dell’islam, e mai dei pacifici tatari di Crimea che portano avanti in maniera esemplare l’idea della libertà del proprio popolo…”.


R. Č.: “Sì, è un’ingiustizia, è vero. Ma bisogna spiegare tutto con la dovuta calma. Gran parte della società ucraina è composta da cristiani ortodossi, e ortodossa è per buona parte la società russa. La guerra in corso è sanguinosa. Dunque, devono trovare il modo di spiegare perché sta succedendo. Devono trovare qualcuno da demonizzare. Ed ecco che arrivano Bandera, e i fascisti. Demonizzando gli ucraini per ucciderli senza troppi problemi. La Russia, lo fa. Anche se chi combatte professa la stessa religione.”



“Con i tatari di Crimea, – continua Čubarov – Mosca fa persino prima, dato che sono musulmani sunniti. Nel mondo in molti cercano di risolvere le ingiustizie con ingiustizie persino peggiori: con le bombe e con la guerra. In Crimea, dire che si sta combattendo contro l’Islam radicale è un modo per annientare i tatari di Crimea in quanto etnia e per disintegrare la loro resistenza. Perché un conto è mettere dentro qualcuno perché chiede la libertà di parola o di riunione. Non
si fa una gran figura. Ma se ti arrivano in casa e ti dicono che stai leggendo un libro vietato (che, tra l’altro, ti hanno messo in casa loro), l’opinione pubblica si fa tutta un’altra idea. E in Russia c’è una lista di libri vietati, una cosa che da noi non è mai esistita.”


“Quando in Crimea arrestano i tatari di Crimea solo perché sono tatari di Crimea, ma formalmente li accusano di essere fiancheggiatori di una qualche “setta radicale” (parole loro), lo fanno per attirare l’attenzione dell’Occidente.” – sostiene Čubarov.


Refat Čubarov
© Serhij Okunjev / KHPG


D. V.: “In Occidente molti temono il crollo della Russia. Voi dite che si tratta di uno scenario imprescindibile: se sconfiggiamo la Russia, il suo impero crollerà per forza.”


R. Č.: “L’esistenza di questo stato nei confini attuali è un ricorso storico. Quindi dobbiamo pensare che fra trenta, quarant’anni tutto questo si ripeterà in forme persino più agghiaccianti.”


“Viviamo una guerra che si sarebbe potuta evitare, se alla dissoluzione dell’URSS fosse seguita una serie di sanzioni e condanne reali, con la libertà per i popoli resi schiavi dalla Federazione russa. Non è accaduto, ed eccoci in guerra.”


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“Mamma, probabilmente morirò presto”: adolescente russo in carcere per volantini anti-Putin riferisce di essere stato brutalmente picchiato da un compagno di cella.

Pubblichiamo la traduzione dell’articolo ‘Mom, I’m probably going to die soon’: Russian teenager in prison for anti-Putin flyers says cellmate brutally beat him della testata giornalistica indipendente russa Meduza. L’immagine è tratta dal canale Telegram dedicato al sostegno per Arsenij Turbin: Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!). In una recente lettera Arsenij Turbin, sedicenne russo condannato a scontare cinque anni in un carcere minorile con l’accusa di terrorismo, ha raccontato alla madre di avere subito abusi fisici e psicologici durante la detenzione. I sostenitori di Turbin, che hanno pubblicato un estratto della sua lettera su Telegram, sospettano che oltre ad aggredirlo, i compagni di cella gli stiano rubando il cibo. Ecco cosa sappiamo. Arsenij Turbin è stato condannato a cinque anni di carcere minorile nel giugno 2024, quando aveva ancora 15 anni. Secondo gli inquirenti governativi, nell’estate del 2023 Arsenij si era unito alla legione Libertà per la Russia, un’unità filoucraina composta da cittadini russi e, su loro preciso ordine aveva iniziato a distribuire volantini che criticavano Vladimir Putin. Turbin dichiara di non essersi mai unito alla legione e di avere distribuito i volantini di sua iniziativa. Il Centro per i diritti umani Memorial ha dichiarato Turbin prigioniero politico. Al momento Turbin si trova in detenzione preventiva in attesa dell’appello contro la sua condanna. Nell’estratto di una lettera inviata a sua madre pubblicato lunedì (1 ottobre) nel gruppo Telegram Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!), l’adolescente scrive che un compagno di cella di nome Azizbek lo ha picchiato più volte. “Questa sera, dopo le 18:00, uno dei miei compagni di cella mi ha dato due pugni in testa mentre ero a letto”, ha scritto. “La situazione è davvero difficile, brutta davvero. Azizbek mi ha colpito e poi ha detto che stanotte mi inc***. Sarà una lunga nottata. Ma resisterò.” Turbin scrive anche che in carcere lo hanno catalogato come “incline al terrorismo” per il reato che gli contestano (“partecipazione a organizzazione terroristica”). In un post su Telegram i sostenitori di Turbin hanno ipotizzato che i suoi compagni di cella gli stessero rubando il cibo: nelle sue lettere chiedeva sempre alla madre pacchi di viveri, mentre questa volta le ha scritto che non ne aveva bisogno. La madre di Turbin, Irina Turbina, martedì ha riferito a Mediazona che il figlio è stato messo in isolamento dal 23 al 30 settembre. Dalla direzione della prigione le hanno detto che era dovuto a una “lite” tra Turbin e i suoi compagni di cella e che tutti e quattro i prigionieri coinvolti erano stati puniti con l’isolamento. Irina Turbina ha anche detto che il personale del carcere non le ha permesso di parlare con Arsenij al telefono e che l’ultima volta che hanno parlato è stata a inizio settembre. La madre ha raccontato l’ultimo incontro con suo figlio al sito Ponjatno.Media: “Quando sono andata a trovarlo l’11 settembre non l’ho riconosciuto. Non era mai particolarmente allegro neanche le volte precedenti che l’ho visto, certo, ma almeno aveva ancora speranza, era ottimista: aspettava l’appello e credeva che qualcosa di buono l’avremmo ottenuto. L’11 settembre, invece, Arsenij aveva le lacrime agli occhi. Mi ha detto: ‘Mamma, ti prego, fai tutto il possibile, tirami fuori di qui. Sto davvero, davvero male qui’.” “Mamma, probabilmente morirò presto”, ha continuato a riferire la madre, citando il figlio. Ha poi detto di avere inoltrato la lettera a Eva Merkačeva, membro del Consiglio presidenziale russo per i diritti umani, chiedendole di intervenire. Secondo le informazioni di Mediazona, ad Arsenij è stato finalmente permesso di parlare con sua madre al telefono l’8 ottobre. Le avrebbe detto che il suo aggressore era stato trasferito in un’altra cella il giorno prima e che si trovava bene con gli altri compagni di cella. Aggiornamento del 20 ottobre dal canale Telegram Svobodu Arseniju!: “Questa settimana Arsenij non ha mai telefonato”. La madre riferisce di averlo sentito l’ultima volta l’8 ottobre scorso. 25 ottobre 2024

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