Il’ja Jašin. Intervento del 18 luglio 2024.

Pubblichiamo la traduzione del discorso tenuto giovedì 18 luglio 2024 da Il’ja Jašin in occasione dell’udienza, svoltasi presso il tribunale di Safonovo, relativa alla richiesta, avanzata da Jašin e dalla sua difesa, di dichiarare illegittima la reclusione in cella di isolamento. Il’ja Jašin, oppositore politico, è detenuto in una colonia penale della regione di Smolensk dove continua a scontare la condanna a otto anni e mezzo di reclusione comminata il 9 dicembre 2022 per “diffusione di fake news sull’esercito”. Sul suo canale YouTube aveva parlato degli eccidi commessi dall’esercito russo a Buča nei primi mesi della guerra in Ucraina.



Onorevole giudice!

Come qualsiasi prigioniero politico russo, finisco regolarmente in cella di isolamento (ŠIZO). È un metodo comune per esercitare pressione psicologica sui detenuti che dietro le sbarre non rinunciano alle proprie idee e alle proprie posizioni. Una cella sporca e condizioni di reclusione ai limiti della tortura sono la vendetta per il dissenso.

Certo, un essere umano è capace di abituarsi a tutto. Ho passato settimane rinchiuso nello ŠIZO e mi sono gradualmente adattato. Ma lo dico con sincerità: la prima volta che si varca la soglia del carcere duro, si prova un senso di enorme oppressione. Sembra quasi di entrare in una macchina del tempo che riporta al 1937, ai tempi delle purghe staliniane.

Come si presenta una cella dello ŠIZO? È una scatola di cemento di due metri per tre. Da una finestrella passano a fatica i raggi del sole, perché l’accesso è impedito da due strati di inferriate e una barriera di filo spinato. In un angolo è posizionato un water di acciaio, nell’altro un lavabo con acqua fredda e rugginosa. Le tubature marce diffondono nell’aria un continuo fetore di escrementi.

Alle cinque del mattino la branda di ferro viene fissata alla parete e durante il giorno, fino all’ora della ritirata, i reclusi hanno il divieto di distendersi. Si possono soltanto sedere su un minuscolo sgabellino oppure camminare senza sosta nella cella stretta: due passi avanti, due passi indietro. Si è costretti a sentirsi fisicamente a disagio.

Libri, carta e penna sono concessi soltanto per un’ora e mezza, mentre per il resto del tempo è vietato leggere e scrivere. Si può solo guardare il muro. Si è costretti a impazzire dalla noia.

Viene servita una sbobba che mette davvero a dura prova lo stomaco. Della kaša pesante, della pasta che naviga nel grasso o una patata sporca con del pesce non pulito: questa è la tipica razione nello ŠIZO. A differenza degli altri detenuti, chi è lì dentro non può mangiare nient’altro. Verdure, mele, persino un cioccolatino col tè: tutto vietato. Si è costretti a patire la fame.

In aprile spengono il riscaldamento, ma le spesse pareti di cemento rimangono gelide ancora a lungo e in cella fa un freddo cane. E nello ŠIZO non ci si può portare neppure il maglione in dotazione ai carcerati. Si è costretti a congelare.

Gli occupanti delle celle di rigore condividono lo spazio con nugoli di zanzare e moscerini che di notte li divorano. E pure con i ratti, che regolarmente sgusciano fuori dai buchi dietro il water alla ricerca di cibo…

Tutto questo, prima di finire in una colonia penale, l’avevo letto soltanto nei libri. Trattamenti simili erano riservati ai “nemici del popolo” nei campi di prigionia staliniani; più o meno queste erano le condizioni in cui erano tenuti gli antifascisti nei sotterranei della Gestapo. Tali pratiche sono ancora attuali nella Russia del XXI secolo. Dietro la facciata delle boutique e dei ristoranti costosi della capitale ci sono sempre le stesse celle di cemento, le vessazioni e la dignità umana calpestata dagli stivali dei carcerieri.

Il motivo della mia reclusione nello ŠIZO non è un mistero. La direzione della colonia non si sforza nemmeno di negare che esercita pressioni su di me dietro richiesta di funzionari che occupano posti rilevanti al Cremlino. Così facendo, il potere ritiene di fiaccare la mia volontà e di costringermi al silenzio. Ma qual è stato il pretesto formale per sottopormi a una detenzione così dura?

Lei, onorevole giudice, ha davanti a sé tre rapporti, in base ai quali sono stato rinchiuso nello ŠIZO per quasi un mese e mezzo. Riferiscono le “tremende” infrazioni che avrei commesso: mi sono tolto la giubba sedendomi al tavolo della mensa; mi sono alzato dalla branda con cinque minuti di ritardo; mi sono cambiato la maglietta dopo la doccia in un momento in cui ciò non era consentito… A una persona libera che vive nel mondo normale è difficile spiegare cosa ci sia di criminale nelle azioni qui riportate e perché un detenuto debba essere punito per questo, per di più in modo tanto severo. Ma le norme del regolamento degli istituti correzionali in vigore in Russia concedono alle autorità delle colonie penali una capacità di arbitrio sostanzialmente illimitata. Si possono ricevere quindici giorni di ŠIZO per un bottone slacciato, per un cuscino sgualcito… Sì, per qualsiasi cosa.

Ma lo sa qual è la vera sorpresa? Che, persino avendo a disposizione uno strumento così efficiente, la direzione della colonia non è comunque riuscita ad agire secondo la legge perché i rapporti che mi riguardano sono stati grossolanamente fabbricati ad arte. Ne è conferma il fatto che le registrazioni video delle telecamere di sorveglianza richieste dal tribunale, che avrebbero documentato le mie infrazioni, sono state cancellate. La misera replica della direzione, secondo cui le disposizioni interne della colonia richiedono che tali registrazioni vengano eliminate trascorso un mese, non sta in piedi. Per legge, un detenuto ha tre mesi di tempo per ricorrere contro qualsiasi rapporto che lo riguardi. È evidente che per un periodo minimo di tre mesi debbano essere conservate anche le prove della sua colpa. E che la direzione abbia eliminato in fretta e furia tutti i video è la chiara testimonianza del banale tentativo di coprire le tracce di un falso amministrativo. Il tribunale dovrebbe credere agli addetti della colonia sulla loro parola, che non può essere confermata in alcun modo. È una posizione assai comoda, che consente di legalizzare qualunque arbitrio.

È chiaro che i reali organizzatori di tale arbitrio rimangono nell’ombra. Come ho già detto, siedono in uffici del Cremlino e gli basta una telefonata per diramare i loro ordini. Però gli esecutori sono indicati espressamente: in calce a ogni rapporto appare la firma dell’addetto che di volta in volta mi ha spedito nello ŠIZO. Eccoli i loro cognomi: colonnello Rostovcev, maggiore Ivanov, sottufficiale Rjazanov. In linea generale nessuno di loro è una cattiva persona, né io potrei definirlo un mascalzone. Se presi individualmente, suscitano persino simpatia, e a nessuno di loro auguro niente di male.

Il fatto è però che soltanto al cinema i mali dell’umanità sono causati dai cattivissimi. Nella vita reale i grandi mali iniziano dalle piccole vigliaccherie, dalla pusillanimità, dagli occhi abbassati e dall’incapacità di dire no a un superiore in risposta a una richiesta che va contro la legge. I grandi mali iniziano esattamente dalle parole “ho soltanto eseguito un ordine”.

Avviando questo procedimento giudiziario, non era affatto mia intenzione lamentarmi e chiedere la grazia ai potenti. Anzi, a quei potenti ho lanciato una sfida consapevole e aperta, perciò sono pronto ad affrontarne le conseguenze. Dal primo giorno di detenzione l’esperienza degli altri prigionieri politici mi ha fatto capire che non avrei potuto evitare né lo ŠIZO, né la pressione psicologica. Tuttavia, con l’aiuto della tribuna processuale, spero di attirare l’attenzione della società su ciò che accade dietro queste alte recinzioni col filo spinato.

Perché non è normale torturare le persone chiudendole in celle puzzolenti. Non è normale tormentare i detenuti con la fame e col freddo, umiliarne la dignità umana, privarli dei libri e vietare loro gli incontri con i propri cari. Nel nostro paese non devono esistere le pratiche messe in atto dai sadici dell’NKVD o della Gestapo. È indispensabile sradicare simili nefandezze, persino se il presidente in carica le ritiene un efficace strumento di controllo politico.

È importante ricordare che, se nel nostro paese esiste il sopruso, chiunque può esserne vittima: sia un prigioniero politico, sia chi si considera al di fuori della politica, e persino chi questo sopruso lo attua confidando nella propria invulnerabilità.

È giunta l’ora di spezzare questo circolo vizioso. Perché non cominciare proprio oggi, dichiarando illegittima la mia reclusione nello ŠIZO? Lo faccia, vostro onore. Mi creda: avrà il plauso della società.

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