“Ci sono pochi libri, i romanzi bisogna scriverseli da soli”. Oleg Orlov scrive a Novaja Gazeta dal centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’.

Oleg Orlov, ormai ex membro del direttivo del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial (associazione iscritta dalle autorità della Federazione Russa nel cosiddetto registro degli agenti stranieri) e condannato a due anni e mezzo di reclusione per “vilipendio reiterato dell’esercito”, ha scritto una lettera a Novaja Gazeta dal SIZO, centro di detenzione preventiva, di Syzran’. Riferisce del sovraffollamento delle carceri moscovite e di quanto siano pesanti per i detenuti i trasferimenti da e per il tribunale.

Oleg Orlov durante la lettura della sentenza presso il tribunale distrettuale Golovinskij di Mosca.

Foto: Svetlana Vidanova / Novaja Gazeta.



Già prima del 12 aprile ero tagliato fuori da gran parte delle notizie, ma da quel giorno sono all’oscuro di tutto. Adesso mi trovo nel SIZO-2 di Syzran’, regione di Samara, centro di detenzione preventiva del Servizio penitenziario federale. Sono nelle “celle speciali”, dove in realtà mi avevano messo anche nelle carceri precedenti (a volte non subito), cioè in celle sottoposte a un controllo particolarmente stretto. Quella attuale è una cella per due persone, piccola ma non particolarmente angusta. E siamo davvero in due: al contrario degli altri dove sono stato, in questo carcere nessuna cella è sovraffollata oltre il limite. Magari fosse così dappertutto! Questo è il vantaggio. Però ci sono anche gli svantaggi. Niente frigo, radio e televisore, e non c’è speranza di averli.

I libri sono pochi, le penne non durano, il cibo è accettabile

Il televisore c’è solo nella sezione minorile e in alcune celle di quella femminile. Niente giornali. Per di più la biblioteca rimarrà chiusa ancora per un mese: l’addetta è appena andata in ferie. Posso solo ringraziare la guardia che ci ha passato due libri da un’altra cella. Ma non mi dureranno molto, perciò spero che ne arrivino altri. Altrimenti dovrò mettermi a scrivere romanzi. Tra l’altro, anche le penne durano poco.

A lei che è stata un’attivista di ONK (tra il 2008 e il 2016 Zoja Svetova ha fatto parte di ONK Mosca, associazione che si occupa della difesa dei diritti dei detenuti) posso dire che finora qui il cibo è stato accettabile. È stata una piacevole sorpresa constatare che nei centri di detenzione preventiva in cui sono stato (SIZO-7 e SIZO-5 a Mosca, SIZO-1 a Samara e SIZO-2 a Syzran’) il cibo è dignitoso e a volte anche buono. Non sto facendo dell’ironia. Per abitudine immaginavo che fosse immangiabile. A quanto pare, non è così. Certo, capita anche della roba immangiabile, come il cavolo bollito del SIZO-7 di Mosca, che era davvero terribile. Ovviamente, per quanto possibile, tutti cercano di farsi la spesa al negozio. Ma se si è costretti a mangiare quello che viene fornito, come nel mio caso in questo momento, si sopravvive tranquillamente. Non è alta cucina, ma è comunque accettabile.

Tempo fa avevamo già parlato un po’ del SIZO-5 di Mosca (Vodnik), quello in cui mi avevano messo nelle celle speciali dell’ala nuova. Dove c’è anche la sezione minorile. In quell’ala le condizioni sono buone; potrei dire che ci si sta bene, per essere un carcere. E il personale tratta bene i detenuti. E soprattutto non c’è sovraffollamento.

Nell’ala vecchia invece le celle sono sempre troppo piene. In una di cinque metri per cinque, per esempio, destinata a dieci persone, ce ne sono anche dodici o tredici. Non riesci nemmeno a girarti. L’aria è sempre impestata di fumo.

Non è così dappertutto. Certe celle possono avere anche posti vuoti. Ma il livello di sovraffollamento di cui dicevo non è comunque un’eccezione. Tra l’altro in vari SIZO ho visto parecchia gente che fino alla sentenza sarebbe potuta benissimo rimanere agli arresti domiciliari.

Tre categorie di intervento per cambiare il sistema

Ora che sono in carcere, cerco continuamente di riflettere sugli eventuali miglioramenti da introdurre. Potrei dire che finora ho avuto l’impressione (forse prematura, dato che sono qui da poco) che ci siano tre categorie di interventi:

• quelli realizzabili facilmente e in poco tempo,

• quelli che richiedono fondi consistenti,

• quelli che richiedono di modificare alla radice gli scopi e i compiti del sistema penitenziario (cosa che sarà possibile solo dopo una modifica del sistema politico del nostro paese e che richiede molto tempo, forze e risorse, incluse quelle intellettuali).

Quando parlo di cambiamenti, intendo quelli che puntano al rispetto dei diritti umani.

Un esempio sono i trasferimenti. Sono sempre pesanti. Anche quelli brevi dal SIZO al tribunale e viceversa, soprattutto il ritorno. Mancano i furgoni cellulari, è chiaro, e si crea allora una logistica complicata, in cui i mezzi non vanno semplicemente dal tribunale al carcere, ma i detenuti sono raccolti tra più tribunali, sono portati al Mosgorsud (Tribunale della città di Mosca), e lì vengono ridistribuiti tra vari mezzi che, una volta pronti, ripartono per i rispettivi SIZO.

Va quindi a finire che si rientra sempre di sera tardi. E non basta, all’arrivo i detenuti vengono stipati in celle di raccolta in cui non è previsto che decine di persone rimangano per molte ore. Non ci sono panche e la ventilazione funziona male.

Ci vuole qualche ora perché inizino a portare i detenuti, uno alla volta, nella stanza per la perquisizione. I detenuti arrivano all’“ovile” di notte (dopo 12 ore e più dalla partenza) e magari l’indomani toccherà ricominciare tutto daccapo. Occorre aumentare il parco mezzi destinati al trasporto dei detenuti e bisogna stabilire un limite di tempo dall’arrivo del cellulare al carcere al momento in cui il detenuto torna a “casa”. E bisogna esigere che questa normativa sia rispettata. Ma per tutto questo occorrono finanziamenti maggiori: il personale scarseggia, dentro le carceri e per i trasferimenti, e dunque le normative non reggono. Inoltre gli agenti guadagnano così poco che non hanno nessuno stimolo a lavorare bene.

Se il Servizio penitenziario federale si lamenta di continuo per le casse vuote forse è a ragione (cosa che non esclude le ruberie più sfacciate), ma va da sé che non mancano negligenze e menefreghismo da parte dei dipendenti.

Venerdì, di ritorno dal tribunale al SIZO-2, eravamo solo 20 detenuti invece dei soliti 100 e più. Abbiamo comunque aspettato oltre due ore nella cella di raccolta. Quanto ci vorrebbe a installare ventilatori o panche nelle celle: poco o niente. Ma non si fa…

E la stessa cosa succede con i trasferimenti più lunghi verso altre città.

Ma ho finito il foglio. Mi scriva e mi mandi anche un po’ di carta.

Cordialmente, Oleg Orlov.







Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz.

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz con curatela di Luca Bernardini (Guerini e Associati, 2024). Una testimonianza al femminile sull’universo del Gulag e sugli orrori del totalitarismo sovietico. Arrestata nel 1945 a ventidue anni per la sua attività nell’AK (Armia Krajowa), l’organizzazione militare clandestina polacca, Anna Szyszko-Grzywacz viene internata nel lager di Vorkuta, nell’Estremo Nord della Siberia, dove trascorre undici anni. Nella ricostruzione dell’esperienza concentrazionaria, attraverso una descrizione vivida ed empatica delle dinamiche interpersonali tra le recluse e della drammatica quotidianità da loro vissuta, narra con semplicità e immediatezza la realtà estrema e disumanizzante del Gulag. Una realtà dove dominano brutalità e sopraffazione e dove la sopravvivenza per le donne, esposte di continuo alla minaccia della violenza maschile, è particolarmente difficile. Nell’orrore quotidiano raccontato da Anna Szyszko-Grzywacz trovano però spazio anche storie di amicizia e solidarietà femminile, istanti di spensieratezza ed emozioni condivise in una narrazione in cui alla paura e alla dolorosa consapevolezza della detenzione si alternano le aspettative e gli slanci di una giovane donna che non rinuncia a sperare, malgrado tutto, nel futuro. Anna Szyszko-Grzywacz nasce il 10 marzo 1923 nella parte orientale della Polonia, nella regione di Vilna (Vilnius). Entra nella resistenza nel settembre 1939 come staffetta di collegamento. Nel giugno 1941 subisce il primo arresto da parte dell’NKVD e viene rinchiusa nella prigione di Stara Wilejka. Nel luglio 1944 prende parte all’operazione “Burza” a Vilna come infermiera da campo. Dopo la presa di Vilna da parte dei sovietici i membri dell’AK, che rifiutano di arruolarsi nell’Armata Rossa, vengono arrestati e internati a Kaluga. Rilasciata, Anna Szyszko cambia identità, diventando Anna Norska, e si unisce a un’unità partigiana della foresta come tiratrice a cavallo in un gruppo di ricognizione. Arrestata dai servizi segreti sovietici nel febbraio 1945, viene reclusa dapprima a Vilna nel carcere di Łukiszki, e poi a Mosca alla Lubjanka e a Butyrka. In seguito alla condanna del tribunale militare a venti anni di lavori forzati, trascorre undici anni nei lager di Vorkuta. Fa ritorno in patria il 24 novembre 1956 e nel 1957 sposa Bernard Grzywacz, come lei membro della Resistenza polacca ed ex internato a Vorkuta, con cui aveva intrattenuto per anni all’interno del lager una corrispondenza clandestina. Muore a Varsavia il 2 agosto 2023, all’età di cento anni.

Leggi

Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione.

Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione. A cura di Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola (Viella Editrice, 2024). Il volume esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov. In copertina: Il 10 aprile 2022, Oleg Orlov, ex co-presidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, viene arrestato sulla Piazza Rossa a Mosca per avere manifestato la sua opposizione all’invasione dell’Ucraina con un cartello con la scritta “La nostra indisponibilità a conoscere la verità e il nostro silenzio ci rendono complici dei crimini” (foto di Denis Galicyn per SOTA Project).

Leggi