Oleh Sydorenko: Cosa fa e a chi è utile un cappellano militare?

Il cappellano Oleh Sydorenko ha raccontato che cosa significhi svolgere questo compito durante la guerra. Riportiamo l'intervista realizzata per il progetto "Voci dalla guerra".

Qual è il compito specifico di un cappellano militare? Perché la sua presenza è così importante? Oleh Sydorenko racconta il suo lavoro, il suo modo di stare accanto ai soldati ucraini, che vivono condizioni di stress estremo. Il cappellano non si limita a generici incoraggiamenti, ma si prende cura dei bisogni spirituali di ciascun membro della compagine cui è assegnato, offrendo conforto e cogliendo i momenti di difficoltà.

Sydorenko ha raccontato la sua esperienza ad Andrij Didenko per il progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”). Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli in italiano è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo. Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti e altri collaboratori di Memorial Italia.

Andrij Didenko

16.02.2024

Cosa fa e a chi è utile un cappellano militare? E che c’entrano i čebureki, i fagottini di pasta ripieni di carne? Il tenente colonnello dell’Esercito ucraino Oleh Sydorenko ricorda un episodio della sua esperienza di guerra.

Mi chiamo Oleh Sydorenko. Tenente colonnello dell’Esercito ucraino, comando delle truppe di terra. In passato, ufficiale del Ministero degli interni, colonnello di polizia. E servo di Nostro Signore Gesù Cristo.

Innanzitutto, cos’è un cappellano? Una volta mi è capitato di parlare con un pastore, che mi ha chiesto: “Che differenza c’è tra un cappellano e un predicatore? Il predicatore gira il mondo, evangelizza. Porta alle genti la novella della salvezza. Non fanno così anche i cappellani?” No. L’operato e lo scopo sono uguali. Ma l’ambito in cui questa attività si svolge è del tutto diverso, perché un cappellano è sì un predicatore, ma in una sfera professionale specifica. Il suo compito non è solo portare la buona novella, ma essere un elemento imprescindibile della sua compagine.

Foto: Marija Krykunenko / Gruppo per la difesa dei diritti civili di Charkiv

Non posso non ricordare un episodio. Nel 2015, nella 28a brigata, c’era un cuoco dal nome di battaglia “Kosmos”, che da qualche tempo era giù di morale. Cucinava benissimo. L’unità contava 28 uomini, era un plotone. E lui era il cuoco del plotone. Girava avvilito, non si dava pace. Un giorno gli ho parlato e ho scoperto che aveva problemi con la moglie. Lei era stanca. Prima il marito era un civile, lavorava vicino a lei, come cuoco di un ristorante. Ma ora era in guerra. E tutto il tempo non lo dedicava più a lei, né ai due figli, ma all’esercito. Lei voleva divorziare. Gli ho chiesto il numero della moglie e le ho parlato.

Ho detto a Natalija quanto fosse difficile per noi stare al fronte, in prima linea. Quanto desiderassimo sentire la vicinanza del calore famigliare, delle premure, del comfort domestico.

Tutte cose che era proprio il cuoco a darci, perché lui non si limitava a cucinare le patate, metterle in tavola e aprire scatole di carne. Per fare un esempio, in un teatro di guerra vicino a Stanycja Luhans’ka, suo marito ha allestito un fornello improvvisato usando dei pezzi di lamiera. Con farina e acqua ha fatto la pasta. E con carne in scatola e cipolla, perché al fronte non c’erano altri ingredienti, ha preparato il ripieno. E così ha cucinato i čebureki: cotti direttamente su una stufa a carbone sistemata fra le tende.

Come si fa a non sentirsi già meglio, quando si vive in una realtà di guerra terribile, dove ci era capitato di svegliarci in una pozza d’acqua perché di notte era piovuto. In quelle situazioni, è chiaro che c’è poco da stare allegri. Ma poi il cuoco ti prepara un piatto così. Benché fatto con ingredienti semplici, ti solleva l’umore.

Quando ho detto a Natalija che da un’unica persona, da suo marito, dipendeva l’andamento delle operazioni e, dunque, la pace, la serenità nel nostro paese e nella sua famiglia, lei ha cambiato atteggiamento. Quando i due si sono visti qualche tempo dopo, lui era felicissimo e grato che il cappellano fosse riuscito a salvare la sua famiglia.

Pranzo in zona di battaglia, foto d’archivio Depositphotos

Il fatto è che c’è una grande differenza tra il sostegno psicologico alle vittime e a chi soffre di PTSD (disturbo post-traumatico da stress) e l’aiuto spirituale offerto da un cappellano. Per me uno psicologo si può paragonare a un medico in un ambulatorio. Sei malato, ti fa male la gola, vai dal dottore. Il dottore ti visita, ti fa la ricetta, ti prescrive la cura. Quando sei guarito, torni da lui e lui ti dà il certificato di guarigione. Una cosa simile succede con lo psicologo.

Cosa fa un cappellano? Quando uno sta male, va in ospedale dove gli assegnano un medico curante. E fin dall’inizio, da quando viene fatta la diagnosi e per tutto il processo di cura fino alla piena guarigione, il medico è sempre accanto al malato. Ogni giorno fa il giro delle visite. Passa per le corsie, dove parla singolarmente con ogni malato. Cambia la terapia, se necessario. Controlla la sua salute. Ci scambia qualche parola. E alla fine dimette una persona sana.

Per esempio, un soldato ha il PTSD. Il cappellano parla con quelli che lo circondano. Parla col suo comandante. Gli dice di non usare un tono di voce alto con quel militare perché soffre di stress post-traumatico.

Poi vengono i rapporti con le famiglie. Parlare al telefono con le mogli, i figli, le madri. Chiedere loro di telefonare a quel militare più volte al giorno, e dirgli quanto lo amano, quanta fiducia hanno in lui. Che si sentono difesi perché partecipa a questa guerra.

Quella persona già fa il pieno di emozioni, e in più poi il cappellano gli parla, gli racconta le vicende bibliche con gli eroi dell’Antico Testamento, del Nuovo Testamento. In particolare con l’eroe principale, Gesù, che come lui aveva paura. Anche lui aveva paura. Anche lui aveva il PTSD, che si manifestò proprio durante l’orazione nell’orto dei Getsemani. Questi esempi aiutano il soldato, o la soldatessa, a liberarsi di questa condizione e a diventare un elemento normale della compagine.

Soldato ucraino, foto d’archivio Depositphotos

Anzitutto, sono anch’io un militare, perciò è un po’ più facile capirci perché parliamo la stessa lingua. Ho passato 2,5 anni sempre al fronte, nei reparti di combattimento della 28a brigata meccanizzata autonoma. E ogni giorno si ripeteva lo stesso copione. Quando iniziava lo scontro io li incitavo: “Ragazzi, in questa battaglia è Gesù Cristo a guidarci! Lui ha già vinto! Ha ottenuto la sua vittoria sul Golgota e ora, come vincitore di ogni male del mondo, ci condurrà alla vittoria! Lui è con ognuno di voi! Vi aiuterà a mirare con precisione! Vi aiuterà a sostituire in fretta i vostri caricatori! È accanto a voi, ricordatevelo! La speranza è solo in Gesù. Solo con lui vinceremo! Avanti, con Gesù verso la vittoria!”

Erano le mie testuali parole prima degli scontri. E dopo, se qualcuno veniva ferito, di solito lo confortavo dicendo: “Gesù ti sarà sempre accanto. Anche di notte, mentre il medico si occuperà degli altri. Quando l’infermiera o qualcuno dei compagni vicino a te si addormenterà e tu rimarrai da solo, ricorda che non sei solo”.

Vicino al tuo letto siederà Gesù, che dirà sempre: “Io non mi stancherò mai. Io non ti dirò mai ‘Aspetta, devo parlare con un altro, devo allontanarmi per ragioni mie. Scusa, ora voglio stare da solo’”. Gesù non ti dirà mai così.

Ti dirà sempre: “Dammi la mano, terrò il tuo palmo nel mio. Ti stringerò forte. Non ti lascerò andare, siederò accanto a te finché servirà. Ti ascolterò in qualsiasi momento, sempre. Tu parlami e basta, voglio ascoltarti, voglio sentirti. Voglio aiutarti. Non abbandonarmi, e io non abbandonerò te, perché tu sei mio”.

Lo scopo di un cappellano non è indurre al pentimento, né al battesimo, né avvicinare alla chiesa. Quello è compito di Dio. Il nostro compito è far conoscere Gesù Cristo. Raccontare quanto era buono, amorevole, leale. Il suo amore continuerà in eterno. Questo è il nostro scopo.

Soldato ucraino e cappellano, foto d’archivio Depositphotos

Mi piace molto l’esperienza degli USA, dove ai reduci dalla guerra in Afghanistan o in Iraq veniva subito concesso un periodo obbligatorio di riposo in famiglia: con la moglie, i figli. Ed erano tenuti a partecipare a eventi collegati a programmi culturali, a produzioni artistiche. Ad andare a concerti, competizioni, concorsi. Le persone non dovevano cedere al riposo passivo, sdraiarsi sul divano, pranzare, cenare, andare a letto. No!

Bisogna che gruppi specializzati li seguano nel reinserimento sociale, gli facciano capire che sono una parte imprescindibile e indispensabile della società, sono i suoi ingranaggi.

Come gli orologi svizzeri: sono affidabili, ma se togliete anche il più piccolo degli ingranaggi non funzionano più. Bisogna spiegare a ogni soldato che lui e la sua famiglia sono una componente fondamentale della nostra società che lui ha difeso, alla quale ha donato la sua salute e forse pure un pezzo del suo corpo. Questi programmi devono essere su base statale, non volontaria.

Soldato ucraino, foto d’archivio Depositphotos

Poi viene il reinserimento sociale. Se una persona non lavora più, deve esserci una stretta interazione con i centri per l’impiego, sulla base delle capacità professionali del soldato con PTSD. È indispensabile sapere dove si può impiegare questa persona nella maniera più efficace per lei. Non per lo stato, ma per la persona.

Mettiamo che io sia tornato dalla guerra e qui servano dei muratori, ma io non sono un muratore. Non posso fare quel mestiere. Io sono un giornalista, un poeta, un compositore. Non posso fare nient’altro che svolgere una di queste attività. Se una persona è lasciata sola con un problema così, non andrà mai in un centro per l’impiego, non troverà un lavoro. Di giorno in giorno si chiuderà sempre più in sé stessa, come una chiocciola nel suo guscio. E finirà per morire lì dentro. Non ne uscirà mai.

Quando si occuperà dei soldati reduci dalla guerra, la società prospererà perché le persone faranno tutto il possibile per infondere il loro sapere, le loro abilità e i loro desideri nell’ambito che le aiuterà a trovare sé stesse.

La guerra è una lotta. È una lotta tra le tenebre e la luce. La luce vince sempre, ma le tenebre non depongono le armi tanto facilmente. Le tenebre utilizzano tutti i loro mezzi per far sì che al mondo ci sia meno luce. Ci sia meno amore. Meno bontà. Meno rispetto tra la gente. E finché questa lotta continuerà, saremo costretti a raccogliere tutte le nostre forze, a indirizzare tutte le nostre preghiere a Dio. Ma per questo bisogna avere il cuore puro. Gli ipocriti non servono a Dio. Gli ipocriti non possono comunicare con Dio. Ognuno, prima di tutto, deve avere il cuore puro. Voltarsi dall’altra parte rispetto al peccato. Volgere il viso verso Dio. E le spalle alle tenebre, al male.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Ucraina. Assedio alla democrazia. Alle radici della guerra.

Ucraina. Assedio alla democrazia. Alle radici della guerra. A cura di Memorial Italia con il coordinamento di Marcello Flores (Corriere della Sera, 2022). «Come studiosi della storia e della cultura della Russia, dell’Ucraina e dell’Unione Sovietica, riteniamo che il nostro compito, in questo drammatico momento, sia quello di aiutare a comprendere le cause di questa vera e propria guerra di conquista, per fondare la cronaca nella storia e capire le dinamiche del presente alla luce di un passato che spesso si ignora o si dimentica» Dal momento in cui l’esercito di Vladimir Putin ha iniziato la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina si sono formulati frequenti giudizi che hanno contribuito a rendere più difficile capire le radici del conflitto. Si sono diffusi luoghi comuni, prodotti dal pregiudizio o dalla scarsa conoscenza dei fatti. Questo libro, frutto del lavoro collettivo di studiosi attivi da anni sul terreno della violazione dei diritti umani, della manipolazione della storia, della cancellazione della memoria nella Russia postsovietica, intende fare luce su alcune “idee sbagliate”, con il supporto di una serie di approfondimenti sulla storia di Russia e Ucraina dal 1991 a oggi. Come si è costruita la nazione ucraina nell’ambito di quanto è successo nelle repubbliche ex sovietiche, qual è la sua funzione rispetto al progetto di Putin, cosa si intende per “promessa infranta” quando si parla del ruolo della Nato: capire chi sono gli attori in gioco e qual è il loro ruolo in questa sanguinosa partita significa orientarsi con più sicurezza nel mare contraddittorio dell’opinione pubblica. Come pure andare a fondo nella “guerra di memoria” in atto da anni nella Russia putiniana vuol dire intendere meglio il senso delle esternazioni del suo presidente, a partire dall’uso della parola “genocidio”. Idee e motivi di propaganda penetrati profondamente in patria tramite la repressione del dissenso e la diffusione con ogni mezzo di una narrazione della storia selettiva e funzionale a un disegno autocratico e neoimperiale, di cui l’associazione Memorial fa da tempo le spese e che l’attacco all’Ucraina ha messo sotto gli occhi attoniti del mondo intero, interrogandoci tutti. Contributi di Simone Attilio Bellezza, Alexis Berelowitch, Marco Buttino, Riccardo Mario Cucciolla, Gabriele Della Morte, Carolina de Stefano, Marcello Flores, Francesca Gori, Andrea Gullotta, Niccolò Pianciola.

Leggi

Guerra globale. Il conflitto russo-ucraino e l’ordine internazionale.

Guerra globale. Il conflitto russo-ucraino e l’ordine internazionale. A cura di Memorial Italia con il coordinamento di Alessandro Catalano, Marcello Flores, Niccolò Pianciola (Corriere della Sera, 2023). «Gran parte del mondo è stata costretta, di fronte al ritorno della guerra in Europa, a ripensare le mappe mentali con cui si guardano le reti globali di relazioni politiche ed economiche e si cerca di indovinarne il futuro, oggi ben più incerto di quanto si ritenesse fino all’invasione russa dell’Ucraina» La guerra che si combatte da quasi un anno dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina minaccia non solo di protrarsi nel tempo, ma anche di dilatarsi nello spazio: è dunque legittimo chiedersi quanto questo evento abbia modificato non solo la geopolitica europea, ma anche le mappe mentali con cui il mondo intero interpreta questo spartiacque. Le sue ripercussioni, a partire dai problemi più evidenti (l’aumento del costo degli idrocarburi, i milioni di profughi dall’Ucraina, la minore offerta di grano sui mercati mondiali) fino alle minacce che potrebbero colpire in modo drammatico alcuni paesi, hanno ormai coinvolto vaste aree del pianeta. I singoli Stati hanno avuto reazioni a tutto ciò inevitabilmente diverse, non solo per ragioni di prossimità geografica, ma anche per le lenti con cui la guerra è stata interpretata, a loro volta influenzate dalle singole esperienze storiche. Se, com’è naturale, è stato particolarmente visibile un coinvolgimento più pronunciato nella parte centro-orientale dell’Europa, dove l’invasione ha riattivato la memoria di avvenimenti analoghi della storia del Novecento, anche in altri paesi, persino nel lontanissimo Sudamerica, intravediamo fenomeni che sono in diretta connessione con la guerra in corso. Questo libro cerca di tratteggiare una nuova geografia mondiale il cui epicentro sta nella frattura tra Mosca e Kyïv: i contributi, affidati a studiosi italiani e internazionali di vasta e radicata esperienza nell’analisi storica, politica ed economica delle vicende di ciascun paese, costituiscono un indispensabile, e fino a oggi unico, strumento per gettare uno sguardo complessivo sulla nuova configurazione mondiale e sulle sue prospettive. Perché è evidente, anche alla considerazione più superficiale, che la guerra in Ucraina segna un punto da cui è difficile tornare indietro. Contributi di Giuseppe Acconcia, Alessandro Catalano, Filippo Costa Buranelli, Riccardo Mario Cucciolla, Mario Del Pero, Gianluca Falanga, Matteo Fumagalli, Bartłomiej Gajos, Armand Gosu, Andrea Griffante, Aurelio Insisa, Ali Aydin Karamustafa, Massimo Longo Adorno, Niccolò Pianciola, Marc Saint-Upéry, Ilaria Maria Sala, Alfredo Sasso, Antonella Scott, Paolo Sorbello, Pablo Stefanoni.

Leggi

Russia. Anatomia di un regime. Dentro la guerra di Putin.

Russia. Anatomia di un regime. Dentro la guerra di Putin. A cura di Memorial Italia con il coordinamento di Marcello Flores (Corriere della Sera, 2022). «Uno Stato che, al suo interno, viola platealmente e in modo sistematico i diritti umani, diventa per forza di cose una minaccia anche per la pace e per la sicurezza internazionali» La deriva violenta della Russia, culminata nell’aggressione militare nei confronti dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 e documentata da tempo sul fronte delle repressioni interne (di cui anche l’associazione Memorial ha fatto le spese), impone una riflessione sempre più urgente su cosa abbia portato il paese a passare dalle speranze democratiche successive al crollo dell’URSS all’odierna autocrazia. Questo volume a più voci, in cui intervengono nel dibattito studiosi italiani e russi che conoscono profondamente la realtà del regime, i metodi, le tecniche di manipolazione del consenso, le curvature ideologiche, il linguaggio politico, affronta la questione da diversi punti di vista, da quello storico a quello culturale e letterario (con implicazioni non solo per la Russia, ma anche per l’Ucraina e i paesi dell’Europa orientale), a quello geopolitico, fino ad arrivare all’attualità, alle proteste e alle forme di dissidenza che continuano eroicamente a esistere per combattere il Moloch putiniano, sempre più assetato di vittime. Nello stallo del conflitto in Ucraina rimane fondamentale il desiderio di comprendere. Non perché non succeda ancora, come scrive Andrea Gullotta nella sua introduzione, richiamandosi ad Anne Applebaum, ma perché “accadrà di nuovo”. Lo testimoniano drammaticamente il protrarsi di una situazione di guerra alle porte dell’Europa, e l’inasprirsi delle persecuzioni, in Russia, contro chi ha cercato e cerca, a rischio della propria vita, di opporsi allo stato di cose e alle terribili conseguenze che può avere su tutti noi. Contributi di Alexis Berelowitch, Marco Buttino, Alessandro Catalano, Aleksandr Čerkasov, Giulia De Florio, Elena Dundovich, Marcello Flores, Giovanni Gozzini, Andrea Gullotta, Inna Karmanova, Massimo Maurizio, Marusja Papageno, Niccolò Pianciola, Marco Puleri.

Leggi