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Perché la guerra russo-ucraina è iniziata nel febbraio 2014

Tre fraintendimenti internazionali sulle origini del conflitto. Quei fatidici eventi in Crimea del 2014 non sono stati né una rivolta locale, né la cessione pacifica di una parte di territorio, né la reazione inevitabile di Mosca a una provocazione ucraina. Sono figli del nazionalismo e dell'espansionismo imperialista russo.

(Foto di Ilya Varlamovvarlamov.ru,
CC BY-SA 4.0, Link)


(di Julia Kazdobina, Jakob Hedenskog Andreas Umland. Hedenskog e Umland collaborano con lo Stockholm Centre for Eastern European Studies (SCEEUS) presso l’Istituto Svedese per gli Affari Internazionali (UI) di Stoccolma, di cui Kazdobina è visiting fellow)


09 aprile 2024 
Aggiornato alle ore 14:06


La guerra espansionistica russa in Ucraina dura da un decennio, e non da due anni soltanto. È iniziata con l’occupazione armata e l’annessione illecita della Crimea nel febbraio-marzo del 2014 ed è proseguita con l’ingresso non dichiarato nelle regioni di Donec’k e Luhans’k nell’aprile dello stesso anno. La negazione da parte di Mosca del suo ruolo effettivo in Ucraina, il vuoto di potere a Kyiv durante le fasi iniziali dell’aggressione russa, un contesto locale complesso che gli invasori hanno saputo sfruttare a proprio vantaggio, e la riluttanza dell’Occidente a rispondere con decisione e fermezza all’attacco iniziale hanno portato al deterioramento della situazione e alla deflagrazione della stessa nel 2022. Sono in molti a ritenere che l’invasione su larga scala di due anni fa sia stata una svolta epocale, una Zeitenwende. In realtà, altro non è che la naturale prosecuzione della guerra russo-ucraina iniziata (quasi) esattamente otto anni prima, il 20 febbraio del 2014.


Le narrazioni cui si fa solitamente ricorso per rifiutare, mettere in dubbio o sminuire il ruolo di quanto accaduto nel febbraio-aprile 2014 quale inizio dell’aggressione militare russa sono tre. La prima interpretazione fuorviante è che a causare il conflitto territoriale fra Russia e Ucraina  siano state le dinamiche locali, e non un intervento esterno. Una simile interpretazione prende per vera la messinscena del Cremlino, chiamata a nascondere il ruolo cruciale delle forze di terra regolari russe e delle formazioni armate irregolari controllate dal Cremlino nell’avviare prima la secessione e l’annessione della Crimea nel febbraio-marzo 2014 e poi, il mese seguente, un conflitto occulto interstatale voluto da Mosca nel bacino del Donec.


Il secondo approccio considera l’annessione della Crimea da parte russa come un pacifico passaggio di territorio, e non come un atto di guerra. Le due interpretazioni suddette insistono sul carattere interno, e non intermediato e internazionale, della guerra in Donbas del 2014-2022.


Il terzo approccio non nega l’inizio del conflitto nel 2014 e nemmeno il ruolo decisivo della Russia, ma sostiene che Mosca è stata provocata a rispondere militarmente da presunti comportamenti inaccettabili dell’Ucraina, dell’Occidente o delle due parti insieme. Le tre narrazioni succitate vengono anche impastate fra loro e sono facilmente rintracciabili sia nella propaganda  che Mosca diffonde a livello mondiale per giustificare l’attacco, sia nella trattazione degli apologeti non russi del Cremlino, che le usano per  razionalizzare l’apatia, l’ambiguità o l’ostilità del proprio paese (partito, scuola di pensiero) di appartenenza nei confronti dell’Ucraina. L’influenza profonda esercitata da queste tre narrazioni sul modo in cui la guerra russo-ucraina viene percepita a livello globale è la ragione principale per cui, oltre i confini dell’Ucraina, molti ritengono che la guerra sia iniziata il 24 febbraio 2022. Il testo che segue mira a confutare le tre versioni suddette, estremamente  manipolatorie, oltre che ingenue.


Introduzione


I politici, i diplomatici e i commentatori di tutto il mondo che, per ignoranza o malafede, fissano la data d’inizio della guerra russo-ucraina il 24 febbraio del 2022 sono molti. Tuttavia, l’attacco armato russo all’Ucraina con truppe di terra regolari e formazioni armate irregolari era di fatto iniziato otto anni (quasi) esatti prima, nella seconda metà di febbraio del 2014. L’occupazione illecita, di forza della Repubblica autonoma ucraina di Crimea e della città di Sebastopoli da parte russa non sfociò, all’epoca, in ostilità su larga scala, contribuendo con ciò a mescolare le carte e a non riconoscere a quell’azione militare in incognito di Mosca – e non alla cosiddetta “operazione militare speciale” di otto anni dopo – il ruolo di apripista nella più grande guerra che l’Europa abbia visto dal 1945. Poche settimane dopo la presa della Crimea, all’inizio di aprile del 2014, il Donbas ha assistito ai primi intensi combattimenti istigati da gruppi irregolari russi delegati dal Cremlino a invadere l’Ucraina continentale


A spiegare questo “malinteso” vecchio di dieci anni sono tre narrazioni, generate fondamentalmente dalla campagna di disinformazione globale di Mosca quanto all’annessione della Crimea e all’intervento in Donbas. Alcuni dei suddetti personaggi si attengono ancora alla linea originaria della propaganda russa (poi sconfessata dallo stesso Cremlino), secondo cui la secessione della Crimea dall’Ucraina e la successiva ondata di scontri nel Donbas sono da  attribuire a dinamiche interne, più che a un’ingerenza straniera. La seconda narrazione ripete la bizzarra storia russa, secondo la quale delle “persone cortesi” – di fatto militari russi senza mostrine – si sarebbero impadronite in modo pacifico della penisola sul Mar Nero [con “persone cortesi” o “omini verdi” ci si riferiva a soldati con uniformi militari prive di mostrine che li identificassero come appartenenti a un preciso corpo; i suddetti occuparono l’aeroporto internazionale  e il parlamento di Simferopoli e buona parte delle basi militari in Crimea, NdR]. I suddetti commentatori non negano il ruolo chiave della Russia negli eventi fatali in Crimea e Donbas, ma fissano l’inizio della guerra nell’aprile del 2014. Di norma, inoltre, costoro considerano le ostilità dell’epoca alla stregua di una guerra civile e non interstatale. La terza linea apologetica ammette, pur parzialmente, che l’aggressione di Mosca è illecita e violenta, ma la dice causata dalla politica di Kyiv. La condotta ucraina non avrebbe lasciato altra scelta alla Russia del “farsi carico” della difesa dei residenti russofoni di Crimea e Donbas. Sebbene, da questo punto di vista, la guerra venga fatta iniziare nel febbraio 2014, l’aggressore reale risulta essere l’Ucraina e non la Russia, che di fatto era stata provocata. 


Di seguito analizziamo brevemente l’infondatezza delle tre letture citate e offriamo alcune raccomandazioni a partire dalle critiche suddette.  


Rivolta interna e non occupazione straniera


Il parlamento ucraino ha ufficialmente indicato il 20 febbraio 2014 quale primo giorno della guerra russo-ucraina e quale prima violazione russa della normativa ufficiale sugli spostamenti in Crimea.  All’epoca, il presidente in carica era il filorusso Viktor Janukovič e l’esito finale dell’Euromaidan in corso a Kyiv non era ancora evidente. Ciò non di meno, e in aperta violazione ai termini dell'”Accordo tra la Federazione Russa e l’Ucraina sullo status e le condizioni della permanenza della Flotta del Mar Nero della Federazione Russa in territorio ucraino”, una colonna di veicoli blindati lasciò illegalmente la base di Kozača buchta (Sebastopoli) dell’810° Brigata di fanteria della Flotta russa del Mar Nero. Il 20 febbraio 2014, inoltre, è anche la data di inizio dell’operazione di annessione della Crimea indicata sulla medaglia al valore del Ministero della Difesa russo (“Per la restituzione della Crimea”).


Meno di due mesi dopo, il 17 aprile, Putin riconosce pubblicamente per la prima volta che forze speciali russe avevano partecipato agli eventi di febbraio-marzo in Crimea. Durante le celebrazioni per il quinto anniversario dell’annessione, in un comizio a Sebastopoli il responsabile de facto del gabinetto di occupazione della Crimea, Sergej Aksënov, dichiara inoltre che Putin aveva supervisionato personalmente l’annessione della penisola, e afferma che l’annessione è stata un'”operazione straordinaria”, attuata “in tempi così rapidi e con tale audacia e baldanza, che i nostri avversari non se ne sono nemmeno capacitati”. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo (ECHR) ha stabilito all’inizio del 2021 che in data 27 febbraio 2014 la Russia aveva assunto di fatto il controllo della Crimea. 


Nonostante queste e altre considerazioni sugli eventi di fine febbraio 2014, alcuni commentatori continuano a sostenere che la secessione della Crimea dall’Ucraina e la sua annessione alla Federazione Russa siano dovute a dinamiche interne. Punto d’appoggio e argomentazione dirimente in queste discussioni è il referendum-farsa del 16 marzo 2014. A prescindere da commenti su una procedura di voto a dir poco discutibile, il referendum si è comunque svolto dopo l’occupazione della penisola di Crimea da parte russa, avvenuta tre settimane prima (per approfondimenti, si veda questo articolo).


Al momento del referendum suddetto, le truppe regolari (ma senza mostrine identificative) dell’esercito russo appoggiate da altre formazioni irregolari russe o filorusse avevano già concluso l’occupazione illegale della Crimea. Solo dopo l’occupazione militare russa della penisola sul Mar Nero, gli abitanti sono stati esplicitamente invitati a ratificare quell’atto violento con un referendum fittizio. L’annessione, dunque, non è stata l’esito di una dinamica politica interna alla Crimea, ma di una spudorata operazione dall’esterno. Ed è stata un atto di guerra.


La storia di come la guerra russa in Donbas sia continuata nel mese seguente è un po’ diversa. Ma è anch’essa il risultato non di una rivolta locale, ma di un intervento dal di fuori e di una messinscena russa che ha indotto molti osservatori a credere che la fonte e la radice del conflitto militare nel Donbas fosse una fantomatica “milizia” regionale. La manipolazione messa in atto dal Cremlino ha contemplato, per esempio, l’invio di cittadini russi dalla vicina regione di Rostov che si fingessero dimostranti filorussi.


Non possono esserci dubbi sul fatto che a provocare la guerra nel Donbas sia stata la Russia. Il 25 gennaio 2023, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la Russia aveva il controllo effettivo delle cosiddette “repubbliche popolari” di Doneck e Lugansk, ufficialmente in mano a forze “separatiste”, dall’11 maggio del 2014. A sostegno di una tale conclusione la Corte ha prodotto numerose prove, tra cui la presenza in loco di militari russi dall’aprile 2014 e il dispiegamento su larga scala di truppe russe dall’agosto dello stesso anno. La dichiarazione ha anche smontato i tentativi russi di far passare le sedicenti “repubbliche” quali rappresentanti legittime della popolazione locale del Donbas.  


Vero è anche, tuttavia, che inizialmente (almeno fino alla metà di agosto del 2014) il ruolo delle truppe regolari russe nel sud-est dell’Ucraina continentale non è stato rilevante. Fino all’inizio del 2022, le vere protagoniste sono state le formazioni irregolari, comunque comandate, dirette, finanziate e/o incoraggiate da Mosca. Di norma, si trattava di un mix di paramilitari (russi, ucraini e di altri paesi), cosacchi, estremisti, mercenari e via dicendo, attivamente coadiuvati dai servizi segreti russi, dai media di stato e da altre strutture governative o semi-governative della Federazione Russa. 


Sostenute e aiutate dal Cremlino, queste formazioni eterogenee hanno condotto per quasi otto anni quel caos armato che va sotto il nome di “guerra del Donbas”.  Il susseguirsi di azioni militari ad alta e bassa intensità nel bacino del Donec tra l’aprile del 2014 e il febbraio del 2022 è un episodio a parte nelle relazioni russo-ucraine. Tuttavia, questo periodo di operazioni armate e ibride russe in territorio ucraino non può che essere considerata una fase della guerra dichiarata da Mosca il 20 febbraio 2014 e tuttora in corso.


Transizione pacifica e non guerra


Se il dibattito sulle origini della guerra nel Donbas dell’aprile 2014 non si placa a tutt’oggi, gli esperti sono invece unanimi nel definire invasione armata l’occupazione russa della Crimea nel febbraio 2014. Uno studio di RAND Corporation del 2017, per esempio, conclude che “l’operazione della Russia per annettersi la Crimea ha comportato un uso decisivo e mirato della forza militare per raggiungere obiettivi politici”.  


Una valutazione a tutto tondo degli eventi in Crimea nel febbraio-marzo 2014 è, tuttavia, complicata dalle minacce e dalle persecuzioni subite all’epoca dai giornalisti ucraini presenti sul posto, che si sono visti confiscare attrezzature e materiali da russi o filorussi armati. Il bersaglio principale era chi filmava vicino alle basi militari russe in Crimea. Dal canto loro, invece, le agenzie di propaganda russe giravano liberamente per la penisola offrendo un’immagine distorta dei fatti. 


Ciò non di meno, è comunque possibile stilare un quadro chiaro degli eventi.


I militari coinvolti nell’occupazione della Crimea erano circa ventimila. Tra di essi si è distinto il 45° Reggimento Forze Speciali Aviotrasportate solitamente di stanza a Kubinka (regione di Mosca) che, con il sostegno di alcune formazioni irregolari filorusse, il 27 febbraio 2014 ha occupato l’edificio della Verchovna Rada della Crimea a Simferopoli costringendola ad avviare le procedure di annessione. Nell’agosto 2014, per il ruolo svolto nella “restituzione della Repubblica di Crimea alla Federazione Russa”, il ministro della Difesa Sergej Shojgu ha decorato con l’Ordine di Suvorov un’altra unità militare russa, la 76ª Divisione d’Assalto Aviotrasportata di stanza a Pskov.  


Per ridurre l’eventualità di una reazione armata, la Russia ha sfruttato al meglio la situazione sul territorio: in Crimea le basi della Flotta russa del Mar Nero si trovavano accanto alle basi militari ucraine, i rispettivi contingenti si conoscevano, i familiari dei militari ucraini erano spesso russi per etnia o cittadinanza e furono oggetto di forti intimidazioni o minacce riguardo a possibili incidenti in cui potevano incorrere. Alcuni militari ucraini si sentirono promettere uno stipendio maggiorato in caso di trasferimento nell’esercito russo. Durante il blocco e il sequestro delle basi militari ucraine, poi, la Russia inviò gruppi di irregolari disarmati e con attrezzatura non militare perché aprissero un varco nei cancelli prima dei militari stessi.


Per questi e altri metodi “ibridi”, gli ufficiali ucraini sul campo e i leader politici a Kyiv hanno incontrato non poche difficoltà nel valutare la situazione e rispondere adeguatamente. Secondo Ihor Tenjuch, ministro ucraino della Difesa dal 27 febbraio 2014, alla fine di febbraio del 2014 in Crimea c’erano 15.000 soldati ucraini, ma solo 1.500-2.000 fra loro avrebbero obbedito a un eventuale ordine di resistenza armata all’annessione.  Tale ordine, del resto, da Kyiv non arrivò mai. Tra i soldati della sede locale del ministero degli Interni, solo le forze speciali “Berkut” si schierarono dichiaratamente con la Russia. Il resto continuò a rispondere al governo ucraino e a eseguire gli ordini di Kyiv. E mentre non sono state segnalate vittime russe durante l’occupazione della penisola, due militari ucraini hanno perso la vita.


Secondo i servizi segreti ucraini, l’operazione di Mosca in Crimea si è articolata in tre fasi. Nella prima, dal 20 al 28 febbraio 2014, il Cremlino dispiega sul territorio le sue forze speciali. Nella seconda fase, dal 2 al 10 marzo, le truppe russe di stanza in Crimea vengono messe in stato di massima allerta e viene avviata una ricognizione. È in questa fase che flotta e aviazione vengono schierate per contrastare un’eventuale difesa da parte delle forze armate ucraine e delle forze della NATO di riserva nella regione del Mar Nero. L’operazione di annessione viene portata a termine tra il 10 e il 18 marzo, con la creazione di un posto di comando congiunto presso l’aeroporto “ Gvardejskoe” e di uno avanzato a Džankoj. Più di 7.000 militari, in special modo paracadutisti e forze speciali, vengono trasferiti in Crimea via mare e via cielo.  L’ex ufficiale dell’FSB Igor’ Girkin (alias “Strelkov”) – che partecipò illegalmente sia all’annessione della Crimea sia all’intervento segreto nel Donbas – dovette poi ammettere che solo l’imponente presenza di truppe russe in loco rese possibile il fantomatico referendum sull’annessione della Crimea del 16 marzo 2014


Nonostante l’annessione della Crimea da parte di Mosca sia con ogni evidenza un’azione militare, alcuni osservatori occidentali insistono sul fatto che nel processo di secessione il ruolo decisivo fu della politica locale, e così facendo ridimensionano la componente esterna, illegittima e violenta dell’operazione di annessione. In queste narrazioni il rimando tipico è ai sondaggi condotti in Crimea da varie società di ricerca. Tali sondaggi avrebbero mostrato un sostegno schiacciante a favore dell’annessione. 


Le suddette interpretazioni dell’annessione russa della Crimea, però, non tengono conto di alcune complesse questioni metodologiche. I sondaggi precedenti all’operazione di annessione non hanno mai rilevato un desiderio preponderante di secessione nemmeno tra i russi etnici della penisola. Secondo un sondaggio della metà di febbraio del 2014, dunque a pochi giorni dall’operazione di annessione della penisola da parte di Mosca e nel pieno dell’Euromaidan a Kyiv, solo il 41% dei residenti della Crimea approvava un’eventuale ricongiungimento dell’Ucraina intera con la Russia, e questo nonostante un simile cambiamento nello status della Crimea sarebbe risultato molto meno distruttivo di una secessione politica ed economica della sola penisola dallo Stato ucraino. Nell’estate del 2013, uno studio qualitativo approfondito degli umori dei residenti condotto sul campo da una studiosa britannica aveva già rilevato che i sostenitori della secessione della Crimea dall’Ucraina erano pochi anche tra i crimeani di etnia russa favorevoli a Mosca


Questi e altri risultati di vari studi confermano la tendenza alla graduale “ucrainizzazione” politica soft della popolazione della Crimea in atto dal 1991. Su questo sfondo, l’occupazione della penisola da parte russa nel febbraio 2014 fu quanto mai tempestiva, per Mosca. Lo scopo era prevenire sia una lealtà in crescendo verso lo stato ucraino, sia la resistenza all’annessione da parte della popolazione locale. Tuttavia, la natura solo apparentemente pacifica della rapida occupazione militare e dell’annessione politica della Crimea nulla toglie alla componente militare e illegale di quanto perpetrato dalle forze armate russe, che ha segnato l’inizio della guerra russo-ucraina tuttora in corso.


Vladimir Putin firma i decreti per l’incorporazione della Crimea alla Federazione Russa
(foto: Kremlin.ru, CC BY 4.0, Link)


Reazione provocata, non attacco diretto


La distorsione più dannosa quanto all’origine della guerra russo-ucraina non riguarda la data esatta dell’inizio, ma le ragioni politiche del suo scoppio. Secondo questa variante oltremodo manipolatoria, la spinta decisiva all’escalation militare sarebbe da imputarsi alla minaccia (più presunta che reale) rappresentata per la Russia dagli eventi in Ucraina dell’inizio del 2014. Lo Stato russo e i russi d’Ucraina erano così seriamente e giustamente (a loro dire) preoccupati dal presunto “colpo di stato fascista” in atto a Kyiv e dalle sue conseguenze sulla politica interna ed estera dell’Ucraina, da non avere altra scelta se non quella di opporsi con le armi. 


Spesso e volentieri questa interpretazione apologetica non è un errore storico ingenuo, ma un’assoluzione politica intenzionale dell’aggressività del Cremlino. Secondo questa narrazione, la guerra russo-ucraina è effettivamente iniziata nell’aprile se non nel febbraio del 2014. Questa versione, però, attribuisce la colpa dello scoppio a Kyiv e all’Occidente, e non a Mosca. Secondo questa trattazione delle origini e della natura del conflitto, la Russia ha semplicemente reagito in modo comprensibile se non appropriato (in alcune narrazioni particolarmente filoputiniane) a eventi visceralmente inaccettabili. Alcuni propugnatori di questa versione dei fatti arrivano a sostenere la tesi di Mosca su una presunta discontinuità  dello stato ucraino nel 2014. Il cosiddetto “colpo di stato fascista” avrebbe di fatto annullato il riconoscimento ufficiale russo del territorio e dell’indipendenza ucraina ratificato in una serie di accordi bilaterali e multilaterali sottoscritti anche da Mosca. 


Tuttavia, il cambio di potere in Ucraina del 2014 non è stato illegittimo come lo si vorrebbe dipingere. Né le sue conseguenze per la Russia e per i russi d’Ucraina sono state drammatiche come si sostiene.


In primo luogo,


la Rivoluzione della Dignità del 2013-2014 (o Euromaidan) non è stata un pogrom antirusso, ma una protesta popolare contro il governo sempre più autoritario del presidente Viktor Janukovič.


Tra le altre cose, a scatenare la rivolta sono state le repressioni ai danni dell’opposizione politica, le pressioni sulle imprese, la centralizzazione del potere, la corruzione dilagante e la presa di distanza dell’allora governo ucraino dall’UE. Inizialmente pacifiche, le manifestazioni si sono intensificate nel gennaio-febbraio 2014, quando la polizia ha iniziato a sparare sui dimostranti disarmati. Gli scontri di piazza hanno portato a centinaia di vittime e di feriti gravi, tra cui almeno dieci agenti delle forze dell’ordine, fra cui  però (come tra gli anti-Maidan) non si sono contati morti. 


Al raggiungimento di un compromesso tra Janukovič e i leader della protesta, la rivolta si è interrotta di colpo: la mattina del 21 febbraio 2014, gli scontri a Kyiv sono immediatamente cessati. Nonostante l’ordine fosse stato ripristinato, l’ormai impopolare presidente in carica lasciò in tutta fretta la capitale, senza però dimettersi dalla sua carica. Di fatto, se ne andò poche ore dopo avere firmato l’accordo con l’opposizione politica alla presenza dei ministri degli Esteri di Polonia, Francia e Germania e dell’inviato da Mosca (una vecchia volpe come Vladimir Lukin). Janukovič contravvenne subito al punto più importante dell’accordo, perché non ratificò la legge che ripristinava la versione parlamentare-presidenziale della Costituzione ucraina del 2004 in base alla quale, tra l’altro, lui stesso era stato eletto nel 2010. 


Alla fine di febbraio, con l’Ucraina ancora in stato di crisi, le truppe russe in Crimea già iniziavano a occupare la penisola. Quando Janukovič lasciò la capitale senza dimettersi, il parlamento ucraino (pur composto da una maggioranza di suoi sostenitori) votò per la sua destituzione dall’incarico: seguire l’iter formale di impeachment sarebbe stato impossibile, data la crisi in corso, perché avrebbe richiesto diversi mesi.  Perciò, il parlamento stabilì che Janukovič era incapace di adempiere alle sue funzioni di capo di Stato e lo privò della carica.


Il potere a Kyiv passò temporaneamente al presidente della Verchovna Rada, Oleksandr Turčynov, che divenne presidente ad interim con un ampio sostegno parlamentare. Contemporaneamente furono indette nuove elezioni presidenziali entro i termini di legge: tre mesi. Il quinto presidente dell’Ucraina, Petro Porošenko, fu eletto al primo turno il 25 maggio del 2014 con il 54,70% dei voti. Gli osservatori dell’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR) dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), di cui la Russia era membro, giudicarono le elezioni libere ed eque. Il corso, i risultati e le conseguenze degli eventi politici interni all’Ucraina nella prima metà del 2014 sono stati sicuramente drammatici, ma non possono in alcun modo giustificare l’annessione armata della Crimea da parte della Russia o l’intervento militare occulto di Mosca nell’Ucraina orientale. 


La seconda argomentazione usata per validare la percezione (più che la realtà) della minaccia ucraina da parte di Mosca è più psicologica e altrettanto insostenibile. Secondo questa tesi, fu la paura esistenziale causata dall’Euromaidan ad avere un ruolo decisivo nello scoppio della guerra nel febbraio 2014. 


Una tale narrazione o ignora per ingenuità il contesto storico più ampio, oppure fa conto sull’ignoranza del lettore. I suoi apologeti seguono la linea del Cremlino e affermano che a provocare l’intervento di Mosca nel Mar Nero fu quanto accadde a Kyiv nel 2014. L’appetito della Russia quanto alla Crimea, però, ha poco a che spartire con i presunti mutamenti avvenuti sulla penisola nell’Ucraina post-sovietica, dove era e rimarrà una Repubblica autonoma con speciali diritti per i residenti di etnia non ucraina. Alla base dell’annessione ci sono esclusivamente l’imperialismo, il nazionalismo e l’irredentismo russo, e non il successo dell’Euromaidan e le sue possibili conseguenze. 


Viktor Janukovyč
Viktor Janukovyč
(Di President.gov.ua, CC BY 4.0, Collegamento)

Il momento esatto in cui Janukovič lasciò Kyiv, la sera del 21 febbraio 2014, è una sfumatura importante. L’occupazione illegale della Crimea era già in corso dal giorno prima. Di fatto, la Russia aveva dichiarato guerra all’Ucraina con un presidente filorusso ancora al potere e che non sarebbe necessariamente scappato. L’invasione era iniziata mentre Janukovič si trovava ancora a Kyiv, era il capo di Stato riconosciuto e stava trattando con l’opposizione e alcuni politici stranieri.


I preparativi per la conquista della penisola erano comunque iniziati molto prima dell’Euromaidan. Già nel 2010, dopo la firma del cosiddetto Patto di Charkiv, la Russia aveva iniziato a spostare armamenti nella base navale di Sebastopoli. Nel 2012, in Crimea, erano state formate quattro brigate di militari di carriera equipaggiati con le armi più recenti e subito sottoposti a un addestramento intensivo e specializzato.  La rapidità e la perseveranza mostrate per la conquista della Crimea nel febbraio-marzo 2014 tradiscono un’attenta pianificazione preventiva. 


Ma si può andare ancora più indietro nel tempo. È dal crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 che i politici russi non lesinano dichiarazioni ufficiali e non ufficiali, individuali e collettive riguardo all’annessione della Crimea. Prendiamo quanto avvenuto nel Mar Nero undici anni prima dell’annessione e di cui pochi sono a conoscenza al di fuori dell’Ucraina. La cosiddetta “Disputa sull’isola di Tuzla” del 2003 è un caso esemplare: in questo episodio fugace, ma  indicativo, Mosca tentò di contestare all’Ucraina la proprietà della minuscola isola di Tuzla (nello Stretto di Kerč) anche se la Federazione Russa aveva già riconosciuto l’isolotto in questione quale parte del territorio ucraino. L’incursione fallita fu, dunque, il prodromo dell’operazione russa di occupazione e annessione della Crimea nel 2014 e dell’invasione su larga scala dell’Ucraina di otto anni dopo. 


La terza variazione sul tema di una trattazione apologetica del conflitto è, forse, la più popolare e ammette anch’essa, pur occasionalmente, che la guerra sia scoppiata nel 2014. I paladini della Russia ricorrono a una giustificazione ben nota della sua condotta: l’espansione della NATO verso est. Una tale versione dei fatti non è solo la più diffusa, ma anche la più aleatoria fra le interpretazioni controverse qui discusse, in quanto l’Ucraina non è ancora andata oltre una vaga promessa (nel 2008) riguardo a un futuro ingresso nella NATO. Né allora né mai, Kyiv ha ricevuto il cosiddetto MAP (Membership Action Plan) o qualsivoglia altra tabella di marcia per entrare nel Patto Atlantico.


Limitandosi agli ultimi due anni, inoltre, a sfatare una tale ipotesi assolutoria del comportamento aggressivo di Mosca nel 2014 basterebbe l’esempio della Finlandia. Il confine tra Russia e Finlandia non è lungo quanto quello con l’Ucraina, ma è comunque importante. Tra il 2022 e il 2023, la Finlandia ha prima annunciato la sua intenzione di entrare nella NATO e ha poi presentato con successo domanda formale, cui hanno fatto seguito diversi mesi di attesa per la ratifica dell’adesione. 


L’adesione della Finlandia non ha solo raddoppiato la lunghezza del confine tra la Russia e la NATO. Ha anche fatto sì che, dal marzo 2023, la città dove è nata una buona parte della leadership russa, San Pietroburgo, si trovi in una posizione geostrategica precaria. Con l’Estonia a ovest e la Finlandia a nord, oggi San Pietroburgo è circondata dalla NATO per metà. 


Eppure, la risposta di Mosca a questa espansione cruciale è rimasta prettamente retorica. Invece di adottare eventuali contromisure da opporre al rapido avvicinamento di Helsinki alla NATO, nel 2022-2023 la Russia ha ritirato le proprie unità dalle basi dei Distretti Militari Occidentale e Settentrionale vicine alla Finlandia. Quindi, mentre si sostiene che la vaga prospettiva dell’adesione dell’Ucraina alla NATO abbia provocato la più grande guerra in Europa dal 1945, l’effettiva, reale adesione della Finlandia al Patto Atlantico non ha generato alcuna risposta militare – o materiale – significativa da parte della Russia. 


Un esempio istruttivo del comportamento della Russia nei confronti delle ex repubbliche sovietiche è il trattamento riservato alla Moldova fin dai primi anni ’90, quando Putin era ancora un funzionario di poco conto a San Pietroburgo. Nel 1992, il comandante della 14a Armata russa, il defunto Aleksandr Lebed’, giustificò l’intervento delle sue truppe nel conflitto interno moldavo sostenendo che il nuovo governo della repubblica si stava comportando peggio delle SS di mezzo secolo prima. In questo modo, e con più di trent’anni di anticipo, Lebed’ fornì a Putin la spiegazione cui sarebbe ricorso per invadere l’Ucraina nel 2014 e nel 2022. La conseguenza del sostegno militare russo ai separatisti filorussi in Moldavia fu il consolidamento di uno pseudo-stato separatista, la cosiddetta Repubblica Moldava della Transnistria. 


Per risolvere la questione, negli anni ’90 Chişinău e l’Occidente fecero esattamente quello che dal 2014 molti osservatori non ucraini consigliano a Kyiv, Washington e Bruxelles: la Moldova avviò negoziati con la Russia e coinvolse nella risoluzione del conflitto organizzazioni internazionali come l’OSCE. L’Occidente non impose sanzioni economiche alla Russia né sostenne la Moldova fornendole armi.


Nel 1994, dunque, Chişinău firmò un accordo con Mosca, che dal canto suo si impegnava a ritirare le truppe russe dalla Moldova. Nell’articolo 11 della nuova costituzione adottata quello stesso anno, inoltre, la Moldova si definì “paese non allineato”, scongiurando con ciò qualunque possibilità di adesione alla NATO. Ebbene: con la costituzione moldava del 1994 ancora in vigore, i negoziati e le iniziative bi- e multilaterali per risolvere il conflitto della Transnistria non si fermano da trent’anni, e i residuati della 14a armata di Lebed’, ora ribattezzata “Gruppo Operativo delle Truppe Russe”, sono ancora sul territorio della Transnistria, dove continuano a sostenere lo pseduo-regime separatista neosovietico locale, che gode di perfetta salute.


Conclusioni


I fatidici eventi del febbraio-marzo 2014 in Crimea non sono stati né una rivolta locale, né la cessione pacifica di una parte di territorio, né la reazione inevitabile di Mosca a una provocazione ucraina. Sono figli del nazionalismo e dell’espansionismo imperialista russo.


L’occupazione della penisola sul Mar Nero da parte delle truppe regolari russe è stata un’operazione pianificata con largo anticipo e, già di suo, un’invasione militare su larga scala. Questo atto violento e armato ha portato a un’illecita espansione del territorio della Federazione Russa a spese dell’Ucraina e ha segnato l’inizio della guerra ora in corso. 


La limitazione iniziale all’uso di mezzi militari da parte di Mosca non è da considerarsi la prova della riluttanza del Cremlino a un’escalation del conflitto. All’epoca la cautela russa mirava, piuttosto, a trarre il massimo vantaggio dall’instabilità interna ucraina durante l’ultima fase dell’Euromaidan. Lo scopo della pur relativa cautela del febbraio-marzo 2014 era quello di smorzare la risposta dell’Ucraina e dell’Occidente all’aggressione armata. 


In certa misura, una simile strategia risulta efficace a tutt’oggi, dato che molti osservatori considerano il febbraio del 2022, e non quello del 2014, la data di inizio della guerra russo-ucraina. Con queste premesse, non possiamo che sollecitare la necessità di ulteriori ricerche giornalistiche, accademiche o d’altro genere sulla preparazione, lo svolgimento e le conseguenze dell’attacco russo all’Ucraina all’inizio del 2014. Nelle loro considerazioni scritte e orali sulla guerra, i commentatori politici, gli accademici e la società civile dovrebbero avere cura di identificare correttamente la data del suo inizio. Analogamente, nelle loro dichiarazioni pubbliche e private i politici, i diplomatici e chiunque sia interessato al futuro dell’Ucraina dovrebbero insistere sempre, inesorabilmente e con estrema coerenza sul fatto che la guerra russo-ucraina sia iniziata con l’occupazione armata della Crimea nel febbraio 2014. 


Come disse, banalmente, Carl Sagan: “Per capire il presente, bisogna conoscere il passato”.

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