Grigorij Sinčenko, detenuto ucraino in Russia: “Non ho cercato di uccidermi, mi sono tagliato le vene per protesta”

Il racconto dal carcere di Rostov sul Don, in cui è in detenzione preventiva: "Ho usato il mio sangue come inchiostro per descrivere le torture sulle pareti della cella". Il Tribunale militare del distretto meridionale lo accusa di “spionaggio e sabotaggio” e di 40 altri reati commessi sul territorio della cosiddetta Repubblica popolare di Donec’k..

(Foto di engin akyurt su Unsplash)

(a cura di Media Initiative for Human Rights; traduzione di Axel Fruxi)


21 novembre 2023 
alle 12:33


A Rostov sul Don sono attualmente sotto processo presso la corte militare del distretto federale meridionale della Federazione Russa 22 prigionieri di guerra ucraini, tra cui 8 donne. La maggior parte di loro ha militato o ha lavorato con mansioni non militari nel battaglione ucraino Azov. Gli imputati ucraini sono accusati di reati quali la “presa del potere con la forza” (art. 278 del Codice penale della Federazione Russa), “partecipazione a organizzazione terroristica” (art. 205.5), “partecipazione ad addestramento finalizzato ad attività terroristiche” (art. 205.3). Questi reati comportano pene che vanno dai quindici anni di carcere duro fino all’ergastolo. Inizialmente gli imputati erano 24, ma nell’estate 2023 due di loro sono stati rilasciati in uno scambio di prigionieri. Nelle carceri russe si trovano molti cittadini ucraini deportati con la forza: si tratta di soldati fatti prigionieri e di civili rapiti nei territori occupati dalla Russia. Non è quasi mai possibile stabilire dove siano detenuti. In alcuni casi vengono sottoposti a procedimenti penali: durante i processi la stampa è praticamente assente, ma gli attivisti di Memorial cercano di essere presenti e di tenere i contatti con i detenuti. L’organizzazione ucraina Media Initiative for Human Rights (MIHR, o MIPL nell’acronimo in ucraino) ha raccolto informazioni sui cittadini ucraini detenuti dalla Russia sia sul territorio della Federazione, sia nelle regioni ucraine occupate, sia in Bielorussia. MIHR ha creato questa mappa che mostra più di cento località in cui gli ucraini sono rinchiusi. MIHR stima che nella primavera 2023 i civili ucraini tenuti in prigione in Russia potessero essere quasi 7000, ma i numeri rimangono incerti. Quella che segue è la traduzione dell’intervista fatta da Memorial al cittadino ucraino Grigorij Sinčenko, che si trova in detenzione preventiva (il cui termine è stato prorogato al 29 dicembre 2023) nel carcere di Rostov sul Don. Sinčenko ha risposto in tribunale alle domande. Il Tribunale militare del distretto meridionale lo accusa di “spionaggio e sabotaggio” e di 40 altri reati commessi sul territorio della cosiddetta Repubblica popolare di Donec’k.


Prima di tutto: come sta, come si sente? In carcere non si sta mai bene, è chiaro, ma in quali condizioni è detenuto? Subisce pressioni psicologiche e/o fisiche? Può ricevere pacchi e corrispondenza? Riceve assistenza medica se ne ha bisogno?


Sinčenko: Sono abituato all’ambiente del carcere. In base alla mia esperienza, nelle carceri russe i cittadini ucraini sono detenuti in condizioni peggiori. In celle con dieci brande soltanto vengono stipate fino a quindici-diciotto ucraini (le persone in più dormono per terra, su un materasso) che beneficiano raramente dell’ora d’aria (al massimo due volte a settimana). Al vitto manca spesso la zuppa o il pane. Le richieste inviate per iscritto dai detenuti al direttore del carcere non vengono protocollate o vengono semplicemente ignorate, quindi è molto difficile ottenere una visita medica. Le guardie carcerarie non hanno usato la forza contro di me, ma altri prigionieri (qui e a Donec’k) sono stati picchiati per un tatuaggio “sbagliato” e per essersi rifiutati di cantare l’inno russo. Negli oltre cinque mesi da cui mi trovo nel centro di detenzione preventiva di Rostov, il funzionario garante non ha mai visitato le celle per controllare le condizioni di detenzione. La sera del 2 ottobre 2023 io e i miei compagni di cella abbiamo sentito che un uomo veniva picchiato nel corridoio.


Prima del trasferimento a Rostov le condizioni di detenzione erano diverse?


La differenza tra il centro di detenzione preventiva di Rostov, dove mi trovo ora, e quello di Donec’k è che qui c’è l’acqua calda in ogni cella. Per il resto, la brutalità e il menefreghismo dell’amministrazione sono identici. Nel carcere n° 12 di Donec’k le guardie Olincevič e Timofeev picchiavano sistematicamente i prigionieri di guerra ucraini, costringendoli a cantare ogni giorno l’inno russo, col funzionario garante Tokarev che copriva i colleghi dal punto di vista legale. Quando ho presentato un reclamo per questi comportamenti alle autorità del carcere di Donec’k, Tokarev ha aperto un’inchiesta sulla mia iniziativa. Il direttore Kovalëv era al corrente dei fatti e li approvava.


Che atmosfera c’è in cella? Chi sono i suoi compagni, che rapporto ha con loro? L’atteggiamento loro e dei dipendenti del Servizio penitenziario federale è forse influenzato dai crimini di cui lei è accusato e dalla sua nazionalità?


I miei compagni di cella sono ucraini di Cherson e Melitopol’, sospettati dall’esercito russo di collaborazione con quello ucraino. Sono stati rapiti, portati in Russia, picchiati e torturati con l’elettricità e infine accusati di reati penali.


Com’è la sua vita quotidiana, cosa fa di solito durante la giornata?


I giorni in prigione sono tutti noiosi, dal primo all’ultimo. Non abbiamo la televisione o la radio in cella, leggiamo vecchi libri sovietici presi dalla striminzita biblioteca del carcere (Šolochov, Furmanov, ecc.), aspettiamo con ansia di ricevere notizie e giornali recenti, e la fine di questo impazzimento generalizzato. Cerco di studiare le leggi per difendermi sul piano giuridico. I miei compagni di cella si dedicano a varie attività: chi studia il francese, chi la Bibbia…


Abbiamo letto su certi media che lei avrebbe tentato il suicidio: può dirci qualcosa di più? È successo dopo il 2020, giusto?


Non ho cercato di uccidermi. Nell’estate del 2020 i funzionari del Centro di lotta alla criminalità organizzata della Repubblica popolare di Donec’k mi hanno portato via dal carcere con la testa coperta da un sacchetto; picchiandomi, e usando il sacchetto per soffocarmi (pratica diffusa nella Repubblica popolare di Donec’k), hanno ottenuto che firmassi la rinuncia scritta all’assistenza dell’avvocato difensore mandato dai miei parenti.


Mi sono tagliato le vene in segno di protesta; usando il sangue come inchiostro ho descritto le torture sulle pareti della cella.


Mi sono anche rivolto alla procura della Repubblica popolare di Donec’k ma senza risultato, dato che è in combutta con il Ministero dell’Interno e si sforza di coprire qualunque eccesso o crimine della polizia, torture incluse.


È disposto a dire qualcosa sul processo in corso e sulle accuse? Si riconosce colpevole? Cosa pensa delle udienze che si sono già tenute, e del fatto che c’è un pubblico che vi assiste?


Al momento nel processo si stanno esaminando le prove, che per lo più sono confessioni ottenute sotto tortura, registrate anche in video.


Per estorcermi queste confessioni i funzionari del Centro di lotta alla criminalità organizzata mi hanno tenuto per due settimane in un luogo non identificato, esterno al carcere, dove mi hanno picchiato, impedito di dormire e torturato con scosse elettriche.


Il procuratore Karceva ha supervisionato l’incriminazione penale e le indagini, ed è al contempo testimone e parte lesa. Il procuratore Docenko, che ha partecipato al processo, si è opposto alla richiesta del tribunale di fornire prove a difesa e cerca in tutti i modi di impedire che la verità venga accertata. Spivak, procuratore della Repubblica popolare di Donec’k, prima del verdetto mi ha già definito pubblicamente un “assassino”. Da parte mia, non mi riconosco colpevole.


Le è consentito ricevere pacchi e visite di parenti? 


In quattro anni il tribunale mi ha permesso due volte di parlare con mia sorella per trenta minuti: al telefono, con un vetro in mezzo. Quanto alla corrispondenza, è uno scandalo. I messaggi inviati tramite Zonatelecom [sito e applicazione che permette di mandare denaro o lettere ai detenuti nelle carceri russe – n.d.r.] vengono trattenuti a lungo dall’amministrazione: da due settimane a un mese, mentre per legge dovrebbero essere controllati nel giro di tre giorni. Ai detenuti non viene comunicato se un eventuale messaggio inviato con Zonatelecom è stato bloccato dalla censura, e lo stesso vale per le lettere spedite con il servizio postale russo. Come se non bastasse, il servizio di Zonatelecom (che funziona così male) è a pagamento.


Le piacerebbe che le scrivessero i volontari che si interessano al suo caso? Forse vorrebbe notizie su certi argomenti, e quali? Abbiamo sentito che è appassionato di economia, filosofia, psicologia e storia.


Ho ricevuto due lettere da volontari […], ma non sono ancora riuscito a farmi dare i francobolli per l’estero (non li ho ancora ricevuti). Al momento vorrei soprattutto sapere se in Russia esistono dei “sindacati” per i detenuti, delle associazioni che difendano collettivamente i loro diritti. Se così non fosse, mi interessa la procedura per creare un sindacato o un’associazione pubblica, vorrei sapere le leggi che lo regolamentano, ecc. Di fatto l’attuale Regolamento interno del centro di detenzione preventiva contraddice la Costituzione della Federazione Russa. Per esempio, specifica gli oggetti che il detenuto è autorizzato a possedere, ma non quelli che sono vietati; in questo modo le autorità possono impedirgli di tenere con sé oggetti del tutto innocui come il bianchetto per la penna o una gomma. Vorrei anche poter avere una corrispondenza con volontari che abbiano una formazione giuridica, poiché vedo raramente gli avvocati e non sempre ho il tempo di far loro domande su ciò che mi interessa. Altri detenuti mi hanno consigliato il Manuale dei detenuti e dei loro parenti di Andrej V. Babuškin e Andrej V. Majakov; sarei grato se qualcuno mi aiutasse a procurarmelo.

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