(nella foto: Marija L’vova-Belova e Vladimir Putin nel marzo 2022; fonte: Kremlin.ru, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons)
(di Antonio Ferrara, storico)
23 ottobre 2023
Aggiornato alle 12:26
Antonio Ferrara è uno storico che si è occupato di storia delle migrazioni forzate e della violenza di massa nell’Europa contemporanea ed è l’autore, con Niccolò Pianciola, di L’età delle migrazioni forzate. Esodi e deportazioni in Europa, 1853-1953. Attualmente lavora come funzionario amministrativo-gestionale presso la Scuola Superiore Meridionale a Napoli.
Nel settembre di quest’anno, in un discorso tenuto nel corso di un evento pubblico tenutosi a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Olena Zelenska, moglie del presidente ucraino, ha dichiarato di possedere prove dell’allontanamento forzato di non meno di 19.500 minorenni ucraini, di fatto deportati in Russia, dei quali solo 386 sono stati finora riportati alle loro case (la parte relativa ai minorenni deportati va dal minuto 2:00 al minuto 3:41 nel video dell’intervento di Zelenska).

Di President.gov.ua, CC BY 4.0, Collegamento
Sei mesi prima, in marzo, la Corte Penale Internazionale aveva già spiccato un mandato di cattura a carico del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Quest’ultimo è stato accusato di aver violato i paragrafi a/vii e b/viii dell’art. 8, c. 2 dello statuto della Corte stessa, che fanno della “deportazione o trasferimento illecito” dei civili da un territorio occupato, da parte della potenza occupante, un crimine di guerra e una grave violazione della Convenzione di Ginevra dell’agosto 1949. Un altro mandato di cattura è stato spiccato a carico di Marija Alekseevna L’vova-Belova, che ricopre la carica di responsabile dei diritti dei minori nell’Amministrazione presidenziale della Federazione Russa (incarico grosso modo equivalente a quello dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza nell’ordinamento italiano). In un comunicato stampa emesso in coincidenza con l’emissione dell’ordine di arresto, la Corte ha precisato che “ci sono motivi fondati per ritenere che i sospettati siano responsabili del crimine di guerra di deportazione illecita e illecito trasferimento di popolazione dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa a danno di minorenni ucraini” (il corsivo è mio).

(foto: Kremlin.ru, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons)
Del trasferimento più o meno forzato di questi ultimi si è parlato sin da pochi mesi dopo l’inizio del conflitto anche nello spazio di Memorial Italia su questo sito, e sui fatti esistono ormai numerose testimonianze riportate in un gran numero di articoli di stampa (per esempio sul New York Times, su The Guardian, Associated Press, o il Washington Post; anche la stampa italiana si è occupata della cosa, per esempio Avvenire e il Corriere della Sera) e in svariati reportage sia radiofonici che televisivi: tra gli altri quelli della RAI e di Vice News. Minori informazioni sono, a oggi, disponibili riguardo ai minorenni ucraini trasferiti in Bielorussia, argomento di cui la stampa si è comunque occupata nelle ultime settimane. La ricostruzione più autorevole attualmente disponibile resta ancora quella dello Humanitarian Research Lab della Yale School of Public Health, pubblicata a febbraio 2023.
La maggior parte dei minorenni ucraini trasferiti a forza nella Federazione Russa si sono ritrovati in strutture dove sono stati sottoposti a quella che viene definita “rieducazione” – vale a dire un orientamento in senso pro-russo delle loro opinioni politiche e personali, effettuato in un contesto in cui sono trattenuti contro la loro volontà e contro quella delle loro famiglie.
Tale “rieducazione” dei singoli pare essere parte integrante di una politica basata sull’assunto che “russi e ucraini sono un solo popolo”, come argomentato da Putin in un suo saggio dell’estate 2021, ed è volta di fatto a sottoporre quanti non lo condividono a una sorta di “conversione forzata” di carattere politico-nazionale anziché religioso. Come ha sostenuto Andrea Graziosi in un lavoro recente, se portata alle estreme conseguenze, tale politica implicherebbe l’estinzione dell’intera comunità nazionale ucraina e il suo “riassorbimento” in quella russa. In questa luce, dunque, il trattamento riservato ai minorenni ucraini deportati in Russia appare come l’anticipazione di politiche che il regime di Putin aveva intenzione di mettere in atto nell’eventualità di una vittoria militare avente per conseguenza una occupazione dell’Ucraina ancora più estesa di quella ora in essere. Del resto, le regioni effettivamente occupate risulta siano state soggette, e probabilmente lo sono tuttora, a politiche di “nazionalizzazione” per certi versi simili a quelle che hanno avuto luogo in tante “terre di confine” europee contese fra opposti nazionalismi nella prima metà del XX secolo.
In molti casi, di fatto bambini e ragazzi sono stati portati in Russia con l’inganno, dopo che le loro famiglie avevano acconsentito a farli partecipare a “campi estivi” oppure a che fossero condotti in località più sicure e lontano dalla linea del fronte. In un caso (comprovato da una videoregistrazione effettuata da telecamere di sorveglianza) soldati russi a volto coperto hanno fatto irruzione in un centro per minori vulnerabili richiedendo la lista di questi ultimi; in questa occasione il personale del centro stesso è riuscito ad eludere le richieste e ad evitare che i ragazzi venissero portati in Russia, ma è difficile dire se si sia trattato o meno di un episodio isolato. Vi sono stati inoltre casi di minorenni giunti in Russia ad opera di loro parenti (naturali o adottivi) sostenitori del regime (almeno a detta di altri componenti della famiglia, cfr. dal min. 12:25 al min. 14:05 del video linkato), le cui vicende sono state quindi condizionate da fratture rese insanabili dal conflitto in corso.
In altri casi i minorenni sono trattenuti in Russia in violazione dell’impegno a farli ritornare alle loro case dopo un determinato periodo di tempo – che peraltro pare sia stato rispettato in molti casi, ma non in altri: non è pertanto chiaro se vi sia un criterio in base al quale alcuni vengono trattenuti e altri no. Altri minori sono stati allontanati da orfanotrofi e case-famiglia ucraine e affidati a famiglie russe – la stessa L’vova-Belova ha dichiarato pubblicamente (peraltro in un’intervista rilasciata a Vice News dopo essere stata incriminata dalla Corte Penale Internazionale, cfr. dal min. 5:00 al min. 6:15 nel video linkato) di aver adottato un adolescente di Mariupol’ e di essersi adoperata non senza successo a “convertirlo” ideologicamente.
In diversi casi, ai genitori che hanno accettato di far partecipare i loro figli ai “campi estivi” è stato richiesto di firmare documenti legali che, in sostanza, equivalgono a procure a beneficio di terzi non identificati. Nei campi estivi, bambini e ragazzi sono stati coinvolti in attività che vanno dalla semplice proposta di iscriversi a università russe fino a quello che la televisione russa ha definito “addestramento militare e patriottico”. Si tratta di fatto dello sforzo di instillare quella che può essere definita un’ideologia nazionalista russa, a volte anche con mezzi violenti, come per esempio nei confronti dei minorenni ucraini portati in Crimea. Nelle parole di un testimone:
«Ho cominciato ad avere paura quando, la sera del 21 ottobre 2022, mi hanno detto che non potevo più avere opinioni mie, dovevo smettere di pensare e invece unirmi al loro coro delle canzoni nazionaliste russe. Poi ho visto che picchiavano chi non cantava con un tubo di gomma dura e allora ho capito che non eravamo più ospiti in vacanza: ormai si era diventati tutti prigionieri».
Altre testimonianze invece riportano pressioni psicologiche anziché violenze fisiche. Come ha riportato una quindicenne intervistata dopo il ritorno a casa (ai minuti 14:45-15:15 e 17:15-17:35 del video linkato):
«il primo mese è andato tutto bene come un normale campo estivo… c’erano le attività, la discoteca per noi ragazzi… poi ci hanno detto che non saremmo potuti tornare a casa perché c’era la guerra… me l’hanno detto, “se i tuoi genitori non vengono a prendervi vi diamo a famiglie russe”… ci dicevano continuamente che in Russia si stava benissimo e la nostra vita sarebbe stata molto più bella lì».
Molti minorenni sono semplicemente fuggiti e/o sono stati riportati a casa dai genitori – generalmente dalle madri, dal momento che agli uomini ucraini in età militare è proibito lasciare il territorio nazionale – o da altri parenti, quasi sempre dopo vere e proprie odissee motivo di grande dispendio di risorse anche materiali (di cui molte delle famiglie interessate non dispongono) e che hanno talora implicato scelte a dir poco strazianti. In un caso, un tredicenne ucraino è stato riportato a casa dalla sorella maggiore appena diciottenne; un’altra diciottenne è riuscita a fare lo stesso col fratello minore, affidato ad una famiglia russa, nonostante l’opposizione di quest’ultima (la sua testimonianza è dal minuto 8:00 al minuto 11:40 del video linkato). Inevitabilmente, non mancano i casi di genitori non in grado di fare quanto serve, o di orfani che non hanno famiglie cui ritornare e dichiarano di trovarsi bene con le famiglie adottive russe. In altri casi, è stata determinante l’azione dell’organizzazione non governativa Save Ukraine, che ha fornito assistenza legale e materiale alle famiglie, organizzando il rientro dei minori e fornendo loro, successivamente, anche il necessario supporto psicologico.
Meno si sa della situazione degli orfani e dei minori dati in adozione (che a volte orfani non sono). Risulta, però, che agli aspiranti genitori adottivi venga richiesto di sottoporsi a “corsi propedeutici”: i suddetti includono un indottrinamento ideologico nazionalista che, si suppone, dovranno a propria volta impartire agli adottati. In più, pare che vi siano stati casi non proprio sporadici di minori che le famiglie affidatarie hanno a un certo punto riportato in orfanotrofio, per esempio dopo aver scoperto che erano affetti da patologie più o meno gravi (come spiega ad es. il rapporto redatto da un’organizzazione ucraina per la difesa dei diritti umani intitolato Forced Deportation of Children into the Russian Federation, in particolare alle pp. 25-27 e 29-31). Nel maggio 2022, un decreto presidenziale ha semplificato le procedure per il conferimento della cittadinanza russa a “orfani e minori privi di cure parentali” provenienti dall’Ucraina – un provvedimento che si ritiene miri a facilitare le adozioni di minorenni ucraini da parte di famiglie russe e che può essere considerato parte integrante di una politica della cittadinanza che da anni la Federazione Russa conduce in maniera “aggressiva”, usandola per incrementare di numero la propria popolazione e per sbandierare la “difesa” dei propri cittadini “oppressi” dalle potenze straniere – come accaduto con la distribuzione di passaporti russi in aree sotto giurisdizione ucraina, per esempio nel Donbas. Tali misure, per altro, andrebbero esaminate anche nel contesto delle politiche “pro-nataliste” volte a contrastare la crisi demografica russa recentemente aggravata dalla pandemia di COVID-19 che il regime di Putin persegue ormai da tempo con una certa coerenza, anche se senza grande successo. Per inciso, il fatto stesso che, pur di incrementare la popolazione russa, sia ritenuto ammissibile quello che è di fatto un sequestro di massa di minori ucraini volto a farne futuri cittadini russi, dà la misura dell’importanza che il regime di Putin dà alla questione demografica e, evidentemente, della mancanza di scrupoli dello stesso fautore.
In questo momento è ovviamente difficile dire come potrà evolversi questa triste vicenda; se molto dipenderà, ovviamente, dall’esito finale del conflitto tra Russia e Ucraina, già oggi il destino dei minorenni ucraini deportati in Russia risulta oggetto dell’attenzione delle diplomazie di Turchia e Arabia Saudita (impegnate in una delicata mediazione su questo specifico argomento) nonché di un’iniziativa analoga da parte del Vaticano, di cui ha parlato anche il papa stesso e nell’ambito della quale ha avuto luogo il controverso viaggio a Mosca del cardinale Zuppi nel giugno 2023. Ulteriori attività analoghe sono molto probabilmente in corso in forme ancor più riservate, come mostra il fatto che a metà ottobre 2023 quattro minorenni ucraini hanno fatto ritorno alle rispettive famiglie dopo una trattativa mediata dal Qatar.
L’attenzione della politica e dell’opinione pubblica sull’argomento è oggi, insomma, maggiore rispetto a un anno fa, e non è improbabile che crescerà ulteriormente nei prossimi mesi: perfino il presidente degli Stati Uniti – peraltro in occasione di un discorso trasmesso in TV in prima serata – ha menzionato “migliaia e migliaia di bambini ucraini portati a forza in Russia e sottratti ai loro genitori” fra le “tragedie e brutalità inflitte al popolo dell’Ucraina” dopo l’inizio dell’invasione, e la vicenda è diventata oggetto di un romanzo di Marc Levy. Quello che già ora si può dire con certezza è che uno sforzo per ritrovare e riportare alle loro case i minorenni ucraini attualmente trattenuti nella Federazione Russa sarà difficilmente fattibile senza la cooperazione delle autorità di quest’ultima, sia essa conseguente a un cambio di politica interna, o imposta dalle circostanze di una sconfitta militare. In questa seconda ipotesi, non possono essere escluse gravi conseguenze legali a carico delle persone coinvolte in queste operazioni; il contesto giuridico in cui esse hanno luogo, così come i loro antecedenti storici, necessiterebbe però di un’analisi a parte.