Voci dalla guerra: Maksym Vajner

Maksym Vajner è un volontario che si adopera per fornire soccorso. Mentre cercava di portare in salvo una donna ferita, l’auto su cui viaggiava è stata colpita da un missile. Il volontario statunitense che era con lui, Pete Reed, è morto sul colpo. Maksym ha riportato diverse lesioni, ma continua a prestare la sua opera, in forme diverse.

Voci dalla guerra. Maksym Vajner, volontario: “A un passo dalla morte”.

Maksym Vajner è un volontario che si adopera per fornire soccorso. Mentre cercava di portare in salvo una donna ferita, l’auto su cui viaggiava è stata colpita da un missile. Il volontario statunitense che era con lui, Pete Reed, è morto sul colpo. Maksym ha riportato diverse lesioni, ma continua a prestare la sua opera, in forme diverse.

Serhij Okunjev lo ha intervistato. Questa testimonianza mette in luce le difficili condizioni dei volontari, il rischio che scelgono di correre i cittadini stranieri accorsi da varie parti del mondo perché colpiti profondamente dall’atrocità del conflitto.

L’intervista è stata realizzata nell’ambito del progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”).

Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli in italiano è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo.

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.

A un passo dalla morte. La storia del volontario Maksim Vajner

Serhij Okunjev

24.08.2023

Maksym Vajner faceva parte di una squadra internazionale che sfollava feriti dalla zona di Bachmut. Mentre cercavano di aiutare una donna ferita in un bombardamento, un missile russo ha colpito la loro auto. Maksim ha riportato varie ferite, mentre il suo collega, il medico volontario statunitense Pete Reed, è morto.

È dall’inizio dell’invasione che, di fatto, vivo a Zaporižžja. La maggior parte degli sfollati dalle zone occupate, all’inizio soprattutto da Mariupol’, è passata tutta da lì. Io facevo il volontario nello hub centrale, da cui passavano tutti. Gli sportelli per l’assistenza, il coordinamento, il sostegno alle persone: era tutto lì. Abbiamo collaborato molto con gli stranieri. In autunno ho partecipato a un piccolo giro di volontari a Kyiv, L’viv e Odessa. Ero il coordinatore, ho organizzato parecchie cose.

Un mio conoscente era fisso a Kramators’k con la sua ong. Si occupavano di far sfollare i civili e di portare aiuti: cose standard, normali. Subito dopo capodanno mi ha detto che sarebbe arrivata la squadra di una ong statunitense, Global Outreach Doctors, per sfollare feriti e fornire assistenza medica ai militari e ai civili. Avevano bisogno di qualcuno che facesse da coordinatore e interprete: una persona sola, in organizzazioni così piccole tutti fanno un po’ di tutto, e io ho anche una formazione medica di base. Così abbiamo iniziato a sfollare i feriti e ad aiutare i militari, coordinandoci con i loro medici. Tutto questo succedeva a Soledar, in direzione Bachmut.

La situazione era difficile e lo è ancora; per questo avevamo due ambulanze per il pronto soccorso, moderne, niente male. Britanniche, se ricordo bene. Giravamo i centri abitati della regione per fornire assistenza medica e vedere come stavano le cose.

Siamo passati da Sivers’k: scioccante. Era una città morta, eppure ancora ci abitano, a quanto ne so.

Ci abbiamo trovato un ospedale funzionante. C’erano rimasti solo il vicedirettore, un medico, un’infermiera… e poi quattro, di tutto il personale. In condizioni tremende: senza elettricità, senza niente. Siccome avevano un gruppo elettrogeno, abbiamo promesso di fargli avere del carburante per farlo funzionare. Siamo anche riusciti a portare delle medicine. Erano eroi, non c’è che dire. Il Ministero della sanità non li aiutava quasi per niente. Li avevano abbandonati a sé stessi. È anche vero che non conosco i dettagli. Magari avrebbero dovuto lasciare l’ospedale, non so. Invece stavano lì e lavoravano: avevano pazienti anziani, c’era stato un parto da poco…

In complesso, più ci si avvicinava alla zona dei combattimenti, peggio stavano le cose. Prendete Paraskovijivka: disgrazie continue. All’inizio la gente era rimasta, ma poi era c’era stato un tale armageddon, che tutti volevano scappare. Un paio di volte abbiamo dato un passaggio a dei civili che da Paraskovijivka, a piedi per l’autostrada, volevano arrivare a Kramators’k o altrove. Un’altra volta abbiamo incontrato una famiglia in bici: “Aspettate, vi diamo un passaggio”. Erano in quattro. A Slov’jans’k c’era un punto di accoglienza nell’ospedale n. 1. Li abbiamo portati lì, li abbiamo aiutati a sbrigare le formalità, ci siamo assicurati che tutto fosse a posto. Un’altra volta a camminare per strada, di notte, era un uomo. Quel giorno un missile aveva centrato casa sua e lo aveva ferito: non gravemente, ma sempre ferito era. Aveva deciso di andarsene, e abbiamo dato un passaggio anche a lui.

 

Fotografia di Maksym Vajner a mezzo busto
Maksym Vajner, volontario

A Bachmut non è andata tutta la nostra squadra, solo quattro persone. All’inizio eravamo solo Pete e io, poi qualche settimana dopo sono arrivati un ragazzo di nome Roma e un’infermiera statunitense, Ray. Noi quattro e l’autista, un australiano. Siamo andati a Bachmut per vedere che aria tirava. E per mettere in piedi una qualche forma di assistenza medica, dato che per i civili non c’era assolutamente nulla. A Bachmut, se eri un civile e ti succedeva qualcosa, l’unica speranza era che ti portassero via. Basta. E per vari motivi, spesso le forze armate non possono occuparsene. Oppure può succederti qualcosa quando non c’è nessuno intorno, e allora chi saprà che hai bisogno di aiuto? Perciò volevo dare una mano.

Siamo capitati anche in uno dei “punti di sostegno alla popolazione”, che all’epoca esistevano ancora. Ce n’erano cinque, adesso non so quanti ne siano rimasti. Il nostro era vicino alla stazione degli autobus di Bachmut. Mentre sbrigavamo qualche faccenda e chiacchieravamo con la gente, è arrivato di corsa un militare ucraino: non lontano c’era stato un bombardamento e c’erano dei civili feriti. Cercava aiuto, cercava un medico. Abbiamo deciso di andare. Noi e un’altra squadra di medici stranieri con due norvegesi e un estone. Noi avevamo due veicoli: l’auto dove eravamo io, Pete e Ray, e una sorta di minivan con l’australiano e Roma. Siamo arrivati sul posto del bombardamento. Effettivamente una signora anziana, forse sulla settantina, era stesa sul bordo del marciapiede. Perdeva molto sangue. Vicino a lei c’era un uomo [un civile], che di anni ne avrà avuti una cinquantina. A prima vista non sembrava ferito gravemente, e infatti cercava di aiutare la donna.

L’australiano ha parcheggiato il minivan un po’ più in là. Noi ci siamo avvicinati più possibile alla signora. Con la nostra Mercedes Vito. L’estone ha fatto scendere i due norvegesi ed è andato a parcheggiare: non bisogna mai lasciare le auto vicine. E infatti poco dopo, mentre si allontanava, la videocamera che aveva a bordo avrebbe ripreso qualche fotogramma dell’impatto del missile. Nel frattempo eravamo tutti scesi dalle auto: i medici, Pete, Ray e qualcun altro. I norvegesi erano corsi ad aiutare la signora, che ormai aveva quattro o cinque persone attorno. Poiché non c’era bisogno di me, sono rimasto da una parte a osservare quel che succedeva.

Un attimo dopo è arrivato il missile. Non era una bomba da mortaio, era un Kornet: un missile guidato anticarro di produzione russa.

Ha centrato in pieno la nostra auto. Lo scoppio ha ucciso Pete. Sul momento neanche me ne sono reso conto, ma poi mi hanno detto che erano cadute anche una decina di bombe da mortaio. Già.

Auto e case danneggiate da esplosione
L’impatto del missile, schermata dal video ripreso da Erko Laidinen, volontario dell’organizzazione Frontline Medics

Ho perso conoscenza per mezzo secondo in tutto. Sono persino rimasto in piedi, mi sono chinato e basta. Quando ho ripreso i sensi ho capito che era successo qualcosa di grave. Ho visto subito che avevo un problema alla gamba, che perdevo sangue. E mi sanguinavano anche la spalla e la faccia. Ero in uno stato decisamente strano (fra virgolette, ovvio). Ho provato a chiedere cos’era successo e ho capito che ci aveva colpiti un missile. Un po’ più in là ho visto l’australiano e il nostro secondo veicolo, il minivan: illesi entrambi. Poi mi sono accorto che per terra c’era un cadavere: era Pete. Ho saputo solo dopo che anche il civile che aveva cercato di aiutare la signora era morto. Ho visto che Roma era vivo, e anche Ray. Ho fatto loro cenno di andare nel minivan: dovevamo radunarci e portare via i sopravvissuti. Siamo saliti tutti nel minivan. Ho chiesto comunque a Roma cos‘era successo a Pete: mi ha confermato che era morto.

Ce ne siamo andati da Bachmut. All’uscita della città c’era un primo posto di blocco. Ci hanno accompagnati all’ospedale da campo di una squadra che stazionava nelle vicinanze, dove ci hanno ricuciti. La cosa buffa è che io e Pete ci eravamo stati cinque giorni prima per delle questioni di coordinamento. Dopo le prime cure ci hanno portati subito a Kramators’k, dove ci hanno operati di nuovo, e il giorno dopo siamo arrivati a Dnipro. Il 2 febbraio il missile, il 4 ero già a Dnipro.

— Perdoni la domanda: siete riusciti a recuperare il corpo di Pete?

— Sì, l’abbiamo recuperato.

—Subito o dopo?

— Forse il giorno stesso, di sera. Quando le cose si sono calmate.

Quando è stata colpita dal missile, l’auto ha preso fuoco. Non è stato un bello spettacolo. Ma abbiamo recuperato il corpo. Poi è arrivata la moglie di Pete, Alex. L’ho incontrata quando hanno portato Pete da Kramators’k a Kyiv per cremarlo secondo le sue volontà. Alex è passata da Dnipro, ci siamo conosciuti, abbiamo parlato un po’. Dopodiché sono andati a cremarlo a Kyiv, e poi, con i resti, sono ripartiti per gli Stati Uniti.

 

Volto di Pete Reed
Pete Reed, foto dal sito dell’organizzazione Global Outreach Doctors

Nessuno viene in Ucraina per i soldi: non ci sono soldi, qui. Qualunque lavoro facciano, gli stranieri guadagnano molto di più a casa loro. Ci ho parlato di persona: sono altri i motivi per cui vengono.

Soffrono per ciò che succede e pensano di poter dare una mano. Vengono qui e qui, spesso, muoiono. Ci sono molte vittime tra i militari, ma anche tra i volontari. Soprattutto tra chi opera nel Donbas.

— Come vanno le cure? Perché si sta ancora curando, giusto?

— Proprio così. La ferita più grande era alla gamba sinistra, una scheggia l’ha passata da parte a parte. Ho anche una frattura al perone. Ma non è una cosa tanto grave. L’osso si rinsalda abbastanza in fretta. La ferita si sta rimarginando, la guarigione procede a dovere. Più o meno. È una bella ferita, però, questo sì. Ho anche varie schegge nella gamba sinistra e nella spalla destra. Ma le ossa sono tutte sane, mi manca giusto qualche pezzo di carne. Ma guarirà anche questo. Da ultimo, ho un barotrauma all’orecchio destro: l’onda d’urto ha perforato il timpano. Proprio ieri mi hanno operato per ricucirlo.

— Ha problemi di udito?

— Sento ancora un fruscio, ma perché mi hanno appena operato. Nel giro di un mese dovrebbe ritornare tutto a posto. Andrà tutto bene.

— Che intenzioni ha?

— Credo che continuerò a lavorare. Già i colleghi mi chiamano. Vedremo.

— Non ha mai pensato che di fatto è stato a un passo dalla morte?

— Proprio così. A un passo davvero. La probabilità che morissi era alta.

— Non ha mai pensato di lasciar perdere?

— Del tutto? Sicuramente no. I modi per aiutare la causa e la società ucraine sono tanti; l’uno o l’altro, servono tutti. Poco ma sicuro. Anche adesso coordino e faccio l’interprete, ma sbrigo tutto al telefono e con il laptop. Non corro più fisicamente a destra e a manca.

E comunque, staremo a vedere.

 

 

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Aleksej Gorinov. L’ultima dichiarazione del 29 novembre 2024.

Il 29 novembre 2024 il tribunale militare di Vladimir ha emesso la sentenza del nuovo procedimento penale contro Aleksej Gorinov, consigliere municipale di Mosca, che è stato condannato a tre anni di reclusione in colonia penale di massima sicurezza per “giustificazione del terrorismo”. La condanna va ad aggiungersi ai sette anni già comminati nel 2022 per “fake news sull’esercito”. Foto di copertina: Dar’ja Kornilova. Foto: SOTAvision. BASTA UCCIDERE. FERMIAMO LA GUERRA. Aleksej Gorinov è avvocato e attivista e dal 2017 consigliere municipale presso il distretto Krasnosel’skij di Mosca. Nei primi anni Novanta era deputato per il partito Russia Democratica, ma nel 1993, durante la crisi costituzionale e il duro confronto tra il presidente El’cin e il Soviet supremo, decide di lasciare la politica. Negli ultimi vent’anni Gorinov ha lavorato come avvocato d’impresa e della pubblica amministrazione in ambito civile e ha fornito assistenza legale agli attivisti tratti in arresto durante le manifestazioni politiche. È fra gli ideatori della veglia-memoriale continua, con fiori e fotografie, sul ponte Moskvoreckij, luogo dell’omicidio di Boris Nemcov. Il 15 marzo 2022, durante un’assemblea ordinaria del Consiglio di zona del distretto Krasnosel’skij, Gorinov deplora pubblicamente l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe esortando “la società civile a fare ogni possibile sforzo per fermare la guerra”. Il 26 aprile viene arrestato ex art. 207.3 del Codice penale russo, noto anche come “legge sulle fake news”. Il tribunale del distretto Meščanskij ritiene che ci siano le prove che Gorinov abbia “diffuso informazioni deliberatamente false su quanto compiuto dalle Forze armate russe”, con le aggravanti di essere “in una posizione ufficiale e per motivi d’odio e ostilità”. Gorinov è il primo cittadino russo a ricevere una pena detentiva per essersi espresso contro la guerra. Già in occasione dell’ultima udienza del primo processo Aleksej Gorinov ha avuto modo, come prevede il sistema giudiziario russo, di pronunciare un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), in altre parole la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a, cui abbiamo avuto modo di dare voce grazie a Paolo Pignocchi e al progetto Proteggi le mie parole. Venerdì scorso, in occasione dell’ultima udienza del secondo processo ai suoi danni, Aleksej Gorinov ha pronunciato una seconda “ultima dichiarazione” che traduciamo in italiano. Sono stato per tutta la vita uno strenuo oppositore di aggressioni, violenza e guerre, e ho consacrato la mia vita esclusivamente ad attività di pace come la scienza, l’insegnamento, la pubblica istruzione e l’attività amministrativa e sociale in veste di deputato, difensore dei diritti umani, membro di commissioni elettorali e osservatore e supervisore del processo elettorale stesso. Mai avrei pensato di vivere abbastanza per constatare un tale livello di degrado del sistema politico del mio Paese e della sua politica estera, un periodo in cui tanti cittadini favorevoli alla pace e contrari alla guerra – in un numero che ormai è di qualche migliaio – vengono accusati di calunnia ai danni delle Forze armate e di giustificazione del terrorismo, e per questo vengono processati. Ci avviamo a concludere il terzo anno di guerra, il terzo anno di vittime e distruzione, di privazioni e sofferenze per milioni di persone cui, in territorio europeo, non si assisteva dai tempi della Seconda guerra mondiale. E non possiamo tacere. Ancora alla fine dello scorso aprile, il nostro ex ministro della difesa ha annunciato che le perdite della parte ucraina nel conflitto armato in corso ammontavano a 500.000 persone. Guardatelo, quel numero, e pensateci! Quali perdite, invece, ha subito la Russia, che secondo le fonti ufficiali avanza con successo costante per tutto il fronte? Continuiamo a non saperlo. E soprattutto, chi ne risponderà, poi? E a che pro succede tutto questo? Il nostro governo e coloro che lo sostengono nelle sue aspirazioni militariste hanno fortemente voluto questa guerra, che ora è arrivata anche nei nostri territori. Una cosa mi verrebbe da chiedere: vi pare che la nostra vita sia migliorata? Sono questi il benessere e la sicurezza che auspicate per il nostro Paese e per la sua gente? Oppure non l’avevate previsto, nei vostri calcoli, un simile sviluppo della situazione? A oggi, però, le risposte a queste domande non si pongono a chi ha deciso questa guerra e continua a uccidere, a chi ne fa propaganda e assume mercenari per combatterla, ma a noi, cittadini comuni della Russia che alziamo la voce contro la guerra e per la pace. Una risposta che paghiamo con la nostra libertà se non, alcuni, con la vita. Appartengo alla generazione ormai uscente di persone con genitori che hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale e, alcuni, le sono sopravvissuti con tutte le difficoltà del caso. La loro generazione, ormai passata, ci ha lasciato in eredità il compito di preservare la pace a ogni costo, come quanto di più prezioso abbiamo noi che abitiamo su questa Terra. Noi, invece, abbiamo snobbato le loro richieste e abbiamo spregiato la memoria di quelle persone e delle vittime della guerra suddetta. La mia colpa, in quanto cittadino del mio Paese, è di avere permesso questa guerra e di non essere riuscito a fermarla. Vi chiedo di prenderne atto, nel verdetto. Tuttavia, vorrei che la mia colpa e la mia responsabilità fossero condivise anche da chi questa guerra l’ha iniziata, vi ha partecipato e la sostiene, e da chi perseguita coloro che si battono per la pace. Continuo a vivere con la speranza che un giorno questo avverrà. Nel frattempo, chiedo perdono al popolo ucraino e ai miei concittadini che per questa guerra hanno sofferto. Nel processo in cui sono stato accusato e giudicato per avere detto espressamente che era necessario porre fine alla guerra, ho già dato piena voce alle mie considerazioni su questa vile impresa umana. Posso solo aggiungere che la violenza, l’aggressione generano solo altra violenza di ritorno, e nulla più. Questa è la vera causa delle nostre disgrazie, delle nostre sofferenze, di perdite senza senso di vite umane, della distruzione di infrastrutture civili e industriali, di case e abitazioni. Fermiamo questo massacro cruento che non serve né

Leggi

Roma, 5 dicembre 2024. Memorial Italia a Più libri più liberi.

Memorial Italia partecipa a Roma all’edizione 2024 di Più libri più liberi con la presentazione di Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione, ultimo volume della collana curata per Viella Editrice. Il regime putiniano e il nazionalismo russo: giovedì 5 dicembre alle 18:00 presso la Nuvola, Roma EUR, in sala Elettra, saranno presentati i volumi, pubblicati da Viella Editrice, Il nazionalismo russo. Spazio postsovietico e guerra all’Ucraina, a cura di Andrea Graziosi e Francesca Lomastro, e Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione, a cura dei nostri Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola. Intervengono Riccardo Mario Cucciolla, Francesca Gori, Andrea Graziosi, Andrea Romano. Coordina Carolina De Stefano. Il volume Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov.

Leggi

Bari, 26 novembre 2024. Proiezione del film documentario “The Dmitriev Affair”.

Martedì 26 novembre alle 20:30, presso il Multisala Cinema Galleria di Bari, Andrea Gullotta, vicepresidente di Memorial Italia, presenta il film documentario The Dmitriev Affair, scritto e diretto dalla regista olandese Jessica Gorter e sottotitolato in italiano. Jurij Dmitriev è uno storico e attivista, direttore di Memorial Petrozavodsk. Negli anni Novanta scopre un’enorme fossa comune in cui sono sepolte migliaia di vittime del Grande Terrore. Nella radura boschiva di Sandormoch, in Carelia, inaugura un cimitero commemorativo e riesce a raccogliere persone di varie nazionalità intorno a un passato complesso e conflittuale. Da sempre schierato contro il governo della Federazione Russa, nel 2014 Dmitriev condanna apertamente l’invasione della Crimea. Da allora inizia per lui un calvario giudiziario che lo porta a essere condannato a tredici anni e mezzo di reclusione. Il documentario di Jessica Gorter, realizzato nel 2023, racconta con passione e precisione la sua tragica vicenda. Gabriele Nissim, ha letto per Memorial Italia l’ultima dichiarazione di Jurij Dmitriev, pronunciata l’8 luglio 2020, come parte del progetto 30 ottobre. Proteggi le mie parole. Irina Flige, storica collaboratrice di Memorial San Pietroburgo, ha raccontato la storia della radura di Sandormoch nel volume Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria, pubblicato da Stilo Editrice e curato da Andrea Gullotta e Giulia De Florio. La proiezione è a ingresso libero ed è uno degli incontri previsti dall’undicesima edizione del festival letterario Pagine di Russia, organizzato dalla casa editrice barese Stilo in collaborazione con la cattedra di russo dell’Università degli Studi di Bari. Quest’anno il festival è inserito nella programmazione del progetto Prin 2022 PNRR (LOST) Literature of Socialist Trauma: Mapping and Researching the Lost Page of European Literature ed è dedicato al concetto di trauma nella cornice della letteratura russa del Novecento sorta dalle repressioni sovietiche.

Leggi