(di Ekaterina Kotrikadze, giornalista; traduzione di K. E.)
22 agosto 2023
ore 12:21
Ekaterina Besikievna Kotrikadze (n. 1984) è una giornalista e media manager russo-georgiana, dal 2020 caporedattrice e conduttrice del canale televisivo all-news russo Dožd’ (“Pioggia”), l’ultimo canale televisivo indipendente in Russia, costretto a trasmettere dall’estero dopo l’invasione russa su larga scala dell’Ucraina iniziata nel febbraio 2022. Il canale ha ricominciato a trasmettere dalla Lettonia nel luglio 2022, ma la sua licenza è stata cancellata a dicembre. Dožd’ ha continuato a trasmettere tramite YouTube e ha ricevuto una licenza di trasmissione dall’Olanda nel gennaio 2023. Il governo russo aveva inserito il canale Dožd’ nel registro degli “agenti stranieri” nell’agosto 2021; la stessa Kotrikadze è stata dichiarata ufficialmente “agente straniero” nell’ottobre del 2022, insieme alla fondatrice di Dožd’ Natal’ja Sindeeva e a decine di altri giornalisti.
Per tanti giornalisti russi, me compresa, il 1° marzo 2022 è stato il giorno in cui tutto è finito: il lavoro che amavamo, la vita a cui eravamo abituati, il paese come lo conoscevamo. La guerra in Ucraina era già in pieno svolgimento e la Duma di Stato già preparava la legge che ci avrebbe proibito persino di pronunciare la parola “guerra”, oltre che di non riportare le stime da parte ucraina di morti e feriti russi. L’obiettivo palese della nuova legge era di bandire qualunque discussione sulle ragioni per cui l’esercito russo si trovasse sul territorio di uno stato sovrano confinante. Di lì a qualche giorno la legge è passata: chiunque violerà le nuove regole si prenderà una condanna fino a 15 anni di carcere.
Il paese più grande del mondo ha sbattuto la porta in faccia alla civiltà. E tutti i media più importanti sono stati costretti a lasciare il paese. Tutti quanti.
Il 1° marzo 2022 sono andata in onda con il mio programma, Kotrikadze degli Affari Esteri. È stata l’ultima volta che il programma è stato trasmesso da Mosca. Uno dei tratti distintivi del mio programma sono gli editoriali. Davanti alla telecamera, faccio dei monologhi piuttosto lunghi analizzando la politica estera, esaminando la posizione della Russia nel mondo e le sue relazioni con i partner esteri. Quella volta, preparando la trasmissione, mi sono messa di fronte al computer e ho capito che non ero in grado di scrivere neanche una parola. Sono stata lì all’infinito, a fissare la pagina vuota sullo schermo. Che cosa dovevo dire agli spettatori? Come potevo parlare della posizione della Russia nel mondo quando in quel preciso momento la Russia stava bombardando i civili? Agli occhi di tutte le persone intelligenti di questo pianeta la Russia è ormai l’incarnazione del male assoluto.
Alla fine, con l’aiuto dei colleghi, ho scelto l’unico argomento plausibile in quelle circostanze. Ho deciso di parlare delle menzogne, e in particolare di quella menzogna suprema che è la politica del governo russo, la stessa che ha segnato il destino della Russia e dell’Ucraina.
Il peggiore incubo di Putin è diventato realtà nel 2014. In Ucraina il popolo libero è sceso in strada e ha dichiarato la propria indipendenza dalla Russia. Poco dopo Mosca si è annessa la Crimea. E subito ci hanno mentito quanto alla presenza di soldati russi nella penisola, o piuttosto ci hanno mentito dicendo che non ce n’erano. Putin stesso ha “scherzato” dicendo che i soldati avvistati in Crimea, i famosi “omini verdi”, avrebbero comprato l’uniforme in un qualche negozietto locale. Ovviamente, si è poi scoperto che gli “omini verdi” erano in realtà le forze speciali russe, come il presidente russo ha poi confermato senza batter ciglio.
Poco dopo l’annessione della Crimea è iniziata la guerra in Donbas. Secondo la versione ufficiale del Cremlino, la Russia non era coinvolta. Le battaglie nell’est ucraino sono continuate senza sosta per tutti gli ultimi otto anni. E quando si sono intensificate, Putin ha finalmente ammesso che l’esercito russo partecipava alle azioni militari. Mentre prima gli esponenti del governo non facevano che ripetere ostinatamente, come un mantra, che non c’erano russi sul campo di battaglia.
La “metodička“, il manuale per bot, propagandisti e politici pro-Cremlino, riporta anche (ovviamente) l’immancabile accusa contro i media indipendenti in Russia – “Dove eravate negli ultimi 8 anni?”- intesa a rimarcare che i media suddetti non si interessavano del destino della gente comune nel Donbas. La versione del Cremlino vuole che i civili dell’est ucraino fossero sotto attacco da parte del governo di Kiev e sperassero ardentemente nell’aiuto della Russia. Ora, col senno di poi, le accuse sono inverosimili, visto e considerato che i giornalisti di professione ricordano bene come tutto è iniziato. Pur non esente da cause interne, il separatismo del Donbas è stato sostenuto dalla Russia per anni, ancora prima del Maidan. E quando è poi deflagrato, la Russia si è fatta prontamente sponsor, ispirazione e, come ama dire il Cremlino, testa dei separatisti. Nonostante l’esperienza tragica della Cecenia e le continue dichiarazioni sulla non-ingerenza negli affari di altri stati sovrani, la Russia ha sostenuto apertamente con parole e azioni una guerra civile sul territorio della più vicina fra le nazioni dell’ex blocco sovietico.
Nel frattempo, le emittenti statali russe sfornavano servizi sulla guerra civile e sulle milizie che combattevano con altruismo e totale autonomia una guerra di liberazione contro Kiev e contro le atrocità del governo ucraino. L’abbattimento del Boeing della Malaysia Airlines nell’estate del 2014 che ha causato la morte di quasi 300 persone è stato il primo segnale serio che la Russia ha dato al mondo, il colpo di avvertimento – per così dire – che avrebbe dovuto far tremare l’Occidente. La squadra investigativa congiunta a guida olandese ha ritenuto che la responsabilità delle azioni dei separatisti del Donbas e di questo atroce crimine commesso a quanto pare per errore sia delle autorità russe (questo si è dedotto, per lo meno, dai report di media e degli investigatori indipendenti), opera di miliziani poco addestrati che pensavano di abbattere un cargo militare ucraino. Ma l’aereo – questa è l’ipotesi degli investigatori – non poteva essere abbattuto senza il benestare di Mosca. La macchina della propaganda russa, invece, ha ovviamente incolpato l’Ucraina. La procedura è sempre la stessa: si sfornano una miriade di versioni diverse, una più folle dell’altra. Nel caso dell’aereo, i complottisti si sono rimboccati le maniche e hanno cominciato affermando che l’abbattimento era stato un tentativo fallito di assassinare Putin, che proprio in quel momento si trovava su un altro volo sulla medesima rotta. O ancora che era stato un piano tramato dagli americani. I complottisti fanno così: cercano di confonderti, di disorientarti e di portarti a dire che “nulla è chiaro”, che “tutto è molto complesso”.
Sono bugie che ci piovono addosso da nove anni. Per tutto questo tempo l’Ucraina è rimasta l’argomento centrale nelle trasmissioni televisive russe. Con gli ospiti dei talk show che inveiscono con la bava alla bocca contro i “fascisti”, che insultano i presidenti, i deputati e i cambiamenti avvenuti in Ucraina dopo le elezioni. A partire dalla primavera del 2021, poi, le menzogne si sono concentrate sulla minaccia rappresentata dalla NATO e in particolare dagli Stati Uniti. All’inizio il nuovo presidente americano non voleva saperne né di Putin né della Russia in generale. Dato che per Washington il problema principale era la Cina, al Cremlino questo atteggiamento è stato considerato un insulto: “Ci state sottovalutando”, questo è stato il messaggio di Putin.
L’ultimo giorno in cui il canale Dožd’ (TvRain in inglese) è andato in onda da Mosca, ho capito che l’unica cosa che potevo fare, l’unica cosa che aveva senso fare, era cercare di dire la verità. E continuare a farlo finché ne avevo le forze e il modo.
Oggi la versione ufficiale è che i soldati dell’esercito russo stanno liberando un Paese vicino dalla tirannia nazista. Dicono che a Kiev i nazisti lavorano e dormono sotto i ritratti di Hitler e abbracciando le svastiche. A una domanda su quali fossero gli obiettivi del Cremlino così ha risposto Dmitrij Peskov, portavoce del presidente Putin: “È necessario liberare l’Ucraina, ripulirla dai nazisti, dalle persone che sostengono il nazismo e dalle ideologie naziste”. Il 21 febbraio, tre giorni prima dell’invasione, Putin ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste del Donbas ucraino (le repubbliche di Donetsk e Lugansk). Il riconoscimento è stato preceduto da un’ora di lezione di storia rivolta ai cittadini russi e intesa a giustificare l’attacco. Si è trattato di un tentativo di raccontare la storia dell’Ucraina in modo tale da dimostrare che l’Ucraina non esiste e non è mai esistita in quanto stato, che è solo il fratello minore della Russia, una sua appendice, e che gli ucraini e i russi sono una sola nazione che deve essere riunificata. Secondo Putin, dopo il golpe del 2014 Kiev è stata occupata da estremisti nazionalisti che hanno inaugurato una politica apertamente antirussa. Di conseguenza, la Russia doveva proteggere i propri interessi e il proprio futuro.
Tutto questo è una menzogna.
Se qualcuno avesse dei dubbi al riguardo, basti sapere che nel 2019 i partiti nazionalisti ucraini e le organizzazioni estremiste avevano un loro candidato alla presidenza. Costui ha ricevuto un misero 1,6% di preferenze. Volodymyr Zelens’kyj, che ha vinto le elezioni con il 74% dei voti, è ebreo. Alle elezioni politiche, la coalizione dei partiti nazionalisti ha preso meno del 3% dei voti, non superando la soglia di sbarramento (che è del 5%). Prima che Dožd’ chiudesse, in una delle dirette ho parlato con Alla Gerber, la direttrice della Fondazione russa “Olocausto”. Ha quasi pianto: tra fascismo, nazismo e genocidio (tutte parole strumentalizzate dalla propaganda russa) e i processi politici in Ucraina non c’è alcun nesso, ha detto Gerber.
E infatti all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, più di 150 studiosi di varie istituzioni in tutto il mondo che studiano il genocidio e l’Olocausto hanno pubblicato una lettera aperta in cui condannano con forza “l’abuso cinico che il governo russo fa del termine genocidio, della memoria della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, e l’equiparazione dello stato ucraino con il regime nazista al fine di giustificare un’aggressione non provocata”.
L’invasione non è sostenuta dai fatti, e i fatti sono il peggior nemico di Putin. Putin odia i giornalisti, Putin ci odia. Per questo nell’agosto del 2021 il canale Dožd’ è stato dichiarato “agente straniero”, e nel marzo del 2022 è stato cancellato, in Russia. Prima di essere chiuso all’inizio della guerra, il nostro canale aveva una media di 25 milioni di visualizzazioni al giorno solo su YouTube. Un dato che suggerisce che diversi milioni di russi dubitano della versione ufficiale di quello che sta succedendo e – lo possiamo affermare con certezza – non vogliono essere complici dei crimini contro l’umanità che la Federazione Russa sta perpetrando davanti ai nostri occhi.
A luglio del 2014 il Pervyj kanal, la principale emittente televisiva russa, ha trasmesso un servizio su un “bambino crocifisso” a Slovjansk, nel Donbas. Una donna – Galina Pišnjak – ha raccontato nei minimi dettagli all’inviato di come i soldati ucraini avevano ucciso il bambino perché figlio di un ribelle filorusso. I giornalisti investigativi di Novaja Gazeta e di Dožd’ sono andati a Slovjansk e non hanno trovato prove di quanto affermato, né audio o video dell’accaduto. Insomma, era tutta una montatura, che è diventata il simbolo delle menzogne russe durante quella guerra. Un esempio più recente: il canale di Stato Russia 24 ha trasmesso un video con (per citare il conduttore) “degli ucraini in uniforme che usano un manichino per inscenare un omicidio di cui poi avrebbero accusato i soldati russi a Buča, un sobborgo di Kiev”. Si è poi scoperto che quello stesso video era stato girato sul set di uno studio televisivo russo vicino a San Pietroburgo. Nadežda Kolobaeva, una regista russa, lo ha scritto su Facebook: “Ragazzi, è materiale nostro: stiamo girando un film!”.
Dunque, mentre restiamo convinti che il compito del giornalista sia di raccontare le notizie, una parte del nostro lavoro ora è anche smascherare le fake news, fare domande, registrare interviste, mostrare la realtà così com’è.
Nel luglio del 2022 abbiamo rilanciato il canale Dožd’ dalla Lettonia. Com’è ovvio, io e i miei colleghi avevamo paura di non ritrovare il nostro pubblico. Di non essere più rilevanti per chi era rimasto in Russia, di non essere più sulla stessa lunghezza d’onda, dopo essercene andati. Noi, però, in onda ci siamo tornati. E stiamo lavorando come abbiamo sempre lavorato prima di andarcene. E il nostro pubblico è ancora più vasto di quanto fosse prima dell’invasione. In settembre le nostre trasmissioni sono state seguite da 14 milioni di utenti dalla Russia, una cifra che corrisponde a più del 65% dell’intero pubblico di Dožd’. La nostra platea sta crescendo.
Forse proprio per questo motivo il Ministero della giustizia russo ha dichiarato “agenti stranieri” la fondatrice di Dožd’ Natal’ja Sindeeva, il caporedattore Tichon Dzjadko e la sottoscritta. Questo tentativo di proclamarci nemici del popolo, di accusarci di aver lavorato per uno stato estero (nel nostro caso per l’Ucraina: ma ce lo dimostrino che abbiamo ricevuto un solo centesimo!), e di appiccicarci addosso un’etichetta è estremamente offensivo. Nessuno di noi è nemico del nostro popolo, nessuno di noi è “agente straniero”.
Tutto questo è offensivo e vile, dato che l’obiettivo principale delle autorità è di trasformarci agli occhi dei russi in qualcuno con cui è pericoloso avere a che fare, che è rischioso ascoltare e guardare. Credo che le autorità russe non tarderanno a inventarsi apposite sanzioni per punire chi ci segue. Intanto vogliono far credere alla gente che siamo “inattendibili” e pericolosi. Perché secondo Vladimir Putin i giornalisti liberi e liberali sono una specie di quinta colonna, portatori di quella visione occidentale che tanto lo spaventa perché implica la possibilità di un cambio di potere. E non importa dove siano. Nel XXI secolo la geografia non interferisce con il giornalismo.