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La militarizzazione della storia: un nuovo manuale di storia nelle scuole russe

Il volume riprende tutti i punti della propaganda di Putin per giustificare l’aggressione all’Ucraina. Per lui, la storia non rappresenta uno strumento per la comprensione delle complessità del passato, ma un mezzo per celebrare la grandezza della Russia.

(di Andrea Borelli, ricercatore in Storia dell’Europa orientale all’Università di Pisa e membro di Memorial Italia, autore di Nella Russia di Putin. La costruzione di un’identità postsovietica, Carocci 2023; foto di Svklimkin, CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons)


14 agosto 2023 
ore 11:17


Nei giorni scorsi è stato presentato in Russia un nuovo manuale di storia per la scuola russa utilizzabile dall’undicesima classe, frequentata da quanti hanno 17 anni. Secondo il ministro dell’istruzione russo, Sergej Kravcov, l’intento del testo è quello di far comprendere agli scolari gli obiettivi della “operazione militare speciale” in Ucraina, spiegando anche le ragioni per cui l’Occidente ha reso inevitabile lo scontro in corso. Il manuale, che è un’opera collettiva i cui capitoli precedenti al periodo di Putin sono stati scritti anche da storici di valore, riprende tutti i punti della propaganda putiniana per giustificare l’aggressione all’Ucraina, dal fatto che l’insurrezione in Donbas nel 2014 sarebbe stata spontanea, alla definizione del governo ucraino post-2014 come una “junta” andata al potere per mezzo di un colpo di stato. E soprattutto ripete quanto Putin ha prolissamente scritto e detto nei suoi interventi pubblici degli anni precedenti all’aggressione, ovvero che il sentimento nazionale ucraino sarebbe il prodotto delle trame dei nemici della Russia, dall’Impero Austro-Ungarico a quello tedesco, fino ad arrivare alla NATO. Insomma, le tesi cospirazioniste del Putin “storico in capo”, come l’ha chiamato Nicolas Werth in un libro recentemente tradotto in italiano, sono ormai fedelmente ripetute nei manuali per le scuole superiori della Federazione Russa.



Manuale di storia curato da Medinskij
Il nuovo manuale di storia curato da Vladimir Medinskij


Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni commentatori, la riscrittura dei manuali di storia non è però una novità dell’ultima ora in Russia e nemmeno un’innovazione del putinismo.


Dopo la fine dell’URSS, infatti, le classi dirigenti della Federazione Russa hanno posto grande attenzione a come la storia, in particolare quella del Novecento, dovesse essere raccontata alla popolazione e insegnata nelle scuole. Con riguardo alla didattica della storia nel sistema scolastico, le intromissioni governative non sono state un’invenzione del putinismo. Basti pensare che nel 1998 il ministero dell’Educazione stilò un primo elenco di testi scolastici raccomandati per le ultime classi della scuola secondaria per “controbattere” una presunta narrazione storica antipatriottica diffusa nel paese.


Fin dal suo arrivo al Cremlino, Vladimir Putin ha assegnato sempre più importanza alla narrazione storica e, proprio come in epoca sovietica, ha conferito alla storia un ruolo primario per la legittimazione del governo e la definizione dell’identità collettiva.


Intervenendo con maggiore assertività rispetto al suo predecessore, Putin ha archiviato i toni anticomunisti caratteristici dell’era El’cin e ha sposato una chiave interpretativa imperial-patriottica onnicomprensiva della storia russa in grado, negli intenti, di stabilire un continuum tra epoca imperiale, periodo comunista e Russia post-sovietica. Secondo il putinismo i “russi” sarebbero da intendere come un variegato popolo dai caratteri imperiali capace storicamente di dare forma ad una civiltà “specifica” nello spazio geopolitico euro-asiatico, nonché di esercitare una forte attrazione verso i popoli vicini per via dei propri progetti universalistici.


Per rafforzare questo registro linguistico e narrativo le spinte governative si sono indirizzate verso due direzioni. Per prima cosa il regime ha rielaborato numerosi luoghi comuni “positivi” radicati in parte della popolazione, contribuendo al riaffermarsi di alcuni tratti tipici della storiografia sovietica. Putin e i suoi collaboratori hanno scelto nuovamente di raccontare una storia edulcorata del passato russo, enfatizzando i presunti successi che questa volta spiegherebbero non l’affermarsi inevitabile del socialismo, come sostenevano gli storici sovietici, ma piuttosto il glorioso cammino della “Grande Russia”.


In questa narrazione i successi militari rappresentano il fulcro del racconto: le gesta di Aleksandr Nevskij, le vittorie dei generali zaristi contro Napoleone, il trionfo nella Grande guerra patriottica (la Seconda guerra mondiale, come viene chiamata in Russia).


Secondariamente, il governo ha chiesto a gran voce maggiore “linearità” e “chiarezza” agli storici, con particolare riferimento ai manuali per le scuole della Federazione Russa. Già nel 2002 Putin intervenne pubblicamente per chiedere un approccio più patriottico nella stesura dei libri di testo. Secondo il presidente sarebbe stato necessario rintracciare degli standard chiaramente riconoscibili, che tutti avrebbero dovuto rispettare, per evitare quella “confusione storiografica”, dominante negli anni Novanta, che rischiava di confondere gli studenti.


Per Putin la storia non rappresenta uno strumento per la comprensione delle complessità del passato, ma un mezzo per celebrare la grandezza della Russia. Questo tratto culturale tipico del putinismo si è tradotto nel progetto di manuale unico, progetto caldeggiato fin dal 2003. Proprio in quell’anno Putin dichiarò l’intenzione di realizzarlo per infondere nelle nuove generazioni l’orgoglio per la storia patria.


Il primo serio tentativo in tal senso è stato fatto nel 2007, anno in cui venne pubblicato il celebre manuale di Aleksandr Filippov, che proponeva una sostanziale riabilitazione di Stalin e celebrava l’avvento di Putin. L’operazione si risolse però in un buco nell’acqua vista la riottosità del corpo docente nell’accettare un’imposizione dall’alto dal chiaro retrogusto sovietico. Adottando un approccio più “graduale” alla questione, e pur non riuscendo ad imporre un unico manuale, il regime illiberale di Putin ha lavorato in questi vent’anni per uniformare la narrazione storica offerta agli studenti russi grazie all’istituzione di sempre più stringenti regole che gli autori dei manuali devono rispettare.


Tutto questo ha portato non tanto alla creazione di un vero e proprio “manuale putiniano”, ma al progressivo adattamento dell’insegnamento della storia alle pressanti richieste del vertice. La stesura e la pubblicazione del nuovo manuale, di cui si è detto all’inizio, rappresenta la logica conseguenza di questo progetto lungo ormai vent’anni.


Il manuale, infatti, da una parte permette di raccontare in maniera “elementare” i presunti successi militari della Russia anche sotto il presidente Putin, mettendoli in relazione con le vittorie del passato e riaffermando così la narrazione imperial-patriottica tipica del regime. Dall’altra, pur senza avere la necessità di imporsi in quanto testo unico, il manuale stabilisce tutta una serie di paletti che dovranno necessariamente essere rispettati in futuro anche negli altri libri scolastici.


Allo stesso tempo la sua pubblicazione, avvenuta con una velocità inusuale, rappresenta l’ennesimo passaggio di quel processo di “militarizzazione” che investe l’intera società russa ormai dalla seconda metà degli anni Novanta. Dalla fine del XX secolo, infatti, la Russia è un paese costantemente in guerra interna o esterna. Cecenia, Georgia, Libia, Siria e Ucraina sono solo alcuni degli scenari in cui la Federazione Russa è intervenuta militarmente in modo diretto o indiretto dalla fine dell’URSS ad oggi. Come tutti i governi costantemente in guerra, anche quello russo ha bisogno di creare consenso intorno alle proprie politiche: la scuola è perciò uno dei luoghi, forse tra i più importanti, in cui il regime prova a cementare la comunità nazionale (ma sarebbe più corretto dire imperiale) dietro comuni convinzioni storico-politiche.


Resta il dubbio su quanto tutto questo abbia un reale riscontro tra le nuove generazioni. Queste ultime appaiono solo in parte condizionate dalle politiche messe in campo da Putin. Certo, anche tra i giovani c’è un diffuso consenso su alcune tappe della storia russa veicolate in maniera “elementare” dal regime. Prendiamo alcuni sondaggi condotti nel tempo dall’autorevole Centro Levada. Ad esempio, nel Sessantesimo anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale, il 63% dei giovani riteneva «corretta» la decisione di Stalin di firmare il patto con Hitler per cercare di evitare il conflitto. In un successivo sondaggio del 2017, il 77% giustificava l’operato di Stalin allo scopo di modernizzare il paese e riteneva legittimo che si parlasse pubblicamente di quei successi. In un altro, sempre dello stesso anno, il 40% sosteneva che le purghe staliniane erano state una necessità storica utile a consolidare la sicurezza dello Stato.


Osservando meglio i sondaggi però ci accorgiamo che una larga fetta di intervistati, in una percentuale che oscilla a seconda della domanda tra il 30 e il 40%, preferisce non rispondere. Per certi versi questo è il frutto dell’autocensura, una pratica ricorrente in paesi più o meno autoritari di fronte a domande scomode o di interesse pubblico.


C’è però anche dell’altro. Tra le nuove generazioni è infatti presente un diffuso disinteresse verso la storia e la narrativa storica proposta dal Cremlino. Tutto ciò è verificabile prendendo in esame pure i consumi culturali dei giovani russi, che sono oggi molto simili a quelli dei vicini occidentali. Per esempio, negli ultimi vent’anni i film maggiormente apprezzati al cinema sono stati i colossal americani, piuttosto che i film a tema storico lautamente finanziati dal governo.


Da questo punto di vista, se consideriamo la reazione dei più giovani all’invasione su larga scala dell’Ucraina, la politica di militarizzazione attuata dal putinismo in questi vent’anni pare aver fallito l’obiettivo di creare un diffuso e stabile consenso alle guerre del Cremlino tra le giovani generazioni.


Se, infatti, per il regime è possibile convincere i nati tra gli anni Quaranta e Settanta del Novecento della bontà dell’operazione speciale, facendo leva su una presunta minaccia mortale proveniente da Occidente, lo stesso non si può dire per i millennials o per i nati nel XXI secolo. Un conto è fare leva su sentimenti anti-occidentali ampiamente diffusi tra chi li aveva assorbiti durante il periodo sovietico (o anche negli anni Novanta), un altro è demonizzare l’Ucraina, l’Europa e l’Occidente di fronte a generazioni di russi (soprattutto a quelli che fanno parte della classe media consolidatasi nel XXI secolo) che con i vicini occidentali condividono o hanno condiviso sogni, desideri e stili di vita.


Basti pensare alle migliaia di ragazzi e ragazze scese in piazza per protesta nei primi giorni dell’invasione russa su larga scala dell’Ucraina, oppure ai numeri impressionanti di quanti sono scappati dal paese per paura di una mobilitazione generale, per non parlare dei gesti simbolici attuati quotidianamente dai giovani russi per esprimere la propria solidarietà verso il popolo ucraino.


Il dubbio è che anche questo nuovo manuale finisca per impattare solo in parte sulla vita quotidiana delle scuole russe, già dimostratesi refrattarie ad assorbire le continue richieste del vertice sui temi storici. Le nuove generazioni saranno con ogni probabilità anche in questo caso almeno parzialmente impermeabili alla narrazione storica del putinismo, continuando ad avere in comune con i loro coetanei occidentali consumi e aspettative, nonché maturando un sempre più diffuso disinteresse per una storia usata e abusata dal regime di Putin.


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