Voci dalla guerra: Mykola Kostenko

Mykola Kostenko è nato da una madre russa. La sua casa e la sua officina a Moščun sono state bombardate dai russi. Non sono state però solo le bombe a seminare la morte: Kostenko racconta di conoscenti ammazzati dagli occupanti russi.

Voci dalla guerra. Mykola Kostenko, abitante di Moščun: “Saška e Vasyl’ Vasyl’ovyč sono morti in un bombardamento, ma Slavko e Mykola li hanno fatti fuori i russi”.

Mykola Kostenko è nato da una madre russa. La sua casa e la sua officina a Moščun sono state bombardate dai russi. Non sono state però solo le bombe a seminare la morte: Kostenko racconta di conoscenti ammazzati dagli occupanti russi. L’intervista è stata realizzata nell’ambito del progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”). La testimonianza è stata raccolta da Oleksij Sydorenko.

Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli in italiano è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo.

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.

Oleksij Sydorenko

22.07.2022

“Saška e Vasyl’ Vasyl’ovyč sono morti in un bombardamento, ma Slavko e Mykola li hanno fatti fuori i russi” dice un abitante di Moščun

Mykola Kostenko vive a Moščun, nella regione di Kiev. Nel marzo del 2022 da quelle parti c’era l’inferno.

Mykola Kostenko, Moščun

Mykola Andrijovyč Kostenko vive a Moščun, in via Lisna.

– Ha mai pensato che potesse scoppiare la guerra?

– Ci pensavo dal 2014. Davvero, ero certo che non si sarebbero fermati. Per questo non guardavo le serie TV, ma leggevo i giornali: controllavo. Ero certo che non si sarebbero fermati. E lo dicevo a tutti.

– Si era preparato in qualche modo alla guerra?

– Già il 24 avevamo pronta la valigia d’emergenza, i documenti. Mi sono svegliato, ma della guerra non sapevo ancora nulla. L’ho scoperto quando sono arrivati gli elicotteri. Le donne e i bambini li guardavano passare oltre. E c’era un russo in piedi, con una mitragliatrice, che guardava anche lui. Io ho cercato di mandare via i miei compaesani dalla strada. Dovevano scappare, nascondersi! Gli elicotteri andavano verso Hostomel’, l’aeroporto. Lo stavano bombardando, volevano atterrarci loro. Ne ho contati quindici-sedici. Hanno sorvolato prima il paese e poi il bosco.

– E lei, i suoi, cos’avete fatto?

– In concreto? Abbiamo portato i letti in cantina. Eravamo tre famiglie, nascoste lì sotto. Mia moglie, mia figlia, mio genero e due nipoti, maschio e femmina. Tutti in cantina. Finché non bombardavano, ogni tanto tornavano su. Io in cantina non mi ci sono mai nascosto.

– Con quale frequenza vi bombardavano?

– Molto spesso. Negli ultimi giorni, poi, è stato un incubo. A un certo punto le donne sono andate via e noi siamo rimasti. Ci aiutavano quelli della 72a brigata, trasportavano munizioni, facevano saltare i ponti; io, invece, restavo qui a preparare da mangiare o a fare altro. Con i droni sulla testa giorno e notte. Ma abbiamo dormito in casa fino all’ultimo.

– Non pensava a sfollare?

– No. Non ci abbiamo mai pensato. Fosse stato per me, avrei preso un fucile per ammazzarli tutti! Per farli fuori, sì! Li odio.

Mykola ha mandato via la famiglia, al sicuro, all’inizio di marzo ed è rimasto in paese.

– Poi hanno iniziato a sparare forte. A bombardare. Con i lanciarazzi. Certi conoscenti sono tornati dalla dacia e sono passati a prendere la mia famiglia. All’inizio sono andati tutti a Myronivka, poi a Červonohrad. Vicino a L’viv. Abbiamo mandato via loro e noi siamo rimasti.

– Quando è stata bombardata la sua casa?

– Tra il quattro e il sette marzo, e fino al nove o dieci. Io andavo ancora a Pušča a cercare di guadagnare qualcosa. Lavoravo di giorno, e la sera tornavo qui. Ho fatto la guardia, per un po’. Tre giorni. Preparavo il tè per i ragazzi che facevano venire qui i soldati. Preparavo tè e caffè per tutti. Ho un amico che era qui anche lui, nel bunker coi ragazzi. Io avevo l’officina dietro casa. Prima hanno centrato quella. Poi casa mia. Poi casa di mio fratello e quella del vicino. Sono bastati dieci-quindici minuti. È andato a fuoco subito tutto quanto. Cosa le ha centrate? Non lo so, ma sono andate a fuoco in un attimo, bruciavano a tutto spiano. Sono andato a vedere… Cosa provavo? Disperazione, rabbia. Cos’altro vuoi provare? I miei figli e i miei nipoti sono ospiti a destra e a sinistra, in questo momento.

– Ci racconti della sua casa.

– Era una casa a due piani. Cosa c’era dentro? Congelatore, frigorifero, quattro televisori, caldaia, vasca da bagno, computer, laptop. A mia figlia piace fare torte, quindi c’era ogni sorta di elettrodomestico utile a cucinare e a tutto il resto. Insomma, avevamo tutte le solite cose di una famiglia normale. Un bel po’ di roba. E sono bruciati anche un sacco di attrezzi.

– L’officina è rimasta in piedi?

– No! Ci sono solo i muri. Dentro niente. È vuota.

– Ci parli dei crimini dei russi contro i civili.

– Saška Topal’ è stato il primo a morire durante un bombardamento. Per colpa di una mina. Voleva portare via la madre, aveva la macchina pronta. Ha detto che andava ad accenderla, è arrivato al cancello e c’è stata l’esplosione. Io l’ho visto, come è morto. L’ho tirato su con la pala.

Vasyl’ Vasyl’ovyč era uscito dalla cantina, è esplosa una granata ed è morto per una scheggia.

Kostenjuk lo hanno ammazzato i russi. Sono entrati in casa e una scheggia ha colpito la moglie. Lui è corso via e loro…. Loro gli hanno sparato…

Slavko Švets’ era in cantina. E in cantina gli hanno sparato, i russi.

In fondo a quella strada… Mykola… L’hanno trovato morto nel letto, ammazzato pure lui. Beh, devono essere entrati e…

Quando sono arrivato (era il 9, credo), c’erano in giro anche molti cadaveri di quelle bestie dei russi. Laggiù, per esempio, ce n’erano un bel po’. Un giorno sono andato a fare una foto alla casa di mia suocera, che è più o meno ridotta come la mia, ma guardavo soprattutto per terra per assicurarmi che non ci fossero crepe. Ho scattato una foto e via che sono andato. Poi sono tornato per dare da mangiare al cane e c’era un sacco di polizia. Mi hanno chiamato: c’era un russo morto. Non l’avevo visto, l’ultima volta che c’ero andato, non avevo guardato da quella parte… Non so come funzioni qui in paese, perché qui è tutto in rovina, ma le dacie, in campagna, erano piene di russi di sicuro. Stavano lì. C’erano anche i burjati e i ceceni di Kadyrov. C’è chi li ha visti. Me compreso.

– Che progetti ha per il futuro?

– Ricostruire, vivere con figli e nipoti.

– È cambiato il suo atteggiamento nei confronti dei russi?

– È cambiato nel 2015, per me. Mia madre è russa. In Russia, a Saratov, ho una cugina che nel 2015 mi ha detto che il loro esercito sarebbe arrivato a difenderci, e lei con loro. Ho smesso di parlarci in quel momento.

– E ancora non ci parla?

– No! Non li considero esseri umani! Sono un’orda di barbari! Anzi, peggio!

 

 

 

 

 

 


 

 

 

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