Il’ja Jašin: “Putin cadrà nell’oblio. Patria e destino, un unico cammino”

Politico e blogger indipendente, condannato a 8 anni di carcere: "Miliardari, generali, ladrucoli, la prigione in Russia è uno spaccato della società. Non ce l’ho con chi se n’è andato, ma non ci si può occupare seriamente di politica quando si vive lontani. Voglio reggere il colpo e non scappare".

(di Il’ja Jašin, Kirill Martynov e Mira Livadina; traduzione di Corrado Piazzetta; foto di Evgenyfeldman via Wikimedia Commons, con modifiche, CC BY-SA 4.0)


04 luglio 2023 
Aggiornato alle 13:24



Proponiamo l’intervista a Il’ja Jašin di Kirill Martynov e Mira Livadina di Novaja Gazeta Evropa, apparsa il 29 giugno 2023. Il testo originale dell’intervista si trova sul sito di Novaja Gazeta Evropa, giornale indipendente russo la cui attività è possibile sostenere economicamente a questo link. Ringraziamo la redazione per l’autorizzazione a pubblicare la traduzione di Corrado Piazzetta. Il’ja Jašin, dopo un anno di carcere e in occasione del suo quarantesimo compleanno, spiega perché un politico russo non può lasciare il paese. Un anno fa Il’ja Jašin, politico e blogger indipendente, è stato arrestato dalle autorità russe con l’accusa di diffusione di «fake news sull’esercito russo». In seguito, Jašin è stato condannato a otto anni e mezzo di reclusione: la sua colpa, stando alla sentenza del tribunale, consiste nell’aver raccontato l’eccidio di Buča ai suoi spettatori su Youtube. Il 29 giugno 2023, giorno del suo quarantesimo compleanno, ha segnato pure il primo anniversario del suo arresto. Mira Livadina e Kirill Martynov hanno discusso con lui della sua esperienza da prigioniero politico in carcere, dei suoi motivi di rimpianto e delle sue speranze.


Il'ja Jašin nel 2019
Il’ja Jašin nel 2019 (foto di Evgenyfeldman via Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0)


Il’ja, scrivi spesso (sui tuoi canali social tramite i tuoi avvocati) della gente che hai conosciuto negli spazi comuni del carcere, nei furgoni cellulari, nei convogli di scorta, nelle celle del SIZO [centro di detenzione, N.d.R.]. Sono tutte persone molto diverse: da chi è implicato in faccende di poco conto a imprenditori (per esempio, i fratelli Magomedov) e a chi è dentro per questioni di droga. Riassumi ai nostri lettori chi sono queste persone, quali sono i loro valori e i loro riferimenti e chi ti ha colpito di più. Che atteggiamento hanno nei confronti di un prigioniero politico come te?


Non vorrei sembrare banale, ma la prigione russa rappresenta uno spaccato della nostra società. Ci si imbatte in persone di ogni tipo, indipendentemente da status sociale e tenore di vita, persone che in libertà non si sarebbero mai ritrovate una accanto all’altra ma che possono convivere in maniera del tutto pacifica. Nella cella del tribunale, per esempio, ho ammazzato il tempo in compagnia di alcuni miliardari della lista Forbes e di un ragazzo arrestato per un furtarello alla stazione Kazanskij. Ci siamo versati l’acqua dalla stessa teiera e discusso delle notizie dal fronte, che preoccupavano tutti noi in ugual misura. In un furgone cellulare avevo seduti davanti a me un generale del Servizio federale per l’esecuzione delle condanne, arrestato per mazzette, e alcuni ragazzi barbuti dalla Cecenia, accusati di una serie di rapine. Erano tutti intenti a discutere su quali fossero le regioni con le migliori colonie penali e in quale di queste fosse auspicabile scontare la pena. Qualche settimana fa ho avuto come compagno di cella un ufficiale dell’esercito che ancora in febbraio combatteva in territorio ucraino, e ora è sospettato di traffico d’armi. Pensavo che con un personaggio così potessi entrare in conflitto, visto che io mi sono pubblicamente dichiarato contrario alla guerra e lui veniva proprio da quella guerra. Invece no, tutto tranquillo. Dopo lunghe chiacchierate e discussioni, mi ha persino dato ragione su alcune cose. Quando per mesi vivi in uno spazio chiuso con qualcuno, è indispensabile adattarsi reciprocamente e osservare le regole del vivere comune, trovare un accordo, condividere il sostentamento vitale. È indispensabile sapere quando contenere le proprie pretese, quando dimostrarsi tolleranti. E non importa se il tuo è un caso che ha risonanza politica o se è uno dei tanti. L’essenziale è come ti comporti e come affronti la vita quotidiana del carcerato. Se agisci con umanità, ti poni in modo corretto e ti attieni al linguaggio comune, ti tratteranno con rispetto. Se invece ti lamenti, sfrutti gli altri e compi azioni meschine, andrai incontro al disprezzo.


In prigione, quali aspetti della vita da uomo libero perdono rilevanza, diventano piccoli e insignificanti?


Direi le liti di tutti i giorni, i vecchi rancori spiccioli. In carcere ho ricevuto lettere di persone con cui non parlavamo da molti anni per via di screzi dovuti a sciocchezze. Cose che capitano… Quando si litiga, le contraddizioni che emergono sembrano questioni di principio universali, ma dopo qualche tempo non ti ricordi nemmeno più il motivo dei dissapori, e però nel frattempo quella persona è scomparsa dalla tua vita. E invece ora, dietro le sbarre, mi arrivano lettere di amici della mia vita passata. Dal testo si capisce che sono a disagio e che faticano a trovare le parole, ma che si sono lasciati alle spalle i vecchi dissidi perché esprimono un dolore sincero e cercano di sostenermi. Io lo apprezzo molto e ricevo queste lettere con enorme gratitudine, stringo idealmente le loro mani tese. Se uno supera i propri limiti davanti a una situazione del genere, significa che è una brava persona. E i vecchi contrasti impolverati non valgono un fico secco.


Cosa dicono i tuoi genitori durante le visite? Come resistono?


I miei genitori resistono con una forza incredibile, sono molto orgoglioso di loro. Certo, sapevano che avrei potuto essere arrestato, ne avevamo discusso più volte, e io cercavo di prepararli moralmente a una tale eventualità. Con le forze dell’ordine avevano già avuto a che fare quando si erano presentate a casa loro nel corso delle perquisizioni a mio carico. E avevano già fatto il giro di tutte le case circondariali di Mosca per venirmi a trovare durante i miei innumerevoli arresti amministrativi. L’esperienza non gli manca, ma naturalmente una causa penale e la prigione sono tutt’altra cosa. Per loro è molto difficile. Nonostante ciò, non hanno mai fatto leva sul senso di colpa. Non li ho mai sentiti dire frasi tipo “abbi compassione di noi” oppure “occupati di qualcosa di meno pericoloso, fallo per i nostri nervi”. Hanno un sincero rispetto per le mie scelte e la mia ragione di vita. È prezioso sapere che i genitori non solo ti amano, ma ti rispettano. Ti dà ancora più forza e ti consolida il terreno sotto i piedi. Mia madre, poi, è a dir poco scioccata dalla sua capacità di sostenere non soltanto me, ma anche gli altri. Prima del mio arresto non parlava con i giornalisti, ma nell’ultimo anno ha rilasciato alcune interviste davvero bellissime. Durante le visite io e i miei genitori parliamo ai due lati del vetro usando cornette del telefono. Discutiamo di questioni famigliari, scherziamo. Loro mi parlano del gatto, mi portano i saluti di parenti e amici, esprimono pareri su libri letti o i film visti. E io gli racconto le mie storielle dal carcere… Il tutto senza sceneggiate, lacrime o drammi. Cerchiamo di avere riguardo gli uni per gli altri.


Perdonami il tono enfatico. Ti penti di qualcosa?


In linea di massima non ho niente di cui pentirmi. Vivo secondo ciò che ritengo giusto, ho scelto consapevolmente la mia strada e sono in pace con la coscienza.


Certo, la mia quotidianità al momento non è facile. Mi mancano i miei cari, i muri mi stanno stretti e l’incertezza mi opprime. Ma ho la percezione che la mia vita abbia un senso, per così dire… So che se riuscirò a resistere con dignità dietro le sbarre, col mio esempio potrò essere d’aiuto a molte persone. Questo, beninteso, non significa che non faccia le mie riflessioni. Ho quarant’anni ma, per esempio, non sono ancora riuscito a crearmi una famiglia, cosa che nella situazione attuale mi suscita emozioni complicate e contraddittorie. Da un lato, il pensiero di avere dei figli che mi aspettano a casa mi riscalderebbe il cuore. Ma dall’altro, credo sarebbe difficile accettare il fatto che i tuoi figli crescono, diventano adulti, e tu sei privato della possibilità di far parte della loro vita. Oltretutto, la famiglia di un oppositore è spesso utilizzata dal potere come punto debole su cui battere con cinismo. È un’esperienza che ho provato sulla mia pelle durante il mio breve matrimonio. È una cosa molto triste, naturalmente.


Perché non hai mai (prima ancora della guerra) preso in considerazione la possibilità di continuare la tua attività politica lontano dalla Russia?


Perdonate anche voi il tono enfatico, ma mi sembra che un politico debba comunque rimanere accanto al suo popolo e condividerne le sorti, e non dare consigli preziosi da un paradiso lontano. Non ce l’ho con chi se n’è andato. Da un punto di vista umano capisco i colleghi che hanno scelto di emigrare, e non giudico nessuno. Ma davvero non capisco come ci si possa occupare seriamente di politica quando si vive separati dal proprio paese. Non c’è dubbio che l’attività pubblica svolta all’estero possa essere produttiva e utile. Si possono sviluppare risorse informative di grande efficacia, si può manifestare davanti alle ambasciate, si può dare sostegno ai prigionieri politici, parlare con la stampa mondiale e con gli opinion leader stranieri. Oltre a quelle politiche, naturalmente, ci sono state anche ragioni personali. Dovrei andarmene solo perché le mie dichiarazioni e la mia attività non piacciono a un vecchietto che ha il posteriore abbarbicato a una poltrona del Cremlino? E che diavolo! Questa è casa mia, io la amo e mi è cara. Qui c’è il cortile dove sono cresciuto. Qui ci sono persone con cui sono in sintonia e che sperano in me. Qui c’è la tomba di un mio amico. Voglio lottare per il diritto di vivere e lavorare con onestà a casa mia. Voglio reggere il colpo e non scappare. E sto reggendo.


Quali sono i titoli dei migliori libri che hai letto dietro le sbarre? E cos’altro ancora vuoi leggere?


In un anno di libri ne ho letti molti. Voglio citarne tre. Innanzitutto, ho letto con molto piacere l’opera di Michail Fišman Il successore. Parla della storia russa dagli anni della perestrojka fino al 2015 raccontata alla luce del destino personale di Boris Nemcov. È un lavoro interessante e di qualità, scritto in un buon russo. Poi mi è piaciuto il nuovo romanzo di Bernhard Schlink La nipote. È un autore tedesco che ha scritto il famoso romanzo Il lettore, da cui è stato tratto il film vincitore del premio Oscar con Kate Winslet. Infine, ho divorato il ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov, che volevo prendere in mano da anni. È una lettura che piacerà agli amanti delle opere dei fratelli Strugackij. Cos’altro voglio leggere? Per esempio, aspetto che mi facciano avere il nuovo libro di Baunov sul crollo dei regimi dittatoriali. Penso che mi regalerà altre emozioni positive.


Hai dichiarato che i tappi alle orecchie ti salvano dal flusso della propaganda diffusa dal televisore piazzato in cella. Dover ascoltare la radio e la TV russe è effettivamente una tortura originale per gli intellettuali finiti dietro le sbarre. Noi ci siamo dimenticati da un bel pezzo che cos’è la TV russa. Dicci in poche parole qual è il tono generale della propaganda di oggi, quali sono le tesi che l’apparecchio riversa sui suoi spettatori.


Io, a essere sinceri, non mi considero proprio un intellettuale. È una parola troppo grossa. E però la propaganda putiniana è nociva per qualunque persona normale. Io e i miei compagni di cella abbiamo raggiunto un compromesso: in generale guardiamo canali di musica o di sport. Ma ogni tanto i ragazzi mettono su qualche orrendo talk-show tipo quelli di Solov’ёv o della Skabeeva. Di solito accompagniamo la visione con dialoghi che sembrano presi da Cuore di cane di Bulgakov. Gli altri dicono: così almeno sentiamo le notizie! E io rispondo: ma quali notizie, è propaganda bella e buona. Loro ribattono: altre non ce ne sono! Io rido: e fate a meno di sentirle, meglio ascoltare qualche altra canzonetta. Ma se non riesco a convincerli, allora sì, mi tocca mettermi i tappi. Di tanto in tanto, però, mi sforzo di guardare anche le trasmissioni della propaganda. Ma a piccole dosi: soltanto per comprendere le tecniche di manipolazione. È uno spettacolo pesante e che ti fonde il cervello, perché le teste parlanti nello schermo non fanno che urlare e dare in escandescenze. Ma è difficile rimanere stupiti dalle tesi principali che sostengono, sono sempre le stesse. Il mondo intero combatte contro di noi, ma il mondo intero è dalla nostra parte. Il nemico è fortissimo – dopotutto è la Nato –, ma il nemico è debole, stupido, demotivato e lo schiacceremo. L’economia cresce, delle sanzioni ce ne infischiamo, ma soldi non ce ne sono, tenete duro. Insomma, la solita schizofrenia del Cremlino, che manda in pappa la mente degli spettatori. Ma c’è di peggio. La disgrazia più grande sono l’idea della nostra eccezionalità nazionale e l’odio infinito che piove da quegli schermi. Goebbels non avrebbe saputo fare di meglio.


I tappi alle orecchie, lo sport (attualmente nel SIZO, dove sei rinchiuso, gli esercizi alla sbarra nel cortile dell’ora d’aria), le lettere, le tue numerose interviste, i libri, le visite dei genitori benché poco frequenti: cos’altro ti ha salvato in questo lungo anno e continua a salvarti?


La mia fonte principale di forza, entusiasmo e ispirazione è la gente. Come recitava una vecchia canzone, “ho scoperto di avere una famiglia enorme”. Centinaia di persone che hanno assistito alle mie udienze, migliaia di lettere e biglietti con parole di sostegno… Un mare intero di amore, empatia e bontà in cui mi immergo sempre. Per tanti anni abbiamo gridato alle manifestazioni: “Uno per tutti e tutti per uno”. Ora non è più soltanto uno slogan. Io mi ritrovo a dover affrontare un sistema cannibalesco per un qualcosa in cui tutti crediamo con sincerità. E chiunque condivida le mie opinioni mi è accanto virtualmente e mi rende più forte, ed è una cosa che non mi lascia la minima possibilità di arrendermi.


Il tuo arresto e in seguito la tua condanna hanno avuto un tocco di romanticismo. Tutte le tue donne passate e presenti ti hanno sostenuto pubblicamente con post nei loro profili social in cui parlavano con molta sincerità e delicatezza di te e delle assurdità del tuo caso giudiziario. Sei l’invidia di ogni detenuto… Cosa puoi dire a queste donne coraggiose?


Non mi piace discutere della mia vita privata, ma non voglio girarci intorno. Naturalmente mi fa piacere. Credo che conservare affetto nel proprio cuore anche dopo la fine di una relazione e trovare parole sincere quando sono necessarie sia un qualcosa che definisce l’umanità di una persona. Sono infinitamente grato e auguro a tutte loro felicità.


Tu, Vladimir Kara-Murza, Michail Kriger, Aleksej Gorinov e decine di altre persone famose e non famose condannate a pene considerevoli per essersi dichiarate contro la guerra non siete riusciti con le vostre posizioni a fermarla. La catastrofe continua, e gli arresti non fanno che aumentare. Spiega qual è il senso delle vostre azioni a chi non lo capisce.


Il senso sta nel proteggere la reputazione del nostro Paese e garantirgli la possibilità di un futuro degno. Putin finge di agire in nome dell’intero popolo, si è attribuito lo status di leader nazionale e ha dato persino al suo partito il nome di Russia unita. In Occidente spesso condividono questa visione quando parlano del “terribile popolo russo” che adora il suo capo, che si è stretto intorno a lui in un’estasi militaristica ed è geneticamente inadatto alla democrazia. Ma noi lo sappiamo che non è così. Sì, Putin ha una base di sostenitori, per anni se l’è coltivata grazie alla propaganda e alla manipolazione. Ma pure gli oppositori della guerra sono tanti nel nostro Paese, e non si tratta solo di politici e attivisti. Date un’occhiata ai profili social degli implicati nelle centinaia di cause penali istruite per effetto della legge sulla censura militare. Uno studente, una pensionata, un padre di famiglia con molti figli, un fuochista, un ferroviere, un poliziotto, un insegnante, un ingegnere… Questo è il popolo. Rappresentano gruppi sociali diversi, e non hanno potuto tacere dopo l’inizio della guerra. Ma dietro ciascuno di questi c’è una quantità di altre persone come loro, che la pensano come loro ma che temono di parlare apertamente.


La parte di società contraria alla guerra è spaventata, demoralizzata e sconnessa. Ha bisogno di speranza e fiducia nel futuro.


E il nostro compito sta nel dare alle persone quella speranza, incoraggiarle, aiutarle a non impazzire per la pressione, a mantenere l’energia vitale. È proprio per questo che noi sorridiamo da dietro le sbarre e, quando parliamo in tribunale, è come se dicessimo “ragazzi, non siete soli, siamo qui, siamo con voi, andrà tutto bene”. E spesso leggo nelle lettere più svariate un pensiero comune. La gente scrive che è sempre più in imbarazzo a cospargersi il capo di cenere e a disperarsi da cittadini liberi se persino i prigionieri politici in carcere rimangono ottimisti e continuano a sorridere. Capite qual è la questione? Un popolo disperato e che si sente cascare le braccia non potrà mai vincere una dittatura. Alle persone serve un esempio che li aiuti a raddrizzare le spalle. E questo esempio lo offrono Naval’nyj, Gorinov, Čanyševa, Kara-Murza, Kriger, Andrej Pivovarov, Dima Ivanov e molti altri. Questa è la cosa importante. Questo è il senso.


Ti hanno condannato a otto anni e mezzo di colonia penale. Un anno l’hai già scontato nel SIZO. Non ti hanno ancora spedito alla tua destinazione, nessuno sa dove e in quale colonia finirai, ma grosso modo si può immaginare – visti i casi di Naval’nyj, Gorinov e altri – che non sarà una situazione ideale in termini di rispetto dei diritti dei prigionieri, tanto più se «politici». Quali sono in linea di massima i tuoi progetti per i rimanenti sette anni e mezzo? E ti toccherà davvero aspettare tanto a lungo?


Che senso ha contare gli anni quando sono condanne generalmente stabilite a tavolino? A me hanno dato otto anni e mezzo, a Kara-Murza venticinque. Non mi stupirei se a Naval’nyj ne appioppassero una trentina. Sono tutte cifre astratte. In sostanza, riflettono la fiducia di Putin – una fiducia mista a follia – nella propria eternità. Ma rimarrà deluso. Questo padrone del Cremlino cadrà nell’oblio esattamente come i suoi predecessori. E i cambiamenti sono inevitabili. Cercherò di impiegare il tempo dietro le sbarre per conoscere meglio le persone e trovare una lingua comune con chiunque. Cercherò di leggere più libri per diventare più intelligente. Cercherò di acquisire preziose esperienze di vita che mi renderanno più saggio. In generale, preferisco vedere la prigione e la colonia penale come una specie di maratona, una corsa a ostacoli. Cioè, un modo per mettermi alla prova e uscirne più forte. Non ha senso ora fare ipotesi su quanto durerà la mia reclusione. Dipenderà da quando e come finirà la guerra, da quale agenda politica si instaurerà successivamente nel Paese.


In poche parole, il destino mio e degli altri prigionieri politici dipenderà dalle prospettive storiche della Russia: patria e destino, un unico cammino.

Il’ja Jašin


Che cosa faresti adesso se fossi ancora in libertà (e, probabilmente, all’estero)? Come valuti il lavoro dei media indipendenti e dei numerosi forum dell’opposizione russa in esilio? Cosa pensi del fatto che la Fondazione per la lotta alla corruzione di Naval’nyj si è rifiutata di partecipare all’incontro dell’opposizione russa in esilio tenutosi presso il Parlamento europeo?


Mi è piaciuto molto il contenuto della maratona per la difesa dei diritti organizzata il 12 giugno, che è stata trasmessa contemporaneamente da una quindicina di canali indipendenti. Una grande idea e un’ottima realizzazione. È proprio così, secondo me, che si deve unire l’opposizione: intorno a progetti concreti che diano risultati pratici. E c’è da dire che nessuno l’ha ignorata, hanno collaborato tutti fra loro, lasciandosi alle spalle dissidi e divergenze. Perché tutti capivano che era una questione comune, importante e utile. Naturalmente non sono affatto contrario neppure ai forum di emigrati che si tengono nelle capitali europee. Certe volte ha davvero senso incontrarsi per ascoltarsi a vicenda, scambiarsi pareri, sincronizzare gli orologi. Ma, secondo me, il significato delle dichiarazioni rilasciate da questi forum non va neppure enfatizzato troppo. Così come non bisogna fare un dramma se qualcuno decide di non partecipare. Nel complesso, mi sembra che per la comunità in esilio sarebbe ragionevole concentrarsi su progetti dal contenuto comprensibile e attuabile. È molto più facile unirsi intorno a proposte di questo tipo, che sono più utili di qualsiasi foto di gruppo scattata a un evento pubblico. Se le persone si aggregano in un forum, si possono ottenere risultati pratici. So che all’ultimo forum di Bruxelles, per esempio, Ekaterina Šul’man ha avanzato l’idea di istituire presso la Commissione europea un difensore civico che rappresenti gli interessi dell’emigrazione russa. Ecco, questa è un’iniziativa davvero utile e sostanziale, in cui vale la pena impegnarsi.


Credi che la Russia tornerà a essere uno stato democratico? E che cosa stimolerà un tale cambiamento? Quali persone e gruppi sociali introdurranno la democrazia nella Russia putiniana o post-putiniana?


Penso che l’unico futuro possibile per la Russia sia la democrazia. Le alternative hanno fatto il loro tempo. Perseverare nell’esperimento imperialistico è la strada maestra per gli scontri sociali e la distruzione del Paese.


In realtà, già ora nella nostra società esiste un potente impulso alla democratizzazione. Intendo la creazione di uno stato normale, dove la legge è unica per tutti, il potere passa di mano regolarmente, e l’economia nazionale è integrata in maniera organica con quella mondiale. Sono convinto che in realtà la maggioranza delle persone vuole proprio questo, uno stato pacifico, tranquillo e civile. E lo vogliono tanto la gente comune quanto molti esponenti della pubblica amministrazione e persino i rappresentanti delle élite. Questo impulso, però, è imbavagliato ad arte. Abbiamo le mani letteralmente legate, ci inculcano in testa come fossero chiodi l’idea dell’imperialismo, della militarizzazione e il culto della morte. Il naturale desiderio di ogni società, ossia vivere in pace e felice, è schiacciato dalla propaganda e dalle repressioni. Tutto questo porterà sicuramente il Paese a una nuova epoca dei torbidi come all’inizio del Seicento. Non escludo che, dopo l’uscita di scena di Putin, avremo per un certo periodo addirittura una giunta militare. Ma di fanatici dal muso duro disposti a diventare cenere radioattiva non ce ne sono molti fra i funzionari pubblici e gli uomini di potere. Anche loro vogliono vivere, hanno famiglia e figli. Perciò è del tutto probabile che quel periodo difficile si concluderà con complicate trattative fra i leader del movimento democratico e i siloviki per raggiungere un qualche compromesso. Per esempio, con un passaggio pacifico del potere al popolo e libere elezioni in cambio della garanzia della sicurezza individuale e di una vecchiaia tranquilla. Al mondo non sono pochi gli esempi di transizioni democratiche avvenute così.


In Russia la gente si lamenta per la mancanza di prospettive e l’impotenza. Puoi dare un qualche consiglio su come preservarsi e vivere in una realtà disumana fatta di guerra e menzogne generalizzate?


Gli esseri umani hanno bisogno di esseri umani, perciò il consiglio fondamentale è evitare la solitudine. Trascorrete più tempo con persone di cui condividete e apprezzate opinioni e valori. Aiutatevi gli uni con gli altri, sostenete chi vi sta vicino, ampliate il giro di conoscenze. Sapete quante persone si sono conosciute durante le mie udienze? Adesso sono amici. E ancora, staccatevi ogni tanto dal flusso delle informazioni, non fatevi ossessionare dalle notizie. A volte bisogna staccarsene anche solo per salvaguardare la propria salute mentale. Camminate di più, organizzate gite in natura con gli amici, respirate aria fresca. Fate volontariato. Portate da mangiare ai senzatetto, prendetevi cura dei malati negli hospice, date una mano ai profughi. Vi aiuterà a mitigare il senso di colpa che Putin ha gettato addosso a tutti noi scatenando la sua maledetta guerra. Abbiate cura di voi e dei vostri cari, e ricordate che l’accidia è un vizio capitale.

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