Voci dalla guerra. Oksana Stomina, poetessa e attivista di Mariupol’: “Ferocia da Medioevo moltiplicata per le capacità attuali e per un’ambizione malata e morbosa”.
“Penso che la guerra andrebbe raccontata così: singole storie e non cifre generiche”: queste sono parole di Oksana Stomina, poetessa e attivista di Mariupol’. Il progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”), cerca di realizzare proprio questo. Leonid Gol’berg ha raccolto la testimonianza della poetessa, che viene qui proposta in traduzione italiana. Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo.
Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.
03.04.2022
Intervista condotta da Leonid Gol’berg
Poetessa e attivista, Oksana Stomina è di Mariupol’. Oggi è costretta a vivere a Truskavec’. La sua storia è un documento del nostro tempo, la testimonianza dei crimini contro l’umanità che vengono commessi oggi nel cuore dell’Europa.
Oggi si parla molto di Mariupol’, “Città della Vergine Fucilata”, come viene detta per la tragedia che vi si è consumata. Mariupol’ è il simbolo dell’Ucrainicidio che i r-ascisti stanno compiendo nel paese, è la Guernica del XXI secolo e viene paragonata ad Aleppo in Siria, della cui distruzione anche la Russia è partecipe/complice. I racconti dei testimoni oculari sugli orrori della guerra in una delle più belle città della costa settentrionale del Mar d’Azov sono agghiaccianti e fanno gelare il sangue.
Ed è impossibile immaginare cosa abbia patito la nostra intervistata – la poetessa, attivista e volontaria Oksana Stomina, una donna minuta e fragile, ma di straordinario coraggio.
Eppure, malgrado quanto ha passato, parlando con lei è impossibile non percepire il coraggio, la straordinaria forza d’animo, l’inflessibilità di questa donna eccezionale.
La storia di Oksana è un vero e proprio documento del tempo, una testimonianza dei crimini contro l’umanità perpetrati nel XXI secolo nel cuore dell’Europa. Ed è la conferma che non ci può essere perdono per i crimini della Russia e che non si può scendere a compromessi con Putin e i suoi criminali di guerra.
— Ha appena detto che negli ultimi giorni si è “rimpicciolita”. In che senso?
— I jeans non mi stanno su. Ma non è la mancanza di cibo, o chissà che altro. È che negli ultimi giorni sono invecchiata di colpo. E siccome, come ha detto mia figlia: “La mia unica speranza è che, essendo tu minuta, non ti centrino…”, credo sia per questo che mi sono rimpicciolita. Per non farmi prendere dalle pallottole (sorride). Non so perché, ma me lo sento dentro…
— Lei è originaria di Mariupol’?
— Sì, ci sono nata. Tutta la mia famiglia è di Mariupol’, i miei nonni sono sepolti lì. Mia figlia è nata lì. Mia figlia mi ha aiutato molto in quei giorni tremendi: sembrava che mi tenesse la mano per tutto il tempo. Anche quando eravamo lontane, la sentivo comunque accanto a me. Poi mi ha aiutato ad andarmene, ha stabilito lei il tragitto, ha studiato per capire dove era più sicuro passare. Che poi, parlare di sicurezza quando ci sono di mezzo Mariupol’ e le strade per lasciarla non so proprio quanto senso abbia… La scala va da “pericolosissimo” a “disastro totale”. Ed è stato più o meno così.
— Com’è Mariupol’ adesso?
“Intorno, solo rovine”
— Di recente è stato fatto molto in città. Hanno costruito molto. Io amo Mariupol’. Ho sempre sostenuto che ognuno di noi si costruisce intorno la propria città. Da solo. L’ho fatto anch’io per tutta la vita, raccogliendo intorno a me le persone migliori, quelle di cui mi potevo fidare, scovando luoghi storici particolari e le informazioni che li riguardavano. Io ho fatto qualcosa per la mia città e la mia città ha fatto qualcosa per me. Sempre. E di fatto adesso l’hanno rasa al suolo. In piedi non è rimasto niente: case sventrate, incendi… Non c’è una casa che non sia stata danneggiata. Intorno, solo rovine…
— A lei, personalmente, cosa è capitato?
— Per otto anni abbiamo vissuto con la guerra dietro casa, e in qualche modo ci avevamo fatto l’abitudine. Quello che ho visto ora, però, non ha paragoni possibili. È la trama di un film dell’orrore con protagonisti Putin e i suoi soldati al posto di Dracula il vampiro, che a un certo punto decidono che è giusto ammazzare così tante persone. È terribile, è la ferocia del Medioevo moltiplicata per le capacità attuali e per un’ambizione malata e morbosa.
— Quando e come ha lasciato Mariupol’?
— Me ne sono andata il 16 marzo. È stato un viaggio lunghissimo. Sono arrivata il 20, o forse il 21…
“Mio marito mi ha letteralmente costretta a salire in macchina”
— È stato un lungo viaggio su quattro macchine diverse, una delle quali era di fatto a pezzi, senza niente di sano. Un’altra era la vecchia Žiguli dei nostri genitori che mio marito aveva regalato a una famiglia di giovani perché potessero andarsene.
Eravamo in tanti, ma non saprei dire il numero preciso. Diverse famiglie, molti bambini. Siamo partiti all’improvviso. A lungo neanche abbiamo pensato a fare le valigie, ma poi a un certo punto la famiglia del fratello di mio marito non è più riuscita, emotivamente, a far fronte a tutto questo: hanno fatto i bagagli, sono montati in macchina e sono passati a prendere anche me. Ha insistito mio marito che me ne andassi, mi ha letteralmente costretta a salire in macchina. Non mi ha nemmeno fatto entrare in casa. Per questo sono partita con pochissime cose, con uno zainetto da cinque litri in tutto. Ho persino lasciato lì il mio portatile con gli appunti (tanto me l’avrebbero requisito comunque, se ci avessero fermato a un posto di blocco). Però ho preso con me un souvenir di Mariupol’, che è sempre con me. È un piccolo tetrapode frangiflutti. Una volta li usavano per rinforzare la linea di costa, poi da grigi che erano li hanno dipinti e ora sono il simbolo di Mariupol’ e un souvenir della città.
Fosse stato per me, probabilmente sarei rimasta ancora un po’; mi sembrava di dover restare finché c’era un barlume di speranza, finché potevo fare qualcosa per qualcuno dei miei concittadini… Il giorno in cui me ne sono andata, però, era ormai chiaro che chi rimaneva – non i militari, ma i civili come me – non serviva più a nulla, ma al contrario, era persino d’intralcio ai soldati.
— Cosa si sa di chi è rimasto?
— Di molti non sappiamo nulla. Proprio l’altro giorno ci hanno detto una cosa, ma la notizia non è confermata, e per questo preghiamo e speriamo che non sia vera. Riguarda la nonna della moglie dell’uomo che mi ha portato via da Mariupol’. Che è rimasta là, e che di fatto non usciva mai di casa perché non era in grado di camminare. La casa è bruciata con lei dentro. E ancora non sappiamo che ne è stato di lei…
“È morto due volte…”
— Ci sono molte notizie simili. Di recente, per esempio, ho scoperto che un nostro amico, Vitja Djedov, un uomo in gambissima, onesto, corretto, un brav’uomo davvero, che lavorava per la televisione locale e per il canale “Sigma”, è morto nella cucina di casa sua. Anzi, di fatto è morto due volte. Siccome non c’era modo di seppellirlo, il corpo è rimasto in casa. Dopo un paio di giorni, la casa è stata colpita di nuovo ed è andata a fuoco. In quel momento i parenti erano al rifugio, hanno provato a salire nella casa già in fiamme, ma non sono riusciti ad aprire la porta, perciò il corpo di Vitja è bruciato…
“La guerra andrebbe raccontata così: storie concrete di persone, storie di prima mano”.
— Queste sono le storie, e sono spaventose. In generale, però, penso che la guerra andrebbe raccontata così: singole storie e non cifre generiche, nemmeno riguardo al numero dei morti. Perché quando una persona non le vive, certe cose, quando non le confronta con la sua vita o con quella dei suoi cari, molto spesso se ne frega: che siano dieci persone, una, o centinaia, la musica non cambia. Ma pure migliaia: la proporzione non conta. Se invece racconti che una bomba è caduta nel cortile della casa del padre di un tuo amico, che ci ha rimesso un braccio, ma che quel braccio l’ha raccolto da terra ed è andato a cercarsi un ospedale, dopodiché nessuno l’ha più visto… Sono storie vere, storie di prima mano.
Vorrei anche dire che quelle persone orribili, quelle bestie, non ammazzano e basta: ti danno la caccia per ammazzarti. Come quando, per esempio, hanno colpito il teatro o la piscina o la scuola d’arte, tutti luoghi – e lo sapevano bene – in cui c’erano persone che avevano già perso la propria casa, in cui c’erano feriti, donne e bambini, persino neonati, o disabili arrivati dalle zone che erano state colpite per prime e che avevamo salvato: gente che arrivava dalla Riva Sinistra, o dal microquartiere Vostočny. Di nuovo gli hanno dato la caccia e di nuovo hanno cercato di ucciderli. Così come, di nuovo, hanno cercato di uccidere chi cercava di lasciare la città.
Un’amica con cui facevo volontariato era partita con la famiglia approfittando di uno dei cosiddetti “corridoi verdi”. Li hanno attaccati. Risultato: cinque feriti, e uno dei bambini ancora in terapia intensiva. È una strage intenzionale. Non è guerra, è omicidio.
— Perché proprio Mariupol’?
“Li abbiamo fatti arrabbiare”
— Quando è iniziato tutto, a Kyiv e a Charkiv, francamente il primo pensiero è stato: che tocchi a noi di Mariupol’! Siamo qui, sappiamo già come funziona. Che tocchi a noi, e non a tutta l’Ucraina. Siamo una città di frontiera, siamo pronti, abbiamo rafforzato i confini orientali della città e dell’Ucraina. Ovviamente, non avevo idea di cosa sarebbe successo dopo…
Perché Mariupol’? Sapevamo bene che la nostra città era di importanza strategica. E in più, probabilmente, li abbiamo fatti arrabbiare. Perché abbiamo tenuto duro, perché abbiamo continuato a costruire anche durante la guerra, perché la città era sempre più bella e lo dicevamo con orgoglio. Ma chi sono questi che vengono a distruggere? ho pensato io, sapendo come andavano le cose. Io sono nata e vissuta in una città di mare. Ho sempre avuto il mare vicino, e con il mare l’immagine di bambini e adulti che costruiscono castelli di sabbia e di qualcuno – succede sempre – che arriva e li distrugge. Più bello è il castello, più grande la cattiveria con cui lo distruggono. Credo che sia proprio una cosa che ha dentro, quella gente: quello che facevamo, come vivevamo, non gli andava proprio giù…
“I miei primi libri sulla guerra sono stati tradotti in diverse lingue”.
— In che modo la guerra ha influenzato il suo lavoro?
— Avevo già scritto della guerra e avevo pubblicato dei libri che sono stati tradotti in diverse lingue. Però da quando è iniziato tutto, nel 2014, ho iniziato a scriverne a distanza di un anno. Per quasi un anno sono stata in una specie di catalessi, non riuscivo a scrivere poesie. Non ne scrivo più nemmeno ora: scrivo solo prosa. Ho iniziato in un rifugio, al buio più totale: risparmiavamo tutto perché in città non era rimasto nulla, era ed è un vero e proprio disastro ecologico. Risparmiavamo le torce, le batterie e i generatori per farle andare. Risparmiavamo le candele. Per buona parte del tempo restavamo al buio e in quelle condizioni, spesso tentoni, io scrivevo o prendevo appunti: credevo fosse molto importante. Ma per ora è solo prosa. Solo prosa.
— Mi dica qualcosa di più dei suoi libri. So che alcuni sono stati illustrati da Anastasija Ponomareva.
— Sono libri diversi. Alcuni sono sulla guerra, anche di poesia, e sono in ucraino e in russo. Poi ci sono i libri per bambini. Anastasija – Nastja – ha illustrato le guide, quella di Mariupol’ e quella dell’Ucraina. Ho una passione per la storia e ho anche partecipato agli scavi archeologici qui in città. E volevo davvero che anche gli altri sapessero che Mariupol’ è un bel posto, un posto interessante; chi è venuto a stare qui, ma anche i bambini che qui crescono, e anche molti altri non sanno molto della loro città natale. Perciò abbiamo realizzato delle guide-gioco, libri in cui si può scrivere, libri da riempire, su cui segnare le cose…
________________________________________
Scheda informativa
Oksana Stomina è una poetessa e attivista di Mariupol’. Vive di poesia, sorride sempre, ha mille idee e la sua empatia, la sua sincerità e genuinità nel fare le cose è travolgente…
Oggi è costretta a vivere a Truskavec’. A trasmetterle l’amore per la parola in rima e per la letteratura sono stati i suoi genitori, odessiti. Oksana è cresciuta con le poesie meravigliose di sua madre, ed è curioso che il primo libro che ha pubblicato insieme a sua sorella Julija è stata proprio una raccolta di filastrocche della madre, che loro sapevano a memoria e che hanno messo su carta senza difficoltà. Scrive anche il padre di Oksana: la sua è una prosa leggera e ironica. Suo è un libro interessantissimo sul primo viaggio all’estero che fece, in Israele.
Oksana Stomina ha il diploma di maestra elementare, è matematica e psicologa di formazione. Fin da bambina sognava di fare l’insegnante, ma “l’uomo pone e Dio dispone”, come dice lei stessa… E Dio ha disposto che si occupasse anche di assicurazioni e pubblicità.
Vive con grande dolore la guerra nel suo Paese: quella del 2014 e l’attuale invasione russa. Sta lavorando a un libro in cui vuole raccontare ciò che ha visto e vissuto, le tragedie delle persone che ha intorno.
“È questa, la storia. E va preservata”, dice la scrittrice, che così cerca di contribuire alla vittoria dell’Ucraina e, in generale, a che la pace trionfi sulla guerra:
Siamo tutti atomi nell’Universo sterminato.
Lo so. Ma quegli occhi, quei due abissi che ha…
Dio, se ti serve come soldato, va bene, ma fallo
Tornare dalla guerra, dagliene la possibilità.
Nella giostra di questo mondo folle, o Dio,
Ragioni e idee non contano, su,
E se quel giovane avrà la morte accanto,
Fa’ che lei non lo noti mai più.
Tacciono i cuculi dietro a pensieri barricati,
Non c’è sole dietro alle macerie della fede.
Tu fa’ che lo scampino cannoni e granate:
Mandagli un angelo custode, lì dov’è!
E se davvero per qualcosa ti è d’aiuto,
che la Tua destra non lo porti via con sé!
Fa’ che sia lui a sparare per primo, o Dio,
e che vada in pace, quando tutto sarà compiuto.