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Jurij Ždanov, intervista dal carcere: “Sostengo la battaglia politica di mio figlio Ivan, sono fiero di lui”

"Il mio crimine consiste nell’aver cresciuto un figlio degno, libero, giusto, intelligente, che si dà molto da fare per far crescere la società civile nel suo Paese, non teme di dire la verità su quanto sta accadendo in Russia".

(di Viviana Nosilia, professoressa di filologia slava presso l’università di Padova e socia di Memorial Italia)


12 aprile 2023 
alle 09:57


Presentiamo qui un’intervista a Jurij Pavlovič Ždanov, 68 anni, riconosciuto come detenuto politico dal Centro per i Diritti Umani Memorial. Si tratta dell’ennesimo caso che segna il ritorno a pratiche degli anni bui dell’Unione Sovietica, allorché si perseguitavano anche i parenti dei cosiddetti “nemici del popolo”. Jurij Ždanov è il padre di Ivan Ždanov, il direttore della Fondazione per la Lotta alla Corruzione (Anti-Corruption Foundation) del politico di opposizione Aleksej Naval’nyj. L’inasprirsi delle repressioni in Russia nel 2021 aveva costretto Ivan Ždanov a riparare in Lituania con la famiglia. Poco dopo la polizia si è presentata a casa del padre. Il Centro per i Diritti Umani Memorial ritiene che la ragione dell’arresto di Jurij Ždanov sia proprio l’attività politica svolta dal figlio. Ciononostante, Ivan Ždanov continua a svolgere il suo lavoro contro il regime dall’esilio e suo padre sostiene la decisione del figlio. Jurij Ždanov sta attualmente scontando una condanna a tre anni di reclusione. Il periodo di detenzione è iniziato il 26 marzo 2021 (con un breve periodo a casa dal 19 al 29 dicembre 2021). L’intervista si è svolta per via epistolare. Dato che in carcere la corrispondenza è soggetta a censura sia in entrata, sia in uscita, nel testo si è dovuti ricorrere ad allusioni e perifrasi.


Jurij Pavlovič Ždanov, padre di Ivan Ždanov, collaboratore di Aleksej Naval’nyj
(foto tratta dal suo profilo Facebook)


Purtroppo, in Russia gli oppositori hanno già dovuto familiarizzare con l’idea di poter essere arrestati. Ha mai parlato con suo figlio dell’eventualità che lui potesse finire in prigione?


Fino a un certo momento non pareva immaginabile che sarebbe potuto finire in carcere per avere smascherato la corruzione. Certo, timori ne avevamo. Col tempo, però, la pressione sull’opposizione è cresciuta. Nel 2016 Ivan ha deciso di darsi alla politica nazionale attiva. Ha partecipato alle elezioni per il consiglio municipale di Mosca candidandosi nel paesino di Barvicha (dove si trova la residenza del presidente). In quel momento ho capito che lo avrebbero perseguitato e gliel’ho detto. Del resto, lui si rendeva conto della situazione non meno di me. Le previsioni si sono avverate: nell’estate del 2019 l’hanno arrestato due volte, e poi una terza qualche tempo dopo. Io andavo a fargli visita in prigione ed entrambi capivamo che non sarebbe stata la fine delle persecuzioni. Ivan si preparava al peggio, io pure.


Ivan Ždanov
Ivan Ždanov (Навальный LIVE, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons)


La persecuzione del familiare di un oppositore ricorda i tempi più bui dell’URSS. Si aspettava un simile sviluppo o l’arresto e l’incarcerazione L’hanno sorpresa? E rimpiange che suo figlio sia entrato in politica?


Non mi aspettavo che arrestassero me. Non ho mai infranto la legge e non mi ha mai sfiorato l’idea che io potessi pagare per l’attività politica di mio figlio. Ritenevo che quei tempi fossero passati per sempre, che i metodi delle repressioni staliniane non si sarebbero ripetuti. Nella Bibbia è scritto che sul figlio non graveranno le colpe del padre, né sul padre quelle del figlio. Pensavo che questa massima morale non sarebbe stata messa in discussione nel nostro tempo. Ma mi sbagliavo. Chi è oggi al potere non si fa scrupoli morali. Tuttavia, non ho mai rimpianto che mio figlio si sia dedicato alla politica. Lo sostengo e sono fiero di lui.



Lei non è una persona ingenua, comprende perfettamente la realtà russa. Detto ciò, nel corso del processo, durante i molti mesi che ha trascorso in varie prigioni e colonie penali o nelle sale dei tribunali, c’è stato qualcosa che L’ha sorpresa? Ha scoperto qualcosa di nuovo nella realtà russa, nei comportamenti della gente?


Non avevo avuto precedenti esperienze del sistema giudiziario, degli organi inquirenti; perciò, sono stato colpito dal loro degrado. Sono completamente alla mercé del potere e sono suoi complici e ciechi esecutori. L’autonomia del sistema giudiziario è una formula vuota quando l’imputazione è di carattere politico ed è commissionata dall’alto. Inoltre, sia i giudici che gli inquirenti dimostrano scarsa competenza e professionalità.


Chi la conosce racconta che lei non si perde d’animo e non si lamenta mai. Tuttavia, è noto che nella colonia di Archangel’sk si trova in cattive condizioni. È vero? E quali sono le sue condizioni attuali? Lo chiediamo per sapere che cosa significhi finire in una colonia penale russa.


Per quanto riguarda le prigioni, in alcune le condizioni sono difficili e in altre impossibili. Quella di Jaroslav appartiene a quest’ultima categoria. Ricordo la fredda stanza sprofondata nella semioscurità con 16 detenuti. Non distribuivano né lenzuola, né coperte. In un angolo erano accatastati vecchi materassi sporchi. Li si usava per dormire e ripararsi. Dormivamo con addosso le giacche e i berretti invernali, perché malgrado si fosse in gennaio il finestrone nella cella non veniva chiuso e il vetro rotto era coperto con un materasso. C’erano ratti che scorrazzavano per la stanza. La notte ci si poteva ritrovare nel letto un ratto in cerca di un po’ di calore. Dal gabinetto fluivano sul pavimento acqua e sporcizia. Questa situazione non è durata a lungo. Dopo una protesta del mio avvocato mi hanno trasferito in un’altra cella, dove la situazione era migliore. Nella prigione a Nižnij Novgorod ho trascorso dieci giorni senza poter fare una doccia. A Nar’jan-Mar nella cella non c’erano finestre, non funzionava l’impianto di ventilazione. Era come una scatola di cemento. Per il caldo e l’afa dormire era impossibile. In prigione la luce è accesa sempre, giorno e notte. Erano molto pesanti anche i trasferimenti in treno da una prigione all’altra. Per giorni e giorni si doveva viaggiare in uno scompartimento in cui potevano trovarsi fino a 12 persone. Alla toilette si viene accompagnati solo tre volte nel corso di 24 ore. Nella colonia attuale vivo in una baracca con più di 80 detenuti. Le condizioni sono dure. La colonia è diversa dalla prigione. Qui in un certo senso si è più liberi. Si può uscire dalla baracca e fare una passeggiata in cortile. Tuttavia, da un certo punto di vista, la situazione nella colonia è più pesante. Ci sono più pretese nei confronti dei detenuti, una maggiore pressione psicologica. La struttura è sovraffollata. Gli altri detenuti della baracca sono per lo più giovani dai 20 ai 28 anni, che vivono in un mondo tutto loro. In questa situazione ti rendi conto che sei solo in mezzo a tutta questa gente. Mi salva la consapevolezza di essere innocente e il fatto di sapere che mio figlio Ivan è in libertà e sta lavorando per una causa importante.


Come mantiene i contatti con la famiglia? Lei ha un figlio, una nipotina… Ha raccontato più volte che riceve lettere da svariate città della Russia e anche dall’estero. Ha mai avuto difficoltà con la corrispondenza?


Quando mi trovavo in carcere l’inquirente non mi consentiva di telefonare a parenti e amici. Ho praticamente perso i contatti per sei mesi. Comunicavo attraverso le lettere. Nella colonia si può telefonare ai numeri che l’amministrazione concede e le telefonate vengono ascoltate. Il mezzo di comunicazione principale sono le e-mail e le lettere. Tutta la corrispondenza in entrata e in uscita è analizzata da un censore, che sia una semplice cartolina, la Bibbia, Pinocchio o il Codice penale. Una lettera cartacea dalla colonia impiega 7-10 giorni per arrivare a Mosca, più di un mese per giungere in Italia. Una e-mail è molto più veloce: arriva a destinazione in 3-4 giorni, se va bene.


Che cosa le dà la forza di non abbandonarsi alla disperazione?


In primo luogo, la consapevolezza della mia innocenza. Il mio “crimine” consiste nell’aver cresciuto un figlio degno, libero, giusto, intelligente, che si dà molto da fare per far crescere la società civile nel suo Paese, non teme di dire la verità su quanto sta accadendo in Russia. In secondo luogo, percepisco il sostegno morale di centinaia e migliaia di persone da tutto il Paese e da oltre i suoi confini. In terzo luogo, mostrare debolezza significa tradire mio figlio, la causa che lui persegue. Lui crede in me ed io credo in lui. E ancora: giunto alla mia età cerco di guardare al mondo circostante con filosofia. Ho fatto in tempo ad assistere al cambiamento dei regimi politici, all’avvicendamento dei governanti. Sono certo che ci saranno altri cambiamenti. Lo spettacolo della vita non ha un ultimo atto. Starò a guardare, finché avrò forza e finché Dio lo vorrà.


Lei è uno storico per formazione. Secondo lei, in che modo la Federazione Russa è arrivata ad avere un tale governo?


Le radici della situazione attuale nel mio Paese affondano in un passato lontano. La Russia non ha mai conosciuto tradizioni democratiche nel senso moderno del termine. Un’autentica concezione della libertà e il rispetto dei diritti dell’individuo le sono estranei. Infatti, solo nel 1861 (!) in Russia è stata abolita ufficialmente la servitù della gleba, e bisogna tenere presente che in Russia, a differenza degli altri Paesi europei, il principale feudatario era proprio lo Stato. Nel XX secolo la Russia ha ceduto alla tentazione del bolscevismo, la cui ideologia si basa sulla dittatura di un partito, su una rigida verticale del potere. In URSS, di fatto, esisteva un capitalismo di Stato. Lo Stato era al di sopra degli individui, li opprimeva. Nel 1991 si è riusciti a eliminare il monopolio del potere da parte del Partito Comunista, a ripristinare la proprietà privata e a garantire ai cittadini le libertà democratiche, ma questo periodo non è durato a lungo. La popolazione, esasperata dall’accaparramento dei beni dello Stato da parte dei vertici del partito e della burocrazia, ha cominciato a sentire l’esigenza di una mano forte, a confidare in un governante giusto e retto, che consentisse di recuperare quanto era stato rubato. E così il pendolo dello sviluppo della società ha iniziato il suo moto all’indietro. Hanno preso il potere rappresentanti dei servizi segreti. Sono iniziate le persecuzioni contro l’opposizione, contro chi la pensava diversamente e chi esigeva verità e giustizia. È stata intrapresa la via della repressione. Simili processi di restaurazione dell’ordine precedente non sono una novità nella storia. Così era accaduto nell’Inghilterra del XVII secolo, o nella Francia del periodo seguito alla Rivoluzione del 1789. Le ondate di restaurazione avanzano, ma poi inevitabilmente retrocedono. Talvolta il passato sopravvive a lungo nel presente. Tuttavia il nuovo e il progresso alla fine vincono sempre, è la dialettica della vita.


Non possiamo fare a meno di chiederle la sua opinione su quanto accade in Ucraina… Lei che cosa ne pensa? E quali sono le sue impressioni sugli orientamenti dei detenuti che ha incontrato sulla questione?


Gli eventi di cui domanda possono essere visti come un’aggressione diretta contro uno Stato europeo sovrano, riconosciuto dalla comunità internazionale. Da tutto ciò derivano le conseguenze militari, politiche, economiche, giuridiche e morali dell’azione compiuta. Le persone che mi circondano in questo momento sono molto lontane dagli eventi del Paese e del mondo. La parola ‘guerra’ per loro si associa a videogame e film trasmessi dalla televisione russa. A questo bisogna poi aggiungere la propaganda martellante nei mass media, che è intrisa di odio verso l’Occidente e costellata di vecchi stereotipi falsi. In alcune persone è come se il cervello venisse riprogrammato. È per questo che si arruolano nella compagnia Wagner senza pensarci troppo. Ritengo che ciò che sta accadendo con l’Ucraina si spieghi con le ambizioni imperiali, la nostalgia per la grandezza del passato. Tuttavia nel mondo contemporaneo l’autorevolezza e la grandezza di uno Stato sono determinate non dalla vastità territoriale, dalla quantità di terre altrui occupate, ma dal grado di libertà, dall’apertura, dalla capacità di vivere in una comunità coesa, in un’economia mondiale interconnessa. In fin dei conti, alla base dell’evoluzione dell’umanità non sta il principio di selezione naturale, secondo cui sopravvive il più forte, ma l’empatia, l’aiuto e il sostegno reciproci e la capacità di vivere in pace.


Che cosa vorrebbe dire ai lettori italiani? Qual è il suo messaggio per loro?


Vorrei che la società civile italiana si unisse attivamente alle iniziative di sostegno ad Aleksej Naval’nyj, che si trova in carcere [Aleksej Naval’nyj è stato arrestato il 17 gennaio 2021, in aeroporto, quando era appena tornato in Russia dopo avere subito un tentativo di avvelenamento con la sostanza chimica nota come “novičok”. L’arresto è ritenuto dal Centro per la Difesa dei Diritti Umani Memorial  motivato politicamente, N.d.R.]. È lui il leader riconosciuto della lotta per il rinnovamento del Paese. Aleksej dev’essere liberato. Bisogna pronunciarsi anche per difendere tutti i prigionieri politici in Russia. Per finire, voglio ricordare le parole dell’antifascista Julius Fučík, giustiziato durante la Seconda guerra mondiale: “Uomini, vegliate!”. Ai giorni nostri quest’appello non ha perso attualità.

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