Intervista a Jurij Pavlovič Ždanov: "Sostengo mio figlio e sono fiero di lui"

Jurij Pavlovič Ždanov è il padre di Ivan Ždanov, il direttore della Fondazione per la Lotta alla Corruzione (Anti-Corruption Foundation) del politico di opposizione Aleksej Naval’nyj. L’inasprirsi delle repressioni in Russia nel 2021 aveva costretto Ivan Ždanov a riparare in Lituania con la famiglia. Poco dopo la polizia si è presentata a casa del padre. Il Centro per i Diritti Umani Memorial ritiene che la ragione dell’arresto di Jurij Ždanov sia proprio l’attività politica svolta dal figlio. Ciononostante, Ivan Ždanov continua a svolgere il suo lavoro contro il regime dall’esilio e suo padre sostiene la decisione del figlio. Riportiamo qui un'intervista realizzata dal carcere.

12.04.2023

Presentiamo qui un’intervista a Jurij Pavlovič Ždanov, 68 anni, riconosciuto come detenuto politico dal Centro per i Diritti Umani Memorial. Si tratta di un caso che segna il ritorno a pratiche degli anni bui dell’Unione Sovietica, allorché si perseguitavano anche i parenti dei cosiddetti “nemici del popolo”. Jurij Ždanov è il padre di Ivan Ždanov, il direttore della Fondazione per la Lotta alla Corruzione (Anti-Corruption Foundation) del politico di opposizione Aleksej Naval’nyj. L’inasprirsi delle repressioni in Russia nel 2021 aveva costretto Ivan Ždanov a riparare in Lituania con la famiglia. Poco dopo la polizia si è presentata a casa del padre. Il Centro per i Diritti Umani Memorial ritiene che la ragione dell’arresto di Jurij Ždanov sia proprio l’attività politica svolta dal figlio. Ciononostante, Ivan Ždanov continua a svolgere il suo lavoro contro il regime dall’esilio e suo padre sostiene la decisione del figlio.

Jurij Ždanov sta attualmente scontando una condanna a tre anni di reclusione. Il periodo di detenzione è iniziato il 26 marzo 2021 (con un breve periodo a casa dal 19 al 29 dicembre 2021).

L’intervista si è svolta per via epistolare. Dato che in carcere la corrispondenza è soggetta a censura sia in entrata, sia in uscita, nel testo si è dovuti ricorrere ad allusioni e perifrasi.

(A cura di Viviana Nosilia)

Purtroppo, in Russia gli oppositori hanno già dovuto familiarizzare con l’idea di poter essere arrestati. Ha mai parlato con Suo figlio dell’eventualità che lui potesse finire in prigione?

Fino a un certo momento non pareva immaginabile che sarebbe potuto finire in carcere per avere smascherato la corruzione. Certo, timori ne avevamo. Col tempo, però, la pressione sull’opposizione è cresciuta. Nel 2016 Ivan ha deciso di darsi alla politica nazionale attiva. Ha partecipato alle elezioni per il consiglio municipale di Mosca candidandosi nel paesino di Barvicha (dove si trova la residenza del presidente). In quel momento ho capito che lo avrebbero perseguitato e gliel’ho detto. Del resto, lui si rendeva conto della situazione non meno di me. Le previsioni si sono avverate: nell’estate del 2019 l’hanno arrestato due volte, e poi una terza qualche tempo dopo. Io andavo a fargli visita in prigione ed entrambi capivamo che non sarebbe stata la fine delle persecuzioni. Ivan si preparava al peggio, io pure.

La persecuzione del familiare di un oppositore ricorda i tempi più bui dell’URSS. Si aspettava un simile sviluppo o l’arresto e l’incarcerazione L’hanno sorpresa? E rimpiange che Suo figlio sia entrato in politica?

Non mi aspettavo che arrestassero me. Non ho mai infranto la legge e non mi ha mai sfiorato l’idea che io potessi pagare per l’attività politica di mio figlio. Ritenevo che quei tempi fossero passati per sempre, che i metodi delle repressioni staliniane non si sarebbero ripetuti. Nella Bibbia è scritto che sul figlio non graveranno le colpe del padre, né sul padre quelle del figlio. Pensavo che questa massima morale non sarebbe stata messa in discussione nel nostro tempo. Ma mi sbagliavo. Chi è oggi al potere non si fa scrupoli morali. Tuttavia, non ho mai rimpianto che mio figlio si sia dedicato alla politica. Lo sostengo e sono fiero di lui.

Lei non è una persona ingenua, comprende perfettamente la realtà russa. Detto ciò, nel corso del processo, durante i molti mesi che ha trascorso in varie prigioni e colonie penali o nelle sale dei tribunali, c’è stato qualcosa che L’ha sorpresa? Ha scoperto qualcosa di nuovo nella realtà russa, nei comportamenti della gente?

Non avevo avuto precedenti esperienze del sistema giudiziario, degli organi inquirenti, perciò sono stato colpito dal loro degrado. Sono completamente alla mercé del potere e sono suoi complici e ciechi esecutori. L’autonomia del sistema giudiziario è una formula vuota quando l’imputazione è di carattere politico ed è commissionata dall’alto. Inoltre, sia i giudici che gli inquirenti dimostrano scarsa competenza e professionalità.

 

Chi La conosce racconta che Lei non si perde d’animo e non si lamenta mai. Tuttavia, è noto che nella colonia di Archangel’sk si trova in cattive condizioni. È vero? E quali sono le Sue condizioni attuali? Lo chiediamo per sapere che cosa significhi finire in una colonia penale russa.

Per quanto riguarda le prigioni, in alcune le condizioni sono difficili e in altre impossibili. Quella di Jaroslav appartiene a quest’ultima categoria. Ricordo la fredda stanza sprofondata nella semioscurità con 16 detenuti. Non distribuivano né lenzuola, né coperte. In un angolo erano accatastati vecchi materassi sporchi. Li si usava per dormire e ripararsi. Dormivamo con addosso le giacche e i berretti invernali, perché malgrado si fosse in gennaio il finestrone nella cella non veniva chiuso e il vetro rotto era coperto con un materasso. C’erano ratti che scorrazzavano per la stanza. La notte ci si poteva ritrovare nel letto un ratto in cerca di un po’ di calore. Dal gabinetto fluivano sul pavimento acqua e sporcizia. Questa situazione non è durata a lungo. Dopo una protesta del mio avvocato mi hanno trasferito in un’altra cella, dove la situazione era migliore.

Nella prigione a Nižnij Novgorod ho trascorso dieci giorni senza poter fare una doccia. A Nar’jan-Mar nella cella non c’erano finestre, non funzionava l’impianto di ventilazione. Era come una scatola di cemento. Per il caldo e l’afa dormire era impossibile. In prigione la luce è accesa sempre, giorno e notte.

Erano molto pesanti anche i trasferimenti in treno da una prigione all’altra. Per giorni e giorni si doveva viaggiare in uno scompartimento in cui potevano trovarsi fino a 12 persone. Alla toilette si viene accompagnati solo tre volte nel corso di 24 ore.

Nella colonia attuale vivo in una baracca con più di 80 detenuti. Le condizioni sono dure. La colonia è diversa dalla prigione. Qui in un certo senso si è più liberi. Si può uscire dalla baracca e fare una passeggiata in cortile. Tuttavia, da un certo punto di vista, la situazione nella colonia è più pesante. Ci sono più pretese nei confronti dei detenuti, una maggiore pressione psicologica. La struttura è sovraffollata. Gli altri detenuti della baracca sono per lo più giovani dai 20 ai 28 anni, che vivono in un mondo tutto loro. In questa situazione ti rendi conto che sei solo in mezzo a tutta questa gente. Mi salva la consapevolezza di essere innocente e il fatto di sapere che mio figlio Ivan è in libertà e sta lavorando per una causa importante.

Come mantiene i contatti con la famiglia? Lei ha un figlio, una nipotina… Ha raccontato più volte che riceve lettere da svariate città della Russia e anche dall’estero. Ha mai avuto difficoltà con la corrispondenza?

Quando mi trovavo in carcere l’inquirente non mi consentiva di telefonare a parenti e amici. Ho praticamente perso i contatti per sei mesi. Comunicavo attraverso le lettere. Nella colonia si può telefonare ai numeri che l’amministrazione concede e le telefonate vengono ascoltate. Il mezzo di comunicazione principale sono le e-mail e le lettere. Tutta la corrispondenza in entrata e in uscita è analizzata da un censore, che sia una semplice cartolina, la Bibbia, Pinocchio o il Codice penale. Una lettera cartacea dalla colonia impiega 7-10 giorni per arrivare a Mosca, più di un mese per giungere in Italia. Una e-mail è molto più veloce: arriva a destinazione in 3-4 giorni, se va bene.

Che cosa Le dà la forza di non abbandonarsi alla disperazione?

In primo luogo, la consapevolezza della mia innocenza. Il mio “crimine” consiste nell’aver cresciuto un figlio degno, libero, giusto, intelligente, che si dà molto da fare per far crescere la società civile nel suo Paese, non teme di dire la verità su quanto sta accadendo in Russia. In secondo luogo, percepisco il sostegno morale di centinaia e migliaia di persone da tutto il Paese e da oltre i suoi confini. In terzo luogo, mostrare debolezza significa tradire mio figlio, la causa che lui persegue. Lui crede in me ed io credo in lui. E ancora: giunto alla mia età cerco di guardare al mondo circostante con filosofia. Ho fatto in tempo ad assistere al cambiamento dei regimi politici, all’avvicendamento dei governanti. Sono certo che ci saranno altri cambiamenti. Lo spettacolo della vita non ha un ultimo atto. Starò a guardare, finché avrò forza e finché Dio lo vorrà.

Lei è uno storico per formazione. Secondo Lei, in che modo la Federazione Russa è arrivata ad avere un tale governo?

Le radici della situazione attuale nel mio Paese affondano in un passato lontano. La Russia non ha mai conosciuto tradizioni democratiche nel senso moderno del termine. Un’autentica concezione della libertà e il rispetto dei diritti dell’individuo le sono estranei. Infatti, solo nel 1861 (!) in Russia è stata abolita ufficialmente la servitù della gleba, e bisogna tenere presente che in Russia, a differenza degli altri Paesi europei, il principale feudatario era proprio lo Stato. Nel XX secolo la Russia ha ceduto alla tentazione del bolscevismo, la cui ideologia si basa sulla dittatura di un partito, su una rigida verticale del potere. In URSS, di fatto, esisteva un capitalismo di Stato. Lo Stato era al di sopra degli individui, li opprimeva. Nel 1991 si è riusciti a eliminare il monopolio del potere da parte del Partito Comunista, a ripristinare la proprietà privata e a garantire ai cittadini le libertà democratiche, ma questo periodo non è durato a lungo. La popolazione, esasperata dall’accaparramento dei beni dello Stato da parte dei vertici del partito e della burocrazia, ha cominciato a sentire l’esigenza di una mano forte, a confidare in un governante giusto e retto, che consentisse di recuperare quanto era stato rubato. E così il pendolo dello sviluppo della società ha iniziato il suo moto all’indietro. Hanno preso il potere rappresentanti dei servizi segreti. Sono iniziate le persecuzioni contro l’opposizione, contro chi la pensava diversamente e chi esigeva verità e giustizia. È stata intrapresa la via della repressione. Simili processi di restaurazione dell’ordine precedente non sono una novità nella storia. Così era accaduto nell’Inghilterra del XVII secolo, o nella Francia del periodo seguito alla Rivoluzione del 1789. Le ondate di restaurazione avanzano, ma poi inevitabilmente retrocedono. Talvolta il passato sopravvive a lungo nel presente. Tuttavia il nuovo e il progresso alla fine vincono sempre, è la dialettica della vita.

Non possiamo fare a meno di chiederLe la Sua opinione su quanto accade in Ucraina… Lei che cosa ne pensa? E quali sono le Sue impressioni sugli orientamenti dei detenuti che ha incontrato sulla questione?

Gli eventi di cui domanda possono essere visti come un’aggressione diretta contro uno Stato europeo sovrano, riconosciuto dalla comunità internazionale. Da tutto ciò derivano le conseguenze militari, politiche, economiche, giuridiche e morali dell’azione compiuta. Le persone che mi circondano in questo momento sono molto lontane dagli eventi del Paese e del mondo. La parola ‘guerra’ per loro si associa a videogame e film trasmessi dalla televisione russa. A questo bisogna poi aggiungere la propaganda martellante nei mass media, che è intrisa di odio verso l’Occidente e costellata di vecchi stereotipi falsi. In alcune persone è come se il cervello venisse riprogrammato. È per questo che si arruolano nella compagnia Wagner senza pensarci troppo. Ritengo che ciò che sta accadendo con l’Ucraina si spieghi con le ambizioni imperiali, la nostalgia per la grandezza del passato. Tuttavia nel mondo contemporaneo l’autorevolezza e la grandezza di uno Stato sono determinate non dalla vastità territoriale, dalla quantità di terre altrui occupate, ma dal grado di libertà, dall’apertura, dalla capacità di vivere in una comunità coesa, in un’economia mondiale interconnessa. In fin dei conti, alla base dell’evoluzione dell’umanità non sta il principio di selezione naturale, secondo cui sopravvive il più forte, ma l’empatia, l’aiuto e il sostegno reciproci e la capacità di vivere in pace.

Che cosa vorrebbe dire ai lettori italiani? Qual è il Suo messaggio per loro?

Vorrei che la società civile italiana si unisse attivamente alle iniziative di sostegno ad Aleksej Naval’nyj, che si trova in carcere [Aleksej Naval’nyj è stato arrestato il 17 gennaio 2021, in aeroporto, quando era appena tornato in Russia dopo avere subito un tentativo di avvelenamento con la sostanza chimica nota come “novičok”. L’arresto è ritenuto dal Centro per la Difesa dei Diritti Umani Memorial motivato politicamente, N.d.R.]. È lui il leader riconosciuto della lotta per il rinnovamento del Paese. Aleksej dev’essere liberato. Bisogna pronunciarsi anche per difendere tutti i prigionieri politici in Russia. Per finire, voglio ricordare le parole dell’antifascista Julius Fučík, giustiziato durante la Seconda guerra mondiale: “Uomini, vegliate!”. Ai giorni nostri quest’appello non ha perso attualità.

 

Foto di Jurij Pavlovič Ždanov
Foto tratta dal sito del Centro per i Diritti Umani Memorial

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Aleksej Gorinov. L’ultima dichiarazione del 29 novembre 2024.

Il 29 novembre 2024 il tribunale militare di Vladimir ha emesso la sentenza del nuovo procedimento penale contro Aleksej Gorinov, consigliere municipale di Mosca, che è stato condannato a tre anni di reclusione in colonia penale di massima sicurezza per “giustificazione del terrorismo”. La condanna va ad aggiungersi ai sette anni già comminati nel 2022 per “fake news sull’esercito”. Foto di copertina: Dar’ja Kornilova. Foto: SOTAvision. BASTA UCCIDERE. FERMIAMO LA GUERRA. Aleksej Gorinov è avvocato e attivista e dal 2017 consigliere municipale presso il distretto Krasnosel’skij di Mosca. Nei primi anni Novanta era deputato per il partito Russia Democratica, ma nel 1993, durante la crisi costituzionale e il duro confronto tra il presidente El’cin e il Soviet supremo, decide di lasciare la politica. Negli ultimi vent’anni Gorinov ha lavorato come avvocato d’impresa e della pubblica amministrazione in ambito civile e ha fornito assistenza legale agli attivisti tratti in arresto durante le manifestazioni politiche. È fra gli ideatori della veglia-memoriale continua, con fiori e fotografie, sul ponte Moskvoreckij, luogo dell’omicidio di Boris Nemcov. Il 15 marzo 2022, durante un’assemblea ordinaria del Consiglio di zona del distretto Krasnosel’skij, Gorinov deplora pubblicamente l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe esortando “la società civile a fare ogni possibile sforzo per fermare la guerra”. Il 26 aprile viene arrestato ex art. 207.3 del Codice penale russo, noto anche come “legge sulle fake news”. Il tribunale del distretto Meščanskij ritiene che ci siano le prove che Gorinov abbia “diffuso informazioni deliberatamente false su quanto compiuto dalle Forze armate russe”, con le aggravanti di essere “in una posizione ufficiale e per motivi d’odio e ostilità”. Gorinov è il primo cittadino russo a ricevere una pena detentiva per essersi espresso contro la guerra. Già in occasione dell’ultima udienza del primo processo Aleksej Gorinov ha avuto modo, come prevede il sistema giudiziario russo, di pronunciare un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), in altre parole la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a, cui abbiamo avuto modo di dare voce grazie a Paolo Pignocchi e al progetto Proteggi le mie parole. Venerdì scorso, in occasione dell’ultima udienza del secondo processo ai suoi danni, Aleksej Gorinov ha pronunciato una seconda “ultima dichiarazione” che traduciamo in italiano. Sono stato per tutta la vita uno strenuo oppositore di aggressioni, violenza e guerre, e ho consacrato la mia vita esclusivamente ad attività di pace come la scienza, l’insegnamento, la pubblica istruzione e l’attività amministrativa e sociale in veste di deputato, difensore dei diritti umani, membro di commissioni elettorali e osservatore e supervisore del processo elettorale stesso. Mai avrei pensato di vivere abbastanza per constatare un tale livello di degrado del sistema politico del mio Paese e della sua politica estera, un periodo in cui tanti cittadini favorevoli alla pace e contrari alla guerra – in un numero che ormai è di qualche migliaio – vengono accusati di calunnia ai danni delle Forze armate e di giustificazione del terrorismo, e per questo vengono processati. Ci avviamo a concludere il terzo anno di guerra, il terzo anno di vittime e distruzione, di privazioni e sofferenze per milioni di persone cui, in territorio europeo, non si assisteva dai tempi della Seconda guerra mondiale. E non possiamo tacere. Ancora alla fine dello scorso aprile, il nostro ex ministro della difesa ha annunciato che le perdite della parte ucraina nel conflitto armato in corso ammontavano a 500.000 persone. Guardatelo, quel numero, e pensateci! Quali perdite, invece, ha subito la Russia, che secondo le fonti ufficiali avanza con successo costante per tutto il fronte? Continuiamo a non saperlo. E soprattutto, chi ne risponderà, poi? E a che pro succede tutto questo? Il nostro governo e coloro che lo sostengono nelle sue aspirazioni militariste hanno fortemente voluto questa guerra, che ora è arrivata anche nei nostri territori. Una cosa mi verrebbe da chiedere: vi pare che la nostra vita sia migliorata? Sono questi il benessere e la sicurezza che auspicate per il nostro Paese e per la sua gente? Oppure non l’avevate previsto, nei vostri calcoli, un simile sviluppo della situazione? A oggi, però, le risposte a queste domande non si pongono a chi ha deciso questa guerra e continua a uccidere, a chi ne fa propaganda e assume mercenari per combatterla, ma a noi, cittadini comuni della Russia che alziamo la voce contro la guerra e per la pace. Una risposta che paghiamo con la nostra libertà se non, alcuni, con la vita. Appartengo alla generazione ormai uscente di persone con genitori che hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale e, alcuni, le sono sopravvissuti con tutte le difficoltà del caso. La loro generazione, ormai passata, ci ha lasciato in eredità il compito di preservare la pace a ogni costo, come quanto di più prezioso abbiamo noi che abitiamo su questa Terra. Noi, invece, abbiamo snobbato le loro richieste e abbiamo spregiato la memoria di quelle persone e delle vittime della guerra suddetta. La mia colpa, in quanto cittadino del mio Paese, è di avere permesso questa guerra e di non essere riuscito a fermarla. Vi chiedo di prenderne atto, nel verdetto. Tuttavia, vorrei che la mia colpa e la mia responsabilità fossero condivise anche da chi questa guerra l’ha iniziata, vi ha partecipato e la sostiene, e da chi perseguita coloro che si battono per la pace. Continuo a vivere con la speranza che un giorno questo avverrà. Nel frattempo, chiedo perdono al popolo ucraino e ai miei concittadini che per questa guerra hanno sofferto. Nel processo in cui sono stato accusato e giudicato per avere detto espressamente che era necessario porre fine alla guerra, ho già dato piena voce alle mie considerazioni su questa vile impresa umana. Posso solo aggiungere che la violenza, l’aggressione generano solo altra violenza di ritorno, e nulla più. Questa è la vera causa delle nostre disgrazie, delle nostre sofferenze, di perdite senza senso di vite umane, della distruzione di infrastrutture civili e industriali, di case e abitazioni. Fermiamo questo massacro cruento che non serve né

Leggi

Roma, 5 dicembre 2024. Memorial Italia a Più libri più liberi.

Memorial Italia partecipa a Roma all’edizione 2024 di Più libri più liberi con la presentazione di Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione, ultimo volume della collana curata per Viella Editrice. Il regime putiniano e il nazionalismo russo: giovedì 5 dicembre alle 18:00 presso la Nuvola, Roma EUR, in sala Elettra, saranno presentati i volumi, pubblicati da Viella Editrice, Il nazionalismo russo. Spazio postsovietico e guerra all’Ucraina, a cura di Andrea Graziosi e Francesca Lomastro, e Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione, a cura dei nostri Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola. Intervengono Riccardo Mario Cucciolla, Francesca Gori, Andrea Graziosi, Andrea Romano. Coordina Carolina De Stefano. Il volume Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov.

Leggi

Bari, 26 novembre 2024. Proiezione del film documentario “The Dmitriev Affair”.

Martedì 26 novembre alle 20:30, presso il Multisala Cinema Galleria di Bari, Andrea Gullotta, vicepresidente di Memorial Italia, presenta il film documentario The Dmitriev Affair, scritto e diretto dalla regista olandese Jessica Gorter e sottotitolato in italiano. Jurij Dmitriev è uno storico e attivista, direttore di Memorial Petrozavodsk. Negli anni Novanta scopre un’enorme fossa comune in cui sono sepolte migliaia di vittime del Grande Terrore. Nella radura boschiva di Sandormoch, in Carelia, inaugura un cimitero commemorativo e riesce a raccogliere persone di varie nazionalità intorno a un passato complesso e conflittuale. Da sempre schierato contro il governo della Federazione Russa, nel 2014 Dmitriev condanna apertamente l’invasione della Crimea. Da allora inizia per lui un calvario giudiziario che lo porta a essere condannato a tredici anni e mezzo di reclusione. Il documentario di Jessica Gorter, realizzato nel 2023, racconta con passione e precisione la sua tragica vicenda. Gabriele Nissim, ha letto per Memorial Italia l’ultima dichiarazione di Jurij Dmitriev, pronunciata l’8 luglio 2020, come parte del progetto 30 ottobre. Proteggi le mie parole. Irina Flige, storica collaboratrice di Memorial San Pietroburgo, ha raccontato la storia della radura di Sandormoch nel volume Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria, pubblicato da Stilo Editrice e curato da Andrea Gullotta e Giulia De Florio. La proiezione è a ingresso libero ed è uno degli incontri previsti dall’undicesima edizione del festival letterario Pagine di Russia, organizzato dalla casa editrice barese Stilo in collaborazione con la cattedra di russo dell’Università degli Studi di Bari. Quest’anno il festival è inserito nella programmazione del progetto Prin 2022 PNRR (LOST) Literature of Socialist Trauma: Mapping and Researching the Lost Page of European Literature ed è dedicato al concetto di trauma nella cornice della letteratura russa del Novecento sorta dalle repressioni sovietiche.

Leggi