Voci dalla guerra: Serhij Pentin, dipendente di una fabbrica di cioccolato a Trostjanec’. “Civili o soldati, non importava. Sparavano a vista”
Nell’ambito del progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”) pubblichiamo l’intervista a Serhij Pentin, il responsabile della produzione del reparto dolciario di una fabbrica di cioccolato situata a Trostjanec’. Lo stabilimento era stato occupato dai soldati russi, che ne avevano fatto uno snodo logistico. La madre di Pentin è stata uccisa da loro, pur essendo una civile. L’intervista è disponibile coi sottotitoli in italiano nel canale YouTube di Memorial Italia.
Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.
22.01.2023
Denys Volocha
La fabbrica dove lavorava distrutta e sua madre ammazzata: queste le conseguenze dell’occupazione russa per Serhij Pentin, abitante di Trostjanec’
Serhij Pentin lavorava nella fabbrica di cioccolato “Mondelis Ukrajina”, società privata per azioni con sede a Trostjanec’. Quando i russi hanno occupato la città, si sono stabiliti nella fabbrica. Alla fine il reparto dolciario dove Serhij lavorava come responsabile della produzione è stato incendiato e ridotto in cenere, e Serhij è rimasto disoccupato.
Oltre a tutto il resto, i russi hanno sparato ad Olena, la madre sessantacinquenne di Serhij, mentre cercava di raggiungere l’ospedale. Da oltre vent’anni Olena dirigeva un’azienda municipalizzata.
“Il 19 marzo i miei genitori erano nella regione di Trostjanec’, nel piccolo abitato di Mykytivka. Mia madre si è sentita male ed è stato necessario portarla all’ospedale. All’epoca nessuno sapeva che in quella zona c’erano soldati e posti di blocco. I miei genitori si sono diretti all’ospedale e un blindato ha aperto il fuoco su di loro. Mia madre è morta sul colpo per le ferite riportate”, racconta Serhij Pentin.
A parere di Serhij, i russi sparavano su chiunque si avvicinasse alle loro posizioni, a prescindere da chi potesse essere.
“Civili o soldati, non importava. Sparavano a vista. Purtroppo, mentre i miei camminavano, non potevano vedere [i soldati russi], che erano appostati dietro agli alberi. Invece [i miei] erano visibilissimi e i russi gli hanno sparato”.
Grazie alla 93a brigata meccanizzata, alla Difesa Territoriale e ad altri reparti l’esercito ucraino è riuscito presto a scacciare i russi da Trostjanec’: il 26 marzo 2022 sulla città già sventolava la bandiera ucraina.
Benché la fabbrica di cioccolato abbia ripreso a lavorare, non si prevede di riattivare il reparto dolciario.
— Che facevano [i russi] in quella fabbrica? Era il loro quartier generale, ci tenevano le munizioni?
— Non era il quartier generale, era più che altro uno snodo operativo. Ci tenevano le munizioni e i mezzi pesanti, ci si nascondevano. Era una struttura piuttosto grande, c’era posto per molta gente e si potevano nascondere i mezzi. Non c’era stato nessun accordo, si sono approfittati del fatto che la fabbrica era abbandonata, e basta. Sono entrati con i carri armati e i blindati, hanno sfondato la recinzione… Insomma, padroni in casa d’altri. Con un’arma in mano non hai bisogno di metterti d’accordo con qualcuno.
Al momento dell’intervista, Serhij riceveva ancora un salario dall’ex datore di lavoro, e gliene era molto grato. Durante l’occupazione a Trostjanec’ è mancata più volte la corrente e non c’era più segnale per i telefoni. Serhij ritiene che proprio la mancanza di informazioni sia stata una delle cose più difficili da affrontare: “Non sai che cosa succede attorno a te, nessuno esce di casa. Sai le cose per sentito dire e basta. Durante l’occupazione i telefoni che non funzionavano sono stati la cosa peggiore. Ma ci è andata meglio che ad altri: da noi non è durato molto”.
Benché i russi della quarta divisione meccanizzata “Kantemirskaja” siano rimasti solo un mese in città, le tracce della loro presenza si notano ancora: la strada centrale e la stazione sono completamente distrutte. Vicino ai treni in arrivo c’è ancora un vagone che le fiamme hanno ridotto a un groviglio di lamiere.
— All’inizio non ha pensato di lasciare la città?
Abbiamo esitato fino all’ultimo momento. Alla fine io me ne sono andato. Invece i miei genitori non sono voluti partire, e sono rimasti a Trostjanec’. Non hanno sentito ragioni.
— Adesso che cosa prova verso i russi, verso l’esercito che ha ucciso sua madre?
Be’, è una domanda retorica, vero? In realtà è difficile rispondere. Non voglio generalizzare, ma in questo caso la responsabilità collettiva di tutti i russi è evidente; già, non credo sia possibile metterla altrimenti.
I soldati uccidono: arrivano qui e sparano. Ma sono pagati con i soldi dello stato, di gente che sostiene tutto questo in maniera passiva. Così chi dà gli ordini ha le mani libere. Ci vorrà qualche generazione perché gli ucraini guardino ai russi in maniera diversa. Prima deve spegnersi il dolore nel cuore di chi ha subito i bombardamenti e la morte.
Il Gruppo per i diritti umani di Charkiv (Memorial Ucraina) ha aiutato materialmente Serhij Pentin, Ihor Ivanov e altri abitanti di Trostjanec’ colpiti dalla guerra, e ha raccolto la documentazione per sottoporre questi casi agli organi giudiziari internazionali.
In un solo giorno al nostro ufficio da campo si sono rivolte quaranta persone che avevano sofferto particolarmente a causa della guerra. Ciascuno ha perso una persona cara o la propria casa. Dopo la liberazione alcuni di loro sono morti per via delle mine.