Voci dalla guerra: Olena Kratkovs’ka, abitante di Černihiv. Un uomo solo col fucile contro un branco di invasori

Per il progetto "Voci dalla guerra" riportiamo la trascrizione dell'intervista a Olena Kratkovs'ka, figlia di Leonid Chyščenko, che ha affrontato gli invasori da solo con un fucile nel villaggio di Jahidne.

Voci dalla guerra: Olena Kratkovs’ka, abitante di Černihiv. Un uomo solo col fucile contro un branco di invasori

Nell’ambito del progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”) Andrij Didenko ha raccolto le dichiarazioni di Olena Kratkovs’ka, che racconta di come suo padre abbia tentato di affrontare gli invasori da solo e sia stato ucciso. L’intervista si può guardare coi sottotitoli in italiano nel canale YouTube di Memorial Italia.

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.

27.01.2023

di Andrij Didenko

Foto a mezzo busto di Olena Kratkovska

Olena Kratkovs’ka (foto di Andrij Didenko)

Mi chiamo Olena Leonydivna Kratkovs’ka. Mio padre si chiamava Leonid Anatolijovyč Chyščenko. Lo hanno ammazzato a Jahidne, nella regione di Černihiv.

– Il 3 marzo 2022, quando sono arrivati i soldati (erano tuvini, buriati e russi), mio padre ha preso il fucile ed è andato a difendere la sua casa. Non è più tornato. Il 4 marzo mia nonna è dovuta correre fuori dalla casa in fiamme, colpita da una granata. Dopodiché i russi che erano arrivati a Jahidne hanno radunato tutti gli abitanti in un unico posto. Il seminterrato della scuola. Che non era minimamente abitabile.

È stata testimone di torture, maltrattamenti o abusi?

– No, ma perché non ero in Ucraina. Non avevo fatto in tempo a tornare. Ho visto la casa bruciata, questo sì. Non è rimasto niente. Tutto quello che avevamo in casa e fuori se lo sono rubato loro: i russi, i tuvini e i buriati. Compresa la vita di mio padre.

Ci parli di lui.

– Mio padre era un uomo onesto. Aveva appeso il fucile al chiodo quindici anni fa. Era un poliziotto [dell’investigativa]. Poi è andato in pensione. Da pensionato era a capo della sicurezza del punto vendita di Černihiv della catena Eldorado. A un certo punto è tornato a vivere a Jahidne perché mia nonna non camminava quasi più.

I russi come hanno fatto a trovarlo?

– Non l’hanno trovato loro. È stato lui a voler difendere Jahidne e la sua casa.

Come è morto, ce lo dice?

– Aveva cinque buchi di pallottola nel petto. Da parte a parte. I volontari che lo hanno seppellito hanno detto che probabilmente stava camminando all’indietro. Perché i colpi erano tutti al torace.

Quindi lo ha affrontato da solo, quel branco di invasori?

– Sì, è andato da solo.

Chi erano?

– Quel giorno è entrato in casa e ha detto alla nonna: “Guarda, c’è qualcosa che brucia, fuori!”. Era un blindato, o non so che altro. Erano arrivati dalla Terza strada. E dalla Quarta, quella vicino alla scuola, hanno raggiunto Zolotynka, che è vicino. Dal bosco, poi, si arriva a Jahidne. Per quanto ne so, pensavano che Jahidne fosse zona militare. Sulla loro mappa era segnato così. E invece non lo è mai stata. Sono sempre stati agricoltori, lì. Quando ero bambina coltivavano mele. Non era neanche un paese, ma una frazione, piccola, con qualcuno che ci abitava. Non hanno mai avuto problemi per campare. Chi lavorava in città, chi in paese…

Suo padre è morto da eroe per difendere la nostra terra. Come è andata?

– Sì, credo anch’io che sia morto da eroe. Perché non è andato a nascondersi in uno scantinato. Solo lui ha preso il fucile ed è andato a combattere. Il fucile con cui andava a caccia. E ha affrontato carri armati e mitragliatrici. Per questo è un eroe, sì. Ma perché lo abbia fatto, non me lo spiego ancora. Gli hanno sparato il settimo giorno di guerra. E fino a quel giorno, per sette giorni di fila non aveva fatto che ripeterci: “Vi scongiuro, restate insieme”. Io, mia madre, mia sorella e suo figlio, mio nipote. Questo voleva. Ma io ero in Francia. E gli altri a Černihiv. Ci siamo ritrovati il 2 marzo in Polonia.

E anche quand’ero in Polonia, mio padre continuava a dirmi: “Tieni insieme la famiglia, tienila insieme”. Sembrava quasi che fosse pronto al peggio… Quando ci parlavamo al telefono, arrivava sempre qualche chiamata a interromperci. Forse stava prendendo accordi con qualcuno, chi lo sa, o forse no. Diceva: “Se arriva il ‘mondo russo’, se i russi vogliono infilarsi nelle nostre case, non glielo permetterò. A casa mia non entrano. Gli sparo: almeno uno lo ammazzo di sicuro”. E così è stato. Ne ha ucciso uno e, credo, ne ha ferito un secondo. Mentre il terzo ha ammazzato mio padre, da quello che so. La nonna mi ha detto di aver sentito che erano in tre.

 

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