(di Dima Strocev, poeta bielorusso; traduzione di Giulia De Florio )
06 marzo 2023
alle 07:48
Dima Strocev è una delle voci più note della poesia bielorussa contemporanea in lingua russa. Dagli anni Novanta pubblica raccolte in volume e poesie su riviste. I suoi “reportage poetici” sono tradotti in oltre dieci lingue. Nel 2021 in Italia, per la casa editrice Valigie Rosse, è uscita la sua raccolta Terra Sorella, Premio Ciampi/Valigie Rosse 2020. Il 21 ottobre 2020 Strocev è stato catturato dalle forze dell’ordine e condannato a 10 giorni di reclusione nelle prigioni di Akres’cina e Žodzina per aver partecipato alle manifestazioni che hanno incendiato per mesi la Belarus’ a seguito dei brogli elettorali di agosto 2020. Attualmente non vive in Belarus’. Il testo che qui presentiamo è stato tradotto da Giulia De Florio. “Sono convinto che se i bielorussi avessero ricevuto adeguato sostegno nel 2020, dalla Belarus’ non sarebbe partita l’aggressione su Kyiv nel 2022. Oggi la società civile del mio paese è distrutta. Centinaia di organizzazioni governative e non sono state vietate, chiuse o dichiarate estremiste: sindacati, media, case editrici, circoli. Tutto quello che il regime non può controllare direttamente. Decine di migliaia di cittadini hanno subìto fermi e reclusioni. Ogni giorno si susseguono arresti e processi farsa, circa 1.500 prigionieri politici sono attualmente rinchiusi in carcere. Io, come migliaia di connazionali, ho dovuto lasciare il paese per sfuggire alla persecuzione da parte delle autorità”.

(foto di Malkin Serge, CC 4.0, https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/)
Lo shock che molti hanno subito il 24 febbraio 2022, io l’avevo provato per la prima volta l’8 agosto 2008. All’epoca le truppe della Federazione russa erano entrate in Georgia. Sopra un monastero nel paesino di Nikozi, dove avevo soggiornato due settimane prima dell’invasione, e che si trova a 800 metri da Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia del sud dalla parte georgiana, erano state sganciate 40 bombe aeree. Decine di villaggi georgiani vennero distrutti, le case degli abitanti bruciate o spianate dai bulldozer. Gruppi di sciacalli armati giravano per le strade, picchiavano a morte gli anziani rimasti in casa, caricavano sulle macchine la loro roba e la portavano via (proprio come a Buča e Irpin’ nel 2022). Le truppe russe poi lasciarono la Georgia, ma dopo che i confini erano stati spostati di decine di chilometri: intere aree georgiane, come Akhalgori, erano state occupate.
Alla vigilia del 24 febbraio molti dubitavano che la Federazione Russa potesse spingersi fino a invadere militarmente il territorio di uno stato indipendente. Dubbi simili, purtroppo, non mi hanno mai sfiorato. Avevo bene in mente che poco prima dell’aggressione in Georgia 2000 carri armati si erano ammassati in Ossezia del Nord, mentre i territori georgiani precedentemente occupati si riempivano di truppe e mezzi militari. Esattamente come in Ucraina nel 2022 queste manovre avvenivano alla luce del sole, anzi, in modo plateale.
È mia convinzione che dalla metà degli anni 2000 il governo della Federazione Russa stia portando avanti un ambizioso progetto geopolitico di ricostruzione di un impero che abbia i confini dell’ex Unione Sovietica. Già nel 2006 Putin in un intervento parlò del ruolo senza pari di Stalin, unificatore delle terre russe. All’epoca sembrò fuori luogo, oggi le autorità russe inaugurano in ogni dove monumenti al Generalissimo e ad altri comandanti sovietici. Si discute la possibilità di ritornare al vecchio nome di Volgograd: Stalingrado.
2008: aggressione in Georgia. 2014: annessione della Crimea ucraina e occupazione dei territori occidentali dell’Ucraina. 2020: repressione della società civile in Belarus’ e trasformazione del Paese in una piazza d’armi per l’attacco a Kyiv dal confine bielorusso. 2022: invasione su larga scala dell’Ucraina.
Qual è la vera sorpresa del 2022? L’imprevedibile volontà degli ucraini di difendere il proprio Paese.”
La comunità mondiale era pronta a riconoscere la sconfitta dell’Ucraina (Kyiv sarebbe caduta in tre giorni) e ad accettare la conquista della Federazione russa e la sua espansione territoriale. Ci sarebbero state limitate sanzioni nei confronti della Russia, ma si sarebbero mantenuti i contatti diplomatici e commerciali con il Paese aggressore. Il North Stream avrebbe continuato a funzionare, l’Europa si sarebbe rifornita di tutto il gas russo necessario. Bisogna pensare all’inverno, dopotutto.
Dalla fine degli anni Duemila ho ripreso molti contatti con l’Ucraina. Per circa dieci anni ho partecipato alle attività dell’Istituto di Teologia di Kyiv che si svolgevano ogni estate a Lišnja, a 40 chilometri a ovest di Kyiv (non lontano da Makarov e Borodnjaki). Nuove amicizie sono nate a Charkiv, Kyiv, Odessa, Cherson e Leopoli. Ho viaggiato a Slov’’jans’k e Svjatohirs’k quando erano già state occupate. Agli incontri dell’Istituto prestavamo grande attenzione al tema della guerra scatenata dalla Federazione Russa in Ucraina nel 2014. Vedevo gli intellettuali ucraini prendere posizione, vedevo crescere la volontà della società civile ucraina di opporsi all’aggressione, vedevo le persone costruire rapporti orizzontali ed essere pronte ad assumersi la responsabilità del proprio Paese.
Tutto questo si è messo in moto con una forza impressionante il 24 febbraio. L’esercito ucraino aveva già otto anni di esperienza di guerra, ma gli armamenti erano imparagonabili a quelli del paese aggressore. A Kyiv, in tutta l’Ucraina, in pochissimo tempo c’è stata una impressionante mobilitazione volontaria di tutta la società. Gli ucraini si sono convertiti al contesto bellico, stravolgendo la propria esistenza per supportare l’esercito e organizzare truppe di difesa del territorio, per aiutare la popolazione civile e difendere le proprie città. Fin dai primi giorni dell’invasione ero in una chat su Telegram creata dagli ucraini, e leggevo di persone benestanti e uomini d’affari che convertivano le proprie attività, trasformavano i magazzini in centri di raccolta di aiuti umanitari e per l’esercito. Gli amici ucraini dicevano di aver scommesso già da un pezzo sulla solidarietà orizzontale, non fidandosi del potere corrotto e burocratizzato.
Kyiv non è caduta né in tre giorni né mai. Le truppe dell’aggressore sono state respinte ben lontano dalla capitale e da Charkiv, dopo è stata liberata anche Cherson. È stata la sola volontà degli ucraini di difendere il proprio Paese a far cambiare idea ai leader dei paesi occidentali, a demolire l’impalcatura di compromessi con la Federazione russa e a costringerli ad agire.
Nel 2020, da agosto a dicembre, per oltre quattro mesi i bielorussi sono scesi in piazza per protestare in massa in tutto il Paese. Si organizzavano marce che radunavano centinaia di migliaia di persone a Minsk e decine di migliaia in altre città, si tenevano manifestazioni spontanee nei cortili, tra gli inquilini del quartiere. Erano gesti di disubbidienza, la risposta ai brogli elettorali delle elezioni del 9 agosto 2020, alla violenza inaudita – con tanto di pestaggi e uccisioni – da parte delle forze dell’ordine comandate da un potere illegittimo.
All’epoca mi trovavo anch’io a Minsk e partecipavo alle proteste. Il 21 ottobre sono stato catturato dai servizi speciali nel cortile di un condominio privato e trascinato con un sacchetto in testa nella sede centrale del KGB bielorusso. Mi hanno condannato a 13 giorni di detenzione che ho scontato nelle prigioni di Akrescyna e Žodzina.
Avendo preso parte in prima persona alla sollevazione popolare della Belarus’ ho potuto osservare la dinamica emotiva delle persone in mezzo alle quali mi trovavo.”
Bisogna sottolineare, prima di tutto, che nel 2020 la maggioranza dei bielorussi ha fatto una scelta europea, in favore di un futuro democratico per il proprio Paese. Hanno perso ogni fiducia in Lukašėnka. Molti, peraltro, speravano che il governo russo avrebbe smesso di appoggiare il dittatore bielorusso e avrebbe preso le parti della società civile della Belarus’ che aveva mostrato chiaramente da che parte stava.
Dopo l’invasione dell’esercito russo in Ucraina il 24 febbraio 2022 divenne chiaro che quelle speranze erano infondate. Già nel 2020 la leadership russa aveva stabilito che ruolo avesse la Belarus’ nel suo progetto geopolitico. Si stava pianificando un attacco in Ucraina a partire dal territorio del mio paese. Per fare ciò il potere bielorusso doveva essere completamente sottomesso a quello russo e la società civile bielorussa annientata in quanto d’intralcio alla realizzazione dei piani militari.
Per questa ragione a soffocare le proteste bielorusse, oltre alle formazioni militari locali, sono intervenuti reparti di forze russe (tutti gli agenti erano privi di segni di riconoscimento), inclusi quelli ceceni.
Il mondo intero ha seguito gli eventi bielorussi del 2020, la copertura mediatica è stata ampia. Molte persone in Europa e nel mondo hanno sentito parlare per la prima volta della Belarus’, ne hanno scoperto l’esistenza e la diversità rispetto alla Federazione russa. I bielorussi però non hanno ricevuto tutto l’aiuto necessario. Le sanzioni al regime di Lukašėnka sono state imposte in dosi “omeopatiche”, l’Ucraina e i paesi europei avevano mantenuto i contatti commerciali con il potere illegittimo della Belarus’. La comunità internazionale tollerava lo stato di cose nel mio Paese.
Sono convinto che se i bielorussi avessero ricevuto adeguato sostegno nel 2020, dalla Belarus’ non sarebbe partita l’aggressione su Kyiv nel 2022.”
Oggi la società civile del mio paese è distrutta. Centinaia di organizzazioni governative e non sono state vietate, chiuse o dichiarate estremiste: sindacati, media, case editrici, circoli. Tutto quello che il regime non può controllare direttamente. Decine di migliaia di cittadini hanno subìto fermi e reclusioni. Ogni giorno si susseguono arresti e processi farsa, circa 1.500 prigionieri politici sono attualmente rinchiusi in carcere. Io, come migliaia di connazionali, ho dovuto lasciare il paese per sfuggire alla persecuzione da parte delle autorità.
Il 4 marzo 2022 sono andato via, in Lettonia, passando dalla Russia. A Riga ho visto l’incredibile solidarietà degli europei nei confronti degli ucraini: gente comune si era messa subito all’opera – raccogliendo aiuti umanitari, accogliendo i profughi ucraini – e molto prima che i vertici europei prendessero decisioni in merito al sostegno all’Ucraina. E devo dire che i migranti bielorussi, quelli che dopo il 2020 erano stati costretti ad abbandonare il paese, sono stati tra i primi ad aspettare gli ucraini nei punti di accoglienza, nelle stazioni europee. L’esperienza di migrazione vissuta sulla propria pelle aveva permesso di capire i bisogni degli altri.
Oggi una cinquantina di paesi si sono coalizzati per sostenere l’Ucraina nella lotta contro l’aggressore russo. Le discussioni sulla necessità di fornire gli armamenti all’Ucraina si sono spente. Ai militari ucraini si insegna il funzionamento e l’utilizzo della migliore tecnologia bellica. Non c’è più alcun dubbio che la Federazione russa non avrà la meglio sull’Ucraina. Si va rafforzando la convinzione che l’Ucraina vincerà e si riprenderà i suoi territori. Eppure, per quanto l’umore sia ottimista, non riesco a togliermi dalla testa un’amara constatazione: quel folle di Putin ha comunque raggiunto il suo scopo. Sfruttando la frammentazione e l’incoerenza della comunità mondiale e la reazione inadeguata dell’Europa e del mondo di fronte alle azioni aggressive della Federazione russa, a partire dall’attacco in Georgia del 2008, il governo russo ha sconvolto nel corso di quindici anni la propria società, ha convinta i russi che sono unici e inimitabili e possono fare quello che vogliono. Putin è riuscito ad arcaicizzare la coscienza sociale, a far esaltare milioni di persone per la guerra, rendendola il momento culminante di tutta la vita della società russa. A condividere quest’euforia oggi sono tanto i russi comuni quanto i rappresentanti delle élite nazionali, gli studiosi e le figure di spicco della cultura.
Secondo il filosofo americano di origine francese René Girard, le guerre del XXI secolo non hanno obiettivi politici, la loro spinta propulsiva è lo scontro in sé e per sé. Le autorità russe gettano legna umana nel fuoco della guerra ucraina e costringono l’Ucraina e la comunità mondiale a rispondere allo stesso modo.
Da quando ho lasciato la Belarus’ sono sempre in viaggio. Ho letto poesie e parlato di Belarus’ e Ucraina in oltre dieci paesi europei. Durante questo girovagare la mia opinione sugli europei è completamente cambiata. Se prima pensavo che più le persone si trovano lontane dalla guerra più restano indifferenti alla catastrofe che sta avvenendo in Europa orientale, ora ho cambiato idea. Non è vero che gli abitanti dell’Europa occidentale sono indifferenti; è vero, invece, che non capiscono le proporzioni del terrore in Belarus’ e della guerra in Ucraina. Hanno bisogno di essere presi per mano e guidati in mezzo agli eventi.
È impossibile tradurre in parole un’esperienza apocalittica, men che meno si augura a qualcuno di doverla vivere, un’esperienza del genere.
Ma oggi è essenziale guardare in faccia la catastrofe. Il nostro mondo ci sta sfuggendo di mano. Stringiamoci insieme e agiamo.