Voci dalla guerra: Ihor Ivanov, abitante di Trostjanec’

Solo dopo la liberazione di Trostjanec' da parte delle truppe ucraine Ihor Ivanov ha potuto ritrovare i resti della moglie, che era scomparsa durante l'occupazione russa. Ancora non si capacita di averla persa.

Voci dalla guerra. La voce di Ihor Ivanov, abitante di Trostjanec’

Ihor Ivanov ancora non riesce a capacitarsi dell’uccisione della moglie, il cui corpo è stato ritrovato solo dopo che le truppe ucraine hanno liberato Trostjanec’. Denys Volocha ha raccolto la sua testimonianza, che ora viene pubblicata in nove lingue grazie al progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”). L’intervista si può guardare coi sottotitoli in italiano nel canale YouTube di Memorial Italia.

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.

“Non è riuscita a compiere 53 anni”

Denys Volocha

11.12.2022

Un abitante di Trostjanec’ parla della moglie, fermata e uccisa.

Ihor Ivanov di Trostjanec’ stenta ancora a credere che sua moglie non c’è più. Fermata senza un motivo preciso durante l’occupazione russa della città, se ne sono perse le tracce per diverso tempo. Quando Trostjanec’ è stata liberata, le forze dell’ordine hanno trovato un corpo sepolto che, a detta di Ihor, era difficile da identificare.

Ihor, ci dice cos’è stata per lei l’occupazione russa a Trostjanec’?

Un fulmine a ciel sereno. Una mattina guardo fuori dalla finestra e ci sono i carri armati sotto casa. Stiamo sulla Lunina, a 5-6 metri dalla strada, e lì c’erano i carri armati. E ancora camion, blindati, autobotti. I nostri figli stavano in una parallela, noi lì, e facevamo avanti e indietro passando per l’orto, senza farci vedere. Non mi sono accorto che [mia moglie] era uscita, non so dove doveva andare e perché. Poi sono saltate le linee telefoniche. Non c’è stata connessione per tre giorni. Avevano staccato l’elettricità, non funzionavano i ripetitori. E sono andato a cercarla, in giro. Quando sono arrivate le truppe ucraine a liberarci, anche la polizia ha ripreso a lavorare, e ho denunciato la scomparsa. Due mesi dopo, forse un po’ di più, mi hanno chiamato per identificare un corpo.

L’avevano trovata per caso, mezzo metro sottoterra. È stata dura identificarla, ma ho riconosciuto alcune caratteristiche.

Quindi l’avevano fermata?

Sì. E non solo lei, quella sera. Non so il numero preciso, ma direi dieci-quindici persone. Non so cosa sia successo. Le hanno sparato alla testa. Ho la dichiarazione dei medici. Perché, lo sa solo chi le ha sparato.

Dove l’hanno tenuta?

Nella torre del deposito di cereali che abbiamo qui a Trostjanec’. C’è l’impianto di essiccazione, i magazzini. Il silos.

Cosa faceva sua moglie?

Lavorava nel commercio. In quel momento vendevamo fiori. Li coltivavamo per venderli. Avevamo una piccola attività. Non molto grande, iniziava appena a crescere. Mia moglie la conoscevano tutti, a Trostjanec’. Aveva anche lavorato in una ferramenta, per un bel po’. E io per l’azienda del gas.

Che motivo potevano avere per trattenerla?

Non lo so. Forse era passato il coprifuoco? Non lo so. Sarà uscita che erano le 4 del pomeriggio e il coprifuoco quella volta iniziava alle 5, mi pare. “Quella volta” intendo durante l’occupazione. E non ricordo fino a che ora. Fino alle 8 del mattino, qualcosa così. E comunque sconsigliavano di uscire di casa. Si sarà fermata da qualche parte, chi lo sa… Io non lo so.

Perché ha deciso di restare in città? Perché non se n’è andato?

Speravo che tornasse. La aspettavo. E poi, dove potevo andare? Eh? Io sono degli Urali. Mia madre è ancora viva e sta lì. Ma io come ci arrivo? E non ho altri posti dove andare. Resto qui, e sarà quel che dev’essere. Magari torneranno i miei figli. Verso primavera, chissà. Sono sfollati, loro. In un altro paese, un bel po’ a nord.

Come stavate durante l’occupazione? Il cibo è mai mancato, per esempio?

All’inizio uscivamo di giorno. All’inizio si poteva fare, non c’erano problemi. E da quello che potevo capire i soldati erano di leva. Erano molto giovani, si vedeva. Poco più che ventenni. Ce n’erano anche di più vecchi, certo. In realtà, qualche assaggio c’era stato: il primo giorno hanno sparato su una macchina alla stazione. È rimasta lì tre giorni, non abbiamo potuto seppellire chi c’era dentro: non ci davano l’autorizzazione. Poi una granata da una parte, un proiettile vagante da un’altra. Cercavamo [di uscire] solo se serviva, questo sì, solo se c’era da comprare qualcosa. Perché nei primi giorni ancora si trovava, qualcosa da comprare, ma dopo una settimana con i negozi aperti, la gente aveva portato via tutto. E non c’era più niente, nei negozi.

Sono mai venuti casa per casa?

All’inizio no, non l’ho mai sentito dire. Passavano in colonna e basta. Era già il 16, mi pare, quando sono venuti da me quelli di Donec’k. A controllare i documenti. Hanno controllato anche il telefono, le foto. Si sono piazzati nei punti più alti. C’era anche un cecchino, mi hanno detto. Io non l’ho mai visto, ma poco distante da noi c’erano i [soldati], quelli sì che li ho visti. E sono venuti a casa mia, sì. Ma “in amicizia”, per così dire. Erano tranquilli. Niente prepotenze, dico la verità. Mentre altrove ho sentito dire che hanno trattato male la gente. È capitato che portassero via qualcosa, ma solo perché anche loro erano a corto di cibo. C’era poco da portare via, comunque, era successo tutto all’improvviso, la gente non aveva fatto scorte. C’era giusto qualcosa in cantina: patate, carote, conserve fatte in casa. Basta. Non ce l’aspettavamo, che succedesse. Non eravamo preparati.

Il Gruppo per i diritti umani di Charkiv (Memorial Ucraina) ha aiutato materialmente Ihor Ivanov e ha raccolto i materiali per sottoporre il suo caso agli organi giudiziari internazionali. Nei giorni trascorsi a Trostjanec’, ai nostri avvocati si sono rivolte più di cinquanta persone che avevano perso i propri cari o le proprie abitazioni, o che avevano riportato delle mutilazioni per colpa dei russi.

 



 

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Verona, 14 novembre 2024. Il caso Sandormoch.

Giovedì 14 novembre alle 16:00 nell’aula co-working del dipartimento di lingue e letterature straniere dell’università di Verona la nostra presidente Giulia De Florio terrà il seminario Riscrivere la storia, proteggere la memoria: il caso di Sandormoch. Giulia De Florio e Andrea Gullotta hanno curato per Stilo Editrice la traduzione italiana del volume Il caso Sandormoch: la Russia e la persecuzione della memoria di Irina Flige, presidente di Memorial San Pietroburgo. Del volume hanno voluto parlare Martina Napolitano, Stefano Savella, Francesco Brusa e Maria Castorani. Nell’immagine il monumento in pietra presente all’ingresso del cimitero di Sandormoch sul quale si legge l’esortazione “Uomini, non uccidetevi”. Foto di Irina Tumakova / Novaja Gazeta.

Leggi

Pisa, 8-29 novembre 2024. Mostra “GULag: storia e immagini dei lager di Stalin”.

Il 9 novembre 1989 viene abbattuto il Muro di Berlino e nel 2005 il parlamento italiano istituisce il Giorno della Libertà nella ricorrenza di quella data, “simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”. Per l’occasione, l’assessorato alla Cultura del Comune di Pisa porta a Pisa la mostra GULag: storia e immagini dei lager di Stalin. La mostra, a cura di Memorial Italia, documenta la storia del sistema concentrazionario sovietico illustrata attraverso il materiale documentario e fotografico proveniente dagli archivi sovietici e descrive alcune delle principali “isole” di quello che dopo Aleksandr Solženicyn è ormai conosciuto come “arcipelago Gulag”: le isole Solovki, il cantiere del canale Mar Bianco-Mar Baltico (Belomorkanal), quello della ferrovia Bajkal-Amur, la zona mineraria di Vorkuta e la Kolyma, sterminata zona di lager e miniere d’oro e di stagno nell’estremo nordest dell’Unione Sovietica, dal clima rigidissimo, resa tristemente famosa dai racconti di Varlam Šalamov. Il materiale fotografico, “ufficiale”, scattato per documentare quella che per la propaganda sovietica era una grande opera di rieducazione attraverso il lavoro, mostra gli edifici in cui erano alloggiati i detenuti, la loro vita quotidiana e il loro lavoro. Alcuni pannelli sono dedicati a particolari aspetti della vita dei lager, come l’attività delle sezioni culturali e artistiche, la propaganda, il lavoro delle donne, mentre altri illustrano importanti momenti della storia sovietica come i grandi processi o la collettivizzazione. Non mancano una carta del sistema del GULag e dei grafici con i dati statistici. Una parte della mostra è dedicata alle storie di alcuni di quegli italiani che finirono schiacciati dalla macchina repressiva staliniana: soprattutto antifascisti che erano emigrati in Unione Sovietica negli anni Venti e Trenta per sfuggire alle persecuzioni politiche e per contribuire all’edificazione di una società più giusta. Durante il grande terrore del 1937-38 furono arrestati, condannati per spionaggio, sabotaggio o attività controrivoluzionaria: alcuni furono fucilati, altri scontarono lunghe pene nei lager. La mostra è allestita negli spazi della Biblioteca Comunale SMS Biblio a Pisa (via San Michele degli Scalzi 178) ed è visitabile da venerdì 8 novembre 2024, quando verrà inaugurata, alle ore 17:00, da un incontro pubblico cui partecipano Elena Dundovich (docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Pisa e socia di Memorial Italia), Ettore Cinnella (storico dell’Università di Pisa) e Marco Respinti (direttore del periodico online Bitter Winter). Introdotto dall’assessore alla cultura Filippo Bedini e moderato da Andrea Bartelloni, l’incontro, intitolato Muri di ieri e muri di oggi: dal gulag ai laogai, descriverà il percorso che dalla rievocazione del totalitarismo dell’Unione Sovietica giunge fino all’attualità dei campi di rieducazione ideologica nella Repubblica Popolare Cinese. La mostra resterà a Pisa fino al 28 novembre.

Leggi

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz.

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz con curatela di Luca Bernardini (Guerini e Associati, 2024). Una testimonianza al femminile sull’universo del Gulag e sugli orrori del totalitarismo sovietico. Arrestata nel 1945 a ventidue anni per la sua attività nell’AK (Armia Krajowa), l’organizzazione militare clandestina polacca, Anna Szyszko-Grzywacz viene internata nel lager di Vorkuta, nell’Estremo Nord della Siberia, dove trascorre undici anni. Nella ricostruzione dell’esperienza concentrazionaria, attraverso una descrizione vivida ed empatica delle dinamiche interpersonali tra le recluse e della drammatica quotidianità da loro vissuta, narra con semplicità e immediatezza la realtà estrema e disumanizzante del Gulag. Una realtà dove dominano brutalità e sopraffazione e dove la sopravvivenza per le donne, esposte di continuo alla minaccia della violenza maschile, è particolarmente difficile. Nell’orrore quotidiano raccontato da Anna Szyszko-Grzywacz trovano però spazio anche storie di amicizia e solidarietà femminile, istanti di spensieratezza ed emozioni condivise in una narrazione in cui alla paura e alla dolorosa consapevolezza della detenzione si alternano le aspettative e gli slanci di una giovane donna che non rinuncia a sperare, malgrado tutto, nel futuro. Anna Szyszko-Grzywacz nasce il 10 marzo 1923 nella parte orientale della Polonia, nella regione di Vilna (Vilnius). Entra nella resistenza nel settembre 1939 come staffetta di collegamento. Nel giugno 1941 subisce il primo arresto da parte dell’NKVD e viene rinchiusa nella prigione di Stara Wilejka. Nel luglio 1944 prende parte all’operazione “Burza” a Vilna come infermiera da campo. Dopo la presa di Vilna da parte dei sovietici i membri dell’AK, che rifiutano di arruolarsi nell’Armata Rossa, vengono arrestati e internati a Kaluga. Rilasciata, Anna Szyszko cambia identità, diventando Anna Norska, e si unisce a un’unità partigiana della foresta come tiratrice a cavallo in un gruppo di ricognizione. Arrestata dai servizi segreti sovietici nel febbraio 1945, viene reclusa dapprima a Vilna nel carcere di Łukiszki, e poi a Mosca alla Lubjanka e a Butyrka. In seguito alla condanna del tribunale militare a venti anni di lavori forzati, trascorre undici anni nei lager di Vorkuta. Fa ritorno in patria il 24 novembre 1956 e nel 1957 sposa Bernard Grzywacz, come lei membro della Resistenza polacca ed ex internato a Vorkuta, con cui aveva intrattenuto per anni all’interno del lager una corrispondenza clandestina. Muore a Varsavia il 2 agosto 2023, all’età di cento anni. Recensioni La mia vita nel Gulag in “Archivio storico”. La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz di Paolo Rausa in “Italia-express”, 13 dicembre 2024. “Una donna nel Gulag”: Anna Szyszko-Grzywacz, la vittoria dei vinti di Elena Freda Piredda in “Il sussidiario.net”, 20 dicembre 2024.

Leggi