“Poesia del tempo ultimo”. Come la guerra ha modificato la parola poetica russa

L'antologia raccoglie una parte davvero consistente dei versi in lingua russa contro la guerra, scritti dal 24 febbraio al luglio del 2022, a formare un corpus di più di 600 pagine.

(di Massimo Maurizio, professore di Letteratura russa all’Università di Torino, socio di Memorial Italia; foto di Aaron Burden su Unsplash)


28 febbraio 2023 
ore 09:28


A un anno dall’invasione russa dell’Ucraina è tempo di riflettere anche su come quell’evento ha progressivamente modificato la parola poetica russa. Le opere composte nel primo trimestre sono caratterizzate da numerosi riferimenti a personaggi e opere per i bambini, a modalità narrative vicine al folclore, all’uso di una lingua infarcita di espressioni infantili(zzate) o a intonazioni che richiamano ninna-nanne o la conta nei giochi dei più piccoli. A partire dal secondo trimestre post-bellico si nota un generale cambio di intonazione, che si rifà a una narrazione più concreta, che si attiene a una descrizione generalmente impietosa del sé nel contesto della guerra russo-ucraina, a testimonianza di una prospettiva diversa, da un punto di vista emozionale, in un certo senso più fredda e razionalizzante, in cui sono frequenti immagini crude e feroci delle atrocità, allora già note, compiute dall’esercito russo nei luoghi dell’Ucraina tristemente famosi, immagini spesso stimolate dalle notizie della stampa indipendente.


La prima reazione di buona parte dei letterati russi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito di Putin è stato un imbarazzato silenzio, non ovviamente perché non si parlasse o commentasse l’accaduto, ma per il sentimento di non possedere strumenti adeguati, funzionali a esprimere la condanna e a concettualizzare i fatti, per sé in primo luogo. Molto spesso, peraltro, questa afasia, fattuale e totalizzante, si accompagnava a un senso di vergogna, derivato prima di tutto dall’essere un cittadino dello stato aggressore.


Questo sentimento va nella direzione opposta rispetto alla visione ufficiale, propagandistica ed ‘eroica’ e denota di per sé un disaccordo di fondo. Nella storia russa questo ‘disaccordo’ viene legato all’idea di ‘dissenso’, che spesso e volentieri ha acquisito una valenza politica, malgrado le intenzioni dei protagonisti che nella seconda metà del secolo scorso, rivendicavano diritti, quali la libertà personale o di pensiero ben più spesso di avanzare proposte politiche in senso stretto.


Con le dovute differenze e la cautela con la quale bisogna parlare della contemporaneità più stringente, oggi la cultura russa pare effettivamente testimoniare una sempre maggiore polarizzazione di vedute, sentimenti e soprattutto di modalità espressive, sebbene la produzione culturale filo-putiniana, ufficiale, appaia (per ora) assai inferiore dal punto di vista quantitativo, oltre che qualitativo. A fronte di ciò, una delle differenze più evidenti rispetto alla dicotomia ufficiale / non-ufficiale del periodo sovietico risiede nelle modalità di diffusione del secondo polo dell’opposizione che, grazie ai media moderni, sostanzialmente non incontra barriere. Questo fa sì che si annulli la differenza tra samizdat e tamizdat sovietico (opere della cultura non ufficiale diffuse, rispettivamente, in patria e al di fuori di essa), proprio grazie alla grande accessibilità, e quindi a una maggior uniformità della cultura letteraria nel suo complesso fuori e dentro i confini della Russia. Questa considerazione non è di poco conto, se si pensa all’enorme quantità di emigrati russi a partire dal febbraio-marzo 2022, la maggior parte dei quali sono tecnici specializzati e, appunto, intellettuali.


In questo anno di guerra la diffusione delle voci dissenzienti è stata costante e ampia. Il progetto più ambizioso è certamente “ROAR, Russian Oppositional Arts Rewiev”, bimestrale online curato da L. Goralik, regolarmente tradotto anche in inglese, giapponese, francese e in italiano (grazie al lavoro del collettivo Russia Resistente). La rivista ospita testi in prosa e poesia, articoli critici, video e audio, legati al tema della guerra e, ultimamente, anche a questioni ‘scomode’ per la politica russa, presentandosi prima di tutto come piattaforma di opposizione culturale, in grado di definire spazi espressivi alternativi.


Alla fine del 2022 per la prestigiosa casa editrice pietroburghese Limbus press è stata pubblicata l’antologia Poezija poslednego vremeni. Chronika, il cui titolo, Poesia dell’ultimo periodo. Cronaca, può anche essere interpretato come Poesia del tempo ultimo. Cronaca, che raccoglie una parte davvero consistente dei versi in lingua russa contro la guerra, scritti dal 24 febbraio al luglio del 2022, a formare un corpus di più di 600 pagine.


Vale la pena segnalare anche la recente (gennaio 2023) e coraggiosa pubblicazione sulla rivista “Volga” di una raccolta di versi di G. Lukomnikov, che ha avuto un impatto notevole, dal momento che una presa di posizione così netta da parte di un organo di stampa con sede e redazione in Russia rappresenta una crepa importante nel discorso monolitico di sostegno alla guerra all’interno del Paese. Per ora non ci sono state conseguenze.


Similmente, in diversi paesi (Italia, Stati Uniti, Canada, Israele e altri) sono state pubblicate antologie e traduzioni contro l’invasione armata dell’Ucraina, in cui molti testi dissenzienti vengono raccolti e tradotti, spesso accanto alla versione originale, per permettere di leggere in lingua russa ciò che in Russia non è – e a breve non sarà – accessibile.


Quanto detto certifica una cultura alternativa estremamente viva, ma anche la grande attenzione di un ampio pubblico fuori dal Paese, che segue e collabora a iniziative, tese sostanzialmente a far sentire quelle voci e a stabilire un fronte comune per portare avanti e sostenere un discorso fatto da autori russi (fuori e dentro la Federazione). Questo fermento testimonia prima di tutto della necessità di esporsi (spesso dall’interno di un Paese che prevede pene detentive fino a 15 anni per “discredito dell’esercito russo”) e di assumere una posizione netta; tutto ciò mi sembra indicativo di una ricerca artistica orientata, prima che in direzione estetica, a superare proprio quell’afasia di cui si parlava all’inizio.


È ovvio, come lo è sempre, che non tutti i 133 autori che figurano su Poesia dell’ultimo periodo, o i 76 poeti dell’ultimo numero di ROAR (per prenderne uno a caso) sono degni di nota da un punto di vista prettamente artistico e poetico, ma da una prospettiva sincronica e presentista la cosa più importante è la coesistenza di voci diversi, l’impressione di un pantheon culturale in formazione, coeso, nel quale le opere di autori canonizzati ben prima del 24 febbraio sono affiancate a quelle di esordienti o di chi si era appena affacciato alla scena della cultura russa pre-bellica (che orrore utilizzare questo aggettivo per l’oggi!).


Al netto della varietà delle scritture, mi sembra interessante rilevare una certa uniformità di approcci al discorso sulla guerra e ai modi di parlarne nei tre mesi immediatamente successivi all’attacco all’Ucraina e quelli successivi: leggendo Poesia dell’ultimo periodo si nota un cambiamento di modalità espressiva, comune a moltissimi autori, a partire da maggio-giugno 2022. Le opere composte nel primo trimestre sono caratterizzate da numerosi riferimenti a personaggi e opere per i bambini, a modalità narrative vicine al folclore, all’uso di una lingua infarcita di espressioni infantili(zzate) o a intonazioni che richiamano ninna-nanne o la conta nei giochi dei più piccoli. Tenuto conto che la realtà infantile viene riletta alla luce della tragicità del presente e della sostanziale mancanza di speranza che essa porta con sé, si può affermare – sebbene in maniera e con modalità difformi – che il rimando a questo tipo di fonti sia indice della ricerca di strategie espressive specifiche, tramite il rifarsi a un contesto “sicuro”, “protetto”, come quello dell’infanzia, ma che viene costantemente presentato come violato, violentato, piegato alla logica perversa del potere, trascinando con sé anche coloro che a questo gioco non vorrebbero partecipare.

Fa i bagagli il mio papà,

Valigie, sacchi ed un sofà,

Due trapani tedeschi, qualche lima

E le tendine da mettere in cucina.

La lavatrice bosch, ché questa

A trovarla oggi c’è da uscir di testa.

IPhone, caricatori, capsule da denti,

Tutto ha già disposto attentamente.

Per sua figlia, Olja, la più piccolina

Un anello con un fiore, gli orecchini.

Ai nipotini, a Vanja e ad Olég

Confezioni quasi nuove con i lego,

Un reggiseno appena insanguinato,

Lo manda in dono alla moglie amata,

come il più prezioso dei presenti.

Il papino nostro adesso è al fronte.

– Che fortuna ho avuto, un colpaccio,

– Da Buča un saluto,

– Baci e abbracci.

(A. Olejnikov)


Questi rimandi conducono all’uso di una lingua in un certo modo de-personalizzata, attinta da modi scrittori e narrativi ampiamente conosciuti e riconoscibili. Similmente, i diffusi riferimenti alla cultura musicale degli anni ’80 riportano a considerazioni analoghe su uno spazio ‘protetto’ simile, soltanto legato al periodo dell’adolescenza e del nuovo corso portato dalla perestrojka.


Nelle opere di Poesia dell’ultimo periodo composte a partire dal secondo trimestre post-bellico si nota un generale cambio di intonazione, che si rifà a una narrazione più concreta, che si attiene a una descrizione generalmente impietosa del sé nel contesto della guerra russo-ucraina, a testimonianza di una prospettiva diversa, da un punto di vista emozionale, in un certo senso più fredda e razionalizzante, in cui sono frequenti immagini crude e feroci delle atrocità, allora già note, compiute dall’esercito russo nei luoghi dell’Ucraina tristemente famosi, immagini spesso stimolate dalle notizie della stampa indipendente.


C’è la guerra laggiù, distante.

Qui una guerricciola, la mia.

Sono un disertore. E un niente

Vale tutta la mia poesia.

Qui in una terra d’altri,

– della retrovia è la nuca –

Se devo parlare io latro:

L’unica lingua che produca.

(V. Pavlova)


Il filone documentale nella poesia russa era uno dei più interessanti e promettenti del lustro precedente il 24 febbraio e di norma aveva una valenza sociale, militante, in quanto impiegato per parlare della parità di genere, della violenza domestica e di temi simili.


Queste osservazioni certificano, a mio avviso, la definizione di una corrente che potremmo definire ‘antibellica’ (non pacifista, quanto meno nel senso in cui la stampa occidentale ripropone questo termine per la guerra in Ucraina), nella quale vengono presi in considerazione gli atti e le atrocità dell’esercito russo, ma non si parla quasi mai della controparte, a nome della quale – per una questione certamente di rispetto e muta compartecipazione – non ci si sente di parlare, quanto meno da parte russa, quanto meno in lingua russa.


Al netto delle considerazioni formali o contenutistiche, la tendenza che questa pubblicazione delinea si pone nell’alveo del discorso decoloniale, fortemente critico verso la visione della Russia forte e aprioristicamente giusta (“Dio è con noi” è uno degli slogan dei nazionalisti guerrafondai in Russia), che la propaganda veicola in maniera insistente e acritica.


In questa sede si è parlato principalmente di poesia, sebbene la tendenza documentalistica si noti anche per la prosa, scritta a partire dalla seconda metà del 2022, ma storicamente è proprio la poesia il mezzo preferenziale e più efficace per reagire in maniera immediata ai cataclismi storici nel momento in cui essi si verificano. Se ci si rivolge alla storia della letteratura russa, a ogni grande cambiamento sociale è seguita una fase di rigoglio della parola scritta: dopo il 1917 la grande stagione letteraria degli anni ’20, tanto in prosa, quanto in poesia, dopo la Seconda Guerra Mondiale e la morte di Stalin – la nuova poesia, ma soprattutto la fioritura della controcultura sovietica (il samizdat), nel periodo della perestrojka e dopo il crollo del sistema sovietico – una nuova, interessantissima scena musicale, artistica, performativa e la nuova poesia degli allora venticinquenni, la prosa del tardo-postmodernismo, ecc. D’altronde, in Russia la parola poetica è sempre stata uno dei mezzi prediletti per trattare dell’orrore e contemporaneamente per opporvisi, come testimonia la celeberrima e citatissima introduzione al poema Rekviem (Requiem) di A. Achmatova, frutto di un’esperienza biografica (documentale) e tragica nel periodo delle purghe staliniane, lontana nel tempo, ma terribilmente simile all’oggi:


«Negli anni terribili del periodo di Ežov ho trascorso diciassette mesi nelle code davanti al carcere di Leningrado. Una volta qualcuno mi “riconobbe”. Allora la donna che stava dietro di me, con le labbra livide, che, ovviamente, non aveva mai sentito il mio nome, si risvegliò dal torpore che tutti avvertivamo e mi chiese all’orecchio (là tutti parlavano con dei sussurri):

– Ma lei è in grado di descrivere questo?

E io le dissi:

– Lo sono.

Allora qualcosa che assomigliava a un sorriso trasparve da ciò che un tempo era stato il suo volto».

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