Con la sua guerra d’indipendenza l’Ucraina si è guadagnata un posto come nazione europea

Il fatto di essere stata attaccata da uno dei più sanguinosi dittatori del mondo contemporaneo non poteva che aiutare Kyiv a ergersi a baluardo della democrazia e della difesa dei diritti umani nell’arena internazionale.

(di Simone Attilio Bellezza, ricercatore dell’Università di Napoli Federico II e membro del consiglio direttivo di Memorial Italia; foto di Max Kukurudziak su Unsplash)


25 febbraio 2023 
ore 14:45


Secondo l’usanza che vale oggi in Ucraina, in questo articolo quasi tutti i nomi propri di persone o di organizzazioni russe sono scritti volutamente con la minuscola: se è vero che la lettera maiuscola è segno di rispetto, utilizzare la minuscola ha lo scopo di sottolineare che questi soggetti non hanno al momento il rispetto dell’autore.


Quando il 24 febbraio 2022 le truppe della federazione russa hanno lanciato l’invasione su larga scala dell’Ucraina in ben pochi pensavano che Kyiv avrebbe saputo resistere a lungo all’offensiva nemica. Le forze armate ucraine hanno invece saputo resistere all’avanzata e nel giro di un mese, quando iniziarono ad arrivare gli aiuti militari statunitensi ed europei, sono riuscite a liberare territori sempre più vasti. Gli ucraini e le ucraine, dopo lo sconforto iniziale, avevano affollato i centri di reclutamento dell’esercito per essere arruolati nelle forze di difesa territoriale, mentre nelle città occupate la popolazione scendeva disarmata per protestare e cercare di fermare a mani nude i carri armati. Una delle immagini simboliche di questa resistenza venne anche dall’alto: nella notte fra il 24 e il 25 febbraio il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj pubblicò un videomessaggio che lo ritraeva nella capitale, nella via dei palazzi presidenziali, attorniato dalle più alte cariche istituzionali, mentre dichiarava che non si sarebbe arreso e avrebbe combattuto assieme al resto della nazione. Non era un mistero che putin avesse fatto paracadutare le sue truppe scelte a Kyiv con la missione di assassinare il presidente ucraino e che quest’ultimo avesse nettamente rifiutato le offerte statunitensi di metterlo in salvo all’estero. Il messaggio al suo paese e al mondo era chiaro e forte.


Un’inaspettata unità?


Molti commentatori sono rimasti colpiti dalla compattezza mostrata dalla popolazione ucraina nel reagire all’invasione russa. Era infatti opinione comune che l’Ucraina, divenuta per la prima volta indipendente nel 1991, fosse uno stato nazionale debole: gli ucraini non parlavano una sola lingua (anzi l’ucraino sembrava minoritario rispetto al russo), si dividevano fra almeno tre diverse confessioni religiose, non avevano una memoria storica condivisa (specie sulla Seconda guerra mondiale), e le differenze fra le regioni orientali e quelle occidentali sembravano minare seriamente la tenuta della compagine statale. Tale frammentazione era aggravata da una classe dirigente che, fino al 2004, poco aveva fatto tranne che pensare ad arricchirsi depredando la nazione. La fragilità ucraina era quindi stata rilevata anche dagli scienziati politici in testi ormai divenuti classici come Gli ucraini: la nazione che non ti aspetti del britannico Andrew Wilson e Due Ucraine dell’ucraino Mykola Riabchuk.


Nonostante la grande attenzione mediatica che periodicamente veniva prestata ai rivolgimenti politici in Ucraina, sembra essere invece passato sotto silenzio che il paese, almeno a partire dalla Rivoluzione arancione del 2004, aveva avviato un processo di riflessione pubblica sull’identità nazionale. Come divenne estremamente chiaro con il cosiddetto Euromajdan del 2013-2014 (che non a caso gli ucraini chiamano Rivoluzione della dignità), l’identificazione con la nazione ucraina aveva sempre più recuperato la tradizionale retorica ottocentesca dell’Ucraina come nazione democratica e combattiva (simboleggiata dal mito dell’egalitarismo dei contadini-guerrieri cosacchi) che si contrapponeva alla russia, assurta a simbolo del despotismo eurasiatico. Tale costruzione di un’identità democratica ed indipendente andava di pari passo con un progressivo avvicinamento alle democrazie occidentali e un affrancamento dalla dipendenza da mosca. L’invasione della Crimea nel febbraio-marzo 2014 e poi la “guerra per procura” nelle regioni orientali dell’Ucraina non avevano fatto che confermare gli stereotipi ucraini che vedevano nella russia un nemico, rafforzando ancor più l’identità nazionale: se infatti putin aveva intrapreso la via del conflitto bellico nella speranza che la pressione facesse crollare lo stato ucraino, quest’ultimo si era invece rafforzato sotto le presidenze di Petro Porošenko e Zelens’kyj. Il primo era riuscito addirittura a portare a compimento la creazione di un patriarcato completamente indipendente per la Chiesa Ortodossa Ucraina ed entrambi hanno collaborato a rafforzare la lingua nazionale. A seguito della guerra iniziata nel 2014 sempre più persone, originarie proprio delle regioni maggiormente russofone del paese, ebbero a soffrire delle conseguenze del conflitto portato da soldati che parlavano russo. Questo ha fatto progressivamente coincidere il russo con la lingua del nemico e avviato un moto spontaneo dal basso, debitamente sostenuto in sede politica, di abbandono del russo a favore della lingua ucraina. Le leggi che rendevano obbligatorio lo studio in ucraino nelle scuole andavano quindi incontro a una tendenza della società ucraina, rappresentata in sede letteraria da casi famosi, come quello dello scrittore Volodymyr Rafjejenko e della poetessa Ija Kiva che, fuggiti dall’est a seguito della guerra, hanno abbandonato il russo per scrivere in ucraino.


Negli anni successivi alla Rivoluzione della dignità, che era stata una rivoluzione anche di atteggiamenti culturali, l’identità ucraina si era rafforzata soprattutto nella sfera del cosiddetto “soft power”: dal 2018 è entrato in funzione l’Ukrainian Institute, un’agenzia governativa che ha lo scopo di promuovere la cultura ucraina nel mondo. Questo sforzo per far conoscere l’Ucraina e gli ucraini all’estero come una nazione a sé stante si è composto anche di elementi della cultura popolare come la partecipazione allo Eurovision Song Contest o l’emersione della prima star internazionale della cucina ucraina, l’ormai celebratissimo chef Jevhen Klopotenko. Così, quando a conflitto già iniziato, l’UNESCO ha finalmente dichiarato che il boršč, celeberrima zuppa a base di barbabietola, era un piatto tipico della cucina ucraina e non di quella russa, la vittoria è stata celebrata in patria al pari dei successi ottenuti sul campo di battaglia. Perché non bisogna dimenticare che nella formazione delle identità collettive un fattore decisivo è giocato dal riconoscimento esterno: costruendosi un’identità all’estero, gli ucraini rafforzavano la propria autoidentificazione di gruppo.


A onor del vero, va ammesso che questi processi erano stati notati anche proprio da quegli stessi studiosi che precedentemente avevano sottolineato la debolezza dell’identità ucraina: dal 2015 Mykola Riabchuk aveva svolto una serie di conferenze internazionali, poi riassunte in un articolo uscito sulla rivista scientifica «Studies in Ethnicity and Nationalism», che si intitolava appunto Ripensare le ‘Due Ucraine’: la fine dell’ambivalenza ucraina?. E lo stesso Andrew Wilson ha cambiato il sottotitolo della sua opera, che oggi suona Gli ucraini: la storia di come un popolo è divenuto una nazione. L’unità e la determinazione dimostrate dagli ucraini nel conflitto sono quindi il frutto di una evoluzione compiutasi nell’ultimo ventennio, tanto da concorrere a far ritenere improbabile un attacco russo fino al febbraio 2022, poiché appariva chiaro che non si sarebbe trattato di una guerra lampo, ma di un’impresa simile all’invasione dell’Afghanistan del 1979.


Le conseguenze della guerra


La trasformazione della guerra locale nel Donbas in una invasione su larga scala aveva chiaramente l’obiettivo di ristabilire l’egemonia russa sull’Ucraina, con la speranza di poter aprire future direttrici di espansione. La resistenza ucraina ha sostanzialmente fatto fallire questo progetto: anche se è difficile prevedere come evolveranno i combattimenti nell’est del paese, è chiaro che lo shock dell’attacco ha rivitalizzato l’alleanza militare della NATO e dato nuovo impulso alle istituzioni comunitarie europee. Non v’è ormai alcun dubbio che l’Ucraina che uscirà dal conflitto farà un ingresso veloce all’interno dell’UE e avrà buone possibilità di essere accolta anche nell’Alleanza atlantica. In un certo senso l’attacco del 24 febbraio ha anche sgombrato tutti i dubbi che fino ad allora potevano riguardare l’entità del conflitto nell’est del paese, dimostrando che questa è dal 2014 un’offensiva dell’imperialismo russo e non un conflitto civile interno al paese.


Del resto nel 2019 Zelens’kyj aveva vinto le elezioni presidenziali proprio con la promessa di poter giungere a un compromesso per la pace nel Donbas. Una reale intenzione di mettere fine al conflitto è stata forse proprio l’elemento decisivo che ha spinto putin a ordinare l’escalation. Zelens’kyj è riuscito a creare un’atmosfera di unità nel paese non con una retorica basata sul nazionalismo etnico, bensì ispirandosi appunto alle più nobili radici intellettuali del movimento nazionale ucraino, che vede nel carattere democratico la caratteristica precipua degli ucraini. Ebreo e russofono, il presidente era la persona più adatta per allontanare la retorica nazionale dalla svolta a destra compiuta dal nazionalismo ucraino durante la Seconda guerra mondiale. Il fatto di essere stata attaccata da uno dei più sanguinosi dittatori del mondo contemporaneo non poteva che aiutare l’Ucraina a ergersi a baluardo della democrazia e della difesa dei diritti umani nell’arena internazionale.


In questa retorica dell’Ucraina fortezza dei diritti va anche letta la sempre maggiore evidenza di elementi delle comunità LGBTQ+ nelle forze armate ucraine e della loro richiesta di matrimonio paritario alla fine del conflitto. Essa è anche frutto di una scelta precisa dopo il fallimento di posizioni più moderate tenute durante la Rivoluzione della dignità, quando alla questione della sessualità e di genere fu messa la sordina per l’ansia di dimostrare di essere parte della nazione. Oggi gli individui LGBTQ+ partecipano apertamente al conflitto, che la propaganda russa, attraverso le parole del patriarca kirill, ha etichettato come una guerra “contro i gay”. Anche in questo caso l’attacco russo non ha fatto che rinsaldare la vocazione democratica e tollerante dell’Ucraina: un sondaggio che viene condotto tutti gli anni ha riportato per la prima volta nel maggio 2022 che la maggioranza degli ucraini (63,7%) sosteneva che gli individui LGBTQ+ devono avere gli stessi diritti degli eterosessuali e ben l’81% era a favore del loro ingresso nelle forze armate.


La frattura fra russia e Ucraina si è quindi sempre più caratterizzata anche per una divaricazione culturale e valoriale. È all’interno di questo dissidio che va letta anche la richiesta di embargo della cultura russa fatta da più esponenti della cultura ucraina. Non si tratta di costringere i singoli artisti o intellettuali russi a prendere una posizione pubblica contro il regime putiniano, ma di sottolineare che nella produzione culturale russa, anche nei cosiddetti grandi, come Puškin, sia insita una mentalità coloniale che vede nell’Ucraina una parte inscindibile della russia. Solo quando si sarà preso coscienza della mentalità imperialista della cultura russa, così come si è fatto per esempio con la cultura inglese (vedi Kipling), allora si potrà riprendere ad apprezzare genuinamente quelle opere. È questo uno sforzo che ha coinvolto persino i toponimi, arrivati nelle lingue occidentali attraverso il mezzo della lingua russa: questo è il senso della assillante richiesta degli ucraini di scrivere Kyiv invece che Kiev.


La compattezza dei combattenti ucraini si deve però anche a scelte oculate dei vertici militari e politici. Nessuno può mettere in dubbio che i milioni di uomini che si affollavano ai confini russi per sfuggire alla semi-mobilitazione dichiarata dal governo di mosca non possono che far intravedere tutte le fragilità del regime putiniano. Niente di più diverso da quanto era avvenuto in Ucraina, dove, come si è già ricordato, il numero di arruolati volontari ha sopravanzato le capacità dell’esercito ucraino di armare i soldati. Per tutto il conflitto nei grandi mezzi di comunicazione così come al fronte il governo ucraino ha sottolineato la propria politica nei confronti dei prigionieri: nessun ucraino sarà lasciato in mani russe. Nella propaganda ucraina si sottolinea moltissimo il grande numero di morti e di prigionieri russi, vittime di un regime che ha poca considerazione per l’uomo comune. Il governo di Kyiv, anche nei momenti peggiori dal punto di vista diplomatico, è sempre riuscito a tenere aperto il canale per lo scambio di prigionieri, ottenendo il ritorno a casa anche delle figure simboliche del Battaglione Azov, catturato alla fine della battaglia di Mariupol’ nell’aprile 2022. Questo messaggio di solidarietà e comunanza è uno dei segreti della tenuta dell’esercito ucraino ed è anche quanto gli ucraini vanno ripetendosi da quel 24 febbraio: questa è una guerra comune, di tutti gli ucraini e le ucraine, per la libertà e la democrazia.


Una nazione civile


Questa insistenza sulla compattezza nazionale, se comprensibile in tempo di guerra, potrebbe far emergere il timore che l’Ucraina stia virando verso la costruzione di un’identità nazionale di stampo etnico. In realtà, una ricerca pubblicata recentemente dal sociologo ucraino Volodymr Kulyk sembra dimostrare il contrario: anche Kulyk realizza da anni lo stesso tipo di sondaggio per verificare come siano cambiati l’uso delle lingue e l’identificazione nazionale degli ucraini. Mettendo a confronto i risultati del 2017 con quelli del dicembre 2022, si dimostra che la popolazione ucraina utilizza molto di più l’ucraino come lingua sia a casa sia sul posto di lavoro rispetto al russo, che per ben il 58% dei rispondenti non è più una lingua importante da conoscere. È cresciuta la percentuale di coloro che dichiarano di essere di nazionalità ucraina (dall’88 al 95%) mentre sono scesi coloro che si dichiarano russi (dal 7 al 2%) e chi diceva di appartenere a entrambe le nazionalità (dal 4 all’1%). Quando però si chiede cosa determini l’appartenenza nazionale di una persona, rispetto al 2017 sono scesi coloro che pensano che la nazionalità sia qualcosa di ereditato dai genitori (dal 68 al 48%) mentre sono cresciuti coloro che credono che l’appartenenza nazionale dipenda dal paese in cui si vive (dal 24 al 36%) o che sia una scelta personale (dal 3 al 7%).


Il tipo di appartenenza nazionale che emerge anche dall’esperienza bellica non è quindi quella di una nazione etnica, come era successo nel caso della guerra nella ex Jugoslavia, bensì di una nazione che è sempre più civica e politica, che dipende dai rapporti instaurati con gli altri membri e con la collettività.


Dal punto di vista storico questa guerra, con le sue conseguenze, può davvero essere raffrontata con le guerre di indipendenza nazionale combattute nel corso dell’Ottocento da altri gruppi nazionali, che hanno con esse costruito in maniera definitiva e stabile uno stato nazionale. Questa guerra di aggressione aveva lo scopo di cancellare l’idea di una Ucraina indipendente ed ha invece sortito l’effetto di rafforzare i processi di aggregazione della nazione ucraina, che altrimenti sarebbero stati assai più lenti e meno univoci, quando non sottoposti a una minaccia esterna così grave. Non pare quindi azzardato parlare di una vera e propria guerra d’indipendenza ucraina, cominciata nel 2014, e per la quale ancora non si intravede la fine. Un risultato è però certo: l’Ucraina è emersa come nazione al pari delle consorelle europee, che ora non possono accettare alcuna soluzione del conflitto che metta in dubbio l’esistenza dell’Ucraina, perché altrimenti metterebbero a rischio la loro stessa ragion d’essere. L’Ucraina si è presentata come baluardo dei valori europei e così facendo si è guadagnata un posto come nazione europea.

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