Voci dalla guerra: Ljubov Maksymčuk, abitante di Ochtyrka

Per il progetto "Voci dalla guerra" pubblichiamo la trascrizione dell'intervista a Ljubov Maksymčuk, abitante di Ochtyrka, che ha perso un figlio a causa dei bombardamenti russi.

Voci dalla guerra. La voce di Ljubov Maksymčuk, abitante di Ochtyrka

L’intervista che pubblichiamo è stata rilasciata da Ljubov Maksymčuk, abitante di Ochtyrka, a Denys Volocha per il progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”). Ljubov e il marito hanno perso un figlio, Maksym, ucciso mentre stava aiutando ad allestire un rifugio antiaereo in un asilo che però è stato nel frattempo bombardato, pur essendo una struttura civile. La dolorosa e sgomenta testimonianza di questi genitori si può vedere coi sottotitoli in italiano nel canale YouTube di Memorial Italia.

“Hanno lanciato otto missili sull’asilo, e forse l’hanno anche fatto apposta”

05.02.2023

Il 25 febbraio è stata bombardata Ochtyrka. Soprattutto la zona militare, nel quartiere Dačnyj. Hanno bombardato un asilo non lontano, dove c’erano dei civili. Fanno otto mesi oggi che, lì, hanno ucciso nostro figlio. E perché? Noi pensavamo a vivere, il resto non ci interessava, mio figlio aveva il suo lavoro. Adesso i suoi figli sono orfani. Non ci sono parole per descrivere il dolore che ci hanno causato quegli orchi russi.

Ma che cos’è successo, in concreto? Com’è morto esattamente suo figlio?

Hanno bombardato la zona militare e i dintorni. Hanno lanciato otto missili sull’asilo, e forse l’hanno anche fatto apposta. O magari avevano avuto una soffiata, chissà. Capisco che bombardassero la zona militare, dove c’erano i soldati. Ma all’asilo c’erano i civili, alcuni bambini avevano trovato rifugio lì. Mio figlio era stato chiamato per portare qualche sedia dall’asilo al rifugio antiaereo, perché i bambini potessero sedersi. Ma sono arrivate le bombe. Gli aerei erano su tutta la città, hanno bombardato anche casa nostra.

Suo figlio è stato colpito mentre portava giù le sedie?

Stavano portando giù le sedie per i bambini, è arrivato un missile e l’ha centrato. Gli ha reciso l’arteria femorale. Mio figlio Maksym e Nataša, la guardiana che aveva aperto il rifugio antiaereo, sono morti sul colpo; altri due invece dopo, in ospedale. Ci sono anche stati dei feriti: altri uomini che aiutavano a portare le sedie nel rifugio. Loro sono stati feriti, mentre i più scoperti sono morti. È così che è successo.

È poi andata in ospedale a cercare suo figlio?

Non è stato possibile per via dei bombardamenti.

Vasyl’ e Ljubov Maksymčuk sullo sfondo del palazzo del consiglio comunale di Ochtyrka in rovine, 8 mesi dopo la morte del figlio. © Denys Volocha

Non ci è riuscita neanche dopo?

Io no. Ci ha fatto un salto mio figlio minore a suo rischio e pericolo. Si è precipitato all’asilo, ma l’ambulanza aveva già portato Маksym in ospedale. Ha trovato suo fratello all’obitorio, il giorno stesso, due ore dopo. I bombardamenti non smettevano mai: giusto una ventina di minuti di pausa ogni tanto. Per questo non ce lo siamo potuti andare a riprendere subito all’obitorio; l’abbiamo sepolto tre giorni dopo.

Qual era la situazione all’obitorio? C’era molta gente?

Sì, c’era tantissima gente che veniva soprattutto dalla zona militare. Un uomo aveva portato suo figlio che non aveva più la testa: l’aveva riconosciuto solo grazie a un tatuaggio. C’erano parecchi soldati: colpiti dalle schegge, bruciati, carbonizzati. Dicevano che ci sarebbe voluto il DNA per riconoscerli. Però ripeto, loro sono soldati… Che c’entrano i civili, invece? Perché bombardano un asilo?

Quanto distava l’asilo dalla zona militare?

Circa cinquecento metri.

E sul quartiere hanno continuato a piovere missili per un’intera settimana?

Già, non ci siamo mai azzardati a uscire dalla cantina. Bombardavano ogni giorno, gli aerei arrivavano di continuo. Era insostenibile.

Se capisco bene, però, la zona militare era già stata distrutta il primo giorno, no?

No, l’hanno bombardata per tre giorni di seguito! Non ne è rimasto mattone su mattone, hanno distrutto tutto. Era abbastanza grande, ma l’hanno bombardata e distrutta tutta quanta. I soldati sono rimasti sotto le macerie. I nostri figli. Sono tutti nostri figli, che abbiano venti o quarant’anni.

Quanti anni aveva suo figlio?

Quarantuno. Lavorava nell’impianto petrolifero “Оchtyrkaneftegaz” come aiuto trivellatore. Prima aveva fatto il cuoco, poi era passato aiuto trivellatore. Si trovava molto bene. Era una persona d’oro. Ogni madre sogna un figlio così. Non ci facciamo una ragione che non ci sia più.

 

Aveva figli?

Uno quattordicenne di primo letto, Аrturčyk. E Jurčyk, che di anni ne ha otto. Аrturčyk è con la madre in Germania. Ha telefonato: “Papà?”. Gli ha risposto il nonno: “Il tuo papà non c’è più”. “Com’è possibile? Se ieri giocavamo a nascondino nel bosco…”. “E oggi è morto”. Sono rimasti orfani, i suoi figli.

Abitate ancora a casa vostra?

Sì, stiamo lì. La stiamo riparando, abbiamo rimesso le finestre. Tutto a spese nostre. Che altro si può fare? È inverno, fa freddo.

Che cosa prova ora verso i russi? Come si spiega l’accaduto?

Cosa vuole che le dica. Ho parenti in Russia, ma non ci parliamo. Loro dicono che le bombe le tiriamo noi. Ho una sorella a Brjansk che parteggia per noi, per l’Ucraina. Un mio compagno di classe, uno del mio paese che abitava dall’altra parte della strada, adesso sta a S. Pietroburgo: “Allora”, mi fa, “quante belle vedovelle, eh?”. Mio marito ha detto che non ci dobbiamo parlare più. Certo che qui ci sono molte vedove. Una è Nataša, nostra nuora. Che farà adesso, con il figlio piccolo? Non può neanche lavorare, perché deve portarlo a scuola e deve anche occuparsi di tutto il resto. Di che cosa camperanno adesso?

Com’è la situazione, adesso, a Ochtyrka? Abbastanza tranquilla?

Abbastanza tranquilla, sì. Ogni tanto partono le sirene. Allora chiudono tutto: i negozi e tutto quanto. A parte questo, più o meno si tira avanti. Ma ci sono molte esplosioni nei dintorni. Siamo vicini a Velyka Pysarivka che sta al confine: i boati arrivano fino a qui e mettono parecchia ansia.


 

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