Saša Seregina: “La Russia è riuscita a occupare la Serbia senza sparare un colpo”

"Eravamo sicuri che prima o poi le ricadute della guerra, nella forma di un’aggressione ibrida, si sarebbero fatte sentire in Serbia. E avevamo ragione, purtroppo".

(Foto di Sadko, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons)


18 febbraio 2023 
ore 11:58


Per gentile concessione del quotidiano serbo “Danas” riportiamo nella traduzione italiana di Sara Polidoro un’intervista a Saša Seregina, russa che vive in Serbia ed è membro del gruppo “Russi, ucraini, bielorussi e serbi insieme contro la guerra”. Oltre a raccontare come la guerra russo-ucraina è vista dalla Serbia, Seregina tratta anche dei rapporti complessi – e con radici secolari – tra questa e la Russia. Di questi temi avevamo già trattato in un’altra occasione.


Saša Seregina (foto dal suo profilo su X)


“Qui in Serbia il terreno per questa aggressione ibrida si prepara da anni. La Russia è riuscita a occupare la Serbia, paese con cui nemmeno confina, senza sparare colpi. È un’occupazione sui generis”.

Saša Seregina


Queste le parole di Saša Seregina, una russa che vive e lavora in Serbia da ormai 12 anni, nell’intervista al quotidiano serbo “Danas”. Saša si occupa di cinema e fa parte del gruppo “Russi, ucraini, bielorussi e serbi insieme contro la guerra” che da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina ha organizzato varie manifestazioni di protesta nella capitale serba.


“Ora portiamo avanti iniziative diverse.” – racconta Seregina. “Al nono mese di invasione abbiamo organizzato la proiezione di un documentario su Hannah Arendt, un film davvero eccezionale su una delle filosofe più influenti del Novecento, sulle sue riflessioni sulla natura del male e sui pericoli di tutte le ideologie, nonché sulla responsabilità collettiva – argomento molto dibattuto nel nostro gruppo. Organizziamo anche iniziative umanitarie nell’ambito del Gruppo Oktobar, un’associazione registrata di cui sono socia e che si concentra non tanto sulla guerra in Ucraina, quanto sulla lotta alla putinizzazione della Serbia. Eravamo sicuri che prima o poi le ricadute della guerra, nella forma di un’aggressione ibrida, si sarebbero fatte sentire in Serbia. E avevamo ragione, purtroppo.” 


Di recente un consigliere di Putin ha dichiarato che la Serbia è un “governatorato russo”. Nel marasma della propaganda russa, possiamo ritenere corretta un’affermazione simile? 


Il sito russo “Sputnik” aveva pubblicato per primo la notizia, intitolandola “La Serbia fa parte del mondo russo” e citando quel consigliere. Dopo che lo screenshot della pagina ha fatto molto scalpore su Twitter, il titolo dell’articolo sul portale era stato improvvisamente modificato, ma noi lo abbiamo visto e sappiamo benissimo cosa volesse dire. Pochi giorni dopo c’è stato un fatto significativo: la nomina di Aleksandar Vulin [ex Ministro degli Interni serbo, nominato direttore della BIA, l’Agenzia di sicurezza e informazione serba, N.d.T.]; in questo modo la Serbia entra de facto nel sistema di intelligence russo; in altre parole, entra anche formalmente nel cosiddetto “mondo russo”.


Cosa significa esattamente?


In Russia da anni il potere assoluto è concentrato nelle mani dei servizi segreti, di quel KGB che ha cambiato nome innumerevoli volte nell’ultimo secolo [attualmente si chiama FSB, N.d.R.]. Si tratta di un regime molto particolare (e pericolosissimo), forse unico al mondo. Per tutta la durata dell’Unione Sovietica fino al suo crollo nel 1991, ci fu una lotta per il potere tra il Partito comunista e i servizi segreti. Con lo scioglimento dell’Urss, il KGB ha preso il potere e in soli dieci anni ha effettuato un’operazione speciale per portare un suo uomo alla carica di presidente del Paese.


In seguito, il patriarca Kirill è diventato capo della chiesa ortodossa. Si vocifera che anch’egli facesse parte del KGB, giusto?


Sì, esatto. In Russia non c’è quasi mai stata una Chiesa indipendente dal potere di Mosca. Di conseguenza essa ha poco a che fare con la fede e la spiritualità: il Patriarca di Mosca proclama “missione santa” la distruzione e l’occupazione di territori stranieri. La Chiesa russa ortodossa è un’istituzione strumentalizzata.


Quali differenze nota tra la Serbia di oggi e quella all’epoca del suo trasferimento?


Sono arrivata nel 2010, e ora qui ho la mia famiglia. In quel periodo mi sentivo a casa. Non conoscevo la lingua, che in parte ho imparato leggendo i quotidiani, potendo quindi approfondire anche la vita sociale e politica della Serbia. Certo, quando arrivi in un posto nuovo c’è sempre una fase di idealizzazione ed entusiasmo. Per me è durata a lungo, ma col passare del tempo ho notato dei cambiamenti: si limitava sempre più la libertà dei media ed emergevano tendenze antidemocratiche. Ho potuto assistere a un percorso simile, che in seguito ha portato a conseguenze davvero tragiche, nella mia Russia. Sono stata molto scossa dagli eventi del 24 febbraio, e ne sento le conseguenze tuttora. Mi ha peraltro molto turbato vedere come reagivano all’invasione molti serbi, che generalmente considero persone cordiali e affettuose. Persone che conoscono bene la guerra, i bombardamenti e la mobilitazione, eventi che hanno sconvolto la loro vita. Devo aggiungere che nel 2010 mi accorsi subito che qui le persone sono molto più pacifiche, meno aggressive rispetto alla Russia, la società è più libera e più umana, e ovviamente c’è più empatia e solidarietà. Meno sciovinismo, discriminazione, pregiudizi. La società mi è sembrata più sana.


Con l’invasione russa, però, il nazionalismo aggressivo è tornato a farsi sentire e minaccia di predominare nel paese.


Che idea ha dell’opposizione serba?


Nessun partito in Serbia, nemmeno il più progressista, ha condannato ufficialmente l’aggressione, ha chiesto sanzioni contro la Russia e si è pronunciato sulla ripresa del percorso della Serbia, paese candidato all’UE, verso l’integrazione europea. Credo inoltre che negli anni scorsi abbiamo sottovalutato la presenza russa in Serbia e nei Balcani; pertanto, ora siamo sorpresi da questa situazione.


Secondo lei, questa “alleanza fraterna” con la Serbia rientra negli interessi specifici della Russia?


Sì. Perché la Russia non stringe alleanze oneste. Per sua stessa natura, la Russia è una potenza profondamente imperialista che non conosce alleanza e fratellanza, bensì integrazione e sottomissione. Sfortunatamente, in quanto potenza mondiale, non permette rapporti paritari, e questo è molto radicato nella mentalità russa. Inoltre, coloro che la governano appartengono a un tipo molto specifico di persone che dicono di non conoscere amicizie sincere, e che quindi percepiscono tutti gli altri come nemici e come costante fonte di pericolo.


Cosa fa pensare che l’obiettivo della guerra in Ucraina sia la conquista del territorio?


La Russia ha un folle, costante bisogno di espansione, ma nel caso dell’Ucraina, secondo molti storici e analisti, Mosca avrebbe obiettivi più insidiosi: la distruzione definitiva di un paese che ha resistito alla dominazione russa per non essere inghiottito dall’impero e cancellato dalla faccia della Terra. È lecito affermare che in Ucraina è in atto un genocidio da parte del regime putiniano, quale culmine della politica imperiale aggressiva della Russia nei confronti di quel paese e dei suoi abitanti, di cui nega l’identità.


Questa “superiorità” si nota anche nell’atteggiamento dello Stato russo nei confronti delle proprie minoranze nazionali, giusto? Sono stati i primi mandati al fronte a morire…


Sì, purtroppo sono tutti già ben consapevoli dell’atteggiamento razzista nei confronti delle minoranze, considerate carne da macello. Ho vissuto in Russia fino all’età di ventitré anni e so che per i bambini delle minoranze etniche la scuola è un inferno. Vengono presi in giro, si ridicolizza il loro nome, subiscono episodi di bullismo. Gli uomini delle minoranze, e ancor più le donne, possono al massimo sopravvivere. Non riuscirò mai a farmene una ragione. Le mie tre migliori amiche appartengono alla minoranza tatara: per me è stata una vera fortuna, perché mi ha aiutato a capire che nel mondo siamo tutti uguali e che la diversità è una ricchezza. Una delle mie nonne, con la quale ho trascorso molto tempo da bambina, si riferiva alle mie amiche con espressioni scioviniste. Diceva frasi del tipo “Un ospite indesiderato è peggio di un tataro”. 


Presumo che questo atteggiamento sia fomentato dal sistema educativo, dalla riscrittura della storia nei libri di testo, dalla propaganda…


Proprio così, e la sua portata è davvero terrificante. L’esempio più banale (e questo è l’argomento più abusato dalla propaganda) nei nostri manuali di storia è la Seconda guerra mondiale, che viene raccontata solo in relazione al territorio russo nel periodo dal 1941 fino al 1945 e chiamata “Grande guerra patriottica”. Nessuno a scuola parla dell’accordo segreto di Stalin e Hitler del 1939 per spartirsi la Polonia; al contrario, Stalin viene presentato come un bravo capo militare e la vittoria viene attribuita a lui, che avrebbe poi liberato tutte le altre nazioni in Europa.


I libri citano lo Holodomor in Ucraina?


Per quanto mi ricordi no, o forse c’era solo un accenno. Gli ucraini sopravvissuti a quella tragedia ne hanno conservato il ricordo per generazioni, fino a quando è stato possibile parlarne. Mosca ha sempre soffocato voci e crimini nascosti. È interessante confrontare ciò che abbiamo appreso su Pietro I e Caterina la Grande come statisti geniali e illuminati, all’origine di grandi progressi nel loro paese, mentre gli ucraini subivano orrori e persecuzioni. Caterina la Grande proibì l’insegnamento dell’ucraino e la stampa di libri ucraini, abolì l’etmanato (organizzazione statale cosacca), perseguitò e deportò i tartari di Crimea, poi sostituiti da russi… L’impero russo fece tutto il possibile per cancellare l’identità ucraina, per russificare il popolo e mettere le “grinfie” su quel territorio. A essere onesti, mi ci è voluto molto tempo per scoprire e capire queste cose, e rifletterci; questo processo è ancora in corso, grazie in particolare agli amici ucraini con cui sono in contatto, nonostante tutto. In Russia, però, solo le persone che vogliono davvero conoscere la verità possono arrivarci, anche se a fatica, mentre il cittadino medio assorbe solo quel che propina la televisione.


La sua famiglia è in Russia. Qual è il loro atteggiamento nei confronti della guerra?


Nella stragrande maggioranza, gli amici dei miei genitori non sostengono la guerra, ma alla fine si limitano a vivere la loro vita e, da lontano, sembra che tacitamente la approvino. Chi all’inizio era favorevole all’invasione, negli ultimi mesi ha abbassato i toni, a causa delle sconfitte sul campo. A me, da qui, fa ancora paura vedere quanto facilmente vengono accettate le azioni compiute dal regime in nome dei cittadini. Molti obbediscono subito alla mobilitazione, sebbene ci siano diversi modi per evitarla: comprano il necessario per partire, in modo da essere pronti, perché l’esercito non fornisce quasi nulla. Ho esempi nella mia famiglia.


Cosa accadrà in Russia dopo la sconfitta, che viene data per certa?


Penso che la deimperializzazione sia inevitabile e rappresenti uno scenario molto migliore rispetto a farla diventare una sorta di ingombrante, totalitaria e isolata Corea del Nord o Gulag. La deimperializzazione e la decolonizzazione sono l’unica via, se non si vuole tornare al Medioevo.


Si dice che Boris Nemcov, che è stato assassinato, fosse l’unico vero leader dell’opposizione russa. Quali sarebbero le possibilità di Naval’nyj se uscisse di prigione?


Naval’nyj sarebbe probabilmente la prima scelta della maggioranza degli oppositori, anche se Nemcov era l’unico vero oppositore politico in Russia. La cooperazione e il dialogo aperto con gli ucraini nel nostro gruppo di attivisti mi hanno aiutato a imparare e capire molte cose che prima non sapevo sull’opposizione russa. Oggi dovremmo essere orgogliosi e grati agli eroi della Russia contemporanea: Aleksej Naval’nyj, Il’ja Jašin, Vladimir Kara-Murza, Aleksej Gorinov e tanti altri. Il compito e l’obbligo della società civile in questo momento storico cruciale è comprendere e valutare in maniera critica le prassi e le narrazioni politiche del passato, comprese quelle dell’opposizione, per uscire da questo circolo vizioso.


Lei che non vive in Russia può farlo. Quanti riescono a farlo in Russia?


Qualcuno c’è, ma le possibilità di azione sono molto limitate. Dopotutto, l’apatia si è purtroppo diffusa e molti si sono rassegnati al fatto di non poter fare nulla: la loro reazione è adattarsi e vivere la propria vita, in questo calvario. Molti non si sono mai interessati di politica, compreso un gran numero di giovani con un’istruzione universitaria, come i miei amici. È tristissimo. Ora la situazione più difficile è quella di chi lotta ancora. Hanno bisogno di solidarietà e sostegno, sia all’interno che all’esterno della Russia.

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