(di Andreas Umland, storico e politologo)
13 febbraio 2023
ore 12:57
Molti dibattiti pubblici nei paesi dell’Europa occidentale sull’aiuto all’Ucraina contrappongono i sentimenti di solidarietà per gli ucraini alle preoccupazioni per la sicurezza dell’Occidente. Questo dualismo ignora gli interessi nazionali fondamentali dei Paesi membri dell’Ue e della Nato in una sconfitta della Russia e in un’Ucraina sicura, stabile e capace di difendersi. Andreas Umland ha studiato politica e storia a Berlino, Oxford, Stanford e Cambridge. Dal 2010 è professore associato presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Accademia di Kyïv-Mohyla (NaUKMA) e dal 2021 è analista presso il Centro di Stoccolma per gli studi sull’Europa orientale (SCEEUS) dell’Istituto svedese per le relazioni internazionali (UI).
Il sostegno occidentale alla difesa dell’Ucraina dall’aggressione russa negli ultimi sette mesi è stato significativo, ma insufficiente. L’entità e l’impatto dell’aiuto militare all’Ucraina e delle sanzioni contro la Russia rimangono carenti. Di conseguenza, la guerra del terrore di Mosca in Ucraina persiste senza sosta. L’economia russa, pur avendo problemi, continua a funzionare. Finora, l’apparato statale e l’élite politica russa non sembrano particolarmente colpiti.
Il fascino dello pseudorealismo
Una delle ragioni dell’incapacità dell’Occidente di mobilitare un maggiore sostegno per l’Ucraina è che buona parte dell’opinione pubblica dell’Europa occidentale ha un’errata percezione dell’importanza della guerra russo-ucraina. Finora, la guerra è stata percepita da molti osservatori come una sfida alla sicurezza dell’Europa orientale piuttosto che dell’intera Europa. L’empatia con gli ucraini e la disapprovazione dell’aggressione russa sono molto alte anche in Europa occidentale, e non solo nella parte centro-orientale del continente. Le opinioni pubbliche tedesche, francesi, italiane, e degli altri paesi dell’Unione Europea hanno sviluppato un interesse per l’Ucraina e una compassione per le ucraine e gli ucraini che hanno sorpreso molti osservatori.
È possibile che si percepisca che la guerra ha ripercussioni anche per gli occidentali, ma il riconoscimento di possibili conseguenze non porta a una maggiore richiesta di aiuto all’Ucraina e di sanzioni contro la Russia.
Questa cornice discorsiva svia i dibattiti europei e nazionali sui possibili modi per contenere l’aggressione di Mosca. Un impulso apparentemente emotivo alla solidarietà internazionale viene contrapposto a considerazioni presumibilmente razionali sulla sicurezza nazionale. Le argomentazioni ‘realiste’ sulla strategia e sulla sicurezza dell’Occidente indeboliscono le richieste ‘idealiste’ di maggiore assistenza e aiuto. Il succo di gran parte del pensiero occidentale sulla guerra rimane qualcosa del tipo: “Naturalmente, noi sosteniamo gli ucraini nella loro lotta per la libertà e l’indipendenza. Tuttavia, in fin dei conti, tutta la politica è locale. Anche se ci immedesimiamo nell’agonia dell’Ucraina, non è il nostro dolore”.
Chi fa distinzioni tra la difesa dell’Ucraina e la sicurezza dell’Occidente presenta la necessità di tracciare una linea divisoria tra i due concetti come una questione di prudenza. Tuttavia, costoro esprimono una visione del mondo più evasiva che pragmatica. La continua ingenuità dello pseudo-realismo occidentale non solo mina le basi normative su cui si fondano il consenso interno e la cooperazione internazionale degli Stati occidentali, ma travisa anche la realtà geografica e il ruolo geopolitico dell’Ucraina per l’Europa e il mondo.
Il destino dello Stato ucraino e dei suoi cittadini ha implicazioni che vanno ben al di là dei suoi confini, e interessano l’intero continente europeo e il sistema internazionale in generale.
Cosa accadrà alla sicurezza mondiale, se la Russia continuerà l’assalto militare allo Stato ucraino per molti altri mesi o addirittura anni? Anche i realisti riconoscono che ciò comporta una spiacevole svalutazione del diritto internazionale in generale e dell’ordine di sicurezza europeo in particolare, ma tali ripercussioni negative sono spesso viste come un danno collaterale sopportabile di una parziale acquiescenza alla Russia. Un’escalation della tensione russo-occidentale, sembra essere il tipico ragionamento di fondo, sarebbe di gran lunga peggiore.
Sollevare lo spettro di una guerra nucleare è un argomento comune. Per evitare un’apocalisse termonucleare, così viene argomentato, qualsiasi costo è giustificabile. Il danno che un successo russo in Ucraina arrecherà al sistema internazionale è sicuramente deplorevole. Tuttavia, è senz’altro preferibile all’alternativa di un continuo confronto militare e al rischio di escalation atomica: questa è la logica di alcuni ‘realisti’ occidentali. Torna utile che un Paese diverso dal proprio debba fare i sacrifici necessari per tenere a bada il Cremlino. Gli ucraini dovranno cavarsela con un sostegno occidentale limitato e continuare a sopportare il peso principale delle conseguenze della guerra. Peccato per loro!
Questo approccio apparentemente realistico non è solo cinico ma anche evasivo, sia in termini teorici che pratici. In primo luogo, è contraddittorio rispetto a una coerente posizione realista sostenere che la costruzione di una contro-alleanza e la deterrenza armata non funzionino nei confronti della Russia. Qualunque sia il sostegno militare che l’Ucraina può ottenere e qualunque siano le sanzioni occidentali imposte alla Russia, secondo un’ipotesi diffusa, Mosca è pronta a un’ulteriore escalation. I russi saranno pronti a sopportare anche danni altamente distruttivi per la loro economia, le loro forze armate e la loro società, fino a rischiare l’integrità del loro Stato. Tuttavia, se i russi si comportano davvero in un modo irrazionale, che non tiene conto della realtà, a cosa serve il realismo?
In secondo luogo, in molti ragionamenti ‘realisti’, non solo non sono chiari i costi che un approccio di acquiescenza a Mosca può comportare per Kyïv, ma manca anche l’attenzione ai rischi e ai costi secondari della guerra per Paesi diversi dall’Ucraina e dalla Russia. Il più delle volte, nei dibattiti pubblici sulla guerra, questi aspetti non vengono menzionati o vengono discussi solo di sfuggita. Quando vengono sollevati, spesso sono messi da parte come fattori remoti e trascurabili.
Il sovvertimento del Trattato di non proliferazione nucleare
Vi sono tuttavia una serie di questioni non banali che la guerra della Russia contro l’Ucraina e le contromisure finora contenute dell’Occidente comportano per l’Europa o addirittura per l’umanità nel suo complesso. Soprattutto, l’attacco russo e la risposta esitante o assente degli altri membri del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale dell’Onu minano la logica del regime internazionale per la prevenzione della diffusione delle armi nucleari. La guerra è iniziata otto anni e mezzo fa e procede nel modo in cui procede, in larga misura, perché la Russia ha armi di distruzione di massa e l’Ucraina no.
Ma c’è di peggio: Mosca non solo gode di un enorme vantaggio nucleare, ma è esplicitamente autorizzata, da un accordo multilaterale registrato dalle Nazioni Unite, a possedere il suo arsenale atomico. Il Trattato di non proliferazione (TNP) del 1968 consente a cinque Paesi del mondo, tra cui la Russia (allora l’URSS, di cui la Russia dopo il 1991 è lo stato successore per il diritto internazionale), di costruire e detenere armi nucleari. A tutti gli altri 191 Stati firmatari del TNP, tra cui l’Ucraina, è esplicitamente vietato sviluppare e possedere armi atomiche.
La guerra russo-ucraina è ancora più significativa, perché l’Ucraina un tempo possedeva un grande arsenale di armi nucleari ereditato dall’URSS. Kyïv decise, insieme alla Bielorussia e al Kazakistan, di rinunciare non solo alla maggior parte, ma a tutte le testate atomiche sovietiche che i tre Paesi ancora possedevano all’inizio degli anni Novanta. Ucraina, Bielorussia e Kazakistan hanno poi ratificato il TNP, che li definisce ufficialmente Stati privi di armi nucleari e che dunque non possono costruirle.
In cambio, nel 1994, Ucraina, Bielorussia e Kazakistan ricevettero un documento speciale dai primi tre governi che hanno sottoscritto il TNP come “stati nucleari”: gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Russia. I cosiddetti Memorandum di Budapest contenevano garanzie di sicurezza da parte di Washington, Londra e Mosca. Le tre grandi potenze promettevano di rispettare la sovranità e i confini dei tre Stati ex-sovietici ora privi di armi nucleari, e di astenersi dall’esercitare pressioni politiche, economiche e militari su di essi. Gli altri due Stati ufficiali dotati di armi nucleari ai sensi del TNP, Francia e Cina, hanno rilasciato dichiarazioni governative separate annunciando il loro rispetto per l’indipendenza e l’integrità di Ucraina, Bielorussia e Kazakistan.
Dal 2014, se non prima, la Russia ha violato questo importante trattato, firmato dall’allora rappresentante permanente di Mosca alle Nazioni Unite Sergej Lavrov, nei modi più eclatanti. Oggi la Russia sta punendo il disarmo nucleare volontario dell’Ucraina con una pioggia di decine di migliaia di granate, bombe, razzi e missili che distruggono non solo gli edifici e le infrastrutture militari ma anche quelle civili, uccidendo, mutilando e traumatizzando gli ucraini ogni giorno. Il fatto che Mosca stia sovvertendo la logica del regime di non proliferazione nucleare dovrebbe preoccupare non solo gli ucraini, ma anche le altre nazioni.
L’aiuto esitante all’Ucraina e le sanzioni tardive contro la Russia da parte di Stati fortemente amanti della pace, come la Germania, l’Austria o i Paesi Bassi, contraddicono la motivazione pacifista alla base di tale politica. La diffusa cautela nel sostenere Kyïv aumenta gli effetti distruttivi della guerra sulla credibilità del sistema di sicurezza internazionale. I segnali contraddittori che provengono non solo dalla Russia, ma anche da altri Stati ufficialmente dotati di armi nucleari, soprattutto dalla Cina, nonché l’ambivalenza da parte di altri Stati non firmatari del TNP (ad esempio l’India) comportano rischi maggiori.
La prosecuzione degli scambi commerciali con la Russia e il sostegno solo parziale o assente all’Ucraina suggeriscono ai Paesi militarmente deboli che, di fatto, il principio della forza bruta regola ancora le relazioni internazionali.
La conclusione che le nazioni prive di un ombrello nucleare possono trarre, ora o in futuro, è la seguente: “Non possiamo fare affidamento né sul diritto internazionale e sulla comunità umana in generale, né sulla logica del TNP e dei suoi fondatori. Pertanto, dobbiamo procurarci la bomba”.
Sebbene la questione nucleare giochi, come monito contro la Terza Guerra Mondiale, un ruolo importante nei dibattiti europei sull’impegno occidentale per l’Ucraina, un’escalation atomica tra la NATO e la Russia non è l’unico aspetto e, forse, nemmeno quello fondamentale. Il problema della salvaguardia del mondo dalla proliferazione nucleare ha ricevuto poca attenzione negli ultimi otto anni. Invece, molti si preoccupano esclusivamente di un potenziale conflitto nucleare tra USA e Russia. Una futura diffusione di armi di distruzione di massa come ripercussione più probabile della guerra della Russia contro l’Ucraina rimane per lo più non menzionata nelle discussioni pubbliche.
La forza del TNP si deteriorerà sempre di più finché la Russia continuerà a dimostrare che uno Stato che minaccia di usare armi nucleari può espandere il proprio territorio a piacimento. Si potrebbe pensare che questo possibile effetto collaterale della guerra della Russia contro l’Ucraina dovrebbe essere fonte di grande preoccupazione per politici e giornalisti. Eppure, questo grave effetto globale del comportamento locale di Mosca in Ucraina è rimasto solo un argomento occasionale o un non-argomento nella maggior parte dei resoconti dei mass media di tutto il mondo sulla guerra.
Le centrali nucleari ucraine
Una minaccia atomica contenuta a livello regionale, ma più evidente e immediata in relazione all’attacco militare della Russia, è la sicurezza delle centrali nucleari ucraine. Durante i primi giorni di guerra, alla fine del febbraio 2022, le truppe russe entrate in Ucraina dalla Bielorussia hanno rapidamente occupato il territorio della centrale dismessa di Čornobyl’, nell’Ucraina settentrionale. La propaganda del Cremlino si è vantata della cattura della centrale nucleare, mentre l’esercito russo ha dislocato alcune truppe sul territorio contaminato dell’area del disastro del 1986. Poco dopo, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha riferito di non avere più informazioni sul materiale radioattivo pericoloso immagazzinato in un’installazione speciale, sul sito dell’ex centrale nucleare. Il governo ucraino ha denunciato irregolarità nel sistema di raffreddamento di questo materiale.
Tutto questo avrebbe dovuto allarmare fin dall’inizio della guerra la comunità internazionale, o almeno i media e i politici europei. Alcune semplici considerazioni economico-geografiche avrebbero potuto, infatti, allertare le comunità dei diplomatici e degli esperti nucleari europei già negli ultimi otto anni su questo rischio vicino all’UE. Almeno dal 2014, dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca e l’inizio di una invasione russa strisciante nel Donbas, i rischi nucleari di un’invasione russa più profonda nel cuore dell’Ucraina erano evidenti. Chiunque abbia una conoscenza elementare della geografia industriale dell’Europa orientale può capire qual è la posta in gioco nella difesa dell’Ucraina dall’invasione russa.
Invece di portare la questione in primo piano già anni fa, la sicurezza delle centrali nucleari ucraine dalla guerra è rimasta, fino a poco tempo fa, sotto il radar della maggior parte dei resoconti giornalistici, specialistici e governativi. Questo nonostante il fatto che, subito dopo la cattura di Čornobyl’ nel marzo 2022, anche la più grande centrale atomica dell’Ucraina e d’Europa, la centrale di Zaporižžja con i suoi sei reattori situati nella città di Enerhodar (letteralmente: “dispensatore di energia”), fosse ormai in territorio di guerra. L’enorme centrale nucleare divenne persino un luogo di combattimento tra Russia e Ucraina. Uno scambio di fuoco notturno tra le truppe russe e ucraine sul territorio di uno dei più grandi impianti nucleari del mondo è stato ripreso da una telecamera e pubblicato in rete nella primavera del 2022.
Durante l’occupazione russa di Enerhodar, la centrale nucleare di Zaporižžja è stata sottoposta a una doppia amministrazione, da parte di ufficiali delle forze armate russe, da un lato, e di civili della società pubblica ucraina Enerhoatom, dall’altro. Questa responsabilità congiunta degli organi di due Stati in guerra tra loro è una configurazione insolita per la più grande centrale nucleare europea. Nelle ultime settimane, inoltre, sembra che il Cremlino stia cercando di utilizzare la questione della sicurezza del materiale nucleare nella centrale come arma di ricatto nei confronti dell’Occidente. Alcuni strani incidenti alla centrale potrebbero essere stati orchestrati dal Cremlino per aumentare il nervosismo occidentale. Di conseguenza, la sicurezza delle centrali nucleari ucraine sta finalmente entrando nei resoconti dei mass media occidentali sulla guerra.
I rischi sono molteplici e non solo legati all’impianto di Zaporižžja a Enerhodar. Un’altra centrale atomica nel sud dell’Ucraina, quella di Južnoukraïns’k, è stata ripetutamente sorvolata, negli ultimi mesi, da missili russi lanciati dalla flotta del Mar Nero e diretti a nord in direzione di Kyïv. Altre due centrali nucleari nell’Ucraina occidentale non sono ancora state avvicinate da armi o testate russe. Tuttavia, ciò potrebbe facilmente accadere in futuro. Ad esempio, un attacco russo all’Ucraina occidentale dalla Bielorussia potrebbe portare rapidamente altre centrali nucleari ucraine vicino, o addirittura dentro, la zona di combattimento.
Ricordando l’esperienza dell’intera Europa con le conseguenze della catastrofe di Čornobyl’ nel 1986, la sicurezza delle centrali nucleari ucraine dovrebbe diventare un argomento centrale nei dibattiti dei media, della politica e degli esperti. Dovrebbe anche entrare in modo più sistematico nei temi di discussione tra diplomatici in Occidente e tra gli stati dell’Unione Europea e la Russia. L’importante, per i politici, i diplomatici e gli esperti occidentali che affrontano la questione in modo ufficiale e non, è rendere il più esplicito possibile che i rischi per le centrali nucleari ucraine – e dunque per la popolazione dell’intera Europa e del Medio Oriente – sono interamente legate alle azioni illegali della Russia in Ucraina.
Mosca si sta ora adoperando per giocare la “carta Čornobyl’” nella sua campagna mediatica e politica. I propagandisti russi stanno cercando di persuadere l’opinione pubblica occidentale poco informata che l’Ucraina è, come nel 1986, una fonte di insicurezza per l’Europa. Questa narrazione fuorviante dev’essere contrastata con decisione.
Per quanto riguarda la percezione africana e asiatica della recente crisi del grano, il Cremlino è riuscito in parte a portare avanti una campagna di disinformazione simile. Mosca è riuscita a far passare non solo tra la gente comune, ma anche tra i membri delle élite di diversi Stati africani e asiatici l’idea che non sia la Russia la responsabile della crisi alimentare. Al contrario, sarebbero l’Ucraina e l’Occidente i responsabili della recente carenza di grano e di altri prodotti alimentari sui mercati mondiali.
Vale la pena ricordare che anche la catastrofe nucleare di Čornobyl’ del 1986 non fu il risultato di un fallimento della leadership ucraina. Al contrario, come Serhii Plokhy ha recentemente descritto nel suo fondamentale libro Chernobyl. Storia di una catastrofe nucleare (Rizzoli 2019), l’allora capo del Consiglio dei Ministri della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina fu informato dell’incidente di Čornobyl’ da una telefonata notturna da Mosca da parte del presidente del Consiglio dei Ministri dell’URSS. Questo nonostante il fatto che, al momento dell’incidente, il Primo Ministro ucraino si trovasse a Kyïv, cioè a soli 100 chilometri di distanza da Čornobyl’.
La ragione di questa strana linea di comunicazione è che le centrali nucleari dell’URSS erano oggetti strategici. Non erano quindi sotto l’amministrazione locale delle pseudo-repubbliche dell’Unione Sovietica. Al contrario, la costruzione e il funzionamento di tutte le centrali nucleari dell’URSS erano sotto il controllo diretto del Cremlino di Mosca. Questa circostanza è stata una delle varie anomalie sovietiche che hanno portato all’incidente di Čornobyl’ del 1986.
Conclusioni
L’attacco russo all’Ucraina comporta ulteriori rischi paneuropei e in parte globali. Le catene commerciali internazionali di prodotti alimentari, energia e altre risorse e beni vengono interrotte. Oltre al Trattato di non proliferazione nucleare, anche altri accordi e organizzazioni internazionali vengono minati. Non solo l’integrità di vari regimi di sicurezza transcontinentali più ristretti, come l’OSCE, è messa in discussione, ma anche le Nazioni Unite e i suoi vari organi e agenzie sono sotto pressione a causa della feroce aggressione della Russia all’Ucraina. In particolare, il Consiglio di Sicurezza e il diritto di veto dei suoi membri permanenti, tra cui la Russia, sembrano ormai assurdi. Parti del sistema delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali vengono intenzionalmente strumentalizzate per scopi neo-imperiali da uno dei suoi garanti ufficiali.
I dubbi fondamentali sull’utilità dell’attuale ordine mondiale stanno crescendo non solo tra gli ucraini in difficoltà. Sempre più persone in tutto il mondo, preoccupate per la sicurezza internazionale, che simpatizzano con l’Ucraina e/o che si sentono minacciate dalla Russia o da altri Paesi revanscisti, stanno esprimendo i loro ripensamenti. Attivisti, politici, esperti e giornalisti, alla luce del comportamento di Mosca negli ultimi anni, hanno iniziato a discutere della capacità del sistema delle Nazioni Unite di preservare la stabilità politica internazionale, la giustizia e la pace.
Nel farlo, il Cremlino sfrutta i privilegi formali e materiali della Russia, come i diritti speciali di Mosca nell’ambito dell’ONU e del TNP, o il possesso del suo arsenale nucleare e il controllo di alcune rotte commerciali. Allo stesso tempo, l’aggressività retorica dei rappresentanti della diplomazia e del governo russi nei confronti dell’Ucraina continua senza sosta. Il numero sempre crescente di atrocità commesse dall’esercito russo in Ucraina sta creando non solo indignazione morale, ma il carattere genocida dell’attacco russo all’Ucraina ha implicazioni più ampie e di più lungo periodo. L’approccio terroristico del Cremlino sovverte la lettera e lo spirito di decine di trattati e di atti fondativi di organismi internazionali a cui Mosca partecipa e di cui è in parte cofondatrice.
La sempre più evidente distruttività globale del comportamento del Cremlino non dovrebbe far riflettere solo gli europei dell’Est. Le discussioni occidentali che contrappongono la solidarietà internazionale per l’Ucraina, dettata dall’emozione, agli interessi nazionali del proprio Paese, argomentati razionalmente, sono state fin dall’inizio inadeguate; oggi appaiono sempre più fuorvianti.
I politici occidentali e non, i diplomatici, gli esperti e gli opinion makers dovrebbero cambiare l’enfasi e il tono dei loro commenti sulla guerra. Questo riguarda le loro valutazioni del comportamento della Russia sia all’interno dei dibattiti nazionali dei loro Paesi sia nelle interazioni con le controparti russe. Devono evidenziare più di prima la rilevanza delle azioni criminali di Mosca non solo per l’Ucraina, ma anche per le loro stesse nazioni, per l’Europa e per il mondo in generale.
I leader, i giornalisti e gli scienziati di tutto il mondo devono far capire ai cittadini che l’avventura del Cremlino in Ucraina rappresenta più di una crisi regionale e ha ripercussioni che vanno oltre le tragedie di Mariupol’, Buča od Olenivka. I Paesi occidentali e gli altri Stati mondiali dovrebbero riformulare di conseguenza le loro posizioni e la loro retorica nei confronti di Mosca. In particolare, dovrebbe essere chiaro sia all’opinione pubblica occidentale che a quella russa che solo il pieno ritiro di Mosca dall’Ucraina sarà una soluzione soddisfacente alla crisi e una limitazione accettabile delle sue distruttive conseguenze internazionali. Come risultato di un tale cambio di discorso, possono emergere nuovi segnali, politiche e trattati da parte di una coalizione di Stati più ampia e risoluta. Solo così il Cremlino potrà finalmente sentire una pressione sufficiente a cambiare il suo comportamento e diventare costruttivo per i futuri negoziati.