Andrej Pivovarov: “La Russia cambierà. Il numero di persone libere e pensanti sta raggiungendo la soglia critica”

Intervista al leader del movimento “Otkrytaja Rossija – Open Russia” dal carcere dove è detenuto in seguito a una pretestuosa condanna per motivi politici.

(di Viviana Nosilia, professoressa di filologia slava presso l’Università di Padova e socia di Memorial Italia)


23 gennaio 2023 
ore 11:11


Presentiamo un’intervista esclusiva che Andrej Pivovarov ci ha concesso dal carcere dove è attualmente detenuto in seguito a una pretestuosa condanna per motivi politici. Pivovarov (classe 1981) è un politico di opposizione, leader del movimento “Otkrytaja Rossija – Open Russia” [organizzazione che promuove l’attività della società civile fondata da Michail Chodorkovskij nel 2014, sciolta dai dirigenti nel 2021 per evitare che i suoi membri fossero incriminati in quanto facenti parte di una “organizzazione indesiderata”, N.d.R.]. Nel 2021 intendeva candidarsi alle elezioni per il rinnovo della Duma. È stato arrestato platealmente mentre si trovava su un volo diretto a Varsavia, dove si stava recando per motivi privati. L’aereo lo aveva imbarcato regolarmente, ma è stato fatto atterrare poco dopo il decollo per consentire alle forze dell’ordine di prelevare il politico. Pivovarov sta attualmente scontando una condanna a quattro anni di reclusione in base all’articolo 284.1 del codice penale, che sanziona l’appartenenza ad “organizzazioni indesiderate”. Il pretesto per l’avvio dell’indagine era stato la pubblicazione di alcuni post su Facebook. Il politico ci ha rilasciato quest’intervista per via epistolare. Nel leggerla occorre tenere presente che la corrispondenza in carcere è soggetta a censura sia in entrata, sia in uscita. Per questo motivo spesso è necessario ricorrere ad allusioni e alcuni temi non possono essere trattati approfonditamente, visto che il censore non consentirebbe l’arrivo della lettera al destinatario. È però chiaro che l’espressione “quello che sta accadendo” si riferisce all’invasione del 24 febbraio 2022 dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Ringraziamo Tat’jana Usmanova, dello staff di Pivovarov, per l’aiuto fornito nel portare a termine il progetto.


Andrej Pivovarov
Andrej Pivovarov (foto di Vladislav Postnikov, via Wikicommons, CC BY 4.0)


Probabilmente, già poco prima del suo arresto era consapevole dei rischi legati all’attività politica di opposizione, eppure le circostanze in cui L’hanno arrestata, costringendo l’aereo appena decollato ad atterrare, e l’accusa che le hanno mosso hanno segnato un nuovo livello di ferocia. Come si è sentito quando ha appreso su cosa si fondava l’accusa? Secondo lei, quando il sistema è degradato fino a questo punto? Come si è arrivati a ciò?


Ora, sullo sfondo di tutto ciò che è accaduto, sembra un fatto secondario, ma nel 2021 da noi si sono svolte le elezioni per il rinnovo della Duma di Stato, uno degli eventi chiave di quell’anno. Certamente, si capiva che le autorità avevano cominciato a prepararsi in anticipo. Si intentavano cause penali contro i potenziali candidati, se ne intimidivano altri, qualcuno veniva costretto a lasciare il paese. La legislazione era sempre più repressiva, grazie all’introduzione di emendamenti al Codice Penale fatti apposta per colpire “Open Russia”. Tuttavia, persino in queste condizioni, ho ritenuto giusto partecipare alle elezioni. Nonostante i leader dell’opposizione fossero stati esclusi dalle elezioni, perché arrestati, emigrati, o impossibilitati a proporre la propria candidatura, dalla quantità di voti per la cosiddetta “opposizione di sistema” [partiti diversi da “Russia Unita”, ammessi a partecipare alle elezioni per creare una parvenza di regolarità, N.d.R] si vedeva già allora che l’esigenza di cambiamenti nella società era enorme. Solo mediante i brogli e il voto elettronico il regime è riuscito a fabbricare i risultati voluti. Sono certo che ci sia ancora più voglia di cambiamento. Quando mi hanno fermato, ho capito che il vero motivo del mio arresto era la mia intenzione di candidarmi. Ovviamente questo non è stato scritto negli atti processuali, ma nessuno lo nascondeva. Il fatto che mi fosse contestato l’articolo 284.1 del CP, certo, mi ha sorpreso, perché anche sulla base di questa norma repressiva non c’erano le basi per accusarmi. Secondo quest’articolo, una persona che ha volontariamente interrotto la collaborazione con una organizzazione considerata indesiderata è esente da responsabilità penale. Prevedendo l’inasprirsi delle repressioni, i colleghi ed io già due giorni prima dell’inizio della causa avevamo chiuso “Open Russia”, credendo così di metterci al riparo da qualunque possibilità di persecuzione penale. “Open Russia” non poteva essere considerata “organizzazione indesiderata” sotto alcun punto di vista, ma abbiamo ritenuto opportuno chiuderla per tutelarne i membri. Capivo che l’accusa era inconsistente e che, in un qualunque procedimento giudiziario obiettivo, a questa causa non sarebbe stato dato seguito. Nello stesso tempo, però, capivo anche che si trattava di una causa squisitamente politica e che era stato dato l’ordine di mettermi in carcere. Quando il procuratore e l’inquirente in tribunale hanno dichiarato che il mio crimine (e ricordo che inizialmente mi avevano accusato per un post su Facebook) rappresentava una minaccia per l’ordine costituzionale e la sicurezza del paese, ho chiesto loro di non offendere il mio paese. Ritenevo una vergogna che ci fossero persone che affermavano che la sicurezza del paese era minacciata da un post su Internet. A mio parere, già dalla metà degli anni Duemila gli organi di pubblica sicurezza e il sistema giudiziario sono diventati docili esecutori della volontà del potere esecutivo. La divisione e l’indipendenza dei poteri sono state gradualmente distrutte a partire da quel periodo e verso la metà degli anni Dieci il processo è giunto a compimento. Nei fatti, gli inquirenti, la procura, i giudici, che dovrebbero essere autonomi e vigilare gli uni sugli altri, agiscono invece di concerto per portare ai risultati richiesti. La percentuale di assoluzioni nelle cause penali nel nostro paese è inferiore all’1%, una statistica molto eloquente… In Russia è stato programmaticamente costruito un modello autoritario, che si basa sui superprofitti derivanti dal petrolio e su un apparato di forze dell’ordine in continua crescita. Allo stato non servivano né tribunali indipendenti, né elezioni regolari, né mass-media liberi per conservare il potere, anzi: tutti questi elementi non erano che ostacoli. I detentori del potere, desiderando un controllo sempre più stretto e capillare sulla popolazione e sulle risorse naturali, si sono costruiti un apparato di repressione e hanno estromesso dal sistema chi aveva una posizione indipendente, autonoma.


Secondo lei, come è possibile realizzare il transito della Federazione Russa a un regime democratico? Che cosa bisogna fare nel periodo di transizione? Putin potrebbe anche essere sostituito da qualcun altro, ma ciò non significa automaticamente che il sistema in sé cambierebbe.


In Russia c’è un governo di tipo superpresidenziale. Se lo si conserverà, anche la più progressista delle persone che dovesse ricoprire questa carica, dopo un po’ di tempo scivolerebbe nell’autoritarismo. Non è importante la singola persona in sé, ma la transizione a una struttura parlamentare che funzioni bene.


Solo una reale divisione dei poteri, la creazione di un sistema di freni e contrappesi, ampie deleghe alle regioni e una loro rappresentanza a livello federale permetteranno di creare un sistema statale equilibrato e soprattutto funzionante.


Secondo me, è necessario iniziare le riforme da tre aspetti: la giustizia, le elezioni e i vincoli posti ai mass media. Non che questo garantisca rapidi cambiamenti positivi, ma certamente instraderà il paese nella direzione giusta. Se in Russia comparirà un sistema giudiziario di cui ci si possa fidare (ricordo il dato del 99% di sentenze di condanna…), cominceranno a operare commissioni elettorali oneste e mass media liberi, il sistema comincerà da sé a rinnovarsi. Non m’illudo certo che il successore di Putin sia un democratico. Ma al momento attuale il regime in carica è così personalistico che sostituire una persona con un’altra è impensabile. Il sistema sarà in ogni caso costretto a trasformarsi e inevitabilmente cominceranno dei cambiamenti. Il compito della società civile, però, non è quello di stare ad aspettare che le cose succedano da sé, ma quello di far arrivare alla gente il messaggio che ciò che sta succedendo adesso è la conseguenza diretta dell’annientamento dei loro diritti fondamentali: di scelta, di voto, di riunirsi liberamente. Ed è necessario ripristinare questi diritti.


Lei insiste molto sul sistema parlamentare come mezzo per introdurre e preservare la democrazia, ma non è detto che i sistemi presidenziali si trasformino per forza in regimi autoritari. Ci sono paesi democratici con un sistema di potere presidenziale. Non potrebbe essere così anche in Russia?


Concordo sul fatto che ci sono non pochi esempi in cui dietro il paravento del parlamentarismo prospera l’autocrazia. E, per converso, un regime presidenziale non ostacola la democrazia. Per la situazione in Russia, però, mi sembrano opportuni due rilievi. In primo luogo, il nostro è un caso di superpresidenzialismo. Putin o chi per lui si trovano a disporre attualmente di un potere illimitato, può emanare le leggi e i decreti che vuole, gode di immunità e, a meno che non si verifichino eventi imponderabili, può regnare finché vuole. Non esiste un sistema di freni e contrappesi, di vigilanza, e non c’è alcun modo legale, secondo le norme vigenti, per annullare una decisione del presidente o fargli assumere le sue responsabilità. È proprio questo che ha portato alla catastrofe cui assistiamo ora. E stando così le cose, chiunque al suo posto, anche la persona più liberale, finirà per imboccare la strada dell’autoritarismo. Il potere è una droga da cui è facile diventare dipendenti, ma da cui non ci si può disintossicare. Il secondo motivo per cui in Russia è necessaria una vera repubblica parlamentare è la questione della rappresentanza. La Russia è un paese enorme con una grandissima quantità di territori e popoli diversi. Oggi gran parte delle prerogative delle regioni è stata ceduta al centro; è lì che vanno i soldi, ed è da lì che vengono redistribuiti sulla scorta di lealtà o preferenze personali. La redistribuzione delle risorse e dei fondi segue schemi non trasparenti e solo in rari casi si fonda su un criterio di efficienza. Ciò conduce a un degrado dei poteri locali. Il criterio principale è la fedeltà al centro della Federazione, non il tenore di vita della gente. Le regioni non possiedono una vera rappresentanza, non hanno leve da usare per difendere i loro interessi né la certezza dei poteri di cui disporre (il centro federale può in ogni momento decidere di avocare a sé la gestione di una questione). In un paese enorme e disomogeneo come la Russia solo una sapiente distribuzione dei poteri, una vera rappresentanza, un vero assetto federale possono essere il presupposto per un paese fiorente, il benessere dei cittadini e la sicurezza per gli altri stati.


Lei sottolinea anche il ruolo della riforma del sistema giudiziario per un paese democratico. Può spiegare in cosa consiste la specificità di tale sistema nella Federazione Russa?


Come ho già detto, praticamente ogni causa che arriva in tribunale finisce con una sentenza di condanna. Non è possibile venire assolti. Ciò non dipende affatto da un eccellente lavoro degli inquirenti e della procura, al contrario: a causa della totale assenza di vera conflittualità fra le parti in giudizio, il livello di questi organi è degradato. La legge prevede l’indipendenza dei giudici, la vigilanza della procura sull’inchiesta e il contraddittorio di accusa e difesa. Nella realtà, invece, inquirenti, procuratore e giudice agiscono all’unisono. Del resto, spesso i giudici provengono dagli organi di polizia.


In caso di sentenza diversa da una condanna, l’inquirente e il giudice ricevono dei rimproveri, i giudici non intendono correre questo rischio e preferiscono pronunciare sentenze di condanna anche in cause che non stanno in piedi piuttosto che mettere in difficoltà i colleghi “dell’accusa”.

Le decisioni riguardanti la maggior parte delle cause di maggior risonanza o rilievo, poi, vengono prese ancora prima che esse siano esaminate. Durante l’assegnazione delle cause all’interno del tribunale il giudice riceve l’impianto o addirittura l’intera formulazione della sentenza da emettere. Insomma: non esiste l’indipendenza del potere giudiziario e di conseguenza nemmeno il diritto a un giusto processo.


Secondo Lei, come è possibile rianimare la società civile in Russia? Da molti anni la propaganda convince i cittadini che nulla dipende da loro, che non vale la pena d’interessarsi alla politica. Come si può contrastare il fenomeno?


Penso che la ricetta principale sia dire alla gente la verità.


La propaganda ora ama raccontare di nemici che avrebbero distrutto il sistema sovietico, ma il punto è un altro. Pensiamo alla fine degli anni Ottanta. La glasnost’, la verità è diventata il principale propulsore dei cambiamenti. Certo, c’erano anche l’economia di piano e altre errate previsioni, ma per la gente l’elemento decisivo è stato proprio avere informazioni attendibili su come stavano vivendo e venire a sapere che era possibile vivere diversamente. Attualmente in Russia sono state distrutte tutte le strutture dell’opposizione, i leader sono stati incarcerati o indotti ad abbandonare il paese. È stata introdotta la censura, sono stati vietati i raduni. Ciò però non significa che il malcontento e l’esigenza di cambiamenti siano spariti. Al contrario, sullo sfondo di ciò che sta accadendo, il potenziale di protesta non fa che crescere e talvolta come in passato riesce a emergere. Ma è solo la punta dell’iceberg. La parte sommersa, che resta confinata tra le mura domestiche, è enorme. Il prezzo che si paga per scendere in piazza ora è troppo alto, la macchina delle repressioni lavora a pieno regime, ma anche la protesta cresce. Sia per diffusione, sia per intensità. Prevedere dove riuscirà a fare breccia è impossibile sia per me, sia per le autorità. Posso solo supporre che se le operazioni belliche continueranno, le perdite potranno costituire un punto di tensione molto serio. Persone che hanno perso i loro cari non si lasciano facilmente spaventare dalla Guardia Nazionale. Perciò raccontare, spiegare alla gente ciò che sta accadendo è la via più giusta. Lo vedo anche qui in prigione. Per molti l’unica fonte d’informazione è il televisore. Volente o nolente, la gente comincia a ripetere le tesi della propaganda. Ma quando cominci a spiegare, a portare esempi, anche della vita qui, a smascherare le menzogne, ecco che allora il castello di carta della propaganda crolla in un batter d’occhio. Nella vita fuori di qui farlo è ancora più semplice. La propaganda vive nel televisore, ma nella vita la gente vede prezzi e bollette assolutamente reali, vede i commissari per l’arruolamento.


Come tranquillizzare quella parte della società che invece teme i cambiamenti e desidera la stabilità? Cosa dire loro per convincerli a sostenere la trasformazione del sistema?


Il potere ora non porta alcuna stabilità. Se verso la fine degli anni Duemila e soprattutto negli anni Dieci, grazie ai prezzi alti degli idrocarburi, c’era denaro a sufficienza sia per riempirsi le tasche, sia per distribuire qualcosa alla popolazione, ora per riempirsi le tasche bisogna sottrarre risorse alla gente: ciò significa innalzamento dell’età pensionistica, delle imposte, dei pedaggi per i camion per le strade a lunga percorrenza [nel 2014 è stato introdotto un pedaggio extra a carico degli autotrasportatori che ha determinato un aumento generalizzato dei prezzi delle merci trasportate, innescando scioperi e proteste, N.d.R.] ecc. Ora a tutto ciò si è aggiunta la mobilitazione generale con tutto ciò che ne consegue, le sanzioni, il rallentamento e l’incertezza in ambito economico e molto altro. Anche i sondaggi ufficiali dicono che i russi sono meno sicuri del futuro, che cresce il livello d’inquietudine. Sono due decenni che il Cremlino si presenta a ogni appuntamento elettorale con lo slogan della stabilità, ma ora è diventato la principale fonte di problemi e di calo del tenore di vita dei cittadini. In queste circostanze la proposta di passi e decisioni comprensibili, di un chiaro programma di riforme che assicuri quella stessa stabilità rappresenterà una soluzione per coloro che solo fino a poco tempo prima avevano sostenuto il regime. I cambiamenti per le persone diventeranno la via verso la stabilità, per uscire dal caos in cui l’attuale direzione del Cremlino ha trascinato il paese. Prima ho parlato di come la glasnost’ abbia sconfitto l’Unione Sovietica. L’esempio mi sembra calzante anche in questo caso. La gente alla fine degli anni Ottanta voleva cambiamenti perché vedeva come si viveva nei paesi democratici e desiderava lo stesso. Anche noi dobbiamo mostrare alla gente che la vita può essere diversa, i politici onesti, i giudici indipendenti, i diritti umani rispettati. Bisogna dare alla popolazione un’idea chiara di ciò cui aspiriamo. Se si osserva con attenzione la propaganda, si capisce perché il partito al potere stia perdendo su tutti i fronti. Semplicemente è incapace di formulare obiettivi, un’idea di futuro. È tutto rivolto al passato. Ma questo è il sogno solo dei gerontocrati degli uffici dei piani alti, mentre il futuro è necessario alla popolazione, che è la maggioranza. In primo luogo, ai giovani.


Mi sembra che in Russia ci sia un duplice senso di isolamento: la società è frammentata, atomizzata, le persone non riescono a unirsi. Quando la gente è isolata, quando si sente sola, è facile spaventarla. Ha anche Lei quest’impressione? E poi c’è l’isolamento internazionale. Pensa che in futuro sarà possibile ricostruire i rapporti con gli altri paesi?


Sono d’accordo. Il Cremlino ha distrutto tutti i partiti d’opposizione e le aggregazioni, stroncando ogni tentativo visibile di formare nuovi raggruppamenti e le forme di autoorganizzazione della società civile, anche le più neutre e non politicizzate. Negli ultimi decenni, attraverso la propaganda, il potere riesce a marginalizzare il dissenso. Alla gente è fatto credere che tutti siano a favore, allo scopo di indurre a ritenere che chi è contrario rappresenti un caso singolo. Bisogna dire che la propaganda in Russia è forte e ha avuto successo. Ma la realtà ha dimostrato il contrario. L’origine di tutto sono state le proteste in Piazza Bolotnaja con decine di migliaia di partecipanti [il riferimento è a una serie di manifestazioni tenutesi in questa piazza negli anni 2011-2012 per protestare contro i brogli alle elezioni parlamentari e presidenziali, N.d.R.], e poi molto spesso sia le manifestazioni, sia le elezioni non sono andate nella direzione sperata dal potere. Si è capito che di questi “casi singoli” ce n’erano troppi. Un completo isolamento oggi, anche in assenza di strutture e aggregazioni, è impossibile. Dai tempi dell’URSS, di cui si sente favoleggiare in TV, il mondo ha fatto enormi passi avanti: ci sono Internet e i social network. Le persone si rendono conto che la pensano come loro personaggi come Dmitrij Muratov [il direttore di “Novaja Gazeta”, insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2021, N.d.R.], Michail Chodorkovskij [oligarca che ha trascorso 10 anni in carcere in seguito a processi motivati politicamente, N.d.R.], Il’ja Jašin [oppositore attualmente in prigione, N.d.R.]. E i video di Jurij Dud’ [blogger molto popolare, famoso per le sue interviste; ha intervistato, fra gli altri, anche Naval’nyj e Il’ja Jašin, N.d.R.] hanno milioni di visualizzazioni. Perciò le persone capiscono che in Russia sono in molti a pensarla nello stesso modo. Anzi, forse sono già la maggioranza. Non ho dubbi sul fatto che la questione dell’isolamento internazionale si risolverà abbastanza rapidamente dopo che la Russia avrà cessato di minacciare i vicini. È complicato dire di più scrivendo dalla prigione, ma esiste una buona regola: le democrazie non fanno la guerra ad altre democrazie. Penso che la chiave sia tutta qui.


Qual è la Sua posizione rispetto a ciò che sta succedendo in Ucraina?


La mattina del 24 febbraio la guardia che effettuava il controllo del mattino ha dato per prima la notizia di quanto stava succedendo. Il suo commento è stato molto sintetico ed efficace: “Bella merda!”. Finora ritengo che questa sia la definizione migliore e più esaustiva che ho sentito. [Qui Pivovarov scrive che ha dovuto astenersi dal rispondere più approfonditamente perché la censura del carcere sarebbe sicuramente intervenuta, N.d.R.].


La situazione mondiale non desta ottimismo, nemmeno in Russia. C’è ancora posto per la speranza? E da dove trarla?


Vedo due motivi per essere ottimisti. In primo luogo, malgrado la propaganda estremamente aggressiva, la censura e i divieti di critica, ciò che sta succedendo non trova un grande sostegno nella società. I personaggi ufficiali possono dire quello che vogliono, ma in realtà vediamo che la gente non ritiene ciò che accade qualcosa che le appartiene. Per le manifestazioni a favore del governo bisogna pagare la folla perché partecipi; si è scritto già molto su come è avvenuta la mobilitazione generale e su quanti hanno deciso di lasciare il paese. Se nel 2008 e nel 2014 le azioni del regime [il riferimento è alla guerra russo-georgiana e all’occupazione della Crimea, N.d.R.] godevano effettivamente del sostegno della popolazione, ora anche gli elettori fedeli al Cremlino iniziano a chiedersi che senso abbia quello che sta succedendo, a interrogarsi sulla sensatezza degli obiettivi. Il malcontento cresce in gente di due orientamenti opposti: sia in chi non è d’accordo con quanto sta avvenendo, sia in chi ritiene che non si stia intervenendo con la necessaria intensità [il riferimento è a un gruppo di cosiddetti “falchi”, politici e attivisti che spingono per un’azione militare ancora più decisa e mirata ad assumere il controllo di Kyiv, N.d.R.]. Il secondo fattore che ispira ottimismo è l’economia. Qualche giorno fa la Duma ha approvato un bilancio in deficit per i prossimi tre anni, per la prima volta in 20 anni. Le spese per le forze dell’ordine e la difesa sono aumentate moltissimo e i funzionari dicono apertamente che cresceranno ancora. Le entrate provengono principalmente dalla vendita di idrocarburi e minerali. È chiaro che ci sarà un netto calo. L’isolamento del paese porta all’interruzione dei rapporti fra grandi imprese, alla rottura delle catene tecnologiche e logistiche. Praticamente tutte le grandi (ma anche piccole) imprese non legate all’industria bellica stanno soffrendo molto per quanto sta accadendo. La comunità degli imprenditori non ha una grande influenza in Russia come negli altri paesi, ma alcuni suoi rappresentanti hanno accesso al Cremlino. Non va dimenticato che anche molti funzionari, attraverso parenti o in altri modi, sono proprietari di imprese.


A mio parere questi due fattori – l’assenza di un sostegno reale da parte della popolazione e la diminuzione delle entrate – spingeranno come minimo al congelamento del conflitto.


Stiamo realizzando quest’intervista per il pubblico italiano. Qual è il suo messaggio agli italiani?


In un paese dalle salde tradizioni democratiche può essere difficile capire cosa succede da noi. Nei social network e nei diversi interventi si può spesso sentire: perché i russi, se non sono d’accordo, non protestano in massa, non cambiano il regime? Segue poi la “logica” deduzione: dato che non ci sono proteste, significa che a loro sta bene ciò che accade. Inoltre, la propaganda ufficiale è ben contenta di contribuire a diffondere questa convinzione. Ma è un errore grave. Il prezzo per le proteste in un regime autoritario, fra poco totalitario, è alto. C’è chi è disposto a correre il rischio, a ricevere multe stratosferiche, a essere arrestato, a finire sulla branda accanto alla mia. Ma per la maggioranza questo prezzo per ora è troppo alto. Scrivo “per ora” non senza motivo. Mi rendo conto che c’è chi soffre incommensurabilmente di più, ma provate a pensare a un cittadino italiano medio: sarebbero molti quelli disposti a sacrificare la libertà in nome di una causa?


Non ho dubbi sul fatto che la situazione in Russia cambierà. Il numero di persone libere e pensanti sta raggiungendo la soglia critica.


Vorrei che per gli italiani, per gli europei, i russi non fossero una massa uniforme che appoggia ciecamente le decisioni del Cremlino. Fra i miei concittadini, c’è un’enorme quantità di persone oneste, che desiderano cambiamenti; penso, anzi, che siano la maggioranza. E queste persone non sono dei nemici. Sono certo che molto presto la situazione comincerà a cambiare. Ora dobbiamo tutti resistere, non recedere dai nostri principi. Sono certo che ci riusciremo. Auguro tanta forza per percorrere questa strada a tutti noi, europei nello spirito.

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Bari, 26 novembre 2024. Proiezione del film documentario “The Dmitriev Affair”.

Martedì 26 novembre alle 20:30, presso il Multisala Cinema Galleria di Bari, Andrea Gullotta, vicepresidente di Memorial Italia, presenta il film documentario The Dmitriev Affair, scritto e diretto dalla regista olandese Jessica Gorter e sottotitolato in italiano. Jurij Dmitriev è uno storico e attivista, direttore di Memorial Petrozavodsk. Negli anni Novanta scopre un’enorme fossa comune in cui sono sepolte migliaia di vittime del Grande Terrore. Nella radura boschiva di Sandormoch, in Carelia, inaugura un cimitero commemorativo e riesce a raccogliere persone di varie nazionalità intorno a un passato complesso e conflittuale. Da sempre schierato contro il governo della Federazione Russa, nel 2014 Dmitriev condanna apertamente l’invasione della Crimea. Da allora inizia per lui un calvario giudiziario che lo porta a essere condannato a tredici anni e mezzo di reclusione. Il documentario di Jessica Gorter, realizzato nel 2023, racconta con passione e precisione la sua tragica vicenda. Gabriele Nissim, ha letto per Memorial Italia l’ultima dichiarazione di Jurij Dmitriev, pronunciata l’8 luglio 2020, come parte del progetto 30 ottobre. Proteggi le mie parole. Irina Flige, storica collaboratrice di Memorial San Pietroburgo, ha raccontato la storia della radura di Sandormoch nel volume Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria, pubblicato da Stilo Editrice e curato da Andrea Gullotta e Giulia De Florio. La proiezione è a ingresso libero ed è uno degli incontri previsti dall’undicesima edizione del festival letterario Pagine di Russia, organizzato dalla casa editrice barese Stilo in collaborazione con la cattedra di russo dell’Università degli Studi di Bari. Quest’anno il festival è inserito nella programmazione del progetto Prin 2022 PNRR (LOST) Literature of Socialist Trauma: Mapping and Researching the Lost Page of European Literature ed è dedicato al concetto di trauma nella cornice della letteratura russa del Novecento sorta dalle repressioni sovietiche.

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