“Volevano il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto” di Oleg Orlov

Oleg Orlov, copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, descrive una Russia in cui le persone sono ridotte a zombie e la propaganda di stato, negando l’esistenza stessa del popolo ucraino e della sua cultura, presenta i chiari sintomi del fascismo.

Pubblichiamo l’articolo Volevano il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto di Oleg Orlov, copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial. Il testo originale è apparso il 13 novembre 2022 sul blog Mediapart che ringraziamo per la concessione dei diritti. Traduzione di Luisa Doplicher. Da Mosca Oleg Orlov descrive una Russia in cui le persone sono ridotte a zombie e la propaganda di stato, negando l’esistenza stessa del popolo ucraino e della sua cultura, presenta i chiari sintomi del fascismo.

La guerra sanguinosa scatenata in Ucraina dal regime di Putin non si limita a perpetrare l’assassinio di massa degli abitanti e la distruzione delle infrastrutture, dell’economia e della cultura di quel paese meraviglioso. E nemmeno si tratta soltanto della violazione delle basi stesse del diritto internazionale.

È anche un duro colpo al futuro della Russia.

Le forze oscure che, dopo il crollo dell’impero sovietico, sognavano una rivincita totale e a poco a poco si impadronivano della Russia – quelle che mai si stancavano di soffocare la libertà di espressione, di reprimere la società civile e di annientare un sistema giudiziario indipendente – negli ultimi mesi hanno festeggiato la propria vittoria.

Vi potreste chiedere: ma quale vittoria? Dopotutto, sui fronti dell’Ucraina le cose non vanno affatto bene per le truppe russe. È vero, ma all’interno della Russia quelle stesse forze hanno vinto definitivamente.

Questa guerra ha consegnato l’intero paese nelle loro mani. Da molto tempo volevano scrollarsi di dosso ogni freno. Non auspicano il ritorno del sistema comunista, benché qualcuno di loro si dichiari favorevole. Apprezzano il sistema ibrido che si è instaurato in Russia negli ultimi vent’anni: per metà feudalesimo e per metà capitalismo di stato corrotto fino al midollo. Eppure, mancava ancora qualcosa…

Che cosa? L’impressione che il sistema fosse concluso. Adesso lo è. Adesso possono proclamare apertamente e senza vergogna: “Un popolo, un impero, un capo!”. Senza la minima vergogna.

In breve, volevano il fascismo e l’hanno ottenuto.

Il paese che trent’anni fa aveva preso le distanze dal totalitarismo comunista è ripiombato in un altro totalitarismo, quello ormai fascista.

Molte persone non sono d’accordo con me: “Ma dove lo vedi, il fascismo?”. Dov’è il partito di massa che ha fondato il sistema ed è superiore allo stato stesso? Ti sembra che Russia Unita, il partito di Putin, una banda di burocrati, possa somigliargli? E dove sono le organizzazioni di massa che inquadrano tutti i giovani?

Per prima cosa, le iniziative per ridurre i giovani a zombie e creare organizzazioni che li inquadrino ideologicamente non battono sicuramente la fiacca. Inoltre, il fascismo non è soltanto l’Italia di Mussolini o la Germania nazista (tra l’altro, oggi in Russia è prassi comune contrapporre il fascismo “buono” al nazismo “cattivo”); ci furono anche l’Austria prima dell’Anschluss, la Spagna di Franco e il Portogallo di Salazar. Ogni regime fascista aveva caratteristiche diverse e specifiche. E la Russia degli ultimi anni di Putin sarà di certo inclusa in questo elenco. 

Esistono varie definizioni di fascismo. Nel 1995, su richiesta del presidente Boris El’cin, l’Accademia delle scienze russa ha elaborato la seguente: “Il fascismo è un’ideologia e una pratica che affermano l’esclusiva superiorità di una data razza o nazione e proclamano l’odio interetnico, giustificano la discriminazione contro i membri di altri popoli, negano la democrazia, affermano il culto del capo, utilizzano la violenza e il terrore contro gli oppositori politici e ogni tipo di dissidenza, e giustificano la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali”.

Secondo me, ciò che avviene in Russia corrisponde in tutto e per tutto a questa definizione. Si contrappone la Russia al presente, al passato e al futuro degli stati circostanti (soprattutto di quelli europei); si afferma la superiorità della cultura russa (dove l’aggettivo non va inteso in senso etnico, ma imperiale); si nega l’esistenza stessa del popolo, della lingua e della cultura dell’Ucraina… tutto ciò è ormai la base della propaganda di stato. Quanto a negare la democrazia, affermare il culto del capo e sopprimere la dissidenza, non c’è niente da dimostrare, è una cosa che salta agli occhi…

Di chi è la colpa se la Russia è diventata fascista? La risposta più semplice sarebbe: di Putin. Non si può negare che la sua responsabilità sia notevole; ci sono però molte altre persone che, magari senza volerlo, gli hanno spianato la strada.

Le masse aspiravano all’impero, all’uomo forte, al mito di Stalin. Opinioni rintracciabili sia “in vetta”, fra le élite che dirigono il paese (dipendenti pubblici, forze di sicurezza, deputati, dirigenti di aziende pubbliche e oligarchi) sia “in fondo”, tra i più poveri. Tra quelli che hanno Mercedes, yacht e castelli, e tra chi non ha neanche il bagno in casa. A tutti, però, il sistema autocratico di Putin nega qualunque diritto.

Ai primi non interessava combattere l’arbitrarietà di questo sistema; con un governo diverso non avrebbero mai avuto i vantaggi materiali di cui godono. Ma per compensare questa deplorevole mancanza di diritti, ci voleva qualcosa in cambio: l’impressione di avere un potere assoluto sui loro “nemici”, di poter sfuggire, almeno in questo ambito, a qualsiasi controllo… fatto salvo quello del Capo. Volevano considerarsi una classe di nuovi aristocratici, eletti dalla Storia e dalla Provvidenza a guidare il paese. Ma si sono ritrovati qualche bastone tra le ruote: i miseri resti della libertà di espressione, il giornalismo investigativo nelle sue varie declinazioni, i militanti per i diritti umani e i guastafeste che riuscivano a far scendere la gente in piazza ogni tanto. E anche alcuni membri delle élite che la pensavano diversamente e volevano conservare qualche parvenza di legalità liberale nell’amministrazione del paese.

Il secondo gruppo, le persone “in fondo” alla gerarchia, non credevano affatto alla possibilità di avere la meglio in un eventuale scontro: a confermarglielo bastava la loro stessa vita, durissima, e cos’era successo ai loro genitori e nonni.

Chi ha beneficiato della breve parentesi di relativa democrazia negli anni Novanta ne è rimasto scottato: intorno tutto cambiava, le scelte andavano fatte in prima persona e in circostanze difficili, cosa insolita e spiazzante. Queste persone hanno trasmesso ai figli i loro timori: i cambiamenti sono sempre in peggio. Bisogna sempre contare sulle autorità, sui superiori. Al massimo si possono scrivere petizioni e reclami da inoltrare ai dirigenti.

Queste persone non saranno forse la maggioranza, ma costituiscono un gruppo significativo; la società civile russa si è rivelata incapace di fornire loro spazi e strumenti necessari a lottare per i propri diritti. Credo, inoltre, che gli stessi attivisti per i diritti umani abbiano a volte assunto un atteggiamento paternalista… Quando qualcuno si rivolgeva a noi, non lo trattavamo come un compagno di lotta, ma come “cliente”; cercavamo di aiutarlo, ma era raro che ci mettessimo a spiegargli quali fossero gli obiettivi di quella lotta.

Di conseguenza i “clienti” ricevevano un aiuto gratuito, tornavano a fare la loro vita, e alle elezioni seguenti votavano di nuovo le persone indicate dai superiori. Compensavano privazioni e mancanza di diritti sentendosi parte di qualcosa di grande, un ingranaggio dell’enorme macchinario di un impero che si stava ricostituendo. 

Il regime di Putin soddisfaceva alcuni bisogni simili, ma non ancora del tutto.

La guerra è stata quindi un grande obiettivo unificatore. Dopo tanti anni è rinato un vecchio slogan: “Tutto per il fronte, tutto per la vittoria!”. L’opposizione è stata spazzata via, la poca libertà che restava è stata eliminata, pronunciare in pubblico termini come liberalismo e democrazia senza aggiungere una parolaccia presenta i suoi rischi. La “vetta” e il “fondo” della gerarchia si sono riuniti in un’estasi di patriottismo e di… odio per l’Ucraina indipendente.

Certo, l’estasi non coinvolge la maggioranza dei russi, tutt’altro, ma vi si riconoscono in parecchi.

Fino a poco tempo fa, però, per istinto di autoconservazione, la maggioranza preferiva semplicemente chiudere gli occhi su ciò che succedeva. “Protestare è pericoloso, non si può cambiare niente, e blaterare sugli eccessi compiuti dai nostri in Ucraina riuscirà soltanto a tenerci svegli la notte e a deprimerci”. È meglio far finta di credere a ciò che dicono in tv e, anzi, provare a crederci sul serio.

Un comportamento che, probabilmente, è il più diffuso in qualsiasi regime fascista.

Una minoranza minuscola cerca di reagire. Un movimento che si oppone alla guerra e ha i suoi prigionieri politici, i suoi eroi.

Gli attivisti continuano a difendere i diritti umani quasi in clandestinità: forniscono mezzi legali per evitare la mobilitazione e il reclutamento, stilano elenchi di prigionieri politici, procurano loro gli avvocati, forniscono assistenza giuridica e umanitaria ai rifugiati provenienti dall’Ucraina e fanno in modo che possano arrivare in Europa.

È però inevitabile che la difesa dei diritti umani venga stravolta, in un paese in cui la legalità non esiste più. Oggi i russi che se ne occupano si trovano nella stessa posizione dei dissidenti d’epoca sovietica, loro predecessori. Cercare di farsi conoscere al pubblico russo ed estero diventa un obiettivo primario. Il dissidente russo Sergej Kovalëv, grande difensore dei diritti umani che ha trascorso dieci anni nei gulag, aveva questo motto: “fai ciò che devi, accada ciò che può”; oggi è più vero che mai.

Quanto durerà, tutto questo, in Russia?

Chi può dirlo…

Il futuro del nostro paese si decide nei campi dell’Ucraina.

Se le truppe russe vinceranno, il fascismo si radicherà definitivamente in Russia. E viceversa…

Nel mese scorso, l’”estasi” di cui sopra ha iniziato piano piano a sfumare nello smarrimento generale: com’è possibile che il nostro esercito, grande e invincibile, venga battuto su tutti i fronti?

I postumi della sbornia sono sempre pesanti. E possono essere gravi.

Molto dipende dai paesi dell’Europa centrale e occidentale. È naturale che ogni persona sana di mente preferisca la pace alla guerra. Ma la pace a qualsiasi prezzo? L’Europa ha già cercato di mantenere la pace tentando di rabbonire un aggressore. Conosciamo tutti il risultato catastrofico di quei tentativi. 

Per di più, una Russia fascista vittoriosa diventerà inevitabilmente una seria minaccia per la sicurezza dei suoi vicini e di tutta l’Europa.

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“Mamma, probabilmente morirò presto”: adolescente russo in carcere per volantini anti-Putin riferisce di essere stato brutalmente picchiato da un compagno di cella.

Pubblichiamo la traduzione dell’articolo ‘Mom, I’m probably going to die soon’: Russian teenager in prison for anti-Putin flyers says cellmate brutally beat him della testata giornalistica indipendente russa Meduza. L’immagine è tratta dal canale Telegram dedicato al sostegno per Arsenij Turbin: Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!). In una recente lettera Arsenij Turbin, sedicenne russo condannato a scontare cinque anni in un carcere minorile con l’accusa di terrorismo, ha raccontato alla madre di avere subito abusi fisici e psicologici durante la detenzione. I sostenitori di Turbin, che hanno pubblicato un estratto della sua lettera su Telegram, sospettano che oltre ad aggredirlo, i compagni di cella gli stiano rubando il cibo. Ecco cosa sappiamo. Arsenij Turbin è stato condannato a cinque anni di carcere minorile nel giugno 2024, quando aveva ancora 15 anni. Secondo gli inquirenti governativi, nell’estate del 2023 Arsenij si era unito alla legione Libertà per la Russia, un’unità filoucraina composta da cittadini russi e, su loro preciso ordine aveva iniziato a distribuire volantini che criticavano Vladimir Putin. Turbin dichiara di non essersi mai unito alla legione e di avere distribuito i volantini di sua iniziativa. Il Centro per i diritti umani Memorial ha dichiarato Turbin prigioniero politico. Al momento Turbin si trova in detenzione preventiva in attesa dell’appello contro la sua condanna. Nell’estratto di una lettera inviata a sua madre pubblicato lunedì (1 ottobre) nel gruppo Telegram Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!), l’adolescente scrive che un compagno di cella di nome Azizbek lo ha picchiato più volte. “Questa sera, dopo le 18:00, uno dei miei compagni di cella mi ha dato due pugni in testa mentre ero a letto”, ha scritto. “La situazione è davvero difficile, brutta davvero. Azizbek mi ha colpito e poi ha detto che stanotte mi inc***. Sarà una lunga nottata. Ma resisterò.” Turbin scrive anche che in carcere lo hanno catalogato come “incline al terrorismo” per il reato che gli contestano (“partecipazione a organizzazione terroristica”). In un post su Telegram i sostenitori di Turbin hanno ipotizzato che i suoi compagni di cella gli stessero rubando il cibo: nelle sue lettere chiedeva sempre alla madre pacchi di viveri, mentre questa volta le ha scritto che non ne aveva bisogno. La madre di Turbin, Irina Turbina, martedì ha riferito a Mediazona che il figlio è stato messo in isolamento dal 23 al 30 settembre. Dalla direzione della prigione le hanno detto che era dovuto a una “lite” tra Turbin e i suoi compagni di cella e che tutti e quattro i prigionieri coinvolti erano stati puniti con l’isolamento. Irina Turbina ha anche detto che il personale del carcere non le ha permesso di parlare con Arsenij al telefono e che l’ultima volta che hanno parlato è stata a inizio settembre. La madre ha raccontato l’ultimo incontro con suo figlio al sito Ponjatno.Media: “Quando sono andata a trovarlo l’11 settembre non l’ho riconosciuto. Non era mai particolarmente allegro neanche le volte precedenti che l’ho visto, certo, ma almeno aveva ancora speranza, era ottimista: aspettava l’appello e credeva che qualcosa di buono l’avremmo ottenuto. L’11 settembre, invece, Arsenij aveva le lacrime agli occhi. Mi ha detto: ‘Mamma, ti prego, fai tutto il possibile, tirami fuori di qui. Sto davvero, davvero male qui’.” “Mamma, probabilmente morirò presto”, ha continuato a riferire la madre, citando il figlio. Ha poi detto di avere inoltrato la lettera a Eva Merkačeva, membro del Consiglio presidenziale russo per i diritti umani, chiedendole di intervenire. Secondo le informazioni di Mediazona, ad Arsenij è stato finalmente permesso di parlare con sua madre al telefono l’8 ottobre. Le avrebbe detto che il suo aggressore era stato trasferito in un’altra cella il giorno prima e che si trovava bene con gli altri compagni di cella. Aggiornamento del 20 ottobre dal canale Telegram Svobodu Arseniju!: “Questa settimana Arsenij non ha mai telefonato”. La madre riferisce di averlo sentito l’ultima volta l’8 ottobre scorso. 25 ottobre 2024

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Cagliari, 22 ottobre. “Belarus, poesia e diritti umani”.

Martedì 22 ottobre alle 18.00, presso l’Università degli Studi di Cagliari, Campus Aresu (aula 6), nell’ambito del ciclo di seminari Ucraina, Belarus, Russia: lottare e resistere per i diritti nell’Europa post-sovietica dedicato al tema della resistenza al regime di Putin e del suo alleato Lukašenka si svolge il seminario Belarus, poesia e diritti umani. Nell’occasione sarà presentato il volume Il mondo è finito e noi invece no. Antologia di poesia bielorussa del XXI secolo curato da Alessandro Achilli, Giulia De Florio, Maya Halavanava, Massimo Maurizio, Dmitry Strotsev per WriteUp Books. Intervengono Dmitry Strotsev (Pubblicare poesia bielorussa in emigrazione), Julia Cimafiejeva (Scrivere poesia bielorussa all’estero) e la nostra Giulia De Florio (Tradurre poesia bielorussa in Italia). Modera Alessandro Achilli. È possibile seguire l’incontro in diretta Zoom, utilizzando il link https://monash.zoom.us/j/81314970717?pwd=gAd5RXcOX6w2BE18DHkmfxO6xTDyRG.1.

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